Origini delle Religioni

TESTIMONIUM FLAVIANUM

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CAT_IMG Posted on 30/11/2016, 14:03
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Versione araba

http://khazarzar.skeptik.net/books/pines01.pdf


https://it.wikipedia.org/wiki/Shlomo_Pines

Nel giovane Stato di Israele, Pines divenne professore nel Dipartimento del Pensiero ebraico ed in quello di Filosofia dell'Università Ebraica di Gerusalemme dal 1952 fino alla morte nel 1990.

Nel 1971 scoprì una versione araba del X secolo del Testimonium Flavianum di Flavio Giuseppe attribuito ad Agapio di Ierapoli.[3][4] Pines scoprì anche una versione siriaca del XII secolo di Flavio Giuseppe attribuita a Michele il Siro.[4]



http://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=22522321


Quando la stessa Frances di CP ...


Il ritardo nel considerarla interpolata ci è stato. Ciò è accaduto perché dopo Schlomo Pines, l'editore della versione araba, nessuno studioso se ne è interessato.

Io ho letto il libro di Pines e in molti punti l'autore ricava delle conclusioni insostenibili.

Gli altri studiosi che si occupano della ricerca del Gesù storico, in genere riportano 2 frasette pidocchiose, senza chiedersi il perché questa versione sia stata interpolata e in quale contesto.

Lo stesso misero trattamento è riservato alla versione in russo antico, per la quale tutti gli studiosi parlano per sentito dire,

Se poi si pensa che in lingua italiana su queste tematiche non si pubblica mai niente, è facile intuire in quale stato versi la ricerca biblica italiana.










tito gobbi in



Edited by barionu - 9/2/2021, 09:52
 
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CAT_IMG Posted on 13/7/2018, 09:51
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CITAZIONE (roxi @ 4/11/2016, 08:32) 
Per quanto riguarda TF, vi ricordo questo anche mio vecchi post qui

#entry583828747

su un studio pubblicato da Paul Hopper, A Narrative Anomaly in Josephus: Jewish Antiquities xviii:63.

Riporto solo un paio di osservazioni rilevanti:

CITAZIONE
Si suggerisce che il passaggio di Gesù è vicino per stile e contenuto ai credi che sono stati composti due o tre secoli dopo Giuseppe Flavio.

La grammatica narrativa del Testimonium Flavianum lo separa bruscamente dalle altre storie di Giuseppe sulla procura di Ponzio Pilato. La spiegazione più probabile è che l'intero passaggio è interpolato, presumibilmente da cristiani imbarazzati* dalla ignoranza manifesta di Giuseppe circa la vita ella morte di Gesù.

° Leggi: Eusebio, il primo che fa menzione del TF.

Qualcuno ha ancora dubbi sull’autore del Tf e sul perché venne “inventato”? -_-

A proposito di Hopper, così un commentatore di nome Mike su Vridar fa un paio di perspicaci osservazioni circa Flavio Giuseppe:



Dubito di essere il primo a cercare di collegare questi punti qui o altrove, ma qui va. Sono a conoscenza dell'analisi di Hopper secondo cui l'intero paragrafo di Gesù è fabbricato sebbene io sia curioso del fatto che abbia apparentemente scelto (in base a riferimenti in altri post) di ritirare il suo articolo dalla pubblica visione, a meno che non sia a conoscenza di sviluppi successivi. Forse si è stancato di essere attaccato?
Riguardo alla tesi secondo cui Flavio Giuseppe disse qualcosa sui cristiani, ecco i punti.

1) Perché Giuseppe Flavio disse poco di loro se

2) dato che aveva dimostrato interesse per Pilato ed estremo interesse per Erode e

3) in base al suo estremo interesse nell'elencare i molti crimini di Erode perché non collegò Gesù ad Erode dato che Erode a quanto pare prese di mira un'intera area per eliminare il Messia uccidendo bambini che è almeno alla pari con i suoi altri crimini

4) specialmente dato che Luca dice che Gesù fu immediatamente portato al Tempio e dichiarato pubblicamente il Messia

So che quanto sopra complica le già drastiche differenze tra Luca e Matteo riguardo a cosa sia successo dopo la nascita. In Matteo fuggono dall'ira di Erode riparando in Egitto e rimangono lì fino alla morte di Erode. In Luca vanno al Tempio e poi a Nazaret, dove vivono, apparentemente non temendo nulla da Erode PERFINO DOPO che Gesù viene pubblicamente dichiarato il Messia. La mia conclusione è inevitabilmente che quelle storie per le ragioni già citate avrebbero interessato Flavio Giuseppe e, per via del suo interesse per Erode, lui avrebbe scritto su di loro anche se solo per ridimensionarle, SE EGLI AVESSE SENTITO QUELLE STORIE. Sicuramente avrebbe scritto del massacro di Betlemme se fosse accaduto (ed Erode non sarebbe stato in grado di mantenere celato qualcosa di simile), ma il massacro degli innocenti è notoriamente assente dalle accuse contro Erode.
Sappiamo inoltre che l'autore di Matteo sta tentando di convertire gli ebrei e collega implicitamente la storia di Gesù alla storia di Mosè che include anche un massacro di innocenti/una fuga in Egitto. Quindi, in conclusione, penso che il paragrafo sia interamente una falsificazione, sia che tu vada da Marco, da Luca o Matteo. Aspettarsi che uno storico importante ignori proprio gli indizi maggiori è fin troppo, in particolare per quanto riguarda Erode. Se Flavio Giuseppe ha avuto contatti con i cristiani, certamente suggerisce che Luca o Matteo o le loro “storie fondative” non esistevano ancora. Se come in Luca Gesù fu dichiarato pubblicamente il Messia al Tempio, Erode ne avrebbe sentito parlare (non fa nulla). Se come in Matteo, Erode viene avvertito in anticipo della nascita del Messia e uccide un gruppo di bambini per prevenirlo, che anche non avrebbe potuto sfuggire all'attenzione di Flavio Giuseppe (il cui stesso padre era un sacerdote). Come è ovvio, le storie di Luca e Matteo non possono essere entrambe vere, l'una o l'altra deve essere falsa, e il Jesus Seminar ha deciso che erano entrambe fabbricate per coinvolgere differenti uditori.

