Origini delle Religioni

" GESU' " NEL TALMUD

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CAT_IMG Posted on 13/1/2016, 12:15
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Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso.






Da questo ottimo studio di Hard Rain

https://digilander.libero.it/Hard_Rain/sto...ementi_contrari




TALMUD BAVLY

Trattato Sanhedrin, folio 43a.



MISNAH

Se dunque lo troveranno innocente allora lo rilasceranno; ma in caso contrario egli dovrà essere lapidato e un araldo lo annuncerà gridando: così e così, il figlio di così e così sta per essere lapidato perchè ha commesso questa e quella azione e questo e quello sono i testimoni. Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e lo dichiari.


GHEMARAH

( Rabby ) Abbaye (1) disse che deve anche essere annunciata: il tal giorno, in questa o quella ora e in quel determinato posto [fu commesso il crimine], in modo che si possa eventualmente presentare qualcuno a conoscenza [del contrario] e possano tornare a riunirsi per valutare i testimoni zomemim (2).

"E un araldo lo annuncerà" ecc... questo implica solo immediatamente prima [dell'esecuzione], non molto tempo prima. [Contrariamente a questo] si insegnava: Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo gridava "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia. Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e difenda il suo operato". Poiché nessuna testimonianza fu mai portata in suo favore, egli fu appeso alla vigilia della Pasqua. - Replicò Ulla: "Pensi che egli sia stato uno per il quale ci si sarebbe potuta attendere una discolpa? Non era egli un sobillatore, riguardo cui la Scrittura dice: non perdonarlo, non coprire la sua colpa? (3) Con Gesù comunque fu diverso, perchè stava vicino al regno."

I nostri rabbi insegnavano: Gesù aveva cinque discepoli, Matthai, Nakai, Nezer, Buni e Todah.

Da: Soncino Babylonian Talmud, editor I. Epstein, Tractate Sanhedrin, folio 43a, London, Soncino Press, 1935-1948.



AFTER THE RAIN THE FLOCK

www.imdb.com/title/tt0473356/soundtrack







Edited by barionu - 5/1/2022, 16:19
 
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CAT_IMG Posted on 14/1/2016, 10:41
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ישו הנצדי

Yeshu ha notzry

che in aramaico vale per Geù il mio guardiano ....


notry è diventato sucessivamente un vocabolo per descriver i cristiani .

ma ci sono molte interpretazioni ... ;

hora , chi mi trova il testo semitico di : vedi sotto


https://sites.google.com/site/centroantibl...su-ed-il-talmud





YESHU HA NOZRI





Talmud Shabbat 107b, Sotah 47a [vii]




Quando Giovanni [Ircano] [viii] uccideva i rabbi, rabbi Yehoshua ben Perachiah e Yeshu fuggirono ad Alessandria d’Egitto. Quando vi fu pace, rabbi Shimeon ben Shetach mandò a chiamarli(…). Yeshu se ne andò, appese una tegola e si inginocchiò davanti ad essa [adorandola].(…) Yeshu [il Nazoreo] praticava la magia e ingannò e condusse Israele fuori della retta via.



La dizione Ha Nozri (= Nazoreo, Nazareno) si trova in un solo manoscritto. Può esservi stata aggiunta dal redattore o può, al contrario, essere stata espunta dagli altri per i motivi già esposti. E’quindi possibile che il passo si riferisca ad un Yeshu discepolo del rabbi storico Yeoshua ben Perachiah e contemporaneo di Shimeon ben Shetach, che, fratello della regina Alessandra Salome, fu il protagonista del ritorno in auge dei farisei dopo la loro cacciata al tempo di Giovanni Ircano e Alessandro Ianneo. La mancanza di un patronimico identificativo (quale ben Stada o ben Pandira) non fa che aggravare il problema. Tuttavia, il rapporto con l’Egitto, (più precisamente, la fuga in Egitto per sfuggire all’ira di un re, che è tratto specificamente evangelico) e l’idolatria di Gesù e l’accusa di aver praticato la magia ed aver tratto Israele in errore sono tratti tipici della polemica farisaica dei primi secoli. Si può dunque pensare che, se anche Gesù il Nazareno non fu il primo protagonista della storia, la stessa gli fosse poi cucita addosso in seguito, poiché ben si attagliava al complesso di narrazioni che in ambiente giudaico circolavano intorno al fondatore del cristianesimo.


"""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""


la questione è talmente rognosa che ho riaperto qui .

#entry586160518

Edited by barionu - 15/1/2018, 19:10
 
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CAT_IMG Posted on 14/1/2016, 12:13
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IL CASO

Yochanàn ben Zakkay


https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=70456494



QUI IL TESTO IN SEMITICO DI GESU' NEL TALMUD


www.angelfire.com/mt/talmud/jesus.html


jesus7

Edited by barionu - 12/6/2016, 18:30
 
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CAT_IMG Posted on 16/9/2016, 09:24
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AYALON




i1080590_barabb02

Il mistero di Barabba

Si osservi attentamente il documento riportato qui sopra. Si tratta di alcuni passi tratti dalla pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933). Nella parte superiore, evidenziato in rosso, troviamo il verso 16 del capitolo 27 del vangelo secondo Matteo. Nella parte inferiore, sotto la riga orizzontale abbiamo la relativa nota a piè di pagina.
La versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (1976) del vangelo secondo Matteo traduce quel verso nel seguente modo:
"Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba"
Mentre la Sacra Bibbia (Traduzione dai Testi Originali), edita dalle Edizioni Paoline nel 1964, traduce così:
"Egli aveva allora in carcere un detenuto famoso, detto Barabba"
Ancora, il Nuovo Testamento - Parola del Signore, pubblicato nel 1976 dalla Elle Di Ci (Leumann, Torino), traduce così:
"A quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso"
E, infine, il Nuovo Testamento, Nuova Revisione 1992 sul Testo Greco, della Società Biblica di Ginevra, traduce così:
"Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba"
Innanzitutto notiamo che le traduzioni sono abbastanza diverse e che tali variazioni possono produrre importanti discordanze nei significati. Questo prigioniero famoso era "detto Barabba", "un certo Barabba" o "di nome Barabba"?
E' sicuro che "detto", da una parte, e "di nome" o "un certo", dall'altra parte, lasciano intendere due cose molto differenti. Nel primo caso Barabba sembra un soprannome, mentre nel secondo e nel terzo caso sembra trattarsi di un nome proprio: quel prigioniero si sarebbe chiamato proprio Barabba.
Naturalmente qualcuno potrebbe osservare che ci stiamo ponendo una questione abbasta irrilevante, ma non è affatto così. Infatti stiamo toccando uno dei problemi più delicati di tutta l'analisi della letteratura evangelica, perché dietro al personaggio di Barabba, alla sua vera identità e al suo ruolo nella circostanza del processo che Cristo ha subito dinanzi al procuratore romano Ponzio Pilato, si nasconde probabilmente una delle più importanti chiavi di comprensione del senso storico reale di quegli eventi.
Il testo greco usa il termine legomenon Barabban (leghomenon Barabban) che si traduce con "detto Barabba", "chiamato Barabba", "soprannominato Barabba", e ciò lascia intendere che quello non fosse il nome proprio, ma un titolo o un soprannome.
Eppure tutti conosciamo Barabba come una persona che si chiamava proprio così, e sappiamo anche che era stato messo in prigione perché era un brigante, forse un ribelle. Almeno, questo è ciò che la tradizione ci ha sempre fatto pensare di lui.
Ma torniamo al Novum Testamentum e osserviamo la nota a piè di pagina che si riferisce al verso 16 del vangelo di Matteo. In essa sono riportate le varianti che si possono trovare in alcuni antichi manoscritti evangelici. Nel nostro caso la nota è duplice e le due parti sono sepatare da una breve linea verticale.
Cominciamo dalla seconda parte. Essa ci dice che dopo il termine "Barabba" alcuni antichi testi recano una frase non breve:
"eicon de tote desmion epishmon Ihsoun Barabban, ostiV hn dia stasin tina genomenhn en th polei kai jonon beblhmenoV eiV julakhn"
"il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio"
In pratica, dai testi antichi è stata scartata una frase dalla quale si può capire abbastanza chiaramente che Barabba era stato arrestato nella circostanza di una sommossa, che si era verificata in città, durante la quale era stato commesso un omicidio. Chi aveva commesso l'omicidio? Barabba? Se consultiamo il vangelo secondo Marco (Mc 15, 7), in un passo parallelo, possiamo leggere:
"Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio"
Il verbo "avevano commesso" è coniugato al plurale, non al singolare, e si riferisce ai ribelli, non a Barabba. La frase significa semplicemente che Barabba era rinchiuso nel carcere in cui si trovavano i ribelli, non ci obbliga a credere che egli stesso fosse un ribelle e che avesse partecipato al delitto.
In fin dei conti nemmeno il vangelo secondo Matteo lo dice; anzi, affermando che costui era stato arrestato in occasione di quel tumulto e di quell'omicidio, non dà affatto l'impressione che Barabba fosse uno degli insorti né, tantomeno, l'omicida.
Il vangelo di Luca contiene una frase (Lc 23, 19) assolutamente identica a quella omessa dal testo di Matteo, di cui abbiamo già visto sopra il testo greco, ma essa (si faccia bene attenzione) viene tradotta comunemente in modo scorretto, attribuendogli così significati che essa non può e non deve avere; per esempio una versione del Nuovo Testamento, che si definisce "traduzione interconfessionale in lingua corrente", la riporta nei seguenti termini:
"...era in prigione perché aveva preso parte ad una sommossa del popolo in città ed aveva ucciso un uomo"
[Parola del Signore, Elle Di Ci, Leumann (To), 1976]
La traduzione corretta, lo ripetiamo, è: "...si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio...", infatti le parole "dia stasin tina" possono essere tradotte con "in occasione di una sommossa", "poiché c'era stata una sommossa", "nel luogo della sommossa", "durante una sommossa", ma non si potrà mai tradurre "aveva preso parte ad una sommossa", e neanche "aveva ucciso un uomo". Questo non è assolutamente scritto nel testo originale, è una forzatura che altera molto il senso della frase, facendo diventare arbitrariamente Barabba il soggetto di una azione che, invece, è stata compiuta dagli altri ribelli.
La lettura dei vangeli sinottici, eseguita fedelmente alle versioni in lingua greca, ci dà buoni motivi per pensare che Barabba non fosse uno dei briganti che avevano commesso l'omicidio, ma solo che egli sia stato arrestato in concomitanza con la sommossa di cui altri erano responsabili. Ci dicono, tra l'altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso.
La osservazione più interessante la facciamo senz'altro nel momento in cui osserviamo la prima parte della nota 16 presente nel Novum Testamentum. Essa ci dice che in alcuni antichi manoscritti, al posto di "legomenon Barabban" (leghomenon Barabban = detto Barabba), troviamo quest'altra espressione: "Ihsoun Barabban " (Iesoun Barabban = Gesù Barabba). La nota ci conferma che il personaggio non si chiamava Barabba, ma che questo era un titolo, affiancato al suo vero nome: Gesù. Diciamo la verità, è quasi uno shock! Sembra che nel corso di quel processo, durante il ballottaggio per la scarcerazione di un prigioniero, Pilato abbia presentato al popolo due accusati: un certo Gesù, che i sacerdoti avrebbero condannato a morte perché aveva osato definirsi "figlio di Dio", e un certo Gesù, molto noto a tutti col titolo "Barabba". Due Gesù in un colpo solo. Forse è proprio per evitare questa eccezionale omonimia che i traduttori hanno omesso il nome del personaggio che è stato liberato, e l'hanno presentato solo come Barabba. Ma si tratta di semplice omonimia? Le nostre scoperte, e ne abbiamo già fatte tante, non sono finite. Adesso infatti si rende necessaria una domanda: qual'è il significato del soprannome Barabba?
Per giungere ad una risposta facciamo un passo indietro nel tempo, fino all'interrogatorio che Gesù, qualche ora prima, aveva subito in casa del sommo sacerdote. Costui, che aveva nome Caifa, vistosi nella difficoltà di trovare un capo d'accusa valido per emettere una sentenza di morte (così narra il vangelo), ad un certo punto avrebbe chiesto a Gesù: «sei tu il figlio di Dio?», e Gesù a lui: «tu l'hai detto». Attenzione: la vicenda del processo davanti alle autorità ebraiche, così come è descritta dalla narrazione evangelica, tradisce la presenza di gravi anomalie, anche perché l'idea di un procedimento svoltosi in quelle condizioni è del tutto inaccettabile. I tempi, i modi, il luogo e tanti altri elementi incompatibili con la prassi giudiziaria ebraica, ci mostrano che quello non poteva essere un processo regolare, come molti autori hanno validamente osservato. Al contrario, tutto lascia facilmente intuire che deve essersi trattato di un interrogatorio informale, svoltosi nel corso di azioni confusionarie e sbrigative, nell'intervallo di tempo che separava l'arresto dell'uomo sul monte degli ulivi e la sua consegna alle autorità romane, presso le quali avrebbe dovuto svolgersi il vero ed unico processo che ha condotto Gesù ad una condanna a morte e alla sua esecuzione. Un processo voluto dai romani per sedizione.
Ora, noi sappiamo che gli ebrei non potevano assolutamente pronunciare la parola tabù "Dio", e che il sommo sacerdote non si sarebbe mai azzardato a pronunciarla in quella occasione. Ma se egli ha veramente posto la domanda, in che modo ha potuto chiedere a Gesù se era «il figlio di Dio»? La risposta è semplicissima, gli ebrei usavano molti termini diversivi per riferirsi a Dio (Adonai, Eloah, il Signore, il Padre...). Anche Gesù, nei racconti evangelici, parla spesso di Dio ma, rivolgendosi ad un pubblico di ebrei ed essendo egli stesso un ebreo, usa uno di questi termini diversivi: "il Padre mio", "il Padre che è nei cieli". Nel vangelo secondo Marco (Mc 14, 36) leggiamo: "Abbà, Padre, tutto è possibile per te", in cui compare sia il termine tradotto (Padre) che quello originale usato dagli ebrei (Abbà). Ed ecco che per gli ebrei del tempo di Gesù "figlio di Dio" poteva essere reso piuttosto con "figlio del Padre". Anche nella liturgia latina troviamo comunemente "filius Patris", che è proprio la traduzione letterale dell'espressione usata dagli ebrei, nella corrente parlata aramaica, e quindi anche dal sommo sacerdote Caifa: "bar Abbà". Mentre in italiano, in mancanza del tabù ebraico, essa si è potuta trasformare senza problemi in: "figlio di Dio".
L'espressione "bar Abbà", può essere condensata, e diventa così "Barabba". La contrazione è del tutto normale: Barnaba, Bartolomeo... si tratta di termini di derivazione aramaica per "figlio di...". E' assolutamente sorprendente che, ai giorni nostri, a nessun cristiano educato e catechizzato sia mai stata fatta notare la questione, non del tutto irrilevante (!!!), che il termine Barabba corrisponda all'espressione usata dagli ebrei dei tempi di Gesù per dire figlio di Dio! Si è dunque voluta nascondere qualche evidenza?
Altro che shock! Infatti, se prima eravamo stati scioccati nello scoprire che Barabba si chiamava Gesù, ora siamo totalmente sconvolti nello scoprire il contrario, e cioè che... Gesù era definito Barabba! Ma quale razza di mistero si nasconde dietro questo intreccio straordinario di nomi e di titoli? E' mai possibile che durante il processo Pilato abbia presentato al popolo queste due persone:
1 - Gesù, che era detto figlio di Dio, cioè Barabba, che fu condannato e giustiziato,
2 - e Barabba, che però si chiamava Gesù, che fu graziato e rilasciato.
Non ci credo nemmeno io che sto scrivendo queste cose. Non ci può credere nessuno. Ma soprattutto, non è possibile crederci perché non è affatto così che sono andate le cose:
1 - non c'è mai stato un autentico processo davanti al sinedrio, Cristo è stato arrestato per volontà di Pilato che ha inviato per questo una coorte romana sul monte degli ulivi, un corpo di 600 soldati con un tribuno al comando;
2 - gli ebrei non hanno consegnato al procuratore l'accusato con la scusa di essere impossibilitati ad eseguire la sentenza di morte; ne hanno eseguite innumerevoli e ce le testimonia lo stesso Nuovo Testamento (Giovanni Battista, l'adultera che stava per essere lapidata dagli ebrei, lo stesso Gesù che ha rischiato più volte la lapidazione da parte degli ebrei, Stefano lapidato dagli ebrei all'indomani della morte di Gesù, Giacomo lapidato dagli ebrei sotto le mura del tempio...);
3 - i romani non hanno mai avuto l'abitudine di applicare le amnistie in occasione delle festività di altri popoli non latini, ma solo delle festività romane, e tantomeno liberavano in Palestina i condannati per reati gravi di sedizione, i condannati a morte;
4 - Pilato non è rimasto lì imbambolato ad aspettare che il popolo decidesse quale dei due doveva essere rilasciato, per poi lavarsene le mani e scarcerare il ribelle giustiziando un maestro spirituale; questa è una immagine assolutamente non veritiera e ridicola del praefectus Iudaeae; si legga Giuseppe Flavio per sapere chi e come era Ponzio Pilato;
5 - e il popolo degli ebrei non ha mai gridato "il suo sangue ricada sopra di noi e sui nostri figli" (Mt 27, 25), preannunciando la persecuzione perpetrata dai cristiani contro i cosiddetti perfidi giudei nell'arco di lunghi secoli.
Tutte queste sono scuse palesi per spostare la responsabilità della condanna dai romani agli ebrei. Questo infatti è uno dei presupposti della catechesi neo-cristiana, che ebbe origine nella mente di Paolo, il nemico di Simone e Giacomo, in aperta e stridente opposizione con la catechesi giudeo-cristiana, al prezzo di un grave pregiudizio antisemitico. Ci troviamo di fronte ad una presentazione finalizzata ad alterare il significato storico dell'evento. Si tratta di una presentazione funzionale alla dottrina antiessena e antimessianica elaborata da Paolo e successivamente sviluppata dai suoi seguaci ed eredi spirituali. I quali hanno progressivamente aumentato le distanze dall'ebraismo e hanno trasformato l'aspirante messia degli ebrei in un salvatore medio orientale, e il regno di YHWH dei giudei nel regno dei cieli dei cristiani.
Dal rebus di Gesù e Barabba scaturisce una ennesima conferma del fatto che i redattori dei vangeli neocristiani erano non ebrei, che scrivevano per un pubblico non ebreo, e che erano interessati a de-giudaizzare l'aspirante messia degli ebrei, scorporando dalla sua figura tutto ciò che apparteneva ad una personalità messianica, ovverosia ad un ribelle esseno-zelotico che aveva commesso gravi reati di sedizione contro l'autorità romana.
La dinamica dell'arresto, del processo, della condanna e della esecuzione, così come queste fasi sono descritte nelle narrazioni evangeliche, le quali mostrano fra loro grandi contraddizioni, è tale da rivelare una precisa intenzione di mascherare chi fosse realmente l'uomo che venne crocifisso, perché fu arrestato, da chi fu arrestato, perché fu giustiziato, facendo credere, alla fin fine, la tesi storicamente insostenibile che i romani siano stati vittime di un raggiro e che la volontà e la regia della condanna di Gesù siano del tutto ebraiche.
Dal rebus di Gesù e Barabba non scaturisce invece una soluzione su chi siano state queste due persone. Erano veramente due? Si tratta di una persona sola che ha subito uno sdoppiamento, come tanti altri personaggi della narrazione evangelica? Si tratta di due persone i cui nomi, titoli, ruoli e responsabilità sono stati intrecciati e confusi negli interessi della contraffazione storica? Sono forse i due aspiranti messia degli esseno-zeloti, quello di Israele (il capo politico) e quello di Aronne (il capo spirituale)? Se Gesù Barabba è il prigioniero che fu liberato, dobbiamo credere che Gesù non è mai stato crocifisso, coerentemente con quanto sostenuto dalla tradizione coranica e da altre tradizioni?
Abbiamo una lunga serie di domande, ma non abbiamo le risposte. E il mistero di Barabba, che pure ha portato alla luce alcuni importantissimi aspetti della questione, troppo spesso ignorati, diventa sempre più misterioso.
David Donnini



