Origini delle Religioni

FALSARI

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CAT_IMG Posted on 19/9/2022, 18:53
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L' uomo che reinventava Vermeer





Per un Vermeer si può perdere la ragione. Ne sapeva qualcosa Marcel Proust, che nel 1921 era andato a vedere al Jeu de Paume una mostra in cui era esposta anche la Veduta di Delft. Davanti al quadro gli venne un infarto. Sopravvisse ancora un anno, e fece in tempo a trasferire l' esperienza sconvolgente a un personaggio della Recherche du temps perdu. Nella parte su "La prigioniera", lo scrittore Bergotte muore, delirando, proprio sui dettagli di quel quadro.


E dire che meno di un secolo prima il pittore olandese era ancora praticamente sconosciuto. «Questo Vermeer ci ha fatto impazzire, ma l' abbiamo risuscitato~», si vantò il grande collezionista e mercante d' arte parigino dell' Ottocento W. Burger (il suo vero nome era Théophile Thoré, ma aveva dovuto inventarsi uno pseudonimo per far dimenticare i trascorsi rivoluzionari del '48). Aveva proposto per quattromila franchi all' allora curatore della National Gallery, Charles Eastlake, La ragazza con l' orecchino, ma quello l' aveva giudicato non all' altezza di figurare nel museo londinese. Sir Eastlake era già passato a miglior vita quando, due anni dopo, Burger pubblicò il primo catalogo dei dipinti di Vermeer allora conosciuti. Se c' è un aldilà possiamo immaginarlo che si morde le mani. Da allora la fama del maestro capace di suscitare coi suoi dipinti emozioni profonde, anzi violente, si è estesa a dismisura. Oggi tutti impazziamo per Vermeer.


Anzi, succede persino che si impazzisca per i falsi Vermeer. La storia del falsario che nella prima metà del Novecento abbindolò quasi tutti inventando di suo pugno, e di sana pianta, dei capolavori ritrovati di Vermeer, sta scatenando un interesse quasi maniacale. In breve successione sono appena usciti due intensi libri sullo stesso argomento: The Forger' s Spell The Man Who Made Vermeers: Unvarnishing the Legend of Master Forger Han Van Meegeren, di Jonathan Lopez (Harcourt) e The Forger' s Spell: A true Story of Vermeer, Nazis, and the Greatest Hoax of the Twentieth Century di Edward Dolnick (HarperCollins). Il terreno è molto battuto. Versioni più romanzate della vicenda erano uscite anche in italiano (Io e Vermeer di Frank Wynne, Vermeeer e il codice segreto di Balliett Blue, La doppia vita di Vermeer di Luigi Guarnieri).


Senza contare le fiction vere e proprie tipo La ragazza con l' orecchino di perla di Tracy Chevalier o La lezione di musica di Katharine Weber. Se invece si vuole stare sulla saggistica, direi che Anthony Bailey dice già tutto nel suo Il maestro di Delft. Storia di Johannes Vermeer, genio della pittura, pubblicato da Rizzoli nel 2003. Vermeer è diventato quasi un genere letterario tutto a sé, mi verrebbe da dire. La storia dei falsi Vermeer di Johannes (Han) Van Meegeren avrebbe tutti gli ingredienti del romanzo se non fosse vera. Non fu il primo e forse non sarà nemmeno l' ultimo falsario degli olandesi del Seicento, ma al momento li supera tutti. Alla trentina circa di Vermeer di cui si aveva conoscenza ai suoi tempi, ne aggiunse di sua mano almeno altri nove: non copie di dipinti conosciuti ma "originali", l' uno più bello dell' altro. Aggiunti quelli scoperti da allora, tolti i falsi riconosciuti come tali, oggi di Vermeer ne vengono censiti trentasei in tutto, pochissimi. Di uno, Il concerto, che era a Boston sin da quando Isabella Gardner lo comprò da Thoré nel 1892, si sono perse le tracce dal 1990.