 
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CAT_IMG Posted on 16/7/2018, 09:22
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Se Gesù fosse esistito, Giuseppe Flavio l'avrebbe dipinto non diversamente da Giovanni di Giscala, unico personaggio storico ad aver compiuto quello che I Vangeli attribuiscono a Gesu.

Per Giuseppe Flavio inoltre,un uomo che si spaccia per Dio è un concetto ineccepibile, una bestemmia già di per se sufficiente, per istigarlo a dipingere Gesù in maniera negativa.
Il fatto che riuniva le masse al di fuori del tempio, un reato che minava la sicurezza nazionale, poteva essere taciuto da Giuseppe? NO!

Il fatto che occupò il tempio da impuro, poteva essere taciuto da Giuseppe? NO!

Il fatto che fece il suo Ingresso trionfale a Gerusalemme, poteva essere taciuto? NO!

Il fatto che Gesù taglieggiava I campi di grano di Sabato, non rispettando questo giorno, come giorno di riposo, poteva essere taciuto? No!

La cacciata dei mercanti dal tempio, poteva essere taciuto, visto che di fatto avrebbe bloccato I riti sacrificali del tempio? No!

Se queste sono tutte le cose che Giuseppe Flavio ha minuziosamente riportato nelle sue opere, parlando di altre persone, come mai non l'ha fatto per Gesù?

Il fatto che poi Gesù sia morto, non liberando la popolazione dagli oppressori romani, oltre al fatto che assieme a lui morirono e furono perseguitati I suoi seguaci, doveva essere sicuramente menzionato da Giuseppe Flavio, ma non positivamente così come oggi appare, anzi...! Se Gesù fosse esistito e fosse veramente morto in croce, Giuseppe non avrebbe tardato a dipingerlo come gli altri sedicenti messia, " falsi e bugiardi che avevano promesso la salvezza" ma che invece trovarono la morte, assieme ai loro seguaci!

Edited by Baphomet - 16/7/2018, 10:43
 
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CAT_IMG Posted on 16/7/2018, 10:49
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Sebbene tempo fa Haviland postò uno specchietto dove dimostrava, passo per passo, che quello che oggi appare nelle opere di G.F. inerenti a Gesù, altro non erano parole scritte altrove dal falsario Eusebio di Cesarea alias Esegippo, adesso vorrei invece farvi riflettere su uno dei tanti passi scritti da G.F., riferiti a Giovanni di Giscala.

Riporto in seguito alla sua occupazione del Tempio, la sospensione dei riti sacrificali, atti che I Vangeli attribuiscono a Gesu:

Libro VI:99 Allora Giuseppe esplose: “Veramente pura hai conservato la città per il Dio, e intatto rimane il
tempio, e nessuna offesa hai arrecato a colui che speri di aver alleato, ed egli riceve le consuete offerte!
Libro VI:100 Se a te, maledetto empio, qualcuno togliesse il tuo cibo quotidiano, tu lo giudicheresti un nemico:
come puoi illuderti di avere dalla tua parte nella guerra colui che hai privato del culto che durava da sempre?
Libro VI:101 E attribuirai le tue colpe ai romani, che finora si son dati cura delle nostre leggi e cercano di
restaurare per il Dio i riti sacrificali interrotti per causa tua?
Libro VI:102 Chi non compiangerebbe amaramente la città per lo strano capovolgimento subito, dato che degli
stranieri, e per di più nemici, si preoccupano di mettere riparo alla tua empietà, mentre tu, che sei un giudeo e
sei stato educato all'osservanza delle nostre leggi, le offendi assai più gravemente di loro?


Notate I termini che usa Giuseppe nei Confronti di Giovanni:"MALEDETTO EMPIO"!

Questo è soltanto uno dei tantissimi esempi che posso fare, per dimostrare che se Gesu fosse realmente esistito e avesse davvero fatto quello che descrivono vangeli, questi sarebbero I termini con cui Giuseppe flavio lo avrebbe dipinto!

Inoltre va considerato il fatto che Gesù era contro la classe sacerdotale e I farisei,e I farisei erano contro Gesù, come può mai un farisei discendente da sacerdoti farisei come a Giuseppe Flavio, scrivere positivamente di Gesù?

Non solo, se prendiamo le più antiche fonti storiche, non mi risulta che qualcuno parli positivante dei Cristiani e di Cristo!
Con questo dico che le parentesi positive di Giuseppe Flavio sono delle note fuori contesto, non allineate a tutti le altre fonti storiche che parlano negativamente di Cristo e dei Cristiani.

Edited by Baphomet - 26/7/2018, 06:13
 
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CAT_IMG Posted on 22/7/2018, 13:48
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La cosa sorprendente è che Flavio Giuseppe disponeva di una memoria di ferro...

flavio%2Bgiuseppe%252C%2Bvita

Eppure nulla. Non menzionò mai Gesù di Nazaret.
 
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CAT_IMG Posted on 9/2/2021, 09:46
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REPLAY DA UN ALTRO FORUM .

Veramente non capisco perchè a CE questo topic sia stato eliminato ! :cry:



!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!


JEHOUDDA




Ovvero, chi era veramente Gesù Cristo ?


Per proseguire l' analisi storica devo citare un post del mio amico Jehoudda , da :

http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=66146102




Questo intervento vuole essere come indicato nel titolo un tentativo, ovviamente congetturale, di riconciliare il Testimonium Flavianum e la cosiddetta "ipotesi zelota", attraverso una lettura/interpretazione diversa del primo realizzata in una rilettura delle origini del cristianesimo altrettanto diversa in quanto specificamente improntata all'assunzione di una iniziale e totale dominante "messianista" ebraica nel suo "genoma costitutivo".


(da questo momento, pertanto, utilizzerò la nomenclatura "ipotesi messianista" in luogo di "ipotesi zelota", intanto perchè mi sembra più appropriata, anche alla luce di una rigorosa, ma i cui risultati sono stati forse un po' strumentalmente orientati, analisi semantica fatta a suo tempo sui testi di FG, che ha messo in luce una probabile tardiva apparizione degli Zeloti tout court nel quadro delle complesse vicende che ebbero luogo nella Palestina del 1 secolo).