Massimo Cogliandro
Il processo a Gesù
I due Messia


La scena tramandata dai sinottici relativa al processo di una guida politico-religiosa chiamata Cristo, alla liberazione di un personaggio di nome Barabba per acclamazione da parte del popolo ebraico e alla crocifissione di Cristo risponde assolutamente a verità. Ciò che non risponde a verità, come ci ha rivelato David Donnini nella sua opera intitolata “Cristo”, è la reale identità dei personaggi che animano la scena del processo riferita dai sinottici.
Nella cronaca del processo, per come ci è stata tramandata dai vangeli canonici, ci sono state alcune alterazioni:

1) il personaggio chiamato Gesù Cristo nella narrazione evangelica del processo, in realtà, era il Messia di Israele degli Esseni, cioè la loro guida politica, che in quel tempo veniva comunemente soprannominata “Cristo” e che, secondo gli Esseni, un giorno sarebbe stata incoronata “re dei Giudei” e avrebbe condotto la lotta di liberazione del popolo ebraico dal dominio politico dei romani;
2) il personaggio chiamato Barabba, in realtà, era il Messia di Aronne degli Esseni, cioè la loro guida spirituale, il cui nome reale era Gesù Barabba (Barabba in aramaico vuol dire “il figlio di Dio”), come si evince da un frammento della versione più antica che ci sia rimasta del Vangelo di Matteo: questo è il personaggio di cui ci sono riportati i detti nel Vangelo di Tomaso e in Pistis Sophia, dove il Salvatore viene chiamato solo “Gesù” e mai “Cristo” o “Gesù Cristo”;
3) il personaggio sobillatore di rivolte contro i Romani, che si era macchiato del reato di omicidio, non era Gesù Barabba, ma il personaggio soprannominato Cristo;
4) la celebre frase di Pilato: “Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo” è stata realmente pronunciata da Pilato, ma non era riferita a Cristo, bensì a Gesù Barabba, che, per il carattere non violento della sua predicazione e soprattutto per la sua origine romana (era, infatti, figlio del soldato romano Pantera, come ci riferiscono Celso ed alcune antiche fonti ebraiche), non veniva ritenuto pericoloso dalle autorità costituite;
5) gli Ebrei hanno effettivamente chiesto a gran voce la liberazione di Gesù Barabba al posto di quella di Cristo, perché, per il fatto di essere la guida spirituale degli Esseni, per i suoi modi non violenti e per la sua grande erudizione, Gesù Barabba veniva considerato dai sacerdoti ebrei, nonostante le differenze religiose, uomo degno di rispetto e non meritevole della morte;
6) ad essere liberato non è stato il personaggio “negativo”, ma quello “positivo”, cioè Gesù Barabba;
7) il personaggio soprannominato “Cristo” è stato effettivamente condannato a morte da Pilato per i reati di omicidio e sedizione ed è stato crocifisso sul Golgota.



II

Il mistero della morte di Gesù


Gesù Barabba non solo non è morto dopo il processo subìto insieme al personaggio chiamato “Cristo”, ma, come ora intendiamo dimostrare, è vissuto per parecchio tempo dopo la morte di “Cristo”.
La soluzione del problema ci viene da alcuni testi gnostici, fra i quali spicca Pistis Sophia. Questi testi, ma anche gli stessi Vangeli Canonici, affermano che Gesù dopo la “resurrezione” è rimasto sulla terra per un certo periodo di tempo.
Ora, mentre i testi canonici affermano che questa permanenza è durata solo quaranta giorni, i più antichi testi gnostici affermano che tale permanenza è durata diversi anni. Se si considera l’antichità di questi scritti e il fatto che le sette di cui erano espressione molto spesso erano in una sorta di continuità storica e culturale rispetto alla più antica comunità essena, è evidente che la loro attendibilità sull’argomento è molto forte.
L’autore di Pistis Sophia racconta che “dopo che Gesù fu risorto dai morti trascorse undici anni con i suoi discepoli durante i quali si intrattenne con essi istruendoli”. Egli ci fornisce una informazione molto importante: una parte dei cristiani del secondo secolo si trasmetteva una tradizione secondo cui Gesù era vissuto per ben 11 anni dopo la cosiddetta “resurrezione corporea”.
Ora, se si tiene conto che studiosi come Luigi Moraldi hanno riscontrato una influenza sicura su Pistis Sophia degli scritti trovati a Qumran, è lecito pensare che in qualche modo l’autore dei primi tre libri di Pistis Sophia fosse in contatto con fonti di provenienza essena, da cui ha tratto le proprie notizie su Gesù, diverse, ma anche più attendibili di quelle di cui poteva disporre la setta degli apostolici, cioè la “Grande Chiesa”.
D’altra parte, non è possibile che l’autore di Pistis Sophia affermasse che Gesù era rimasto 11 anni con i discepoli senza attingere a fonti sicure: 11 anni sono un periodo di tempo troppo lungo per poter essere inventato di sana pianta…
Questa ipotesi trova una conferma nel fatto che, molti anni dopo la presunta morte di Gesù Cristo nel 33 d. C., Svetonio parlava di una sommossa cristiana “impulsore Chresto”, cioè avvenuta “per istigazione di Cristo”: Svetonio nel 49 d. C. pensava che Cristo fosse ancora vivo e che la rivolta fosse opera sua! In realtà, uno dei due Messia esseni probabilmente era ancora vivo, ma non si trattava del personaggio soprannominato “Cristo”, bensì di Gesù Barabba. Svetonio, però, confondeva i due personaggi, esattamente come più tardi li confonderà la Grande Chiesa.
Il motivo di questa confusione tra i due personaggi probabilmente va cercato:

1) nella rottura tra Giacomo, fratello e protettore di Gesù Barabba nonché Maestro di Giustizia della comunità essena del tempo, e Paolo di Tarso, dovuta probabilmente al fatto che la comunità essena e lo stesso Gesù Barabba, per non mettersi contro i romani, avevano ripudiato il presunto Messia di Israele finito sulla croce, scelta non condivisa da Paolo di Tarso, da Simon Pietro, che come dimostra il loghion 114 del Vangelo di Tomaso non condivideva molte delle idee di Gesù Barabba, e dai loro seguaci;
2) nel fatto che dopo la rottura con gli Esseni di Giacomo, la setta di Paolo di Tarso ha abbandonato la dottrina essena dei due Messia e ha ripreso la dottrina ebraica tradizionale dell’unico Messia d’Israele, che veniva identificato con Cristo.

La setta che faceva capo a Paolo, però, era dominante all’interno della comunità ebraica di Roma,che,quindi, continuava ad esaltare la figura di Cristo.
Seneca, che confondeva ancora la neonata comunità cristiana con quella essena, sapeva che il Messia degli Esseni era ancora vivo, ma gli era stato riferito che gli ebrei di Roma lo chiamavano Cristo e, siccome non conosceva a fondo le diatribe interne alla comunità ebraica, confuse presto i due personaggi.
La confusione operata nella Grande Chiesa tra le figure di Gesù e di Cristo, dopo la morte di Gesù Barabba, è stata invece dettata da motivi di carattere prevalentemente politico, tesi a creare il clima per un riavvicinamento alla chiesa madre di Gerusalemme, cioè alla comunità essena.
Il fatto che anche Pistis Sophia ci dica che la permanenza di Gesù per 11 anni sulla terra era avvenuta in seguito alla resurrezione, indica solo che l’autore traeva le notizie relative all’insegnamento di Gesù in tutto questo periodo da fonti scritte per lui già in qualche modo “antiche”, che non spiegavano compiutamente che cosa era successo immediatamente dopo il famoso processo presieduto da Pilato. L’autore, però, non parla mai di Cristo: questo vuol dire che in qualche modo aveva saputo dalle sue fonti essene che solo l’insegnamento di Gesù Barabba era da ritenersi valido…


III

La testimonianza di Paolo di Tarso

Negli Atti degli Apostoli è riportato un dialogo tra il governatore Festo ed il re Agrippa a proposito di Paolo di Tarso. Nel bel mezzo del dialogo, Festo ha affermato: “ Quelli che lo accusavano si misero attorno a lui, e io pensavo che lo avrebbero accusato di alcuni delitti. Invece no: si trattava solo di alcune questioni che riguardano la loro religione e un certo Gesù, che era morto, mentre Paolo sosteneva che era ancora vivo.”
Questo vuol dire che Paolo di Tarso, molti anni dopo il processo tenuto da Pilato (siamo intorno al 60 d. C.), riteneva che Gesù Barabba fosse ancora vivo. Tuttavia, il fatto che il governatore Festo affermasse che Gesù era morto può indicare solo che nel 60 d. C. anche Gesù Barabba, il Messia di Aronne degli Esseni, era morto.
Come mai Paolo continuava ad affermare che Gesù – e certamente si riferiva a Gesù Barabba – era ancora vivo?
Si possono fare diverse ipotesi:
1) Paolo, che da più di due anni si trovava in prigione, non sapeva della morte di Gesù Barabba avvenuta proprio nel periodo della sua prigionia: va ricordato, però, che gli Atti degli Apostoli affermano che a Paolo veniva permesso di incontrare amici e discepoli, che avrebbero potuto tranquillamente avvertirlo di un avvenimento di tale importanza;
2) i discepoli di Gesù Barabba avevano diffuso la notizia falsa della morte di Gesù, che in realtà era ancora vivo e si trovava in un luogo segreto per non essere arrestato, ma Paolo aveva ritenuto utile far sapere ai suoi discepoli che Gesù era ancora vivo;
3) Gesù Barabba era morto da poco, ma Paolo continuava ad affermare che era ancora vivo, nel timore che una conferma della notizia della morte di Gesù Barabba avrebbe portato allo sfaldamento della giovane e ancora fragile comunità cristiana.

Ritengo, che la terza ipotesi sia quella più vicina alla realtà. In ogni caso, questo indizio ci induce a pensare che Gesù Barabba sia morto tra il 58 e il 60 d. C. e che la notizia della sua morte sia stata tenuta a lungo nascosta.
E' importante ricordare che Paolo di Tarso testimonia l'esistenza dei due Messia e la sua avversione al Messia sopravvissuto al processo presieduto da Pilato, cioè a Gesù Barabba, direttamenteo in un suo scritto, la Seconda Lettera ai Corinti (11,4):

"Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli."

Ora, è evidente che:

a) i "superapostoli" erano quelli tra gli apostoli che avevano deciso di rimanere in seno alla comunità essena dopo la scomunica di Paolo da parte della comunità essena;
b) il Gesù diverso predicato dai "superapostoli" era Gesù Barabba;
c) l'altro vangelo predicato dai "superapostoli" era il Vangelo di Tomaso, avversato perchè conteneva esclusivamente gli insegnamenti di Gesù Barabba, mentre non faceva alcun riferimento al personaggio soprannominato Cristo e finito sulla croce: si noti che la setta di Paolo, a differenza delle sette di tipo gnostico sorte dalla comunità essena di Giacomo e di Gesù Barabba, si è autodefinita "cristiana" nell'intento di mostrare a tutti che essa riconosceva come Messia unicamente Cristo e non anche Gesù Barabba.

Paolo, però, non desiderava che la sua rottura con la comunità essena e con Gesù Barabba, a cui veniva riconosciuta una certa autorità, fosse definitiva, anche per il ruolo che Gesù Barabba aveva rivestito nella sua conversione alla nuova religione.
A questo punto, è bene ricordare che l'incontro tra Paolo e Gesù lungo la via che conduceva a damasco è avvenuto realmente, nel senso che non si è trattato di una semplice visione di Paolo, ma di un incontro vero e proprio tra Gesù Barabba, che era ancora vivo, e Paolo di Tarso. Paolo si è convertito alla nuova religione proprio in occasione di questo incontro con la forte personalità di Gesù Barabba.


IV

La testimonianza di Marcione


Una prova decisiva della esistenza storica dei due Messia è contenuta nell’adversus Marcionem di Tertulliano.
Tertulliano, nell’esporci la dottrina di Marcione, ci racconta che per Marcione:

1) esistevano un dio malvagio, il dio dell’Antico Testamento, ed un dio buono, il Dio del Nuovo Testamento;
2) il dio malvagio, cioè il Demiurgo, ha creato l’uomo e il mondo materiale e ha imprigionato l’uomo nella sua legge crudele;
3) Il Dio buono, impietosito per la triste condizione dell’uomo, ha mandato il suo Cristo per riscattare gli uomini dalla loro triste condizione;
4) Il dio malvagio ha mandato contemporaneamente un altro Cristo, il Cristo annunciato dai profeti dell’Antico Testamento, con il compito di guidare Israele verso la liberazione anche politica e di asservire tutto il mondo al popolo di Israele e, quindi, alla Legge del Demiurgo.

Per Marcione, dunque, sono esistiti due personaggi di nome Cristo, uno di natura esclusivamente spirituale, che solo in apparenza era rivestito di carne, inviato dal Dio buono ed uno inviato dal Demiurgo, rivestito di carne reale.
E’ evidente che Marcione, vissuto alla fine del I° secolo, era venuto a conoscenza dell’esistenza dei due Messia, cioè di Gesù Barabba e di Cristo, e in qualche modo aveva saputo della contrapposizione che si era creata in un primo momento tra quanti sostenevano Gesù Barabba e quanti sostenevano Cristo. Marcione è giunto ad affermare che sono esistiti due Messia di nome Cristo, uno inviato dal dio buono ed uno inviato dal Dio malvagio, perché aveva sposato la tesi dei sostenitori del ruolo messianico di Gesù Barabba, che avevano finito con l’attribuire al Messia di Aronne anche il titolo di “Cristo” originariamente riservato al solo Messia di Israele finito sulla croce. Per Marcione, dunque, Gesù Barabba era il Cristo mandato dal Dio buono e il Messia di Israele finito sulla Croce dopo il processo di Pilato era il Cristo mandato dal Demiurgo per consegnare il mondo nelle mani di Israele.
Marcione ci fornisce anche altre importanti informazioni: ci parla di una contrapposizione tra Paolo di Tarso da un lato e Pietro e gli altri apostoli dall’altro lato. Secondo Marcione, Pietro e gli altri apostoli hanno “frainteso” Paolo di Tarso e sono ritornate alle osservanze giudaiche, il che vuol dire, che dopo la scomunica inflitta da Giacomo e da tutta la comunità essena a Paolo di Tarso, dopo un primo momento di incertezza che li aveva spinti a seguire Paolo, Simon Pietro e gli altri apostoli hanno deciso di ritornare all’interno della comunità essena.
Il particolare del ritorno di Pietro in seno alla comunità essena ci è testimoniato, tra l’altro, da Pistis Sophia, che ci dice che Pietro era stato tra i discepoli che avevano seguito gli insegnamenti di Gesù Barabba negli undici anni successivi alla crocifissione del personaggio soprannominato Cristo.
Il fatto che Marcione abbia preso le parti di Paolo di Tarso ci indica solo che Marcione non è mai stato uno gnostico, come invece affermato per secoli dalla Chiesa Cattolica, anzi in gioventù è stato uno dei primi aderenti alla Setta degli Apostolici da cui poi è nata la Chiesa Cattolica.
A questo proposito, è interessante notare come egli ritenesse canonico solo il Vangelo di Luca: Luca, infatti, al contrario degli altri evangelisti, era stato un discepolo fedele di Paolo di Tarso…


V

La testimonianza di Valentino


La prova più importante della esistenza storica dei due Messia è contenuta nel De carne Christi di Tertulliano.
Tertulliano nella sua critica alla dottrina di Valentino contenuta in questo libro afferma:

"Ugualmente, dichiarando che il Cristo è uno solo, lo Spirito fa cadere tutti gli argomenti a sostegno di un Cristo multiforme, secondo i quali Cristo e Gesù sarebbero due persone distinte: l'uno si sottrae alla folla, l'altro è arrestato; l'uno, ritiratosi sulla montagna, avvolto in una nube manifesta la sua gloria a tre testimoni, mentre l'altro appare al resto degli uomini come una persona qualunque; l'uno è coraggioso, l'altro è trepidante; l'uno, infine, ha sofferto la Passione, l'altro è risuscitato" (Tertulliano, De carne Christi, XXIV, 3).

Tertulliano, quindi, ci riferisce che Valentino insegnava ai suoi discepoli che:

1) Cristo e Gesù erano due persone distinte;
2) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, era "coraggioso", mentre l'altro, cioè Gesù ben Pantera, era "trepidante": abbiamo qui addirittura una descrizione del diverso carattere dei due personaggi ed un loro confronto;
3) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, ha "sofferto la Passione", cioè è stato ucciso, l'altro, cioè Gesù, è "risuscitato" o, meglio, non è mai nè morto nè risuscitato, ma, "sottrattosi alla folla" dopo il processo, ha continuato a vivere e ad insegnare tranquillamente ai suoi discepoli ancora per parecchi anni dopo la morte di Cristo.

Il carattere estremamente preciso delle informazioni che Valentino aveva ricevuto indica che nella metà del II° secolo giravano ancora nella comunità cristiana documenti che descrivevano in maniera estremamente dettagliata la vita e l'insegnamento dei due Messia. Probabilmente, Valentino è entrato in possesso di questi documenti per il ruolo di primo piano che aveva rivestito nella chiesa di Roma (si pensi che non è stato eletto Papa solo per pochissimi voti).