Con la sua abilità Van Meegeren riuscì a ingannare quasi tutti i maggiori esperti d' arte dei suoi tempi. Ci cascò lo storico dell' arte Valentiner, Willem Martin del Mauritishuis, Wilhelm von Bode del Museo di Berlino. Abraham Bredius, che aveva passato tutta la sua vita a studiare Vermeer (lo avevano soprannominato "il Papa", tanta era la fama di infallibile), giunse a definire la «nuovissima scoperta» della Cena di Emmaus dipinta da Van Meegeren come «il più bello di tutti i dipinti di Vermeer» (ora è appeso come "curiosità" al Boijmans di Rotterdam). A sua discolpa va però detto che era ormai ultraottantenne e quasi cieco. Il celebre collezionista di Rotterdam Daniel George Van Beuningen comprò l' Interno con bevitori e, tutto contento, fece il bis con una piccola Testa di Cristo. Il miliardario americano Andrew Mellon, che era stato segretario di Stato con Harding e Coolidge, e aveva qualche responsabilità per il crac del 1929, di falsi Vermeer se n' era fatti affibbiare ben due, per donarli alla National Gallery di Washington, che ora li nasconde per la vergogna nei depositi dopo averli riattribuiti ad «artista anonimo del Ventesimo secolo» (ma Mellon si rifece comprandone anche uno vero, la Ragazza dal cappello rosso).


Prima di lui, si erano fatti rifilare falsi Vermeer finanzieri ed imprenditori accorti come Jules Bache, Heinrich Thyssen e Fritz Mannheimer. L' avidità cieca del collezionista aveva sopraffatto l' avidità prudente dell' uomo d' affari. Insomma, nei falsi di Van Meegeren cascarono fior di furbetti e furboni, e nel 1943 persino il governo olandese, comprando il suo Lavaggio dei piedi di Cristo. E ci cascarono il fior fiore degli studiosi. Capita anche ai migliori. C' erano cascati Bernard Berenson, Roger Fry, Max Friedlander, Wilhelm von Bode, lo stesso Cornelis Hofstede de Groot, l' autore del più autorevole catalogue raisonnè sull' artista. Flavio Caroli ha testimoniato che ci cascò anche il suo maestro Roberto Longhi. Ma la più bella delle sue truffe fu quella ai danni del vice di Hitler, Hermann Goering. Gli rifilò per una somma colossale il Cristo e l' adultera, ottenendo per giunta in cambio ben 137 dipinti autentici, di quelli arraffati in tutta l' Europa occupata dal gerarca nazista.


Non l' avrebbero forse nemmeno mai scoperto, se non fosse stato lui stesso a confessare. A guerra finita era stato arrestato come collaborazionista, "traditore" per aver venduto i tesori dell' arte nazionale ai nazisti. Si difese sostenendo che quei quadri li aveva dipinti lui, e semmai si era preso beffa degli occupanti. A prova di quanto affermato, nel corso del processo dipinse seduta stante un nuovo falso Vermeer. Se la cavò con una modesta condanna da falsario, il "tradimento" poteva comportare la fucilazione. Da farabutto, riuscì a farsi passare come eroe e conquistarsi le simpatie del pubblico. C' è sempre qualcosa di attraente nel rubare ai ladri, nel ripagare i malfattori con la loro stessa moneta, nel beffare i potenti. Mi sarebbe simpatico, ci cascherei anch' io, non fosse che anche questa confessione puzza di falso geniale. Dei due autori da cui abbiamo preso spunto, Dolnick è quello che tutto sommato gliela lascia passare. Lopez è un po' più severo. Non trascura le sue simpatie dichiarate per il nazismo (nella biblioteca personale di Hitler gli alleati ritrovarono un volume di poesie di un poeta olandese con tanto di dedica autografa: «Al mio amato Fuhrer, con gratitudine, H. Van Meegeren, 1942»; lui si difese ammettendo che la firma era sua, ma sostenendo che la dedica era stata aggiunta da un zelante ufficiale delle Ss). Ricorda che ce l' aveva con l' arte di avanguardia, denunciandola come «bolscevica», e opera di «un branco viscido di odiatori delle donne e amanti dei negri». Pare ce l' avesse in modo particolare con Van Gogh.


Ma anche con Mondrian e altri. Insomma, aveva le sue idee. Come pittore, prima di passare alla ben più remunerativa attività di falsario, si era fatta una discreta fama dipingendo soggetti religiosi. Aveva fondato un settimanale d' arte, il De Kemphaan (Il gallo da combattimento) nominandone direttore Jan Ubink, uno sciovinista cattolico, un guerriero di Cristo ultrà diremmo oggi. Uno degli argomenti ricorrenti era che lo spirito dell' Olanda non era rappresentato dai mercanti protestanti, dal calvinismo e dal suo contributo alle "origini del capitalismo", e dallo spirito di tolleranza, bensì dalle più "pure" tradizioni cristiane medievali. Non c' è da meravigliarsi che fossero predisposti alla lealtà verso gli invasori tedeschi più che alla resistenza. Quasi tutti i suoi falsi Vermeer sono di argomento biblico o religioso, mentre i Vermeer veri che si conoscono sono quasi tutti di argomento profano, "laico", borghese. È vero che Vermeer dipinse anche una Allegoria della fede, e che c' è chi lo ha portato a testimonianza di una sua segreta conversione dal protestantesimo al cattolicesimo (nell' Olanda di allora non c' erano destra e sinistra, c' erano solo protestanti e cattolici in guerra).