Si tratta, ripeto, di un tentativo assolutamente congetturale, che non ha la pretesa di stabilire verità storiografiche inappellabili, ma che al contrario, nella sua ipoteticità e nella sua ricerca di plausibilità, vuole eventualmente porre in discussione altre conclusioni storiografiche, oggi ancora decisamente maggioritarie, che al sottoscritto continuano ad apparire molto meno solide negli assunti e nelle risultanze di quanto comunemente si creda e si dia a credere.


Mi scuso quindi anticipatamente per la inevitabile serie di difetti formali e sostanziali che essa contiene (ne vedo già io ma tenderò per quanto mi sarà possibile a correggerli e/o eliminarli "via facendo", anche grazie ad eventuali critiche che qualche utente interessato vorrà portare).
Lo studio e l'analisi delle origini del cristianesimo presentano un grado di complessità enorme che non facilitano il compito di chi, da non specialista, voglia tentare di discutere e confrontarsi.

Ritengo opportuno prima di esprimere questa mia personale visione, proporre quello che dovrebbe essere l'articolo più recente pubblicato da un grande specialista quale Louis Feldman in merito al TF.
Si tratta di un articolo inserito nel volume New Perspectives on Jewish-Christian Relations di Elisheva Carlebach e Jacob J. Schacter Brill 2011, articolo che è integralmente consultabile in anteprima google qui
http://books.google.it/books?id=E90FkMEurO...OSEPHUS&f=false

Trovo che sia molto interessante, sia per la sintesi che offre sulla questione tuttora aperta del TF, sia perchè contiene, a mio modo di vedere, alcuni spunti originali e sorprendenti, anche in riferimento a posizioni precedenti dell'autore.
Non è mia intenzione peraltro assumere le potenziali conclusioni dell'autore, quanto invece prendere spunto da alcuni suoi elementi per ipotizzare un possibile approccio alternativo che potrebbe inserire il TF in un quadro "eretico" rappresentato dall' "ipotesi messianista" di cui sopra.

Lo propongo in traduzione (non tutti giustamente possono leggerlo in lingua originale)
Senza intenzione di appesantirlo ho provveduto ad integrare le note all'interno del testo (il diverso'editing del forum lo rendeva necessario). Ho anche aggiunto[/color] in rosso , laddove possibile, i link che rimandano ai testi moderni referenziati da Feldman, nonchè alcuni testi originali greci e latini citati, per una maggiore completezza e migliore fruibilità diretta.
Ho preferito in alcuni casi lasciare dei termini in inglese (in parallelo o non) alla traduzione italiana in considerazione del fatto che la traduzione avrebbe rischiato in ogni caso di offuscare le importanti sfumature che l'autore intendeva dare con la sua esposizione.



ON THE AUTHENTICITY OF THE TESTIMONIUM FLAVIANUM ATTRIBUTED TO JOSEPHUS
Louis H. Feldman*


* Sono grato a Gary Goldberg, Steve Mason, John P. Meier, e Alice Whealey per i numerosi eccellenti suggerimenti che mi hanno dato durante al stesura di questo aticolo.


Molto è stato scritto a proposito di due brevi paragrafi negli scritti di Flavio Giuseppe.
Antichità 18.63-64, che contengono i commenti su Gesù, più di quanto si sia fatto per ogni altra parte dei suoi lavori. Il testo del TF, così come è conosciuto recita come segue:

Γίνεται δὲ κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον ᾿Ιησοῦς σοφὸς ἀνήρ, εἴγε ἄνδρα αὐτὸν
λέγειν χρή. ἦν γὰρ παραδόξων ἔργων ποιητής, διδάσκαλος ἀνθρώπων
τῶν ἠδονῇ τἀληθῆ δεχομένων, καὶ πολλοὺς μὲν ᾿Ιουδαίους, πολλοὺς δὲ
καὶ τοῦ ῾Ελληνικοῦ ἐπηγάγετο• ὁ χριστὸς οὗτος ἦν. καὶ αὐτὸν ἐνδείξει
τῶν πρώτων ἀνδρῶν παρ᾿ ἡμῖν σταυρῷ ἐπιτετιμηκότος Πιλάτου οὐκ
ἐπαύσαντο οἱ τὸ πρῶτον ἀγαπήσαντες• ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων
ἡμέραν πάλιν ζῶν τῶν θείων προφητῶν ταῦτά τε καὶ ἄλλα μυρία περὶ
αὐτοῦ θαυμάσια εἰρηκότων. εἰς ἔτι τε νῦν τῶν Χριστιανῶν ἀπὸ τοῦδε
ὠνομασμένον οὐκ ἐπέλιπε τὸ φῦλον.


About this time, there lived Jesus, a wise man, if indeed one ought
to call him a man. For he was one who wrought surprising feats and
was a teacher of such people as accept the truth gladly. He won over
many Jews and many of the Greeks. He was the Messiah. When Pilate,
upon hearing him accused by men of the highest standing amongst us,
had condemned him to be crucified, those who had in the first place
come to love him did not give up their affection for him. On the third
day, he appeared to them restored to life, for the prophets of God had
prophesied these and countless other marvelous things about him. And
the tribe of the Christians, so called after him, has still to this day not
disappeared.



Nel mio Josephus and Modern Scholarship, 1937-1980, menziono 87 articoli che discutono questo passaggio nel periodo dal 1937 al 1980, la grande maggioranza dei quali si interroga sulla autenticità integrale o parziale di questi paragrafi. [ Louis H. Feldman, Josephus and Modern Scholarship, 1937-1980 (Berlin, 1984), 680-684]

In un articolo su questo argomento scritto dieci anni fa, James Carleton Paget analizza 97 fra libri e articoli.
[ James N. B. Carleton Paget, "Some Observations on Josephus and Christianity," Journal of Theological Studies 52 (2001): 539-624.
link anteprima google articolo http://books.google.it/books?id=AFLJ682D9Q...y%2C%22&f=false]

Alice Whealey ha scritto un intero volume su questo argomento, e nella sua bibliografia elenca 150 fra libri ed articoli. [Alice Whealey, Josephus on Jesus: The Testimonium Flavianum Controversy from Late Antiquity to Modern Times (New York, 2003].

La questione non è stata ancora definitivamente sviscerata.
La prima persona, fra gli scrittori la cui opera è sopravvissuta, che abbia citato il TF è il padre della Chiesa del primo 4 sec. Eusebio che si serve della fonte in tre dei suoi lavori: Demonstratio evangelica, Historia ecclesiastica, e Theophania.