VI

Conclusioni

Gesù Barabba è morto non prima del 44 d. C. e non oltre il 60 d. C. se prestiamo fede alla cronologia tradizionale della nascita e della morte di Cristo, cioè almeno undici anni dopo la morte di Cristo, probabilmente di morte naturale.
In questi undici anni, ha continuato a diffondere i suoi insegnamenti all’interno della comunità essena assistito solo da alcuni dei suoi discepoli di un tempo, segnatamente da Maria Maddalena, Tomaso e Filippo.
E’ possibile che una parte dei detti di Gesù presenti nei primi tre libri di Pistis Sophia siano stati effettivamente pronunciati da Gesù Barabba.
Se questa ipotesi un giorno troverà dei riscontri, non si potrà negare l’origine essena dello gnosticismo e l’influenza esercitata dalla cultura egiziana sulla formazione di Gesù Barabba.


BEN STADA

Talmud Shabbat 104b [i], Sanhedrin 67 a [ii]

Si insegna che Rabbi Eliezer disse ai dottori: “Ben Stada non portò forse la stregoneria dall’Egitto in una ferita che era nella sua pelle?” Gli dissero: “Era uno stolto (folle) e non puoi addurre una dimostrazione basandoti su uno stolto”.
Ben Stada è Ben Pandira.
Rabbi Chisda disse: “Il marito era Stada e l’amante era Pandira”.
No, il marito era Pappos Ben Yehudah e la madre era Stada.
No, la madre era Miriam la parrucchiera delle donne [ed era chiamata Stada]. Come diciamo in Pumbeditha: Ha lasciato [Stat Da] il marito.

Il brano si trova nella Gemara, a commento del passo della Mishnah: “Colui che incide la sua carne”.
Gli elementi fondamentali che ci permettono di supporre un riferimento a Gesù sono il nome Ben Pandira, che come già abbiamo visto esaminando la Toledoth e vedremo meglio in seguito, è senz’altro riferito a Gesù, e Miriam (ossia Maria) come madre di ben Stada-ben Pandira.
Se questa Miriam, come sostiene la Gemara, era anche chiamata Stada ed ebbe una relazione con Pandira, il figlio di quella relazione poteva ben essere chiamato sia Ben Stada che Ben Pandira; ovviamente, nel caso il nome proprio fosse Gesù, sarebbe stato Gesù ben Stada o Gesù ben Pandira. In realtà, la spiegazione etimologica (Stat Da) è senz’altro tarda e dimostra soltanto che si era persa la memoria dell’uomo chiamato Stada.
La stregoneria portata sotto la pelle e il rapporto con l’Egitto richiamano inoltre, anche se non precisamente, alcuni passi della Toledoth, in cui ben Pandira nasconde sotto la pelle le lettere del nome ineffabile di Dio.
Il problema principale per l’identificazione in questo caso è cronologico, in quanto Pappos ben Yehuda, che sostituirebbe il Giuseppe evangelico o lo Yochanan della Toledoth quale padre putativo di Gesù, è un personaggio noto da altri passi del Talmud e sarebbe stato ucciso dai romani nel corso della rivolta di Bar Kokhba, quasi cento anni dopo Gesù. Era noto per la sua gelosia nei confronti della moglie, per cui i compilatori del Talmud avrebbero potuto facilmente accostarlo a quella che per essi non era che un’adultera. Vedremo anche nei passi seguenti che le epoche in cui i rabbini collocano Gesù e la sua attività sono fondamentalmente due: il regno di Alessandro Janneo e della regina Salome e l’epoca della rivolta di Bar Kochba contro Roma, ai tempi dell’imperatore Adriano.
Quanto a Miriam, occorrerebbe capire il motivo per cui viene definita”parrucchiera delle donne”. [iii]
E’ stato suggerito che l’espressione del Talmud “Miriam m’gaddela nashaia” nasconda un’allusione o conservi un ricordo di Maria di Magdala, che, come è noto, è un personaggio importante del Nuovo Testamento. Tuttavia, Maria Maddalena non era certo la madre di Gesù, per cui, a mio parere, tale spiegazione va accolta con ogni beneficio di inventario.
In sostanza, il passo presenta accostamenti interessanti e al contempo problemi interpretativi. Alla luce dei passi successivi, non sembrano però esserci dubbi che ben Pandira si identifichi con Gesù; per cui possiamo anche stabilire con buona verosimiglianza che ben Stada = ben Pandira = Yoshua Ha Nozri .

MARIA MADRE DI GESU’

Hagigah 4b [iv], Tosafoth [v]

L’Angelo della Morte era con lui. L’Angelo disse al suo messaggero: “Va, portami Miriam, la parrucchiera delle donne”. Egli portò Miriam, la maestra dei bambini. L’Angelo disse: “Ti avevo detto Miriam la parrucchiera delle donne”. Il messaggero disse: “Se è così, riporterò indietro questa”. L’Angelo disse: “Poiché hai portato questa, che sia nel numero dei morti”.
La Tosafoth commenta: Questa storia intorno a Miriam la parrucchiera delle donne ebbe luogo all’epoca del Secondo Tempio, poiché era lei la madre di una certa persona, come è detto in Shabbath 104.

Questo passo, spesso ignorato dai commentatori, è invece molto utile perché vi riappare la figura di Miriam, la parrucchiera delle donne. La Tosafoth ci permette di stabilire che:
1. Miriam la parrucchiera delle donne visse all’epoca del II Tempio, con la quale espressione si intende probabilmente il regno di Alessandro Ianneo e Alessandra Salome;
2. Miriam era la madre di “una certa persona” sull’autorità di Shabbath 104, che abbiamo già esaminato;
3. Poiché in Shabbath 104 Miriam è la madre di ben Stada / ben Pandira, è chiaro che “una certa persona” è ben Pandira, ossia, se la supposizione di cui al passo precedente è fondata, Gesù di Nazareth. Incontreremo ancora l’espressione “una certa persona” (peloni) nel passo seguente
La necessità della Tosafoth di precisare l’epoca della vita di Miriam si spiega col fatto che la discussione sull’operato dell’Angelo della Morte riportata nella Hagigah è attribuita a due rabbi (Joseph e Bibi bar Abai) vissuti tra la fine del terzo e l’inizio del quarto secolo e attivi all’accademia rabbinica di Pumbeditha, cronologicamente molto lontani dunque dall’epoca del Gesù storico, anche nella deformazione tipica delle fonti rabbiniche. Da qui il bisogno di far notare che il fatto narrato risale ad un’epoca precedente.



IL FIGLIO ILLEGITTIMO

Mishnah Yevamot 4.13 e 49 b [vi]

Rabbi Shimon ben Azai disse: “Ho trovato un rotolo di genealogie a Gerusalemme e in esse è scritto ‘Una certa persona è un figlio illegittimo’; a conferma di ciò che disse Rabbi Yehoshua.

Il passo si trova nella Mishnahh, appartiene dunque alla composizione più antica del Talmud. Shimon ben Azai, contemporaneo e amico di Rabbi Aquiba, il grande sostenitore di Bar Kochba, visse all’inizio del II secolo e fu allievo del Rabbi Yehoshua ben Hanania citato nel detto. Sia Aquiba che Yehoshua furono attivi nel contrastare gli eretici (Minim) ed in particolare i giudeo-cristiani.
L’argomento dei documenti genealogici ritrovati a Gerusalemme molto difficilmente ha fondamento storico e deve più probabilmente intendersi come artificio polemico anticristiano, che con i vangeli di Matteo e Luca avevano sostenuto, oltre alla nascita virginale, la legittima discendenza davidica del messia.
Nella Toledoth, è Shimeon ben Shetach (vedi il passo precedente) che scopre la discendenza illegittima di Gesù ben Pandira.
E’ molto probabile che l’espressione peloni (=una certa persona) sia riferita a Gesù, che potrebbe non venire esplicitamente nominato per un duplice ordine di motivi: sia per una sorta di damnatio memoriae, essendo stato l’eretico che condusse in errore Israele, sia per il comprensibile timore delle persecuzioni dei cristiani all’epoca della definitiva composizione del Talmud. Come abbiamo già visto, quanto meno i commentatori medievali sono sicuri nell’attribuzione a Gesù del titolo peloni. Quanto alla discendenza illegittima, il caso del mamzer (=bastardo) sarebbe l'unico in cui, secondo la legge ebraica, un figlio deve pagare i peccati dei genitori, e ciò fino alla decima generazione (si veda Dt, 23:3); accusando Gesù di nascita illegittima, oltre che di magia, blasfemia, e di "aver indotto in errore Israele", i rabbi gli addossano le colpe più gravi previste dalla mentalità ebraica del tempo - ed in parte di oggi.



LA MADRE DI GESU’(?)

Talmud Sanhedrin 106 a

Rabbi Yochanan disse (a proposito di Balaam): “Nei suoi inizi un profeta, alla fine un ingannatore”. Rabbi Papa disse: “Questo è ciò che dicono: ella era discendente di principi e governanti, poi fu la prostituta di falegnami”.

Che il passo sia riferibile a Maria madre di Gesù è assai dubbio. Vi sono però delle allusioni e degli accostamenti che possono essere significativi:
1. il profeta altotestamentario Balaam è considerato, come vedremo in seguito, essere una sorta di controfigura di Gesù;
2. l’interpretazione di Gesù che si presenta come profeta, ma inganna Israele è quella tipica della tradizione rabbinica;
3. Maria è in ovvio rapporto con un falegname, secondo i vangeli, anche se in essi il rapporto è perfettamente legittimo;
4. Secondo Luca, Elisabetta, parente di Maria, è di famiglia sacerdotale, discendente di Aronne; il che peraltro non pare pienamente giustificare l’espressione “discendente di principi e governanti”
Può quindi benissimo essere che si tratti qui solo di un exemplum di un promettente inizio finito male, senza specifici riferimenti a Maria.



YESHU HA NOZRI

Talmud Shabbat 107b, Sotah 47a [vii]

Quando Giovanni [Ircano] [viii] uccideva i rabbi, rabbi Yehoshua ben Perachiah e Yeshu fuggirono ad Alessandria d’Egitto. Quando vi fu pace, rabbi Shimeon ben Shetach mandò a chiamarli(…). Yeshu se ne andò, appese una tegola e si inginocchiò davanti ad essa [adorandola].(…) Yeshu [il Nazoreo] praticava la magia e ingannò e condusse Israele fuori della retta via.

La dizione Ha Nozri (= Nazoreo, Nazareno) si trova in un solo manoscritto. Può esservi stata aggiunta dal redattore o può, al contrario, essere stata espunta dagli altri per i motivi già esposti. E’quindi possibile che il passo si riferisca ad un Yeshu discepolo del rabbi storico Yeoshua ben Perachiah e contemporaneo di Shimeon ben Shetach, che, fratello della regina Alessandra Salome, fu il protagonista del ritorno in auge dei farisei dopo la loro cacciata al tempo di Giovanni Ircano e Alessandro Ianneo. La mancanza di un patronimico identificativo (quale ben Stada o ben Pandira) non fa che aggravare il problema. Tuttavia, il rapporto con l’Egitto, (più precisamente, la fuga in Egitto per sfuggire all’ira di un re, che è tratto specificamente evangelico) e l’idolatria di Gesù e l’accusa di aver praticato la magia ed aver tratto Israele in errore sono tratti tipici della polemica farisaica dei primi secoli. Si può dunque pensare che, se anche Gesù il Nazareno non fu il primo protagonista della storia, la stessa gli fosse poi cucita addosso in seguito, poiché ben si attagliava al complesso di narrazioni che in ambiente giudaico circolavano intorno al fondatore del cristianesimo.



LE PRETESE DI GESU’

Jerusalem Taanith 65 b [ix]

Rabbi Abahu disse: Se un uomo vi dice: “Sono Dio” è un bugiardo; se dice: “Sono il figlio dell’uomo” alla fine la gente si riderà di lui; se dice: “Ascenderò al cielo” lo dice, ma non lo compirà.

Rabbi Abahu, l’autore del detto, visse a Cesarea tra III e IV secolo. Anche se nel detto non è nominato Gesù, l’allusione polemica al suo insegnamento sembra evidente.



GIUDIZIO

Talmud Sanhedrin 67 a

I testimoni che lo [x] ascoltano da fuori lo portano al tribunale e lo lapidano. E così fecero a Ben Stada a Lud e lo appesero alla vigilia di Pasqua.

Se Ben Stada è Ben Pandira, è anche Gesù di Nazareth. L’idea che i rabbi hanno del giudizio e morte di Gesù è molto differente da quella tramandata nei racconti evangelici. Qui il protagonista, accusato di idolatria e di aver condotto Israele all’errore, viene prima lapidato e poi appeso; il fatto avviene a Lud (Lydda o Lidda, luogo mai ricordato nei Vangeli - vi avviene il miracolo di Pietro narrato in Atti 9:32 e segg) alla vigilia di Pasqua. L’ elemento temporale è in realtà l’unico che permette di avvicinare il detto al processo e morte di Gesù come è narrato dalle fonti cristiane [xi].



ESECUZIONE

Talmud Sanhedrin 43 a [xii]

Si insegna: alla vigilia di Pasqua appesero Gesù e il banditore andò in giro per 40 giorni prima dichiarando: “ [Yeshu] verrà lapidato per aver praticato la stregoneria, per aver sedotto e condotto fuori strada Israele. Chiunque sappia qualcosa in suo favore, venga e lo dichiari”. Ma non trovarono alcuno in suo favore e lo appesero alla vigilia di Pasqua. (…) Per Yeshu era differente, perché era vicino al governo.

Le modalità dell’esecuzione (prima lapidazione, poi sospensione al legno) ed il tempo (Vigilia di Pasqua) sostengono la proposta identificazione di Yeshu con Ben Stada. Piuttosto intrigante e di difficile spiegazione è la notazione finale con cui Yeshu è definito come vicino al governo (o regno), il che non si può dire per il Gesù storico. Sorge poi la domanda: quale governo? Ircano e Janneo che erano vicini ai Sadducei o Alessandra Salome che favorì i farisei? Nei vangeli, i principali artefici della caduta di Gesù sembrano proprio i grandi sacerdoti sadducei, nonostante la polemica delle origini cristiane si appunti principalmente contro i farisei.
L’espressione può anche significare “vicino al regno”; potrebbe quindi essere un’allusione ai riferimenti al Regno di Dio contenuti nei Vangeli e non denotare un’appartenenza politica o di stirpe. Tuttavia, è noto che, in fin dei conti, Gesù fu crocefisso per essersi proclamato re dei Giudei, che i suoi seguaci sostenevano la sua discendenza davidica e che ancora all’epoca di Domiziano i suoi ultimi parenti venivano perseguitati per l’appartenenza alla sua famiglia.



BALAAM

Sanhedrin 106 b

Un eretico disse a Rabbi Hanina: “Hai mai sentito di quale fosse l’età di Balaam?” Egli rispose: “Non c’è testimonianza scritta di ciò. Ma da quello che sta scritto (nel salmo 54:24) ‘gli uomini sanguinari e fraudolenti non giungeranno alla metà dei loro giorni’ deve avere avuto 33 o 34 anni.” L’eretico disse: “Mi hai risposto bene. Ho visto la cronaca di Balaam e in essa è scritto ‘Balaam lo zoppo aveva 33 anni quando Pinchas il brigante lo uccise’ "
La storia di Balaam si trova in Numeri 22:1 e segg. Si tratta di un profeta e mago di una popolazione non israelitica che, anziché maledire gli israeliti, come vorrebbe costringerlo a fare il suo re, li benedice per tre volte, avrebbe quindi una funzione positiva [xiii]. E’ però colui che induce le donne madianite a trarre in errore Israele e fargli abbracciare il culto di Baal-Peor, per cui viene ucciso, nella successiva spedizione di guerra, da Pincas figlio di Eleazaro. Questi può essere considerato il precursore degli zeloti; l’appellativo di brigante, che riecheggia il greco lestès, va inteso in questo senso.
Il Talmud nomina in vari passi Balaam e sempre in maniera negativa, tuttavia non vi sono indicazioni particolarmente stringenti che in esso la figura di Balaam nasconda, per le già accennate motivazioni autocensorie, un riferimento a Gesù di Nazareth. Il passaggio che più facilmente si può ricondurre a Gesù è quello sopra riportato, per spiegare il quale bisogna però anche supporre che l’accenno all’eroe dell’indipendenza israelita Pincas vada in realtà riportato a Ponzio Pilato. Tutto ciò mi sembra altamente ipotetico e gli studiosi si sono forse fatti affascinare soprattutto dalla coincidenza di età tra Balaam e Gesù.




DISCEPOLI

Talmud Sanhedrin 43 a

Si insegna: Yeshu aveva 5 discepoli – Mattai, Nekai, Netzer, Buni e Todah. Portarono Mattai davanti ai giudici. Egli disse: “Mattai dovrà essere ucciso? Poiché è scritto ‘Mathai [ebraico: quando] verrò e apparirò dinanzi a Dio’ [xiv]. Essi gli dissero: “Sì, Mattai deve essere ucciso, poiché è scritto ‘Mathai [ebraico: quando] morirà e il suo nome perirà’ [xv]
(Seguono altre quattro schermaglie scritturali basate sull’assonanza dei nomi, che si concludono con la condanna a morte di tutti i discepoli)

Tra i discepoli di Gesù secondo i Vangeli, solo Matteo (Mattai) e Taddeo (Todah) sembrano avere una qualche assonanza con i nomi proposti dal Talmud. E’ stato proposto, senza molta verosimiglianza, che i discepoli siano invece i primi vescovi (giudeo-cristiani) di Gerusalemme, ma la lista di vescovi proposta da Eusebio nella sua Storia della Chiesa non permette di stabilire nulla di concreto. Netzer potrebbe avere qualche collegamento col termine Nazir da cui Nazoreo, nazareno; Buni e Nekai potrebbero essere, sulla base di un altro passo del Talmud (Taanith 19b, 20a), identici con il seguace fariseo di Gesù, Nicodemo, ricordato nel Vangelo di Giovanni, il cui vero nome sarebbe stato Buni. Tutto questo è in realtà assai meno che probabile. E’ da notare che nella Toledoth questo episodio è riferito allo stesso Yeshu e non ai suoi seguaci e nulla vieta di pensare che sia quest’ultima la versione più antica.



IL SEGUACE DI GESU’

Tosefta Chullin 2:23 [xvi]

Avvenne che Rabbi Eliazar ben Damah fu morso da un serpente e Yakov del villaggio di Sechania [una versione aggiunge:Yakov, l’eretico di Kfar Sama] venne per guarirlo nel nome di Gesù ben Pandira [una versione aggiunge: Egli disse: ti parleremo nel nome di Gesù ben Pandira]. Ma Rabbi Ismael non lo permise [xvii].