Ma la si potrebbe leggere anche come una "Allegoria della propaganda della fede". Era un lavoro su commissione del cappellano cattolico dell' Aja. E comunque il soggetto viene trattato in modo che ha poco di mistico, come una sorta di rappresentazione da palcoscenico, con tanto di quadro con crocifisso dipinto sullo sfondo. È vero che dipinse un Cristo nella casa di Marta e Maria, ma in fin dei conti si tratta di una scena di vita famigliare, di una conversazione con al centro una tavola imbandita. Così come ritratto della quotidianità della carne più che dello spirito, ritratto della voglia di "vivere bene", è tutta la pittura olandese del Seicento, che dipinge interni di case di benestanti e osterie, cambiavalute, signori che ostentano «l' imbarazzo della ricchezza», ma anche poveracci e pescivendoli, non Cristi e Madonne o Martiri sotto atroci torture come nella contemporanea Italia e Spagna della Controriforma e poi dell' Inquisizione.


Per credere, andare a vedere la suggestiva mostra Da Rembrandt a Vermeer. Valori civili nella pittura fiamminga e olandese del '600, al Museo del Corso a Roma. Non vi deluderà, anche quando scoprirete che, malgrado il titolo, di Vermeer qui ce n' è solo uno, La ragazza col filo di perle, col suo giubbotto di seta bordato di pelliccia giallo, che la fa sembrare così cinese. A ciascun paese secondo le risorse che investe nelle cultura, verrebbe da parafrasare, anche se per essere giusti bisogna aggiungere che tutti i Vermeer non riuscirebbe probabilmente a metterli insieme nessuno. Forse una delle ragioni del successo strepitoso che ebbero i falsi di Van Meegeren sta nel fatto che colmavano quella che una parte dell' Olanda dei suoi tempi poteva considerare una "lacuna" ideologica. Non mi sorprenderebbe che di questi tempi lo facessero ministro della cultura. L' unica vera sorpresa sarebbe se i suoi falsi ridiventassero veri.





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Vi segnalo una mostra gratuita, a Palazzo Reale a Milano, visitabile fino al 24 marzo. S’intitola “Il vero e il falso” ed è allestita a cura del Museo Storico della Guardia di Finanza. La mostra, itinerante, è già stata in diverse città italiane. Io l’ho scoperta per caso: ero in piazza Duomo, con un po’ di tempo da far passare prima del prossimo treno. Alla fine mi sono talmente appassionato che quel treno l’ho perso..

L’esposizione si apre con una serie di teche contenenti esempi di falsificazioni di monete antiche: la pratica era ben nota già in Grecia, dove i falsari riproducevano le monete preziose usando metalli più economici per poi ricoprirle di un sottile strato d’oro o d’argento: solo l’usura di questo strato rivelava, molto tempo dopo, l’inganno sottostante.


Proseguendo nei secoli, si nota come la moneta assuma un valore che va oltre a quello del metallo che la compone, e la falsificazione diventa un’operazione sempre più sofisticata: all’introduzione sul mercato di monete false (punita sempre più severamente, come testimoniano le stampe di bandi e proclami) si affianca l’imitazione delle monete più prestigiose. Molti degli Stati pre-unitari, ad esempio, iniziano a coniare nel medioevo denaro che ricorda, sia nel nome che nella grafica, il ducato veneziano: operazione comprensibile (oltre che legale fino a tutto il Seicento), visto il valore e l’affidabilità che tale moneta aveva conquistato presso i mercati di tutto il mondo.