Demonstratio evangelica (Bk. III.2.102-5.124) and in Theophania (Bk. V.1-45)

Comment of Eusebius in Demonstratio evangelica (Bk III.5.124-125):
“If, then, even the historian's evidence shews that He attracted to Himself not only the twelve Apostles, nor the seventy disciples, but had in addition many Jews and Greeks. He must evidently have had some extraordinary power beyond that of other men. For how otherwise could He have attracted many Jews and Greeks, except by wonderful miracles and unheard-of teaching? And the evidence of the Acts of the Apostles goes to shew that there were many myriads of Jews who believed Him to be the Christ of God foretold by the prophets. And history also assures us that there was a very important Christian Church in Jerusalem, composed of Jews, which existed until the siege of the city under Hadrian. The bishops, too, who stand first in the line of succession there are said to have been Jews, whose names are still remembered by (125) the inhabitants. So that thus the whole slander against His disciples is destroyed, when by their evidence, and apart also from their evidence, it has to be confessed that many myriads of Jews and Greeks were brought under His yoke by Jesus the Christ of God through the miracles that He performed.”


Comment of Eusebius in Theophania (Bk. V.45):
“If therefore, as (this) author attests of Him, He was the doer of wonderful works, and that He made His Disciples,--not only the twelve Apostles, or the seventy Disciples, but also attached to Himself,--myriads of others both of the Jews and Gentiles; it is clear, that He possessed something excellent beyond the rest of mankind. For, How could He have otherwise attached to Himself the many, both of the Jews and Gentiles, unless He had made use of miracles and astonishing deeds, and of doctrines (till then) unknown? The Book of the Acts of the Apostles also attests, that there were many thousands of the Jews, who were persuaded that He was that Christ of God, who had been preached of by the Prophets. It is also on record, that there was a great Church of Christ at Jerusalem; which had been collected from among the Jews, even to the times of its reduction by Hadrian. The first Bishops too who were there, are said to have been, one after another, fifteen (in number), who were Jews; the names of whom are published to the men of that place, even until now. So that by these, every accusation against the Disciples may be undone; since, what was prior to them, and independent of their testimony, these attest of Him, (viz.), that He, the Christ of God, did by means of these wondrous works which He performed, reduce many, both of the Jews and of the Gentiles, beneath His power.”



Ci sono leggere differenze nelle tre citazioni, che inducono a chiedersi se Eusebio stesso abbia potuto alterare l’esatta formulazione del testo. Sorprende, inoltre, il fatto che la Chiesa, coinvolta in tante e così aspre controversie teologiche, non abbia insistito sull’esatto linguaggio delle testimonianze cruciali del credo così come appaiono in Flavio Giuseppe.


In particolare, ci possiamo chiedere perché la Chiesa, messa di fronte com'era alla pressante problema della stessa esistenza di Gesù, non colse l'occasione per replicare. (come si rileva nel Dialogue with Trypho' di Giustino Martire essa risponde a questa accusa alla metà del 2 sec, due secoli prima di Eusebio. Che fosse il reale Giustino o uno Pseudo-Giustino, la data è comunque la stessa. E se Giustino o uno Pseudo-Giustino, avevano letto FG, certamente sapeva che il maggior attacco contro la cristianità era il dubbio sulla stessa esistenza di Gesù).


Nulla, sarebbe stato un argomento piu solido, per negare la tesi della non esistenza di Gesù, di una citazione da Giuseppe, un Ebreo e un rispettatissimo storico che era nato appena pochi anni dopo la morte di Gesù e i cui due maggiori lavori (War and the Antiquities), racconti paralleli di quel periodo, sono ricchi di informazioni su Roma. Fu onorato con una statua a Roma e le sue opere furono inserite in una biblioteca della città.( 6 Eusebius, Historia ecclesiastica 3.9.). Degno di nota anche il fatto che FG era tenuto in alta considerazione fra i Cristiani, soprattutto perché la maggior parte delle Sacre Scritture erano identiche alla Bibbia ebraica e FG presenta nelle sue Antiquities una parafrasi estremamente dettagliata della Bibbia


[7 The fourth-century Pseudo-Hegesippus 2.12.1: "who is considered the greatest"; the fourth-century John Chrysostom, Adversus Judaeos 5.8: "among Jews"; the fifthcentury Sozomen, ap. Historia ecclesiastica 1.1.5: "very famous among both Jews and pagans."]

Malgrado ciò, ci sono otto scrittori Cristiani che vissero prima di Eusebio e che menzionano FG, ma che non fanno alcun riferimento al TF nelle loro opere: Theophilus of Antioch, Minucius Felix, Julius Africanus, Hippolytus, Origen, Methodius, Pseudo-Eustathius, e Pseudo-Justin
[vedi Louis H. Feldman, "The Testimonium Flavianum: The State of the Question," in Christological Perspectives: Essays in Honor of Harvey K. McArthur, ed. Robert F. Berkey and Sarah A. Edwards (New York, 1982), 181-184.]

Il fatto, se è un fatto, che non si conosca alcun Cristiano pre-niceno che abbia utilizzato gli scritti di FG in apologie dirette ad ebrei è certamente sorprendente in relazione all'accusa, come visto nel The Dialogue with Trypho, che Gesù non fosse esistito e in funzione del desiderio dei Cristiani di convertire gli Ebrei. A rigor di logica, questo è un argumentum ex silentio; ma quando il numero di scrittori è cosi grande e quando questi sono autori molto coinvolti nelle questioni teologiche, specialmente questioni concernenti la natura di Gesù, l'omissione è rimarchevole.
Il caso di Origene, che morì nel 253 e che fu un grande protagonista nelle dispute teologiche della prima Chiesa, ha una particolare importanza. Egli non solo si riferisce a FG, ma cita anche 5 passaggi (18.4ff., 55ff., 110, 130, 116ff.) dal Libro 18 delle Antiquities, nel quale c’è il TF, senza citare il TF stesso.
Nel Commentary on Matthew 10:17 egli afferma esplicitamente :

"la sorpresa è che sebbene egli non riconoscesse che il nostro Gesù fosse il Messia, ciò nonostante diede testimonianza di una simile giustizia in Giacomo (the wonder is that though he did not admit our Jesus to be Christ, he nonetheless gave witness to such righteousness in James),"

e in Contra Celsum 1:47 scrive che

"egli, Giuseppe non credeva in Gesù quale Cristo"

laddove il Testimonium esplicitamente dichiara che "he was the Messiah."