Salvo errori, questo (insieme a quello seguente, di contenuto analogo) è l’unico passo del Talmud nel quale compare il nome completo Gesù ben Pandira. Alla luce del noto passo di Origene nel Contra Celsum [xviii], non sembrano sussistere dubbi che si parli di Gesù di Nazareth, che qui è identificato come capo di eretici (Minim; vedi oltre). Giacomo il Giusto (Yakov) “fratello del Signore” fu il primo capo della comunità cristiana di Gerusalemme; non si conoscono sue relazioni con i villaggi di Sechania o Kfar Sama, per altro di incerta identificazione, per cui l’accostamento, che risulta spontaneo, tra i due personaggi, deve rimanere in dubbio; ciò è corroborato dal fatto che Rabbi Ismael visse intorno alla prima metà del II secolo, per cui i due non furono contemporanei. L’accuratezza cronologica dei racconti talmudici è peraltro quasi nulla.



UN MEDICO CRISTIANO

Jerusalem Shabbat 14 d

Al nipote di Rabbi Yehoshua ben Levi si era infilato qualcosa in gola. Venne un uomo e gli sussurrò qualcosa nel nome di Gesù Pandera ed egli guarì. Quando il dottore uscì, Rabbi Yehoshua gli chiese: “Cosa gli hai bisbigliato?” Quello rispose: “Una certa parola”. Yehoshua disse: “Sarebbe stato meglio per lui che fosse morto, piuttosto che questo”.

Il passo, di contenuto analogo al precedente, se non per la guarigione del malato, è però situato in un’epoca posteriore, poiché Rabbi Yehoshua visse a Lud nella seconda metà del III secolo. La formula autocensoria “Una certa parola”, che ricorda il “Una certa persona” dei passi precedenti, fa pensare che la formula magica di guarigione usata dal “medico” consistesse o quanto meno contenesse il nome stesso di Gesù.
E’ interessante notare che, come Gesù ben Pandira, anche i suoi seguaci sono dai rabbini accreditati di capacità magiche. Altrettanto interessante e palese il collegamento con il modo di operare miracoli dei dodici dopo la Pentecoste, secondo Atti, ove viene sempre ricordato che essi agiscono nel nome di Gesù. Si veda ad esempio: Atti 3:6 Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» e l’episodio contemporaneo a Gesù secondo Marco 9:38-9 Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.>>






LA MALEDIZIONE CONTRO GLI ERETICI

Jerusalem Berakoth 28 b-29 a [xix]

Rabban Gamaliel disse ai saggi: “C’è qualcuno che sa comporre una benedizione [xx] contro gli eretici?” Samuele il Piccolo si alzò e la compose. L’anno successivo, però, se la dimenticò e cercò di ricordarla per due e anche tre ore, e i Rabbi non lo richiamarono dal pulpito. Perché non lo richiamarono? Perché Rabbi Yehuda disse che Rab disse: “Se qualcuno fa un errore in tutte le benedizioni, non lo richiamano; ma se sbaglia nella benedizione contro gli eretici, lo richiamano.” Infatti, sospettano che sia un eretico. Con Samuele il Piccolo fu diverso, perché egli le aveva composte e si pensò che se le sarebbe ricordate.


Nella Geniza del Cairo si trova la seguente versione della “benedizione” contro i Minim: “Che gli apostati non abbiano speranza a meno che non ritornino alla Tua Legge e che i Nazareni e gli eretici scompaiano in un momento. Che siano cancellati dal libro della vita e non siano annoverati tra i giusti.” Questa versione potrebbe essere vicina all’originale; tuttavia è da notare che in essa Nazareni e Minim sono menzionati separatamente, per cui non appare del tutto pacifico che il temine “minim” significhi automaticamente “cristiani”. Tuttavia, alla luce della tecnica letteraria del parallelismo, usuale nelle scritture ebraiche, non si può a mio avviso neppure escludere che Nazareni e Minim siano soltanto diverse designazioni di uno stesso gruppo di settari.
La funzione della “benedizione” potrebbe anche essere quella di scoprire tra gli uditori delle prediche nella sinagoga quelli di sentimenti giudeo-cristiani per costringerli ad allontanarsi; come sarebbe accaduto a Samuele il Piccolo, se non fosse stato proprio lui l’autore della “benedizione”. L’episodio è collocabile cronologicamente intorno alla fine del I secolo a Javnehh, sotto la direzione del patriarca Gamaliele II, anche se Rab fu allievo di Rabbi Yehuda, nipote di Gamaliele. Per quanto non sia certo che i Minim dell’epoca siano i giudeo-cristiani, ciò è comunque molto probabile e la testimonianza del Talmud riflette un momento molto antico del contrasto tra giudaismo rabbinico e nascente cristianesimo palestinese.



MONOTEISMO - IL FIGLIO DELLA PROSTITUTA

Pesikta Rabbati 21 100b [xxi]

Rabbi Hija bar Abba disse: “Se il figlio della prostituta vi dirà ‘Ci sono due Dei’ ditegli: ‘Io sono Colui del Mar Rosso; Io sono Colui del Sinai”; Rabbi Hija bar Abba disse: “Se il figlio della prostituta vi dirà ‘Ci sono due Dei’ ditegli: ‘Faccia a faccia il Signore parlò con voi’ ”.

Rabbi Hija bar Abba, discepolo di Rabbi Jochanan, visse tra la fine del II e l’inizio del III secolo; il detto che è riportato fa dunque parte di una sua predicazione anticristiana, in epoca già abbastanza tarda. Come è noto, Io sono non è altro che il nome di Dio (Jahvé [xxii]), mentre la seconda citazione è tratta da Deuteronomio 5:4. Può essere però interessante notare che la polemica rabbinica è qui rivolta alla divinizzazione della figura di Gesù, senza che si faccia allusione alcuna ad una possibile cristologia trinitaria. L’espressione “figlio della prostituta” dovrebbe essere comunque uno degli elementi portanti ed originari della diatriba giudaico-cristiana, essendo citata anche da Tertulliano nel “De spectaculis” (vedi sotto).


UN GIUDICE CRISTIANO

Shabbath 116 a-b

Imma Shalom era moglie di Rabbi Eliezer e sorella di Rabbi Gamaliele. C’era nel loro vicinato un “filosofo” che era noto per non accettare donativi. Cercarono di metterlo in ridicolo. Ella gli mandò una lampada dorata. Andarono poi davanti a lui ed ella disse: “Desidero che dividano con me la proprietà della casa delle donne”. Egli disse: “Sia divisa”. Essi dissero: “Per noi, sta scritto: Dove c’è un figlio, la figlia non erediterà”. Egli rispose: “Dal giorno in cui siete stati esiliati dalla vostra terra, la legge di Mosè è stata abrogata ed è stata data la legge del Vangelo, ed in essa è scritto: Un figlio e una figlia erediteranno alla stessa maniera.” Il giorno successivo, Gamaliele gli mandò a sua volta un asino della Libia. Il giudice disse allora: “Ho guardato fino alla fine del libro ed in esso sta scritto: Non sono venuto per togliere la legge di Mosè, né per aggiungervi nulla; e nella legge di Mosè sta scritto: dove c’è un figlio, la figlia non erediterà.” Ella gli disse: “Che la tua luce risplenda come una lampada”, ma Rabbi Gamaliele disse: “L’asino è venuto e ha calpestato la lampada”.


L’episodio appare soltanto nella Gemara babilonese e, almeno nella versione corrente, non sembra né storico né plausibile. I personaggi appartengono ad un’epoca anteriore alla rivolta di Bar Kochba e all’epoca difficilmente vi poteva essere un giudice di confessione cristiana e soprattutto che giudicasse secondo i precetti dei vangeli. D’altra parte, non esiste, nei vangeli come ci sono conservati, una sentenza simile a quella citata dal giudice; vi può essere al massimo un richiamo generico al messaggio evangelico di uguaglianza e pari dignità dell’uomo, mentre nella seconda sentenza pare di poter vedere un riferimento esplicito al noto passo di Matteo 5:17-18: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto”.
Ulteriore difficoltà è data dall’espressione usata dal giudice “Dal giorno in cui siete stati esiliati dalla vostra terra”, che è di problematica collocazione e comunque del tutto inattuale prima dell’ultima guerra giudaica al tempo di Adriano; poiché Gamaliele II ed Eliezer vissero a Javneh, in Palestina, l’esperienza dell’esilio fu loro estranea. La storia può invece essere nata in ambiente più tardo babilonese, o, a mio parere più credibilmente, riflettere situazioni proprie del primo medioevo europeo.
La componente più intrigante del brano è invece il riferimento all’asino scelto quale dono e la frase, forse proverbiale, che chiude la disputa, che potrebbe nascondere un allusione dispregiativa allo stesso Gesù, forse rintracciabile in altri passi del Talmud [xxiii]. Si può anche connettere a questa tematica il noto graffito ritrovato a Roma negli scavi sul Palatino, nel quale probabilmente dobbiamo riconoscere un Cristo crocefisso con la testa d’asino (vedi immagine).


Inserisco questo passo quale ultimo tra gli esempi selezionati proprio perché mi sembra paradigmatico della scarsa o nulla attendibilità storica del Talmud per quanto riguarda la figura di Gesù e le origini cristiane. In tutti i passaggi che abbiamo esaminato, tradizioni e ricordi di una relativa antichità (ma mai contemporanei agli eventi) sono frammisti ad episodi e considerazioni che risalgono a varie epoche, dal tardo impero romano al medioevo, e non hanno mai dunque valore di fonte primaria.




CONCLUSIONI

La principale raccolta della Mishnah risale all’opera di Rabbi Yehuda I (detto Il Principe), collocabile verso la fine del II secolo. La Gemara, essendo spiegazione e commento della Mishnah, è ovviamente successiva. Considerato che solo uno dei passi citati (Il figlio illegittimo) è tratto dalla Mishnah, risulta subito evidente la distanza cronologica tra i fatti narrati e la stesura dei testi.
Tuttavia, se da una parte siamo colpiti dalla scarsità, indeterminatezza ed imprecisione delle testimonianze talmudiche relative alle origine cristiane, dobbiamo comunque ricordare che il cristianesimo, secondo tutte le fonti interne, nacque come corrente del giudaismo rabbinico e, quanto meno per un centinaio di anni [xxiv], si sviluppò in un continuo rapporto interno, seppur polemico, con la religione ufficiale. E’ ad esempio evidente che il noto episodio detto “delle guardie subornate” [xxv] non è probabilmente altro che una giustificazione a posteriori che Matteo inserisce per screditare e confutare le voci diffamatorie che dovevano correre in ambiente giudaico; non è un caso che Matteo, l’unico che riferisce l’episodio, sia il vangelo giudaico-cristiano per eccellenza e quello più interessato alla polemica antifarisaica. Numerosi passi dei vangeli non sembrano altro che una profezia post eventum di una persecuzione (o quanto meno una emarginazione) della nascente comunità cristiana da parte delle autorità religiose e civile giudaiche. [xxvi] Non si può quindi pensare che i dotti ebraici abbiano avuto così scarso interesse e mancanza di notizie sulla storia di Gesù e dei suoi primi seguaci. Siamo probabilmente invece di fronte ad un fenomeno di rimozione, quale è anche evidenziato nel finale della Toledoth, nella quale l’allontanamento dei cristiani dall’ebraismo è presentato come conforme alla volontà delle autorità religiose giudaiche. A ciò bisogna aggiungere che certamente i rabbini non si sentivano sicuri nell’esprimere pubblicamente le proprie opinioni sul ruolo eretico e distruttivo di Gesù, poiché le persecuzioni antiebraiche cominciarono ben presto, subito dopo che, con Costantino, il cristianesimo divenne religio licita ed ancor più sotto la dinastia di Teodosio. Nell’attuale situazione dei testi, non vi è in realtà alcuna certezza che essi fossero originariamente riferiti a Gesù. Quanti “falsi profeti” contò infatti in quegli anni Israele? [xxvii] I passaggi citati, cioè, potevano in realtà narrare altri fatti e riferirsi ad altri personaggi: un certo Gesù (nome abbastanza comune), un certo Ben Stada, un certo Ben Pandira. In queste narrazioni, incentrate intorno a diversi personaggi di quel nome, furono forse successivamente inseriti, con intenti polemici, superficiali accostamenti alla figura di Gesù come si trovò descritta nelle fonti cristiane; tale interpretazione, tra l’altro, potrebbe dar conto delle numerose incongruenze temporali che abbiamo ritrovato nei passi talmudici.
E’ però possibile ricostruire, connettendo gli episodi e ricercandone gli elementi comuni, i caratteri probabilmente originari della polemica giudaica contro il Cristo e i suoi seguaci: la nascita illegittima da una donna di malaffare , la capacità di compiere prodigi acquisita grazie alla magia egiziana, l’aver tratto in errore Israele e la blasfemia, non ultimo la morte ignominiosa (lapidato e poi appeso). Sono tutti tratti narrativi che si ritrovano peraltro, già in età antica, mirabilmente compendiati nei seguenti passi di Origene e Tertulliano:
ORIGENE: CONTRO CELSO, libro I:
28. Poiché [Celso] immagina un giudeo discutere con Gesù e confutarLo, a suo avviso, su molti punti; e in primo luogo lo accusa di aver inventato la sua nascita da una vergine e gli rinfaccia di essere nato in un certo villaggio dei Giudei, da una povera donna di campagna che campava filando e che fu cacciata di casa da suo marito, di professione falegname, perché era stata trovata colpevole di adulterio [xxviii]; che dopo essere stata cacciata dal marito ed essere andata vagando per un certo tempo, con disonore partorì Gesù, un figlio illegittimo, il quale si recò a fare il servo in Egitto a causa della sua povertà, ed avendo lì acquisito alcuni dei poteri magici di cui gli Egiziani tanto si gloriano, tornò nel suo paese, esaltato per queste abilità e grazie ad esse si proclamò Dio.
TERTULLIANO: DE SPECTACULIS, cap. XXX:
6. Ecco, dirò, quel figlio di un fabbro e di una prostituta, distruttore del Sabato, eretico [xxviii] e indemoniato; ecco quello che acquistaste da Giuda, che con canne e pugni percuoteste, con sputi decoraste, cui deste da bere aceto e fiele; ecco quello che i discepoli di nascosto sottrassero perché si dicesse che era risorto o l’ortolano spostò perché la folla dei visitatori non gli rovinasse le verdure [xxix].




[i] Il Seder Mo’ed si occupa di feste, il trattato Shabbath del sabato.
[ii] Il Seder Nezigin si occupa dei danni; il trattato Sanhedrin delle leggi penali e corti di giustizia.
[iii] Maria madre di Gesù, nella tradizione giudaica più antica, testimoniata da Origene nel suo Contro Celso, doveva invece essere una filatrice (vedi sotto). Pumbeditha è un'accademia rabbinica nei pressi di Babilonia; la spiegazione proposta è quindi tarda; è d'altronde evidente che si tratta qui di giochi linguistici che tentano di spiegare nomi ed allusioni non più comprese all'epoca della redazione.
[iv] Il trattato Hagigah è contenuto nel Seder Mo’ed e si occupa dei pellegrinaggi a Gerusalemme.
[v] La Tosafoth è un commento al talmud di epoca medievale.
[vi] Il Seder Nashim si occupa delle donne; il trattato Jevamoth del levirato.
[vii] Il trattato Sotah, che si trova nel Seder Nashim, si occupa delle “donne sospette” cfr. Numeri 5:11
[viii] Secondo altre versioni, Alessandro Ianneo (figlio di Giovanni Ircano), come nella Toledoth.
[ix] Il taanith, nono trattato del Seder Mo’ed è dedicato al digiuno.
[x] Il passo è riferito ai metodi ammissibili per provare l’accusa di idolatria.
[xi] In particolare, la versione talmudica corrisponderebbe con la cronologia giovannea, che, come è noto, differisce da quella sinottica; il che confermerebbe che la cronologia sinottica può essere esatta solo nel caso che il processo e la condanna di Gesù siano avvenute ad opera esclusiva dei romani, non potendosi dare un’esecuzione giudaica nel giorno di Pasqua.
[xii] Tutto il passo è espunto nei manoscritti più recenti, il che non fa che confermare che il Yeshu cui si riferisce non è altri che Gesù di Nazareth.
[xiii] Sua è la famosa profezia “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24:17), successivamente intesa in senso messianico.
[xiv] Salmi 41:3
[xv] Salmi 40:6
[xvi] La Tosephta è una collezione di Baraitoth, ossia insegnamenti omessi nella Mishnah stabilita da Rabbi Giuda I, il Principe; Chullin o Hullin ( cose impure) è invece uno dei 12 trattati del Seder Qodashim, cioè delle cose sacre.
[xvii] La Avodah Zarah 27 b commenta: Un uomo non deve avere rapporti con gli eretici, né farsi curare da loro neppure per un’ora di vita.
[xviii] Quando fu incinta, fu cacciata dal falegname cui era stata promessa, essendo stata trovata colpevole di adulterio, e partorì un figlio ad un soldato di nome Pantera. (Contra Celsum I, 32)
[xix] Il trattato Berakoth (benedizioni e preghiere) è il primo del Seder Zera’im (Raccolto).
[xx] Il termine “benedizione” può significare anche “maledizione”. Gli eretici sono i “Minim”, ossia gli ebrei colpevoli di “Minuth” (= eresia); il termine non è riferibile soltanto ai giudeo-cristiani, ma certamente li comprende.
[xxi] La Pesikta Rabbati è in realtà una compilazione di Midrash, ossia interpretazioni della Torah, di redazione molto tarda (circa VII-VIII secolo) , ma che può ovviamente conservare materiale più antico.
[xxii] Si veda Esodo 3:14 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi».
[xxiii] In Qohelet Rabba 1.8 si legge, in connessione ai Minim di Cafarnao, il detto di Rabbi Yehoshua: “Da quando quell’asino maligno si è rivoltato contro di te, non puoi più abitare la terra di Israele”.
[xxiv] Ossia sino a quando la componente di origine gentile non divenne predominante.
[xxv] Mt 27:63 e segg.
[xxvi] Si pensi ad es. a Mt 10:17, Gv 9:22 e 16:2 ed a tutti gli episodi narrati da Atti, in riferimento a Pietro, Stefano, Paolo, che attuano e concretizzano tali profezie; pare peraltro accertato che, durante la rivolta di Bar Kochba ci sia stata una vera e propria persecuzione dei cristiani.
[xxvii] Solo in Atti ne troviamo citati tre: Giuda il Galileo, Teuda, il falso profeta egiziano.
[xxviii bis] Molto acutamente, John P. Meier, nel primo volume del suo epocale studio sul "Gesù storico" (A marginal Jew, in tre volumi, in italiano da Queriniana), si interroga sul problema su quale delle due sia la tradizione originale e che genera l'altra: se quella cristiana, esposta nei racconti dell'infanzia di Matteo e Luca, della nascita virginale di Gesù o quella giudaica del "figlio della prostituta", optando, a mio parere in maniera obiettiva, per la prima delle due ipotesi.
[xxviii] Propriamente “Samaritano”.
[xxix] Precisissimo, in questo accenno, il parallelo con il finale della Toledoth – e anche del Vangelo di Giovanni, in cui Maria Maddalena dice a quello che crede il giardiniere: Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». (GV 20:15).