La mostra prosegue quindi con tutte le monete e banconote prodotte dall’unità d’Italia in poi, ciascuna delle quali è esposta a fianco dell’alter ego prodotto dai falsari. Qui, è immancabile la nostalgia per tutte le banconote che sono passate per le nostre mani e non ci sono più (in tutti i sensi..): la mia personale memoria storica parte dalle duemila lire con Galileo (poi sostituito da Marconi) e le mille con Marco Polo (prima del subentro di Maria Montessori). Scopro inoltre che le mille lire sono l’unica banconota che è stata sempre presente nella storia della Lira: come massimo valore al tempo dell’unità d’Italia e come minimo taglio all’introduzione dell’Euro. Un’altra cosa che colpisce molto guardando fianco a fianco cent’anni di falsi monetari è la difficoltà oggettiva a distinguere il vero dal falso, se non da minuscoli dettagli: alla sempre crescente abilità dei falsari si è dovuta contrapporre una tecnica sempre più raffinata di realizzazione del denaro circolante.

Si passa poi a scoprire tutti i vari tipi di falsificazione messi in atto nella storia: oltre allo spaccio di denaro falso e all’imitazione di monete prestigiose (di cui ho già parlato), si conoscono infatti diversi altri casi di produzione (più o meno legale) di monete e banconote false. C’è stato chi ha prodotto false monete antiche per i collezionisti (aggiungendo alla difficoltà di riproduzione dell’oggetto quella di riprodurne anche l’invecchiamento); chi ha usato false banconote come volantini pubblicitari (è più facile attirare l’attenzione del passante, facendogli credere di aver trovato del denaro); chi ha modificato monete e banconote vere per diffondere messaggi politici (per esempio, incidendo una pipa e le basette da patriota a papa Pio IX su una moneta pontificia, oppure disegnando baffi da Hitler su re Vittorio Emanuele in una banconota durante l’occupazione tedesca); sono state introdotte ingenti quantità di denaro falso per destabilizzare le economie dei nemici durante le guerre (pratica adottata sia da Napoleone in Russia che dai nazisti con Dollari e Sterline); sono state create banconote ad-hoc per sopperire alla mancanza di denaro corrente durante la liberazione americana dell’Italia (le famose Am-Lire, con una curiosa grafica bilingue italo-americana); ci sono stati dei falsari che riproducevano le banconote dipingendole a mano (operazione difficilmente redditizia, vista il lavoro richiesto, ma che ha prodotto vere e proprie opere d’arte in miniatura); altri falsari, approfittando dell’analfabetismo, introdussero nell’Ottocento delle banconote che riproducevano la grafica del denaro corrente, ma con diciture diverse (per esempio, “50 litri” invece di “50 lire”: in questo modo si evitava di incorrere nel reato di riproduzione di moneta falsa, rischiando al massimo una condanna, meno grave, per truffa); la Banca Romana, a fine Ottocento, immise sul mercato 40 milioni di banconote non autorizzate (con numeri di serie duplicati) per compensare le ingenti perdite dovute a investimenti immobiliari sbagliati.

La mostra si chiude, infine, con un excursus sui più abili falsari della storia e sulle tecniche di falsificazione scoperte grazie alle indagini della Guardia di Finanza. A colpire, qui, è il grado di sofisticazione raggiunto da queste tipografie clandestine (molto più complesse di quanto rappresentato nel divertentissimo film con Totò e Peppino De Filippo, “La banda degli onesti”) per riprodurre artigianalmente ogni dettaglio delle banconote: il tipo di carta, gli inchiostri e i colori, la filigrana, la stampa a rilievo, i fili e le bande olografiche di sicurezza, i più piccoli e precisi particolari grafici. Con mia grande sorpresa, ho scoperto l’esistenza di un mio conterraneo tra i più celebri falsificatori di dollari del secolo scorso: Antonio Comito Viola, tipografo nato a Catanzaro ed emigrato giovanissimo in America, fu arruolato (in principio inconsapevolmente) dall’organizzazione criminale nota come “la Mano Nera“ (the Black Hand) per falsificare dollari. Una volta arrestato, collaborò con la giustizia e scrisse un dettagliatissimo diario per descrivere l’organizzazione, le attività e le tecniche dei falsari.

Insomma, il denaro che maneggiamo ogni giorno porta con sè una serie impressionante di storie da raccontare, e grazie a questa mostra mi si sono aperte delle prospettive che non avrei mai immaginato. Se passate da Milano entro il 24 marzo, vi consiglio vivamente di fare un giro!

https://marco.fotino.it/2013/03/la-sottile...also-e-il-vero/






SIEGMUND GINZBERG
07 dicembre 2008 sez.
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Edited by barionu - 25/10/2022, 20:30
 
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CAT_IMG Posted on 25/10/2022, 19:30
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