Pochi hanno messo in dubbio l'autenticità del passaggio di FG su Giacomo (Antiquities 20.200). La versione del TF nelle Antichità, se esso era conosciuto da Origene, deve apparentemente aver contenuto qualcosa su Gesù, poiché altrimenti Origene non avrebbe avuto alcuna ragione di affermare che Giuseppe non accettava Gesù quale Cristo. Questo implicherebbe che Origene possedeva un testo simile a quello di Gerolamo e Michele il Siriano il quale affermava che Gesù era considerato (“was thought to be”) il Messia.
[Michel le Syrien, Chronique 10.20 [378], ed. Jean-Baptiste Chabot (Paris, 1899; repr. Brussels, 1963).]

Inoltre, nel rispondere agli attacchi molto insidiosi di Celso contro Gesù e i Cristiani, in modo particolare in merito ai miracoli di Gesù, Origene avrebbe molto naturalmente citato il Testimonium di FG, che cosi esplicitamente si riferisce a questi miracoli. Anche dopo Eusebio, quasi un intero secolo trascorse prima che qualcuno facesse un altro riferimento al Testimonium. Durante quel periodo, i seguenti sette Padri della Chiesa fanno riferimento alle opere di FG e tuttavia non citano il Testimonium: Ambrose, Basil, John Chrysostom, Josippos, Panodorus, Rufinus, Severus, and Sulpicius.[ vedi Feldman, "The Testimonium Flavianum," 184.]
Il silenzio di John Chrysostom è particolarmente sorprendente; difficilmente troviamo un Padre della Chiesa più veemente di lui nei suoi attacchi contro gli Ebrei [vedi e.g., Chrysostom, Homily 1.4, 6]. Se FG avesse davvero ritratto Gesù in una luce negativa, sembra verosimile che egli avrebbe citato la cosa per rafforzare il suo attacco contro gli Ebrei. Al contrario, se il Testimonium fosse stato positivo, avrebbe sicuramente potuto citarlo per mostrare che gli Ebrei erano colpevoli del crimine di deicidio.
Il primo scrittore "sopravvissuto" che dopo Eusebio si riferisca al TF è Jerome (347-419). Nonostante Jerome citi Giuseppe non meno di 90 volte, egli si riferisce al TF solo una volta.[ De viris illustribus 13.14].

De Viris Illustribus, XIII, 147 reads as follows:
"Scripsit [Josephus] autem de domino in hunc modum: 'Eodem tempore fuit Jesus vir sapiens, si tarnen virum oportet eum dicere. Erat enim mirabilium patrator operum et doctor eorum qui libenter vera suscipiunt. Plurimos quoque tarnen de Judaeis quam de gentibus sui habuit sectatores et credebatur esse Christus. Cumque invidia nostrorum principum cruci eum Pilatus addixisset, nihilominus qui eum primum dilexerant, perseveraverunt in fide.149 Apparuit enim eis tertia die vivens, haec et multa alia mirabilia carminibus prophetarum de eo vaticinantibus. Et usque hodie Christianorum gens ab hoc sortita vocabulum non deficit.


147 The efficiency of the Christian censorship, which almost succeeded in getting rid of all the versions of the Testimonium that differed in a significant manner from the vulgate recension, is illustrated by the fact that the Greek translation of De Viris Illustrious contains this vulgate recension; none of the traits in which St. Jerome diverges from it have been retained; see O. von Gebhardt, 'Hieronymus — De Viris Inlustribus in griechischer Übersetzung', Texte und Untersuchungen, XIV, Leipzig 1896.

Sebbene egli stia chiaramente citando, scrive che Gesù "credebatur esse Christus" (was believed to be the Messiah), piuttosto che "egli era il Messia". Questo coinciderebbe con l'affermazione di Origene, al quale Jerome era così profondamente connesso, che il testo di Giuseppe riportava, come nella più recente versione di Agapius, che egli non ammetteva che Gesù fosse il Messia.

Heinz Schreckenberg ha sottolineato la libertà con la quale Origene attribuisce a Giuseppe affermazioni che non si ritrovano oggi nel nostro testo di Giuseppe [13 Heinz Schreckenberg, "Josephus in Early Christian Literature and Medieval Christian Art," in Jewish storiography and Iconography in Early and Medieval Christianity, ed. Heinz Schreckenberg and Kurt Schubert (Assen, The Netherlands, and Minneapolis, MN, 1992), 57. Link anteprima google
http://books.google.it/books?id=z60oURWxvJ...eval%22&f=false

Così, per esempio, egli afferma platealmente che secondo Giuseppe,-sebbene questo non vi sia nel nostro testo di Giuseppe- la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Tempio colpirono gli Ebrei quale punizione per la loro responsabilità nella morte di Giacomo il Giusto, il fratello di Gesù. [Origen, Contra Celsum 1.47.] riportare il testo greco

Καίτοι γε άπιστων τω "Ιησοϋ ώς Χριστώ
[Contre Celse, I, 47 (édit. P. Koetschau, Leipzig, 1899, p. 97, 3).]