“Christianity in Talmud and Midrash” di R. Travers Herford







Edited by barionu - 5/1/2022, 16:21
 
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CAT_IMG Posted on 10/12/2017, 20:10
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ܡܪܝܡ





Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso.






Da questo ottimo studio di Hard Rain

https://digilander.libero.it/Hard_Rain/sto...ementi_contrari




TALMUD BAVLY

Trattato Sanhedrin, folio 43a.



MISNAH

Se dunque lo troveranno innocente allora lo rilasceranno; ma in caso contrario egli dovrà essere lapidato e un araldo lo annuncerà gridando: così e così, il figlio di così e così sta per essere lapidato perchè ha commesso questa e quella azione e questo e quello sono i testimoni. Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e lo dichiari.


GHEMARAH

( Rabby ) Abbaye (1) disse che deve anche essere annunciata: il tal giorno, in questa o quella ora e in quel determinato posto [fu commesso il crimine], in modo che si possa eventualmente presentare qualcuno a conoscenza [del contrario] e possano tornare a riunirsi per valutare i testimoni zomemim (2).

"E un araldo lo annuncerà" ecc... questo implica solo immediatamente prima [dell'esecuzione], non molto tempo prima. [Contrariamente a questo] si insegnava: Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo gridava "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia. Chiunque sappia qualcosa a sua discolpa venga e difenda il suo operato". Poiché nessuna testimonianza fu mai portata in suo favore, egli fu appeso alla vigilia della Pasqua. - Replicò Ulla: "Pensi che egli sia stato uno per il quale ci si sarebbe potuta attendere una discolpa? Non era egli un sobillatore, riguardo cui la Scrittura dice: non perdonarlo, non coprire la sua colpa? (3) Con Gesù comunque fu diverso, perchè stava vicino al regno."

I nostri rabbi insegnavano: Gesù aveva cinque discepoli, Matthai, Nakai, Nezer, Buni e Todah.

Da: Soncino Babylonian Talmud, editor I. Epstein, Tractate Sanhedrin, folio 43a, London, Soncino Press, 1935-1948.



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ישו הנצדי

Yeshu ha notzry

ma ci sono molte interpretazioni ... ;

hora , chi mi trova il testo semitico di : vedi sotto


https://sites.google.com/site/centroantibl...su-ed-il-talmud





YESHU HA NOZRI





Talmud Shabbat 107b, Sotah 47a [vii]




Quando Giovanni [Ircano] [viii] uccideva i rabbi, rabbi Yehoshua ben Perachiah e Yeshu fuggirono ad Alessandria d’Egitto. Quando vi fu pace, rabbi Shimeon ben Shetach mandò a chiamarli(…). Yeshu se ne andò, appese una tegola e si inginocchiò davanti ad essa [adorandola].(…) Yeshu [il Nazoreo] praticava la magia e ingannò e condusse Israele fuori della retta via.



La dizione Ha Nozri (= Nazoreo, Nazareno) si trova in un solo manoscritto. Può esservi stata aggiunta dal redattore o può, al contrario, essere stata espunta dagli altri per i motivi già esposti. E’quindi possibile che il passo si riferisca ad un Yeshu discepolo del rabbi storico Yeoshua ben Perachiah e contemporaneo di Shimeon ben Shetach, che, fratello della regina Alessandra Salome, fu il protagonista del ritorno in auge dei farisei dopo la loro cacciata al tempo di Giovanni Ircano e Alessandro Ianneo. La mancanza di un patronimico identificativo (quale ben Stada o ben Pandira) non fa che aggravare il problema. Tuttavia, il rapporto con l’Egitto, (più precisamente, la fuga in Egitto per sfuggire all’ira di un re, che è tratto specificamente evangelico) e l’idolatria di Gesù e l’accusa di aver praticato la magia ed aver tratto Israele in errore sono tratti tipici della polemica farisaica dei primi secoli. Si può dunque pensare che, se anche Gesù il Nazareno non fu il primo protagonista della storia, la stessa gli fosse poi cucita addosso in seguito, poiché ben si attagliava al complesso di narrazioni che in ambiente giudaico circolavano intorno al fondatore del cristianesimo.


"""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""""


la questione è talmente rognosa che ho riaperto qui .

#entry586160518


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QUI IL TESTO IN SEMITICO DI GESU' NEL TALMUD


www.angelfire.com/mt/talmud/jesus.html



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AYALON




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Il mistero di Barabba

Si osservi attentamente il documento riportato qui sopra. Si tratta di alcuni passi tratti dalla pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933). Nella parte superiore, evidenziato in rosso, troviamo il verso 16 del capitolo 27 del vangelo secondo Matteo. Nella parte inferiore, sotto la riga orizzontale abbiamo la relativa nota a piè di pagina.
La versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (1976) del vangelo secondo Matteo traduce quel verso nel seguente modo:
"Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba"
Mentre la Sacra Bibbia (Traduzione dai Testi Originali), edita dalle Edizioni Paoline nel 1964, traduce così:
"Egli aveva allora in carcere un detenuto famoso, detto Barabba"
Ancora, il Nuovo Testamento - Parola del Signore, pubblicato nel 1976 dalla Elle Di Ci (Leumann, Torino), traduce così:
"A quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso"
E, infine, il Nuovo Testamento, Nuova Revisione 1992 sul Testo Greco, della Società Biblica di Ginevra, traduce così:
"Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba"
Innanzitutto notiamo che le traduzioni sono abbastanza diverse e che tali variazioni possono produrre importanti discordanze nei significati. Questo prigioniero famoso era "detto Barabba", "un certo Barabba" o "di nome Barabba"?
E' sicuro che "detto", da una parte, e "di nome" o "un certo", dall'altra parte, lasciano intendere due cose molto differenti. Nel primo caso Barabba sembra un soprannome, mentre nel secondo e nel terzo caso sembra trattarsi di un nome proprio: quel prigioniero si sarebbe chiamato proprio Barabba.
Naturalmente qualcuno potrebbe osservare che ci stiamo ponendo una questione abbasta irrilevante, ma non è affatto così. Infatti stiamo toccando uno dei problemi più delicati di tutta l'analisi della letteratura evangelica, perché dietro al personaggio di Barabba, alla sua vera identità e al suo ruolo nella circostanza del processo che Cristo ha subito dinanzi al procuratore romano Ponzio Pilato, si nasconde probabilmente una delle più importanti chiavi di comprensione del senso storico reale di quegli eventi.
Il testo greco usa il termine legomenon Barabban (leghomenon Barabban) che si traduce con "detto Barabba", "chiamato Barabba", "soprannominato Barabba", e ciò lascia intendere che quello non fosse il nome proprio, ma un titolo o un soprannome.
Eppure tutti conosciamo Barabba come una persona che si chiamava proprio così, e sappiamo anche che era stato messo in prigione perché era un brigante, forse un ribelle. Almeno, questo è ciò che la tradizione ci ha sempre fatto pensare di lui.
Ma torniamo al Novum Testamentum e osserviamo la nota a piè di pagina che si riferisce al verso 16 del vangelo di Matteo. In essa sono riportate le varianti che si possono trovare in alcuni antichi manoscritti evangelici. Nel nostro caso la nota è duplice e le due parti sono sepatare da una breve linea verticale.
Cominciamo dalla seconda parte. Essa ci dice che dopo il termine "Barabba" alcuni antichi testi recano una frase non breve:
"eicon de tote desmion epishmon Ihsoun Barabban, ostiV hn dia stasin tina genomenhn en th polei kai jonon beblhmenoV eiV julakhn"
"il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio"
In pratica, dai testi antichi è stata scartata una frase dalla quale si può capire abbastanza chiaramente che Barabba era stato arrestato nella circostanza di una sommossa, che si era verificata in città, durante la quale era stato commesso un omicidio. Chi aveva commesso l'omicidio? Barabba? Se consultiamo il vangelo secondo Marco (Mc 15, 7), in un passo parallelo, possiamo leggere:
"Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio"
Il verbo "avevano commesso" è coniugato al plurale, non al singolare, e si riferisce ai ribelli, non a Barabba. La frase significa semplicemente che Barabba era rinchiuso nel carcere in cui si trovavano i ribelli, non ci obbliga a credere che egli stesso fosse un ribelle e che avesse partecipato al delitto.
In fin dei conti nemmeno il vangelo secondo Matteo lo dice; anzi, affermando che costui era stato arrestato in occasione di quel tumulto e di quell'omicidio, non dà affatto l'impressione che Barabba fosse uno degli insorti né, tantomeno, l'omicida.
Il vangelo di Luca contiene una frase (Lc 23, 19) assolutamente identica a quella omessa dal testo di Matteo, di cui abbiamo già visto sopra il testo greco, ma essa (si faccia bene attenzione) viene tradotta comunemente in modo scorretto, attribuendogli così significati che essa non può e non deve avere; per esempio una versione del Nuovo Testamento, che si definisce "traduzione interconfessionale in lingua corrente", la riporta nei seguenti termini:
"...era in prigione perché aveva preso parte ad una sommossa del popolo in città ed aveva ucciso un uomo"
[Parola del Signore, Elle Di Ci, Leumann (To), 1976]
La traduzione corretta, lo ripetiamo, è: "...si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio...", infatti le parole "dia stasin tina" possono essere tradotte con "in occasione di una sommossa", "poiché c'era stata una sommossa", "nel luogo della sommossa", "durante una sommossa", ma non si potrà mai tradurre "aveva preso parte ad una sommossa", e neanche "aveva ucciso un uomo". Questo non è assolutamente scritto nel testo originale, è una forzatura che altera molto il senso della frase, facendo diventare arbitrariamente Barabba il soggetto di una azione che, invece, è stata compiuta dagli altri ribelli.
La lettura dei vangeli sinottici, eseguita fedelmente alle versioni in lingua greca, ci dà buoni motivi per pensare che Barabba non fosse uno dei briganti che avevano commesso l'omicidio, ma solo che egli sia stato arrestato in concomitanza con la sommossa di cui altri erano responsabili. Ci dicono, tra l'altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso.
La osservazione più interessante la facciamo senz'altro nel momento in cui osserviamo la prima parte della nota 16 presente nel Novum Testamentum. Essa ci dice che in alcuni antichi manoscritti, al posto di "legomenon Barabban" (leghomenon Barabban = detto Barabba), troviamo quest'altra espressione: "Ihsoun Barabban " (Iesoun Barabban = Gesù Barabba). La nota ci conferma che il personaggio non si chiamava Barabba, ma che questo era un titolo, affiancato al suo vero nome: Gesù. Diciamo la verità, è quasi uno shock! Sembra che nel corso di quel processo, durante il ballottaggio per la scarcerazione di un prigioniero, Pilato abbia presentato al popolo due accusati: un certo Gesù, che i sacerdoti avrebbero condannato a morte perché aveva osato definirsi "figlio di Dio", e un certo Gesù, molto noto a tutti col titolo "Barabba". Due Gesù in un colpo solo. Forse è proprio per evitare questa eccezionale omonimia che i traduttori hanno omesso il nome del personaggio che è stato liberato, e l'hanno presentato solo come Barabba. Ma si tratta di semplice omonimia? Le nostre scoperte, e ne abbiamo già fatte tante, non sono finite. Adesso infatti si rende necessaria una domanda: qual'è il significato del soprannome Barabba?
Per giungere ad una risposta facciamo un passo indietro nel tempo, fino all'interrogatorio che Gesù, qualche ora prima, aveva subito in casa del sommo sacerdote. Costui, che aveva nome Caifa, vistosi nella difficoltà di trovare un capo d'accusa valido per emettere una sentenza di morte (così narra il vangelo), ad un certo punto avrebbe chiesto a Gesù: «sei tu il figlio di Dio?», e Gesù a lui: «tu l'hai detto». Attenzione: la vicenda del processo davanti alle autorità ebraiche, così come è descritta dalla narrazione evangelica, tradisce la presenza di gravi anomalie, anche perché l'idea di un procedimento svoltosi in quelle condizioni è del tutto inaccettabile. I tempi, i modi, il luogo e tanti altri elementi incompatibili con la prassi giudiziaria ebraica, ci mostrano che quello non poteva essere un processo regolare, come molti autori hanno validamente osservato. Al contrario, tutto lascia facilmente intuire che deve essersi trattato di un interrogatorio informale, svoltosi nel corso di azioni confusionarie e sbrigative, nell'intervallo di tempo che separava l'arresto dell'uomo sul monte degli ulivi e la sua consegna alle autorità romane, presso le quali avrebbe dovuto svolgersi il vero ed unico processo che ha condotto Gesù ad una condanna a morte e alla sua esecuzione. Un processo voluto dai romani per sedizione.
Ora, noi sappiamo che gli ebrei non potevano assolutamente pronunciare la parola tabù "Dio", e che il sommo sacerdote non si sarebbe mai azzardato a pronunciarla in quella occasione. Ma se egli ha veramente posto la domanda, in che modo ha potuto chiedere a Gesù se era «il figlio di Dio»? La risposta è semplicissima, gli ebrei usavano molti termini diversivi per riferirsi a Dio (Adonai, Eloah, il Signore, il Padre...). Anche Gesù, nei racconti evangelici, parla spesso di Dio ma, rivolgendosi ad un pubblico di ebrei ed essendo egli stesso un ebreo, usa uno di questi termini diversivi: "il Padre mio", "il Padre che è nei cieli". Nel vangelo secondo Marco (Mc 14, 36) leggiamo: "Abbà, Padre, tutto è possibile per te", in cui compare sia il termine tradotto (Padre) che quello originale usato dagli ebrei (Abbà). Ed ecco che per gli ebrei del tempo di Gesù "figlio di Dio" poteva essere reso piuttosto con "figlio del Padre". Anche nella liturgia latina troviamo comunemente "filius Patris", che è proprio la traduzione letterale dell'espressione usata dagli ebrei, nella corrente parlata aramaica, e quindi anche dal sommo sacerdote Caifa: "bar Abbà". Mentre in italiano, in mancanza del tabù ebraico, essa si è potuta trasformare senza problemi in: "figlio di Dio".
L'espressione "bar Abbà", può essere condensata, e diventa così "Barabba". La contrazione è del tutto normale: Barnaba, Bartolomeo... si tratta di termini di derivazione aramaica per "figlio di...". E' assolutamente sorprendente che, ai giorni nostri, a nessun cristiano educato e catechizzato sia mai stata fatta notare la questione, non del tutto irrilevante (!!!), che il termine Barabba corrisponda all'espressione usata dagli ebrei dei tempi di Gesù per dire figlio di Dio! Si è dunque voluta nascondere qualche evidenza?
Altro che shock! Infatti, se prima eravamo stati scioccati nello scoprire che Barabba si chiamava Gesù, ora siamo totalmente sconvolti nello scoprire il contrario, e cioè che... Gesù era definito Barabba! Ma quale razza di mistero si nasconde dietro questo intreccio straordinario di nomi e di titoli? E' mai possibile che durante il processo Pilato abbia presentato al popolo queste due persone:
1 - Gesù, che era detto figlio di Dio, cioè Barabba, che fu condannato e giustiziato,
2 - e Barabba, che però si chiamava Gesù, che fu graziato e rilasciato.
Non ci credo nemmeno io che sto scrivendo queste cose. Non ci può credere nessuno. Ma soprattutto, non è possibile crederci perché non è affatto così che sono andate le cose:
1 - non c'è mai stato un autentico processo davanti al sinedrio, Cristo è stato arrestato per volontà di Pilato che ha inviato per questo una coorte romana sul monte degli ulivi, un corpo di 600 soldati con un tribuno al comando;
2 - gli ebrei non hanno consegnato al procuratore l'accusato con la scusa di essere impossibilitati ad eseguire la sentenza di morte; ne hanno eseguite innumerevoli e ce le testimonia lo stesso Nuovo Testamento (Giovanni Battista, l'adultera che stava per essere lapidata dagli ebrei, lo stesso Gesù che ha rischiato più volte la lapidazione da parte degli ebrei, Stefano lapidato dagli ebrei all'indomani della morte di Gesù, Giacomo lapidato dagli ebrei sotto le mura del tempio...);
3 - i romani non hanno mai avuto l'abitudine di applicare le amnistie in occasione delle festività di altri popoli non latini, ma solo delle festività romane, e tantomeno liberavano in Palestina i condannati per reati gravi di sedizione, i condannati a morte;
4 - Pilato non è rimasto lì imbambolato ad aspettare che il popolo decidesse quale dei due doveva essere rilasciato, per poi lavarsene le mani e scarcerare il ribelle giustiziando un maestro spirituale; questa è una immagine assolutamente non veritiera e ridicola del praefectus Iudaeae; si legga Giuseppe Flavio per sapere chi e come era Ponzio Pilato;
5 - e il popolo degli ebrei non ha mai gridato "il suo sangue ricada sopra di noi e sui nostri figli" (Mt 27, 25), preannunciando la persecuzione perpetrata dai cristiani contro i cosiddetti perfidi giudei nell'arco di lunghi secoli.
Tutte queste sono scuse palesi per spostare la responsabilità della condanna dai romani agli ebrei. Questo infatti è uno dei presupposti della catechesi neo-cristiana, che ebbe origine nella mente di Paolo, il nemico di Simone e Giacomo, in aperta e stridente opposizione con la catechesi giudeo-cristiana, al prezzo di un grave pregiudizio antisemitico. Ci troviamo di fronte ad una presentazione finalizzata ad alterare il significato storico dell'evento. Si tratta di una presentazione funzionale alla dottrina antiessena e antimessianica elaborata da Paolo e successivamente sviluppata dai suoi seguaci ed eredi spirituali. I quali hanno progressivamente aumentato le distanze dall'ebraismo e hanno trasformato l'aspirante messia degli ebrei in un salvatore medio orientale, e il regno di YHWH dei giudei nel regno dei cieli dei cristiani.
Dal rebus di Gesù e Barabba scaturisce una ennesima conferma del fatto che i redattori dei vangeli neocristiani erano non ebrei, che scrivevano per un pubblico non ebreo, e che erano interessati a de-giudaizzare l'aspirante messia degli ebrei, scorporando dalla sua figura tutto ciò che apparteneva ad una personalità messianica, ovverosia ad un ribelle esseno-zelotico che aveva commesso gravi reati di sedizione contro l'autorità romana.
La dinamica dell'arresto, del processo, della condanna e della esecuzione, così come queste fasi sono descritte nelle narrazioni evangeliche, le quali mostrano fra loro grandi contraddizioni, è tale da rivelare una precisa intenzione di mascherare chi fosse realmente l'uomo che venne crocifisso, perché fu arrestato, da chi fu arrestato, perché fu giustiziato, facendo credere, alla fin fine, la tesi storicamente insostenibile che i romani siano stati vittime di un raggiro e che la volontà e la regia della condanna di Gesù siano del tutto ebraiche.
Dal rebus di Gesù e Barabba non scaturisce invece una soluzione su chi siano state queste due persone. Erano veramente due? Si tratta di una persona sola che ha subito uno sdoppiamento, come tanti altri personaggi della narrazione evangelica? Si tratta di due persone i cui nomi, titoli, ruoli e responsabilità sono stati intrecciati e confusi negli interessi della contraffazione storica? Sono forse i due aspiranti messia degli esseno-zeloti, quello di Israele (il capo politico) e quello di Aronne (il capo spirituale)? Se Gesù Barabba è il prigioniero che fu liberato, dobbiamo credere che Gesù non è mai stato crocifisso, coerentemente con quanto sostenuto dalla tradizione coranica e da altre tradizioni?
Abbiamo una lunga serie di domande, ma non abbiamo le risposte. E il mistero di Barabba, che pure ha portato alla luce alcuni importantissimi aspetti della questione, troppo spesso ignorati, diventa sempre più misterioso.
David Donnini



Massimo Cogliandro
Il processo a Gesù
I due Messia


La scena tramandata dai sinottici relativa al processo di una guida politico-religiosa chiamata Cristo, alla liberazione di un personaggio di nome Barabba per acclamazione da parte del popolo ebraico e alla crocifissione di Cristo risponde assolutamente a verità. Ciò che non risponde a verità, come ci ha rivelato David Donnini nella sua opera intitolata “Cristo”, è la reale identità dei personaggi che animano la scena del processo riferita dai sinottici.
Nella cronaca del processo, per come ci è stata tramandata dai vangeli canonici, ci sono state alcune alterazioni:

1) il personaggio chiamato Gesù Cristo nella narrazione evangelica del processo, in realtà, era il Messia di Israele degli Esseni, cioè la loro guida politica, che in quel tempo veniva comunemente soprannominata “Cristo” e che, secondo gli Esseni, un giorno sarebbe stata incoronata “re dei Giudei” e avrebbe condotto la lotta di liberazione del popolo ebraico dal dominio politico dei romani;
2) il personaggio chiamato Barabba, in realtà, era il Messia di Aronne degli Esseni, cioè la loro guida spirituale, il cui nome reale era Gesù Barabba (Barabba in aramaico vuol dire “il figlio di Dio”), come si evince da un frammento della versione più antica che ci sia rimasta del Vangelo di Matteo: questo è il personaggio di cui ci sono riportati i detti nel Vangelo di Tomaso e in Pistis Sophia, dove il Salvatore viene chiamato solo “Gesù” e mai “Cristo” o “Gesù Cristo”;
3) il personaggio sobillatore di rivolte contro i Romani, che si era macchiato del reato di omicidio, non era Gesù Barabba, ma il personaggio soprannominato Cristo;
4) la celebre frase di Pilato: “Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo” è stata realmente pronunciata da Pilato, ma non era riferita a Cristo, bensì a Gesù Barabba, che, per il carattere non violento della sua predicazione e soprattutto per la sua origine romana (era, infatti, figlio del soldato romano Pantera, come ci riferiscono Celso ed alcune antiche fonti ebraiche), non veniva ritenuto pericoloso dalle autorità costituite;
5) gli Ebrei hanno effettivamente chiesto a gran voce la liberazione di Gesù Barabba al posto di quella di Cristo, perché, per il fatto di essere la guida spirituale degli Esseni, per i suoi modi non violenti e per la sua grande erudizione, Gesù Barabba veniva considerato dai sacerdoti ebrei, nonostante le differenze religiose, uomo degno di rispetto e non meritevole della morte;
6) ad essere liberato non è stato il personaggio “negativo”, ma quello “positivo”, cioè Gesù Barabba;
7) il personaggio soprannominato “Cristo” è stato effettivamente condannato a morte da Pilato per i reati di omicidio e sedizione ed è stato crocifisso sul Golgota.



II

Il mistero della morte di Gesù


Gesù Barabba non solo non è morto dopo il processo subìto insieme al personaggio chiamato “Cristo”, ma, come ora intendiamo dimostrare, è vissuto per parecchio tempo dopo la morte di “Cristo”.
La soluzione del problema ci viene da alcuni testi gnostici, fra i quali spicca Pistis Sophia. Questi testi, ma anche gli stessi Vangeli Canonici, affermano che Gesù dopo la “resurrezione” è rimasto sulla terra per un certo periodo di tempo.
Ora, mentre i testi canonici affermano che questa permanenza è durata solo quaranta giorni, i più antichi testi gnostici affermano che tale permanenza è durata diversi anni. Se si considera l’antichità di questi scritti e il fatto che le sette di cui erano espressione molto spesso erano in una sorta di continuità storica e culturale rispetto alla più antica comunità essena, è evidente che la loro attendibilità sull’argomento è molto forte.
L’autore di Pistis Sophia racconta che “dopo che Gesù fu risorto dai morti trascorse undici anni con i suoi discepoli durante i quali si intrattenne con essi istruendoli”. Egli ci fornisce una informazione molto importante: una parte dei cristiani del secondo secolo si trasmetteva una tradizione secondo cui Gesù era vissuto per ben 11 anni dopo la cosiddetta “resurrezione corporea”.
Ora, se si tiene conto che studiosi come Luigi Moraldi hanno riscontrato una influenza sicura su Pistis Sophia degli scritti trovati a Qumran, è lecito pensare che in qualche modo l’autore dei primi tre libri di Pistis Sophia fosse in contatto con fonti di provenienza essena, da cui ha tratto le proprie notizie su Gesù, diverse, ma anche più attendibili di quelle di cui poteva disporre la setta degli apostolici, cioè la “Grande Chiesa”.
D’altra parte, non è possibile che l’autore di Pistis Sophia affermasse che Gesù era rimasto 11 anni con i discepoli senza attingere a fonti sicure: 11 anni sono un periodo di tempo troppo lungo per poter essere inventato di sana pianta…
Questa ipotesi trova una conferma nel fatto che, molti anni dopo la presunta morte di Gesù Cristo nel 33 d. C., Svetonio parlava di una sommossa cristiana “impulsore Chresto”, cioè avvenuta “per istigazione di Cristo”: Svetonio nel 49 d. C. pensava che Cristo fosse ancora vivo e che la rivolta fosse opera sua! In realtà, uno dei due Messia esseni probabilmente era ancora vivo, ma non si trattava del personaggio soprannominato “Cristo”, bensì di Gesù Barabba. Svetonio, però, confondeva i due personaggi, esattamente come più tardi li confonderà la Grande Chiesa.
Il motivo di questa confusione tra i due personaggi probabilmente va cercato:

1) nella rottura tra Giacomo, fratello e protettore di Gesù Barabba nonché Maestro di Giustizia della comunità essena del tempo, e Paolo di Tarso, dovuta probabilmente al fatto che la comunità essena e lo stesso Gesù Barabba, per non mettersi contro i romani, avevano ripudiato il presunto Messia di Israele finito sulla croce, scelta non condivisa da Paolo di Tarso, da Simon Pietro, che come dimostra il loghion 114 del Vangelo di Tomaso non condivideva molte delle idee di Gesù Barabba, e dai loro seguaci;
2) nel fatto che dopo la rottura con gli Esseni di Giacomo, la setta di Paolo di Tarso ha abbandonato la dottrina essena dei due Messia e ha ripreso la dottrina ebraica tradizionale dell’unico Messia d’Israele, che veniva identificato con Cristo.

La setta che faceva capo a Paolo, però, era dominante all’interno della comunità ebraica di Roma,che,quindi, continuava ad esaltare la figura di Cristo.
Seneca, che confondeva ancora la neonata comunità cristiana con quella essena, sapeva che il Messia degli Esseni era ancora vivo, ma gli era stato riferito che gli ebrei di Roma lo chiamavano Cristo e, siccome non conosceva a fondo le diatribe interne alla comunità ebraica, confuse presto i due personaggi.
La confusione operata nella Grande Chiesa tra le figure di Gesù e di Cristo, dopo la morte di Gesù Barabba, è stata invece dettata da motivi di carattere prevalentemente politico, tesi a creare il clima per un riavvicinamento alla chiesa madre di Gerusalemme, cioè alla comunità essena.
Il fatto che anche Pistis Sophia ci dica che la permanenza di Gesù per 11 anni sulla terra era avvenuta in seguito alla resurrezione, indica solo che l’autore traeva le notizie relative all’insegnamento di Gesù in tutto questo periodo da fonti scritte per lui già in qualche modo “antiche”, che non spiegavano compiutamente che cosa era successo immediatamente dopo il famoso processo presieduto da Pilato. L’autore, però, non parla mai di Cristo: questo vuol dire che in qualche modo aveva saputo dalle sue fonti essene che solo l’insegnamento di Gesù Barabba era da ritenersi valido…


III

La testimonianza di Paolo di Tarso

Negli Atti degli Apostoli è riportato un dialogo tra il governatore Festo ed il re Agrippa a proposito di Paolo di Tarso. Nel bel mezzo del dialogo, Festo ha affermato: “ Quelli che lo accusavano si misero attorno a lui, e io pensavo che lo avrebbero accusato di alcuni delitti. Invece no: si trattava solo di alcune questioni che riguardano la loro religione e un certo Gesù, che era morto, mentre Paolo sosteneva che era ancora vivo.”
Questo vuol dire che Paolo di Tarso, molti anni dopo il processo tenuto da Pilato (siamo intorno al 60 d. C.), riteneva che Gesù Barabba fosse ancora vivo. Tuttavia, il fatto che il governatore Festo affermasse che Gesù era morto può indicare solo che nel 60 d. C. anche Gesù Barabba, il Messia di Aronne degli Esseni, era morto.
Come mai Paolo continuava ad affermare che Gesù – e certamente si riferiva a Gesù Barabba – era ancora vivo?
Si possono fare diverse ipotesi:
1) Paolo, che da più di due anni si trovava in prigione, non sapeva della morte di Gesù Barabba avvenuta proprio nel periodo della sua prigionia: va ricordato, però, che gli Atti degli Apostoli affermano che a Paolo veniva permesso di incontrare amici e discepoli, che avrebbero potuto tranquillamente avvertirlo di un avvenimento di tale importanza;
2) i discepoli di Gesù Barabba avevano diffuso la notizia falsa della morte di Gesù, che in realtà era ancora vivo e si trovava in un luogo segreto per non essere arrestato, ma Paolo aveva ritenuto utile far sapere ai suoi discepoli che Gesù era ancora vivo;
3) Gesù Barabba era morto da poco, ma Paolo continuava ad affermare che era ancora vivo, nel timore che una conferma della notizia della morte di Gesù Barabba avrebbe portato allo sfaldamento della giovane e ancora fragile comunità cristiana.

Ritengo, che la terza ipotesi sia quella più vicina alla realtà. In ogni caso, questo indizio ci induce a pensare che Gesù Barabba sia morto tra il 58 e il 60 d. C. e che la notizia della sua morte sia stata tenuta a lungo nascosta.
E' importante ricordare che Paolo di Tarso testimonia l'esistenza dei due Messia e la sua avversione al Messia sopravvissuto al processo presieduto da Pilato, cioè a Gesù Barabba, direttamenteo in un suo scritto, la Seconda Lettera ai Corinti (11,4):

"Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli."

Ora, è evidente che:

a) i "superapostoli" erano quelli tra gli apostoli che avevano deciso di rimanere in seno alla comunità essena dopo la scomunica di Paolo da parte della comunità essena;
b) il Gesù diverso predicato dai "superapostoli" era Gesù Barabba;
c) l'altro vangelo predicato dai "superapostoli" era il Vangelo di Tomaso, avversato perchè conteneva esclusivamente gli insegnamenti di Gesù Barabba, mentre non faceva alcun riferimento al personaggio soprannominato Cristo e finito sulla croce: si noti che la setta di Paolo, a differenza delle sette di tipo gnostico sorte dalla comunità essena di Giacomo e di Gesù Barabba, si è autodefinita "cristiana" nell'intento di mostrare a tutti che essa riconosceva come Messia unicamente Cristo e non anche Gesù Barabba.

Paolo, però, non desiderava che la sua rottura con la comunità essena e con Gesù Barabba, a cui veniva riconosciuta una certa autorità, fosse definitiva, anche per il ruolo che Gesù Barabba aveva rivestito nella sua conversione alla nuova religione.
A questo punto, è bene ricordare che l'incontro tra Paolo e Gesù lungo la via che conduceva a damasco è avvenuto realmente, nel senso che non si è trattato di una semplice visione di Paolo, ma di un incontro vero e proprio tra Gesù Barabba, che era ancora vivo, e Paolo di Tarso. Paolo si è convertito alla nuova religione proprio in occasione di questo incontro con la forte personalità di Gesù Barabba.


IV

La testimonianza di Marcione


Una prova decisiva della esistenza storica dei due Messia è contenuta nell’adversus Marcionem di Tertulliano.
Tertulliano, nell’esporci la dottrina di Marcione, ci racconta che per Marcione:

1) esistevano un dio malvagio, il dio dell’Antico Testamento, ed un dio buono, il Dio del Nuovo Testamento;
2) il dio malvagio, cioè il Demiurgo, ha creato l’uomo e il mondo materiale e ha imprigionato l’uomo nella sua legge crudele;
3) Il Dio buono, impietosito per la triste condizione dell’uomo, ha mandato il suo Cristo per riscattare gli uomini dalla loro triste condizione;
4) Il dio malvagio ha mandato contemporaneamente un altro Cristo, il Cristo annunciato dai profeti dell’Antico Testamento, con il compito di guidare Israele verso la liberazione anche politica e di asservire tutto il mondo al popolo di Israele e, quindi, alla Legge del Demiurgo.

Per Marcione, dunque, sono esistiti due personaggi di nome Cristo, uno di natura esclusivamente spirituale, che solo in apparenza era rivestito di carne, inviato dal Dio buono ed uno inviato dal Demiurgo, rivestito di carne reale.
E’ evidente che Marcione, vissuto alla fine del I° secolo, era venuto a conoscenza dell’esistenza dei due Messia, cioè di Gesù Barabba e di Cristo, e in qualche modo aveva saputo della contrapposizione che si era creata in un primo momento tra quanti sostenevano Gesù Barabba e quanti sostenevano Cristo. Marcione è giunto ad affermare che sono esistiti due Messia di nome Cristo, uno inviato dal dio buono ed uno inviato dal Dio malvagio, perché aveva sposato la tesi dei sostenitori del ruolo messianico di Gesù Barabba, che avevano finito con l’attribuire al Messia di Aronne anche il titolo di “Cristo” originariamente riservato al solo Messia di Israele finito sulla croce. Per Marcione, dunque, Gesù Barabba era il Cristo mandato dal Dio buono e il Messia di Israele finito sulla Croce dopo il processo di Pilato era il Cristo mandato dal Demiurgo per consegnare il mondo nelle mani di Israele.
Marcione ci fornisce anche altre importanti informazioni: ci parla di una contrapposizione tra Paolo di Tarso da un lato e Pietro e gli altri apostoli dall’altro lato. Secondo Marcione, Pietro e gli altri apostoli hanno “frainteso” Paolo di Tarso e sono ritornate alle osservanze giudaiche, il che vuol dire, che dopo la scomunica inflitta da Giacomo e da tutta la comunità essena a Paolo di Tarso, dopo un primo momento di incertezza che li aveva spinti a seguire Paolo, Simon Pietro e gli altri apostoli hanno deciso di ritornare all’interno della comunità essena.
Il particolare del ritorno di Pietro in seno alla comunità essena ci è testimoniato, tra l’altro, da Pistis Sophia, che ci dice che Pietro era stato tra i discepoli che avevano seguito gli insegnamenti di Gesù Barabba negli undici anni successivi alla crocifissione del personaggio soprannominato Cristo.
Il fatto che Marcione abbia preso le parti di Paolo di Tarso ci indica solo che Marcione non è mai stato uno gnostico, come invece affermato per secoli dalla Chiesa Cattolica, anzi in gioventù è stato uno dei primi aderenti alla Setta degli Apostolici da cui poi è nata la Chiesa Cattolica.
A questo proposito, è interessante notare come egli ritenesse canonico solo il Vangelo di Luca: Luca, infatti, al contrario degli altri evangelisti, era stato un discepolo fedele di Paolo di Tarso…


V

La testimonianza di Valentino


La prova più importante della esistenza storica dei due Messia è contenuta nel De carne Christi di Tertulliano.
Tertulliano nella sua critica alla dottrina di Valentino contenuta in questo libro afferma:

"Ugualmente, dichiarando che il Cristo è uno solo, lo Spirito fa cadere tutti gli argomenti a sostegno di un Cristo multiforme, secondo i quali Cristo e Gesù sarebbero due persone distinte: l'uno si sottrae alla folla, l'altro è arrestato; l'uno, ritiratosi sulla montagna, avvolto in una nube manifesta la sua gloria a tre testimoni, mentre l'altro appare al resto degli uomini come una persona qualunque; l'uno è coraggioso, l'altro è trepidante; l'uno, infine, ha sofferto la Passione, l'altro è risuscitato" (Tertulliano, De carne Christi, XXIV, 3).

Tertulliano, quindi, ci riferisce che Valentino insegnava ai suoi discepoli che:

1) Cristo e Gesù erano due persone distinte;
2) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, era "coraggioso", mentre l'altro, cioè Gesù ben Pantera, era "trepidante": abbiamo qui addirittura una descrizione del diverso carattere dei due personaggi ed un loro confronto;
3) uno dei due Messia, probabilmente Cristo, ha "sofferto la Passione", cioè è stato ucciso, l'altro, cioè Gesù, è "risuscitato" o, meglio, non è mai nè morto nè risuscitato, ma, "sottrattosi alla folla" dopo il processo, ha continuato a vivere e ad insegnare tranquillamente ai suoi discepoli ancora per parecchi anni dopo la morte di Cristo.

Il carattere estremamente preciso delle informazioni che Valentino aveva ricevuto indica che nella metà del II° secolo giravano ancora nella comunità cristiana documenti che descrivevano in maniera estremamente dettagliata la vita e l'insegnamento dei due Messia. Probabilmente, Valentino è entrato in possesso di questi documenti per il ruolo di primo piano che aveva rivestito nella chiesa di Roma (si pensi che non è stato eletto Papa solo per pochissimi voti).


VI

Conclusioni

Gesù Barabba è morto non prima del 44 d. C. e non oltre il 60 d. C. se prestiamo fede alla cronologia tradizionale della nascita e della morte di Cristo, cioè almeno undici anni dopo la morte di Cristo, probabilmente di morte naturale.
In questi undici anni, ha continuato a diffondere i suoi insegnamenti all’interno della comunità essena assistito solo da alcuni dei suoi discepoli di un tempo, segnatamente da Maria Maddalena, Tomaso e Filippo.
E’ possibile che una parte dei detti di Gesù presenti nei primi tre libri di Pistis Sophia siano stati effettivamente pronunciati da Gesù Barabba.
Se questa ipotesi un giorno troverà dei riscontri, non si potrà negare l’origine essena dello gnosticismo e l’influenza esercitata dalla cultura egiziana sulla formazione di Gesù Barabba.