Εβουλομην δ αν Κελσω, προσωποποιησαντι τον Ιουδαιον παραδεξαμενον πως Ιωαννην ως βαπτιστην βαπτιζοντα τον Ιησουν, ειπειν οτι το Ιωαννην γεγονεναι βαπτιστην, εις αφεσιν αμαρτηματων βαπτιζοντα, ανεγραψε τις των μετ ου πολυ του Ιωαννου και του Ιησου γεγενημενων. εν γαρ τω οκτωκαιδεκατω της ιουδαικης αρχαιολογιας ο Ιωσηπος μαρτυρει τω Ιωαννη ως βαπτιστη γεγενημενω και καθαρσιον τοις βαπτισαμενοις επαγγελλομενω. ο δ αυτος, καιτοι γε απιστων τω Ιησου ως Χριστω, ζητων την αιτιαν της των Ιεροσολυμων πτωσεως και της του ναου καθαιρεσεως, δεον αυτον ειπειν οτι η κατα του Ιησου επιβουλη τουτων αιτια γεγονε τω λαω, επει απεκτειναν τον προφητευομενον Χριστον ο δε και ωσπερ ακων ου μακραν της αληθειας γενομενος φησι ταυτα συμβεβηκεναι τοις Ιουδαιοις κατ εκδικησιν Ιακωβου του δικαιου, ος ην αδελφος Ιησου του λεγομενου Χριστου, επειδηπερ δικαιοτατον αυτον οντα απεκτειναν. [τον δε Ιακωβον τουτον ο Ιησου γνησιος μαθητης Παυλος φησιν εωρακεναι ως αδελφον του κυριου, ου τοσουτον δια το προς αιματος συγγενες η την κοινην αυτων ανατροφην οσον δια το ηθος και τον λογον.] ειπερ ουν δια Ιακωβον λεγει συμβεβηκεναι τοις Ιουδαιοις τα κατα την ερημωσιν της Ιερουσαλημ, πως ουχι ευλογωτερον δια Ιησουν τον Χριστον τουτο φασκειν γεγονεναι; ου της θειοτητος μαρτυρες αι τοσαυται των μεταβαλοντων απο της χυσεως των κακων εκκλησιαι και ηρτημενων του δημιουργου και παντ αναφεροντων επι την προς εκεινον αρεσκειαν.

I would like to say to Celsus, who represents the Jew as accepting somehow John, who baptized Jesus, as a baptist, that the existence of John the Baptist, baptizing for the remission of sins, is related by one who lived no great length of time after John and Jesus. For in the eighteenth book of his ANTIQUITIES OF THE JEWS Josephus bears witness to John as having been a baptist and as promising purification to those who underwent the rite. Now he himself, although not believing in Jesus as the Christ, in seeking the cause of the fall of Jerusalem and the destruction of the temple, whereas he ought to have said that the conspiracy against Jesus was the cause of these calamities befalling the people, since they put Christ to death, who was a prophet, nevertheless says, being albeit against his will not far from the truth, that these disasters happened to the Jews as a punishment for the death of James the just, who was a brother of Jesus called Christ, the Jews having put him to death, although he was a man most distinguished for his justice. [Paul, a genuine disciple of Jesus, says that he regarded this James as a brother of the Lord, not so much on account of their relationship by blood, or of their being brought up together, as because of his virtue and doctrine.] If, then, he says that it was on account of James that the desolation of Jerusalem was made to overtake the Jews, how should it not be more in accordance with reason to say that it happened on account of Jesus Christ? Of his divinity so many churches are witnesses, composed of those who have been convened from a flood of sins and have joined themselves to the creator, and who refer all their actions to his good pleasure.


Και το θαυμαστόν εστίν, δτι τον Ίησοϋν ημών ον καταδεξάμενος είναι Χριστόν, ονδεν 'ήττον...
Commentaire sur S. Matthieu, X, 17 (édit. E. Klostermann, Leipzig, 1935, p. 22, 6 ss. ; Migne, P. G., t. XIII, col. 877 milieu).

Ιακωβος δε εστιν ουτος ον λεγει Παυλος ιδειν εν τη προς Γαλατας επιστολη ειπων• Ετερον δε των αποστολων ουκ ειδον ει μη Ιακωβον τον αδελφον του κυριου. επι τοσουτον δε διελεμψεν ουτος ο Ιακωβος εν τω λαω επι δικαιοσυνη ως Φλοβιον Ιωσηπον αναγραψαντα εν εικοσι βιβλιοις την Ιουδαικην αρχαιολογιαν, την αιτιαν παραστησαι βουλομενον του τα τοσαυτα πεπονθεναι τον λαον ως και τον ναον κατασκαφηναι, ειρηκεναι κατα μηνιν θεου ταυτα αυτοις απηντηκεναι δια τα εις Ιακωβον τον αδελφον Ιησου του λεγομενου Χριστου υπ αυτων τετολμημενα. και το θαυμαστον εστιν οτι, τον Ιησουν ημων ου καταδεξαμενος ειναι Χριστον, ουδεν ηττον Ιακωβω δικαιοσυνην εμαρτυρησε τοσαυτην. λεγει δε οτι και ο λαος ταυτα ενομιζε δια τον Ιακωβον πεπονθεναι. και Ιουδας εγραψεν επιστολην ολιγοστιχον μεν, πεπληρωμενην δε των της ουρανιου χαριτος ερρωμενων λογων, οστις εν τω προοιμιω ειρηκεν• Ιουδας Ιησου Χριστου δουλος, αδελφος δε Ιακωβου. περι δε Ιωσηφ και Σιμονος ημεις ουδεν ιστορησαμεν.

And this James is the one whom Paul says he saw in the epistle to the Galatians, saying: But I did not see any other of the apostles except James the brother of the Lord. And to so great a reputation among the people for righteousness did this James rise that Flavius Josephus, who wrote the ANTIQUITIES OF THE JEWS in twenty books, when wishing to exhibit the cause why the people suffered so great misfortunes that even the temple was razed to the ground, said that these things happened to them in accordance with the wrath of God in consequence of the things which they had dared to do against James the brother of Jesus who is called Christ. And the wonderful thing is that, though he did not accept Jesus as Christ, he yet gave testimony that the righteousness of James was so great; and he says that the people thought that they had suffered these things because of James. And Jude wrote an epistle short in lines but full of the healthy words of heaven; in the preface he has said: Jude, servant of Jesus Christ, and brother of James. But concerning Joseph and Simon we have nothing to relate.



Joseph Sievers ha evidenziato che sebbene interpolazioni cristiane nel testo di Giuseppe siano originariamente attestate in Origene, esse potrebbero essere precedenti alla sua epoca. [Joseph Sievers, "The Ancient Lists of Contents of Josephus' Antiquities," in Studies in Josephus and the Varieties of Ancient Judaism: Louis H. Feldman Jubilee Volume, ed. Shaye J. D. Cohen and Joshua J. Schwartz (Leiden, 2007), 290, n. 61, cita Fausto Parente, "Sulla doppia trasmissione, filologica ed ecclesiastica, del testo di Flavio Giuseppe: Un contributo alla storia della ricezione della sua opera nel mondo cristiano," Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 36 (2000): 3-51, esp. pp. 12, 15, 49.]
link anteprima google articolo Sievers http://books.google.it/books?id=z3ZywMar4P...s%2C%22&f=false

Un contemporaneo di Jerome, Pseudo-Hegesippus, nella sua libera parafrasi del TF, parla, così come il Testimonium, di Gesù quale "wise man-if it is appropriate to call him a man-who performed miracles and who arose from the dead three days after his death so that many Jews and even more Gentiles believed in him.”

Pseudo-Hegesippus’ Testimonium

“They were suffering the punishments for their crimes, those who, after having crucified Jesus, the arbiter of divine affairs, then were also persecuting his disciples. For many Jews and even more Gentiles believed in him and were attracted by his teaching of morals and performance of works beyond human capability. Not even his death put an end to their faith and love, but rather it increased their devotion. And so they brought in murderous bands and conducted the originator of life to Pilatus to be killed, they began to press the reluctant judge. In which however Pilatus is not absolved [non excusator Pilatus], but the madness of the Jews is piled up, because he was not obliged to judge, whom not at all guilty he had arrested, nor to double the sacrilege to this murder, that by those he should be killed who had offered himself to redeem and heal them. Of this the Jews themselves give the testimony, Josephus the writer saying in his history that there was at that time a wise man, if it be appropriate, he says, to call man the creator of miraculous works, who appeared alive to his disciples three days after his death according to writings of the prophets, who prophesied both these and innumerable other things full of wonders about him. From him began the congregation of Christians, even infiltrating every race of humans, nor does there remain any nation in the Roman world that is without his religion. If the Jews do not believe us, they might believe one of their own. Thus spoke Josephus, whom they esteem a very great man, and nevertheless so devious in mind was he who spoke the truth about him, that he did not believe even his own words. Although he spoke for the sake of fidelity to history because he thought it wrong to deceive, he did not believe because of his hardness of heart and faithless intention. Nevertheless it does not prejudice truth because he did not believe, rather it adds to the testimony because, unbelieving and unwilling he did not deny it. In this the eternal power of Jesus Christ shone forth, that even the leading men of the synagogue who delivered him up to death acknowledged him to be God [his divinity].” (Pseudo-Hegesippus, De excidio Hierosolymitano, book 2, chap. 12)


Egli dice che Giuseppe parlava così di lui ma non credeva alle sue stesse parole, cosi che perfino i maggiorenti della sinagoga che lo consegnarono per la condanna a morte lo riconobbero come Dio. Le principali differenze tra la versione di Pseudo-Egesippo e quella di Eusebio è che il primo omette il ruolo di Ponzio Pilato e la cruciale affermazione che egli era il Messia, ma aggiunge che i Leaders ebrei lo riconobbero quale Dio. Sebbene una parafrasi sia generalmente considerata meno definitiva come prova rispetto a una citazione, nel nostro caso essa ha un vantaggio poichè, come la Whealey rimarca, è più difficile per uno scriba successivo mettere una parafrasi in conformità con un dato testo rispetto ad una citazione. [Whealey, Josephus on Jesus, 31.]
Lo Pseudo-Egesippo enfatizza il fatto che sia forzato ad accettare l'autenticità del testo, per come lo pone, "Giuseppe, che essi stimano come un grandissimo uomo" era, ciò nonostante, uno spirito così tortuoso che, pur dicendo la verità su Gesù, egli non credeva alle sue stesse parole. Sebbene Giuseppe parlasse per la necessità di rispettare la verità storica, egli non credeva in Gesù a causa della sua durezza di cuore e delle sue intenzioni prive di fede.

Perfino dopo Eusebio, troviamo quattro scrittori Cristiani nel 5 secolo che conoscono le opere di Giuseppe ma non citano il TF: Orosius, Philostorgius, Theodore of Mopsuestia, and Augustine. Non troviamo chiare citazioni del TF prima di Isidore of Pelusium and Sozomenus nel 5 secolo. [Feldman, "The Testimonium Flavianum," 185.]
Durante il Medio Evo e fino al sedicesimo secolo, nessun Cristiano, sia nell'Occidente che ad Oriente, nonostante la popolarità di Giuseppe e il grande interesse verso la sua opera nel periodo del Rinascimento e della Riforma, mise in discussione l’autenticità del TF. [18 Peter Burke, "A Survey of the Popularity of Ancient Historians 1450-1700," History and Theory 5, no. 2 (1966): 135-52, mostra come durante il periodo che va dal 1450 to 1700 Giuseppe fuil secondo storico antico "in the vernacular languages" più frequentemente pubblicato ]

Il primo studioso che asserì che il TF fosse spurio fu l'umanista Hubert Giphanius (van Giffen), che, come quotato in una lettera da Sebastian Lepusculus, cita il Testimonium in una premessa ad una delle versioni dello Yosippon del 1559. In una nota a margine alla sua traduzione dello Yosippon del 1541, l'ebraista Sebastian Munster rimarca che gli studiosi hanno dato molta fiducia all' omissione del TF dalle Antiquities rispetto agli studiosi Cristiani del passato. [Whealey, Josephus on Jesus, 77-84.]



Quando cominciamo la nostra indagine sulla genuinità del linguaggio del TF non dovremmo essere sorpresi di rilevare che Giuseppe era interessato ad un movimento connesso con Gesù in relazione al suo grande interesse per i movimenti che possono essere classificati come religiosi e politici, quali le quattro sette -Pharisees, Sadducees, Essenes, and the Fourth Philosophy. Il Cristianesimo, come si rileva nelle idee dei suoi fondatori, in modo particolare John the Baptist and Jesus, fu proprio un movimento del genere e, in quanto tale, fu visto con disdegno e timore dal potente Impero Romano.


Giuseppe consacra molto spazio sia nella Guerra che nelle Antichità all'infame Re ebreo Erode, all' Imperatore Romano Augusto (al quale egli fu sempre leale), e ai procuratori Romani che lo seguirono e costituirono lo sfondo della tremenda rivolta degli Ebrei del primo secolo. Non è sorprendente che i Romani furono molto attenti alle grandi folle che furono coinvolte dall'eloquenza di Giovanni Battista. Giuseppe dedica approssimativamente a Giovanni il doppio dello spazio di Gesù, che, come Giovanni è ritratto come qualcuno che conquistò l'affetto delle masse e pagò un pesante prezzo a causa della sua popolarità. Allo stesso modo, per la guerra contro i Romani, Giuseppe è tremendamente intrigato dalle fazioni e dalle sottofazioni e dalla violenza che esse generarono. Quindi, Giuseppe deve aver trovato in Gesù una figura affascinante che catturò la sua attenzione.