BEN STADA

Talmud Shabbat 104b [i], Sanhedrin 67 a [ii]

Si insegna che Rabbi Eliezer disse ai dottori: “Ben Stada non portò forse la stregoneria dall’Egitto in una ferita che era nella sua pelle?” Gli dissero: “Era uno stolto (folle) e non puoi addurre una dimostrazione basandoti su uno stolto”.
Ben Stada è Ben Pandira.
Rabbi Chisda disse: “Il marito era Stada e l’amante era Pandira”.
No, il marito era Pappos Ben Yehudah e la madre era Stada.
No, la madre era Miriam la parrucchiera delle donne [ed era chiamata Stada]. Come diciamo in Pumbeditha: Ha lasciato [Stat Da] il marito.

Il brano si trova nella Gemara, a commento del passo della Mishnah: “Colui che incide la sua carne”.
Gli elementi fondamentali che ci permettono di supporre un riferimento a Gesù sono il nome Ben Pandira, che come già abbiamo visto esaminando la Toledoth e vedremo meglio in seguito, è senz’altro riferito a Gesù, e Miriam (ossia Maria) come madre di ben Stada-ben Pandira.
Se questa Miriam, come sostiene la Gemara, era anche chiamata Stada ed ebbe una relazione con Pandira, il figlio di quella relazione poteva ben essere chiamato sia Ben Stada che Ben Pandira; ovviamente, nel caso il nome proprio fosse Gesù, sarebbe stato Gesù ben Stada o Gesù ben Pandira. In realtà, la spiegazione etimologica (Stat Da) è senz’altro tarda e dimostra soltanto che si era persa la memoria dell’uomo chiamato Stada.
La stregoneria portata sotto la pelle e il rapporto con l’Egitto richiamano inoltre, anche se non precisamente, alcuni passi della Toledoth, in cui ben Pandira nasconde sotto la pelle le lettere del nome ineffabile di Dio.
Il problema principale per l’identificazione in questo caso è cronologico, in quanto Pappos ben Yehuda, che sostituirebbe il Giuseppe evangelico o lo Yochanan della Toledoth quale padre putativo di Gesù, è un personaggio noto da altri passi del Talmud e sarebbe stato ucciso dai romani nel corso della rivolta di Bar Kokhba, quasi cento anni dopo Gesù. Era noto per la sua gelosia nei confronti della moglie, per cui i compilatori del Talmud avrebbero potuto facilmente accostarlo a quella che per essi non era che un’adultera. Vedremo anche nei passi seguenti che le epoche in cui i rabbini collocano Gesù e la sua attività sono fondamentalmente due: il regno di Alessandro Janneo e della regina Salome e l’epoca della rivolta di Bar Kochba contro Roma, ai tempi dell’imperatore Adriano.
Quanto a Miriam, occorrerebbe capire il motivo per cui viene definita”parrucchiera delle donne”. [iii]
E’ stato suggerito che l’espressione del Talmud “Miriam m’gaddela nashaia” nasconda un’allusione o conservi un ricordo di Maria di Magdala, che, come è noto, è un personaggio importante del Nuovo Testamento. Tuttavia, Maria Maddalena non era certo la madre di Gesù, per cui, a mio parere, tale spiegazione va accolta con ogni beneficio di inventario.
In sostanza, il passo presenta accostamenti interessanti e al contempo problemi interpretativi. Alla luce dei passi successivi, non sembrano però esserci dubbi che ben Pandira si identifichi con Gesù; per cui possiamo anche stabilire con buona verosimiglianza che ben Stada = ben Pandira = Yoshua Ha Nozri .

MARIA MADRE DI GESU’

Hagigah 4b [iv], Tosafoth [v]

L’Angelo della Morte era con lui. L’Angelo disse al suo messaggero: “Va, portami Miriam, la parrucchiera delle donne”. Egli portò Miriam, la maestra dei bambini. L’Angelo disse: “Ti avevo detto Miriam la parrucchiera delle donne”. Il messaggero disse: “Se è così, riporterò indietro questa”. L’Angelo disse: “Poiché hai portato questa, che sia nel numero dei morti”.
La Tosafoth commenta: Questa storia intorno a Miriam la parrucchiera delle donne ebbe luogo all’epoca del Secondo Tempio, poiché era lei la madre di una certa persona, come è detto in Shabbath 104.

Questo passo, spesso ignorato dai commentatori, è invece molto utile perché vi riappare la figura di Miriam, la parrucchiera delle donne. La Tosafoth ci permette di stabilire che:
1. Miriam la parrucchiera delle donne visse all’epoca del II Tempio, con la quale espressione si intende probabilmente il regno di Alessandro Ianneo e Alessandra Salome;
2. Miriam era la madre di “una certa persona” sull’autorità di Shabbath 104, che abbiamo già esaminato;
3. Poiché in Shabbath 104 Miriam è la madre di ben Stada / ben Pandira, è chiaro che “una certa persona” è ben Pandira, ossia, se la supposizione di cui al passo precedente è fondata, Gesù di Nazareth. Incontreremo ancora l’espressione “una certa persona” (peloni) nel passo seguente
La necessità della Tosafoth di precisare l’epoca della vita di Miriam si spiega col fatto che la discussione sull’operato dell’Angelo della Morte riportata nella Hagigah è attribuita a due rabbi (Joseph e Bibi bar Abai) vissuti tra la fine del terzo e l’inizio del quarto secolo e attivi all’accademia rabbinica di Pumbeditha, cronologicamente molto lontani dunque dall’epoca del Gesù storico, anche nella deformazione tipica delle fonti rabbiniche. Da qui il bisogno di far notare che il fatto narrato risale ad un’epoca precedente.



IL FIGLIO ILLEGITTIMO

Mishnah Yevamot 4.13 e 49 b [vi]

Rabbi Shimon ben Azai disse: “Ho trovato un rotolo di genealogie a Gerusalemme e in esse è scritto ‘Una certa persona è un figlio illegittimo’; a conferma di ciò che disse Rabbi Yehoshua.

Il passo si trova nella Mishnahh, appartiene dunque alla composizione più antica del Talmud. Shimon ben Azai, contemporaneo e amico di Rabbi Aquiba, il grande sostenitore di Bar Kochba, visse all’inizio del II secolo e fu allievo del Rabbi Yehoshua ben Hanania citato nel detto. Sia Aquiba che Yehoshua furono attivi nel contrastare gli eretici (Minim) ed in particolare i giudeo-cristiani.
L’argomento dei documenti genealogici ritrovati a Gerusalemme molto difficilmente ha fondamento storico e deve più probabilmente intendersi come artificio polemico anticristiano, che con i vangeli di Matteo e Luca avevano sostenuto, oltre alla nascita virginale, la legittima discendenza davidica del messia.
Nella Toledoth, è Shimeon ben Shetach (vedi il passo precedente) che scopre la discendenza illegittima di Gesù ben Pandira.
E’ molto probabile che l’espressione peloni (=una certa persona) sia riferita a Gesù, che potrebbe non venire esplicitamente nominato per un duplice ordine di motivi: sia per una sorta di damnatio memoriae, essendo stato l’eretico che condusse in errore Israele, sia per il comprensibile timore delle persecuzioni dei cristiani all’epoca della definitiva composizione del Talmud. Come abbiamo già visto, quanto meno i commentatori medievali sono sicuri nell’attribuzione a Gesù del titolo peloni. Quanto alla discendenza illegittima, il caso del mamzer (=bastardo) sarebbe l'unico in cui, secondo la legge ebraica, un figlio deve pagare i peccati dei genitori, e ciò fino alla decima generazione (si veda Dt, 23:3); accusando Gesù di nascita illegittima, oltre che di magia, blasfemia, e di "aver indotto in errore Israele", i rabbi gli addossano le colpe più gravi previste dalla mentalità ebraica del tempo - ed in parte di oggi.



LA MADRE DI GESU’(?)

Talmud Sanhedrin 106 a

Rabbi Yochanan disse (a proposito di Balaam): “Nei suoi inizi un profeta, alla fine un ingannatore”. Rabbi Papa disse: “Questo è ciò che dicono: ella era discendente di principi e governanti, poi fu la prostituta di falegnami”.

Che il passo sia riferibile a Maria madre di Gesù è assai dubbio. Vi sono però delle allusioni e degli accostamenti che possono essere significativi:
1. il profeta altotestamentario Balaam è considerato, come vedremo in seguito, essere una sorta di controfigura di Gesù;
2. l’interpretazione di Gesù che si presenta come profeta, ma inganna Israele è quella tipica della tradizione rabbinica;
3. Maria è in ovvio rapporto con un falegname, secondo i vangeli, anche se in essi il rapporto è perfettamente legittimo;
4. Secondo Luca, Elisabetta, parente di Maria, è di famiglia sacerdotale, discendente di Aronne; il che peraltro non pare pienamente giustificare l’espressione “discendente di principi e governanti”
Può quindi benissimo essere che si tratti qui solo di un exemplum di un promettente inizio finito male, senza specifici riferimenti a Maria.



YESHU HA NOZRI

Talmud Shabbat 107b, Sotah 47a [vii]

Quando Giovanni [Ircano] [viii] uccideva i rabbi, rabbi Yehoshua ben Perachiah e Yeshu fuggirono ad Alessandria d’Egitto. Quando vi fu pace, rabbi Shimeon ben Shetach mandò a chiamarli(…). Yeshu se ne andò, appese una tegola e si inginocchiò davanti ad essa [adorandola].(…) Yeshu [il Nazoreo] praticava la magia e ingannò e condusse Israele fuori della retta via.

La dizione Ha Nozri (= Nazoreo, Nazareno) si trova in un solo manoscritto. Può esservi stata aggiunta dal redattore o può, al contrario, essere stata espunta dagli altri per i motivi già esposti. E’quindi possibile che il passo si riferisca ad un Yeshu discepolo del rabbi storico Yeoshua ben Perachiah e contemporaneo di Shimeon ben Shetach, che, fratello della regina Alessandra Salome, fu il protagonista del ritorno in auge dei farisei dopo la loro cacciata al tempo di Giovanni Ircano e Alessandro Ianneo. La mancanza di un patronimico identificativo (quale ben Stada o ben Pandira) non fa che aggravare il problema. Tuttavia, il rapporto con l’Egitto, (più precisamente, la fuga in Egitto per sfuggire all’ira di un re, che è tratto specificamente evangelico) e l’idolatria di Gesù e l’accusa di aver praticato la magia ed aver tratto Israele in errore sono tratti tipici della polemica farisaica dei primi secoli. Si può dunque pensare che, se anche Gesù il Nazareno non fu il primo protagonista della storia, la stessa gli fosse poi cucita addosso in seguito, poiché ben si attagliava al complesso di narrazioni che in ambiente giudaico circolavano intorno al fondatore del cristianesimo.



LE PRETESE DI GESU’

Jerusalem Taanith 65 b [ix]

Rabbi Abahu disse: Se un uomo vi dice: “Sono Dio” è un bugiardo; se dice: “Sono il figlio dell’uomo” alla fine la gente si riderà di lui; se dice: “Ascenderò al cielo” lo dice, ma non lo compirà.

Rabbi Abahu, l’autore del detto, visse a Cesarea tra III e IV secolo. Anche se nel detto non è nominato Gesù, l’allusione polemica al suo insegnamento sembra evidente.



GIUDIZIO

Talmud Sanhedrin 67 a

I testimoni che lo [x] ascoltano da fuori lo portano al tribunale e lo lapidano. E così fecero a Ben Stada a Lud e lo appesero alla vigilia di Pasqua.

Se Ben Stada è Ben Pandira, è anche Gesù di Nazareth. L’idea che i rabbi hanno del giudizio e morte di Gesù è molto differente da quella tramandata nei racconti evangelici. Qui il protagonista, accusato di idolatria e di aver condotto Israele all’errore, viene prima lapidato e poi appeso; il fatto avviene a Lud (Lydda o Lidda, luogo mai ricordato nei Vangeli - vi avviene il miracolo di Pietro narrato in Atti 9:32 e segg) alla vigilia di Pasqua. L’ elemento temporale è in realtà l’unico che permette di avvicinare il detto al processo e morte di Gesù come è narrato dalle fonti cristiane [xi].



ESECUZIONE

Talmud Sanhedrin 43 a [xii]

Si insegna: alla vigilia di Pasqua appesero Gesù e il banditore andò in giro per 40 giorni prima dichiarando: “ [Yeshu] verrà lapidato per aver praticato la stregoneria, per aver sedotto e condotto fuori strada Israele. Chiunque sappia qualcosa in suo favore, venga e lo dichiari”. Ma non trovarono alcuno in suo favore e lo appesero alla vigilia di Pasqua. (…) Per Yeshu era differente, perché era vicino al governo.

Le modalità dell’esecuzione (prima lapidazione, poi sospensione al legno) ed il tempo (Vigilia di Pasqua) sostengono la proposta identificazione di Yeshu con Ben Stada. Piuttosto intrigante e di difficile spiegazione è la notazione finale con cui Yeshu è definito come vicino al governo (o regno), il che non si può dire per il Gesù storico. Sorge poi la domanda: quale governo? Ircano e Janneo che erano vicini ai Sadducei o Alessandra Salome che favorì i farisei? Nei vangeli, i principali artefici della caduta di Gesù sembrano proprio i grandi sacerdoti sadducei, nonostante la polemica delle origini cristiane si appunti principalmente contro i farisei.
L’espressione può anche significare “vicino al regno”; potrebbe quindi essere un’allusione ai riferimenti al Regno di Dio contenuti nei Vangeli e non denotare un’appartenenza politica o di stirpe. Tuttavia, è noto che, in fin dei conti, Gesù fu crocefisso per essersi proclamato re dei Giudei, che i suoi seguaci sostenevano la sua discendenza davidica e che ancora all’epoca di Domiziano i suoi ultimi parenti venivano perseguitati per l’appartenenza alla sua famiglia.



BALAAM

Sanhedrin 106 b

Un eretico disse a Rabbi Hanina: “Hai mai sentito di quale fosse l’età di Balaam?” Egli rispose: “Non c’è testimonianza scritta di ciò. Ma da quello che sta scritto (nel salmo 54:24) ‘gli uomini sanguinari e fraudolenti non giungeranno alla metà dei loro giorni’ deve avere avuto 33 o 34 anni.” L’eretico disse: “Mi hai risposto bene. Ho visto la cronaca di Balaam e in essa è scritto ‘Balaam lo zoppo aveva 33 anni quando Pinchas il brigante lo uccise’ "
La storia di Balaam si trova in Numeri 22:1 e segg. Si tratta di un profeta e mago di una popolazione non israelitica che, anziché maledire gli israeliti, come vorrebbe costringerlo a fare il suo re, li benedice per tre volte, avrebbe quindi una funzione positiva [xiii]. E’ però colui che induce le donne madianite a trarre in errore Israele e fargli abbracciare il culto di Baal-Peor, per cui viene ucciso, nella successiva spedizione di guerra, da Pincas figlio di Eleazaro. Questi può essere considerato il precursore degli zeloti; l’appellativo di brigante, che riecheggia il greco lestès, va inteso in questo senso.
Il Talmud nomina in vari passi Balaam e sempre in maniera negativa, tuttavia non vi sono indicazioni particolarmente stringenti che in esso la figura di Balaam nasconda, per le già accennate motivazioni autocensorie, un riferimento a Gesù di Nazareth. Il passaggio che più facilmente si può ricondurre a Gesù è quello sopra riportato, per spiegare il quale bisogna però anche supporre che l’accenno all’eroe dell’indipendenza israelita Pincas vada in realtà riportato a Ponzio Pilato. Tutto ciò mi sembra altamente ipotetico e gli studiosi si sono forse fatti affascinare soprattutto dalla coincidenza di età tra Balaam e Gesù.




DISCEPOLI

Talmud Sanhedrin 43 a

Si insegna: Yeshu aveva 5 discepoli – Mattai, Nekai, Netzer, Buni e Todah. Portarono Mattai davanti ai giudici. Egli disse: “Mattai dovrà essere ucciso? Poiché è scritto ‘Mathai [ebraico: quando] verrò e apparirò dinanzi a Dio’ [xiv]. Essi gli dissero: “Sì, Mattai deve essere ucciso, poiché è scritto ‘Mathai [ebraico: quando] morirà e il suo nome perirà’ [xv]
(Seguono altre quattro schermaglie scritturali basate sull’assonanza dei nomi, che si concludono con la condanna a morte di tutti i discepoli)

Tra i discepoli di Gesù secondo i Vangeli, solo Matteo (Mattai) e Taddeo (Todah) sembrano avere una qualche assonanza con i nomi proposti dal Talmud. E’ stato proposto, senza molta verosimiglianza, che i discepoli siano invece i primi vescovi (giudeo-cristiani) di Gerusalemme, ma la lista di vescovi proposta da Eusebio nella sua Storia della Chiesa non permette di stabilire nulla di concreto. Netzer potrebbe avere qualche collegamento col termine Nazir da cui Nazoreo, nazareno; Buni e Nekai potrebbero essere, sulla base di un altro passo del Talmud (Taanith 19b, 20a), identici con il seguace fariseo di Gesù, Nicodemo, ricordato nel Vangelo di Giovanni, il cui vero nome sarebbe stato Buni. Tutto questo è in realtà assai meno che probabile. E’ da notare che nella Toledoth questo episodio è riferito allo stesso Yeshu e non ai suoi seguaci e nulla vieta di pensare che sia quest’ultima la versione più antica.



IL SEGUACE DI GESU’

Tosefta Chullin 2:23 [xvi]

Avvenne che Rabbi Eliazar ben Damah fu morso da un serpente e Yakov del villaggio di Sechania [una versione aggiunge:Yakov, l’eretico di Kfar Sama] venne per guarirlo nel nome di Gesù ben Pandira [una versione aggiunge: Egli disse: ti parleremo nel nome di Gesù ben Pandira]. Ma Rabbi Ismael non lo permise [xvii].

Salvo errori, questo (insieme a quello seguente, di contenuto analogo) è l’unico passo del Talmud nel quale compare il nome completo Gesù ben Pandira. Alla luce del noto passo di Origene nel Contra Celsum [xviii], non sembrano sussistere dubbi che si parli di Gesù di Nazareth, che qui è identificato come capo di eretici (Minim; vedi oltre). Giacomo il Giusto (Yakov) “fratello del Signore” fu il primo capo della comunità cristiana di Gerusalemme; non si conoscono sue relazioni con i villaggi di Sechania o Kfar Sama, per altro di incerta identificazione, per cui l’accostamento, che risulta spontaneo, tra i due personaggi, deve rimanere in dubbio; ciò è corroborato dal fatto che Rabbi Ismael visse intorno alla prima metà del II secolo, per cui i due non furono contemporanei. L’accuratezza cronologica dei racconti talmudici è peraltro quasi nulla.



UN MEDICO CRISTIANO

Jerusalem Shabbat 14 d

Al nipote di Rabbi Yehoshua ben Levi si era infilato qualcosa in gola. Venne un uomo e gli sussurrò qualcosa nel nome di Gesù Pandera ed egli guarì. Quando il dottore uscì, Rabbi Yehoshua gli chiese: “Cosa gli hai bisbigliato?” Quello rispose: “Una certa parola”. Yehoshua disse: “Sarebbe stato meglio per lui che fosse morto, piuttosto che questo”.

Il passo, di contenuto analogo al precedente, se non per la guarigione del malato, è però situato in un’epoca posteriore, poiché Rabbi Yehoshua visse a Lud nella seconda metà del III secolo. La formula autocensoria “Una certa parola”, che ricorda il “Una certa persona” dei passi precedenti, fa pensare che la formula magica di guarigione usata dal “medico” consistesse o quanto meno contenesse il nome stesso di Gesù.
E’ interessante notare che, come Gesù ben Pandira, anche i suoi seguaci sono dai rabbini accreditati di capacità magiche. Altrettanto interessante e palese il collegamento con il modo di operare miracoli dei dodici dopo la Pentecoste, secondo Atti, ove viene sempre ricordato che essi agiscono nel nome di Gesù. Si veda ad esempio: Atti 3:6 Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» e l’episodio contemporaneo a Gesù secondo Marco 9:38-9 Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.>>






LA MALEDIZIONE CONTRO GLI ERETICI

Jerusalem Berakoth 28 b-29 a [xix]

Rabban Gamaliel disse ai saggi: “C’è qualcuno che sa comporre una benedizione [xx] contro gli eretici?” Samuele il Piccolo si alzò e la compose. L’anno successivo, però, se la dimenticò e cercò di ricordarla per due e anche tre ore, e i Rabbi non lo richiamarono dal pulpito. Perché non lo richiamarono? Perché Rabbi Yehuda disse che Rab disse: “Se qualcuno fa un errore in tutte le benedizioni, non lo richiamano; ma se sbaglia nella benedizione contro gli eretici, lo richiamano.” Infatti, sospettano che sia un eretico. Con Samuele il Piccolo fu diverso, perché egli le aveva composte e si pensò che se le sarebbe ricordate.


Nella Geniza del Cairo si trova la seguente versione della “benedizione” contro i Minim: “Che gli apostati non abbiano speranza a meno che non ritornino alla Tua Legge e che i Nazareni e gli eretici scompaiano in un momento. Che siano cancellati dal libro della vita e non siano annoverati tra i giusti.” Questa versione potrebbe essere vicina all’originale; tuttavia è da notare che in essa Nazareni e Minim sono menzionati separatamente, per cui non appare del tutto pacifico che il temine “minim” significhi automaticamente “cristiani”. Tuttavia, alla luce della tecnica letteraria del parallelismo, usuale nelle scritture ebraiche, non si può a mio avviso neppure escludere che Nazareni e Minim siano soltanto diverse designazioni di uno stesso gruppo di settari.
La funzione della “benedizione” potrebbe anche essere quella di scoprire tra gli uditori delle prediche nella sinagoga quelli di sentimenti giudeo-cristiani per costringerli ad allontanarsi; come sarebbe accaduto a Samuele il Piccolo, se non fosse stato proprio lui l’autore della “benedizione”. L’episodio è collocabile cronologicamente intorno alla fine del I secolo a Javnehh, sotto la direzione del patriarca Gamaliele II, anche se Rab fu allievo di Rabbi Yehuda, nipote di Gamaliele. Per quanto non sia certo che i Minim dell’epoca siano i giudeo-cristiani, ciò è comunque molto probabile e la testimonianza del Talmud riflette un momento molto antico del contrasto tra giudaismo rabbinico e nascente cristianesimo palestinese.



MONOTEISMO - IL FIGLIO DELLA PROSTITUTA

Pesikta Rabbati 21 100b [xxi]

Rabbi Hija bar Abba disse: “Se il figlio della prostituta vi dirà ‘Ci sono due Dei’ ditegli: ‘Io sono Colui del Mar Rosso; Io sono Colui del Sinai”; Rabbi Hija bar Abba disse: “Se il figlio della prostituta vi dirà ‘Ci sono due Dei’ ditegli: ‘Faccia a faccia il Signore parlò con voi’ ”.

Rabbi Hija bar Abba, discepolo di Rabbi Jochanan, visse tra la fine del II e l’inizio del III secolo; il detto che è riportato fa dunque parte di una sua predicazione anticristiana, in epoca già abbastanza tarda. Come è noto, Io sono non è altro che il nome di Dio (Jahvé [xxii]), mentre la seconda citazione è tratta da Deuteronomio 5:4. Può essere però interessante notare che la polemica rabbinica è qui rivolta alla divinizzazione della figura di Gesù, senza che si faccia allusione alcuna ad una possibile cristologia trinitaria. L’espressione “figlio della prostituta” dovrebbe essere comunque uno degli elementi portanti ed originari della diatriba giudaico-cristiana, essendo citata anche da Tertulliano nel “De spectaculis” (vedi sotto).


UN GIUDICE CRISTIANO

Shabbath 116 a-b

Imma Shalom era moglie di Rabbi Eliezer e sorella di Rabbi Gamaliele. C’era nel loro vicinato un “filosofo” che era noto per non accettare donativi. Cercarono di metterlo in ridicolo. Ella gli mandò una lampada dorata. Andarono poi davanti a lui ed ella disse: “Desidero che dividano con me la proprietà della casa delle donne”. Egli disse: “Sia divisa”. Essi dissero: “Per noi, sta scritto: Dove c’è un figlio, la figlia non erediterà”. Egli rispose: “Dal giorno in cui siete stati esiliati dalla vostra terra, la legge di Mosè è stata abrogata ed è stata data la legge del Vangelo, ed in essa è scritto: Un figlio e una figlia erediteranno alla stessa maniera.” Il giorno successivo, Gamaliele gli mandò a sua volta un asino della Libia. Il giudice disse allora: “Ho guardato fino alla fine del libro ed in esso sta scritto: Non sono venuto per togliere la legge di Mosè, né per aggiungervi nulla; e nella legge di Mosè sta scritto: dove c’è un figlio, la figlia non erediterà.” Ella gli disse: “Che la tua luce risplenda come una lampada”, ma Rabbi Gamaliele disse: “L’asino è venuto e ha calpestato la lampada”.


L’episodio appare soltanto nella Gemara babilonese e, almeno nella versione corrente, non sembra né storico né plausibile. I personaggi appartengono ad un’epoca anteriore alla rivolta di Bar Kochba e all’epoca difficilmente vi poteva essere un giudice di confessione cristiana e soprattutto che giudicasse secondo i precetti dei vangeli. D’altra parte, non esiste, nei vangeli come ci sono conservati, una sentenza simile a quella citata dal giudice; vi può essere al massimo un richiamo generico al messaggio evangelico di uguaglianza e pari dignità dell’uomo, mentre nella seconda sentenza pare di poter vedere un riferimento esplicito al noto passo di Matteo 5:17-18: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto”.
Ulteriore difficoltà è data dall’espressione usata dal giudice “Dal giorno in cui siete stati esiliati dalla vostra terra”, che è di problematica collocazione e comunque del tutto inattuale prima dell’ultima guerra giudaica al tempo di Adriano; poiché Gamaliele II ed Eliezer vissero a Javneh, in Palestina, l’esperienza dell’esilio fu loro estranea. La storia può invece essere nata in ambiente più tardo babilonese, o, a mio parere più credibilmente, riflettere situazioni proprie del primo medioevo europeo.
La componente più intrigante del brano è invece il riferimento all’asino scelto quale dono e la frase, forse proverbiale, che chiude la disputa, che potrebbe nascondere un allusione dispregiativa allo stesso Gesù, forse rintracciabile in altri passi del Talmud [xxiii]. Si può anche connettere a questa tematica il noto graffito ritrovato a Roma negli scavi sul Palatino, nel quale probabilmente dobbiamo riconoscere un Cristo crocefisso con la testa d’asino (vedi immagine).


Inserisco questo passo quale ultimo tra gli esempi selezionati proprio perché mi sembra paradigmatico della scarsa o nulla attendibilità storica del Talmud per quanto riguarda la figura di Gesù e le origini cristiane. In tutti i passaggi che abbiamo esaminato, tradizioni e ricordi di una relativa antichità (ma mai contemporanei agli eventi) sono frammisti ad episodi e considerazioni che risalgono a varie epoche, dal tardo impero romano al medioevo, e non hanno mai dunque valore di fonte primaria.




CONCLUSIONI

La principale raccolta della Mishnah risale all’opera di Rabbi Yehuda I (detto Il Principe), collocabile verso la fine del II secolo. La Gemara, essendo spiegazione e commento della Mishnah, è ovviamente successiva. Considerato che solo uno dei passi citati (Il figlio illegittimo) è tratto dalla Mishnah, risulta subito evidente la distanza cronologica tra i fatti narrati e la stesura dei testi.
Tuttavia, se da una parte siamo colpiti dalla scarsità, indeterminatezza ed imprecisione delle testimonianze talmudiche relative alle origine cristiane, dobbiamo comunque ricordare che il cristianesimo, secondo tutte le fonti interne, nacque come corrente del giudaismo rabbinico e, quanto meno per un centinaio di anni [xxiv], si sviluppò in un continuo rapporto interno, seppur polemico, con la religione ufficiale. E’ ad esempio evidente che il noto episodio detto “delle guardie subornate” [xxv] non è probabilmente altro che una giustificazione a posteriori che Matteo inserisce per screditare e confutare le voci diffamatorie che dovevano correre in ambiente giudaico; non è un caso che Matteo, l’unico che riferisce l’episodio, sia il vangelo giudaico-cristiano per eccellenza e quello più interessato alla polemica antifarisaica. Numerosi passi dei vangeli non sembrano altro che una profezia post eventum di una persecuzione (o quanto meno una emarginazione) della nascente comunità cristiana da parte delle autorità religiose e civile giudaiche. [xxvi] Non si può quindi pensare che i dotti ebraici abbiano avuto così scarso interesse e mancanza di notizie sulla storia di Gesù e dei suoi primi seguaci. Siamo probabilmente invece di fronte ad un fenomeno di rimozione, quale è anche evidenziato nel finale della Toledoth, nella quale l’allontanamento dei cristiani dall’ebraismo è presentato come conforme alla volontà delle autorità religiose giudaiche. A ciò bisogna aggiungere che certamente i rabbini non si sentivano sicuri nell’esprimere pubblicamente le proprie opinioni sul ruolo eretico e distruttivo di Gesù, poiché le persecuzioni antiebraiche cominciarono ben presto, subito dopo che, con Costantino, il cristianesimo divenne religio licita ed ancor più sotto la dinastia di Teodosio. Nell’attuale situazione dei testi, non vi è in realtà alcuna certezza che essi fossero originariamente riferiti a Gesù. Quanti “falsi profeti” contò infatti in quegli anni Israele? [xxvii] I passaggi citati, cioè, potevano in realtà narrare altri fatti e riferirsi ad altri personaggi: un certo Gesù (nome abbastanza comune), un certo Ben Stada, un certo Ben Pandira. In queste narrazioni, incentrate intorno a diversi personaggi di quel nome, furono forse successivamente inseriti, con intenti polemici, superficiali accostamenti alla figura di Gesù come si trovò descritta nelle fonti cristiane; tale interpretazione, tra l’altro, potrebbe dar conto delle numerose incongruenze temporali che abbiamo ritrovato nei passi talmudici.
E’ però possibile ricostruire, connettendo gli episodi e ricercandone gli elementi comuni, i caratteri probabilmente originari della polemica giudaica contro il Cristo e i suoi seguaci: la nascita illegittima da una donna di malaffare , la capacità di compiere prodigi acquisita grazie alla magia egiziana, l’aver tratto in errore Israele e la blasfemia, non ultimo la morte ignominiosa (lapidato e poi appeso). Sono tutti tratti narrativi che si ritrovano peraltro, già in età antica, mirabilmente compendiati nei seguenti passi di Origene e Tertulliano:
ORIGENE: CONTRO CELSO, libro I:
28. Poiché [Celso] immagina un giudeo discutere con Gesù e confutarLo, a suo avviso, su molti punti; e in primo luogo lo accusa di aver inventato la sua nascita da una vergine e gli rinfaccia di essere nato in un certo villaggio dei Giudei, da una povera donna di campagna che campava filando e che fu cacciata di casa da suo marito, di professione falegname, perché era stata trovata colpevole di adulterio [xxviii]; che dopo essere stata cacciata dal marito ed essere andata vagando per un certo tempo, con disonore partorì Gesù, un figlio illegittimo, il quale si recò a fare il servo in Egitto a causa della sua povertà, ed avendo lì acquisito alcuni dei poteri magici di cui gli Egiziani tanto si gloriano, tornò nel suo paese, esaltato per queste abilità e grazie ad esse si proclamò Dio.
TERTULLIANO: DE SPECTACULIS, cap. XXX:
6. Ecco, dirò, quel figlio di un fabbro e di una prostituta, distruttore del Sabato, eretico [xxviii] e indemoniato; ecco quello che acquistaste da Giuda, che con canne e pugni percuoteste, con sputi decoraste, cui deste da bere aceto e fiele; ecco quello che i discepoli di nascosto sottrassero perché si dicesse che era risorto o l’ortolano spostò perché la folla dei visitatori non gli rovinasse le verdure [xxix].




[i] Il Seder Mo’ed si occupa di feste, il trattato Shabbath del sabato.
[ii] Il Seder Nezigin si occupa dei danni; il trattato Sanhedrin delle leggi penali e corti di giustizia.
[iii] Maria madre di Gesù, nella tradizione giudaica più antica, testimoniata da Origene nel suo Contro Celso, doveva invece essere una filatrice (vedi sotto). Pumbeditha è un'accademia rabbinica nei pressi di Babilonia; la spiegazione proposta è quindi tarda; è d'altronde evidente che si tratta qui di giochi linguistici che tentano di spiegare nomi ed allusioni non più comprese all'epoca della redazione.
[iv] Il trattato Hagigah è contenuto nel Seder Mo’ed e si occupa dei pellegrinaggi a Gerusalemme.
[v] La Tosafoth è un commento al talmud di epoca medievale.
[vi] Il Seder Nashim si occupa delle donne; il trattato Jevamoth del levirato.
[vii] Il trattato Sotah, che si trova nel Seder Nashim, si occupa delle “donne sospette” cfr. Numeri 5:11
[viii] Secondo altre versioni, Alessandro Ianneo (figlio di Giovanni Ircano), come nella Toledoth.
[ix] Il taanith, nono trattato del Seder Mo’ed è dedicato al digiuno.
[x] Il passo è riferito ai metodi ammissibili per provare l’accusa di idolatria.
[xi] In particolare, la versione talmudica corrisponderebbe con la cronologia giovannea, che, come è noto, differisce da quella sinottica; il che confermerebbe che la cronologia sinottica può essere esatta solo nel caso che il processo e la condanna di Gesù siano avvenute ad opera esclusiva dei romani, non potendosi dare un’esecuzione giudaica nel giorno di Pasqua.
[xii] Tutto il passo è espunto nei manoscritti più recenti, il che non fa che confermare che il Yeshu cui si riferisce non è altri che Gesù di Nazareth.
[xiii] Sua è la famosa profezia “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24:17), successivamente intesa in senso messianico.
[xiv] Salmi 41:3
[xv] Salmi 40:6
[xvi] La Tosephta è una collezione di Baraitoth, ossia insegnamenti omessi nella Mishnah stabilita da Rabbi Giuda I, il Principe; Chullin o Hullin ( cose impure) è invece uno dei 12 trattati del Seder Qodashim, cioè delle cose sacre.
[xvii] La Avodah Zarah 27 b commenta: Un uomo non deve avere rapporti con gli eretici, né farsi curare da loro neppure per un’ora di vita.
[xviii] Quando fu incinta, fu cacciata dal falegname cui era stata promessa, essendo stata trovata colpevole di adulterio, e partorì un figlio ad un soldato di nome Pantera. (Contra Celsum I, 32)
[xix] Il trattato Berakoth (benedizioni e preghiere) è il primo del Seder Zera’im (Raccolto).
[xx] Il termine “benedizione” può significare anche “maledizione”. Gli eretici sono i “Minim”, ossia gli ebrei colpevoli di “Minuth” (= eresia); il termine non è riferibile soltanto ai giudeo-cristiani, ma certamente li comprende.
[xxi] La Pesikta Rabbati è in realtà una compilazione di Midrash, ossia interpretazioni della Torah, di redazione molto tarda (circa VII-VIII secolo) , ma che può ovviamente conservare materiale più antico.
[xxii] Si veda Esodo 3:14 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi».
[xxiii] In Qohelet Rabba 1.8 si legge, in connessione ai Minim di Cafarnao, il detto di Rabbi Yehoshua: “Da quando quell’asino maligno si è rivoltato contro di te, non puoi più abitare la terra di Israele”.
[xxiv] Ossia sino a quando la componente di origine gentile non divenne predominante.
[xxv] Mt 27:63 e segg.
[xxvi] Si pensi ad es. a Mt 10:17, Gv 9:22 e 16:2 ed a tutti gli episodi narrati da Atti, in riferimento a Pietro, Stefano, Paolo, che attuano e concretizzano tali profezie; pare peraltro accertato che, durante la rivolta di Bar Kochba ci sia stata una vera e propria persecuzione dei cristiani.
[xxvii] Solo in Atti ne troviamo citati tre: Giuda il Galileo, Teuda, il falso profeta egiziano.
[xxviii bis] Molto acutamente, John P. Meier, nel primo volume del suo epocale studio sul "Gesù storico" (A marginal Jew, in tre volumi, in italiano da Queriniana), si interroga sul problema su quale delle due sia la tradizione originale e che genera l'altra: se quella cristiana, esposta nei racconti dell'infanzia di Matteo e Luca, della nascita virginale di Gesù o quella giudaica del "figlio della prostituta", optando, a mio parere in maniera obiettiva, per la prima delle due ipotesi.
[xxviii] Propriamente “Samaritano”.
[xxix] Precisissimo, in questo accenno, il parallelo con il finale della Toledoth – e anche del Vangelo di Giovanni, in cui Maria Maddalena dice a quello che crede il giardiniere: Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». (GV 20:15).

“Christianity in Talmud and Midrash” di R. Travers Herford[/size]








Edited by barionu - 5/1/2022, 16:23
 
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