Gary Goldberg è pertanto tentato di tessere dettagliati confronti tra la descrizione di Gesù nel Vangelo di Luca e nel TF di Giuseppe. [20 Gary Goldberg, "The Coincidences of the Emmaus Narrative of Luke and the Testimonies of Josephus," Journal for the Study of the Pseudepigrapha 13 (1995): 59-77.]
link articolo completo www.josephus.org/GoldbergJosephusLuke1995.pdf

Un motivo, non notato finora, per nutrire dubbi (sebbene non sufficiente per sconfessare) la paternità di Giuseppe del TF è che abbiamo due dei suoi passaggi sulla procuratura di Ponzio Pilato in War 2.169-177 e in Antiquities 18.55-89.
Nel primo (War) egli racconta l'incidente occorso nel tentativo di Pilato di introdurre le effigi dell'Imperatore a Gerusalemme, la conseguente costernazione degli Ebrei, e le susseguenti disposizioni di Pilato di rimuoverle, così come il suo utilizzo del denaro appartenente al Tempio per la costruzione di un acquedotto, la risultante indignazione degli Ebrei e il grande numero dei loro morti. Nel secondo, egli racconta gli incidenti scaturiti dal tentativo di Pilato di introdurre effigi dell'Imperatore a Gerusalemme e il suo utilizzo del denaro appartenente al Tempio per costruire un acquedotto; il Testimonium; la crocifissione di Gesù da parte di Pilato; lo scandaloso incidente a Roma di una signora Romana, Paolina, e del suo amante e la truffa perpetrata ai suoi danni dai sacerdoti di Isis; e l'attacco e il massacro commesso da Pilato ai danni di un gran numero di Samaritani che avevano tentato di risalire sul loro sacro Monte Gerizim e la conseguente lamentela dei Samaritani con il governatore Romano di Siria, che fece si che Pilato fosse richiamato a Roma.



Entrambe le versioni si focalizzano sul tentativo di Pilato di introdurre i busti dell'Imperatore a Gerusalemme e sull’appropriazione del denaro appartenente al Tempio per un acquedotto.



Ma è solo nelle Antichità che troviamo Gesù, lo scandaloso incidente di Paolina e il tentativo dei Samaritani di ascendere al Monte Gerizim.
Poiché entrambi i resoconti si concentrano in maniera critica sulle attività del procuratore Ponzio Pilato, ci possiamo chiedere perché Giuseppe, nel raccontare la messa a morte di quelli che gli si opposero, ometta nella Guerra la sua crocifissione di Gesù, a meno di non considerare questa menzione nelle Antichità come un'interpolazione.
Un altro posto dove possiamo comparare il primo trattamento di Giuseppe dei detti incidenti con il suo successivo trattamento, è l'antica, breve tavola dei contenuti del Libro 18 delle Antichità. [21 See Sievers, "The Ancient Lists," 271-292.] LINK

Ά dire il vero, non sappiamo chi scrisse questi indici e quando furono redatti. E’ possibile che essi rimontino all’edizione originale delle Antichità e potrebbero essere stati composti da Giuseppe stesso o da uno dei suoi assistenti. Essi sono molto brevi, ma catturano i punti essenziali del testo di Giuseppe, sebbene in alcuni casi in modo non uniforme. Per esempio, leggiamo, nell' indice di Antichità 18.29, che i samaritani dissacrarono il popolo per sette giorni, senza che venga data una spiegazione della ragione di questo. In ogni caso, questi sommari omettono totalmente ogni menzione al passaggio su Gesù. Sievers, consapevole del fatto che, in accordo con Origene, Giuseppe non credeva che Gesù fosse il Messia (Christ), laddove il Testimonium afferma esplicitamente che egli era il Messia (Christ), conclude che questa è un'indicazione che ci furono interpolazioni Cristiane nel testo di Giuseppe già all' epoca di Origene (c. 233) e che tali interpolazioni possono precedere la sua epoca. [23 Sievers, "The Ancient Lists," 290, n. 61.]

Per determinare se il Testimonium è autentico, bisognerebbe, prima di tutto, esaminare il suo linguaggio per verificare se esso contiene parole che sono compatibili con il linguaggio utilizzato altrove da Giuseppe, e sembra ragionevole partire dall'evidenza dei manoscritti. Il Testimonium appare in tutti i manoscritti esistenti delle Antichità di Giuseppe. Esso compare similmente in tutti i numerosi manoscritti della traduzione Latina che fu realizzata sotto la direzione di Cassiodoro nel 6 secolo.

Ma i manoscritti greci più antichi datano al 9 secolo, approssimativamente mille anni dopo che Giuseppe aveva composto le Antichità, e tutti derivano dalla stesso archetipo. (from the same source). Vorremmo avere il piacere di un papiro contenente
larghe porzioni delle Antichità che datassero ad un periodo molto più vicino all'epoca in cui Giuseppe le scrisse, ma in tal senso si è ritrovato solo un breve frammento, il Papyrus Graeca Vindobonensis 29810, che risale al tardo 3 secolo. Questo frammento, per il nostro disappunto, non proviene dalle Antichità, ma dalla Guerra ed include War 2.576-579, 582-584 [25 Hans Oellacher, ed., Griechische literarische Papyri, vol. 2 (Baden bei Wien, Austria, 1939), 61-65; Heinz Schreckenberg, Die Flavius-Josephus-Tradition in Antike und Mittelalter (Leiden, 1972), 54-55.]

Sfortunatamente il frammento è in uno stato di conservazione molto cattivo, al punto che possiamo contare solo su 38 parole complete e 74 parziali. Il fatto comunque che ci siano 9 punti (molti dei quali, a dire il vero, basati su congetture decisamente traballanti derivanti da manoscritti collazionati nel testo delle Antichità 18.63–64 da Benedicte Niese –[Benedict Niese, ed., Flavii Iosephi Opera, vol. 4 (Berlin, 1892), 151–152- ] ci induce a concludere che il testo della Guerra, che è in uno stato molto migliore che quello delle Antichità, sia perfino meno sicuro di quanto avessimo potuto supporre.
Nessuna delle varianti nel papiro comporta importanti differenze nel significato del testo, ma il fatto che il papiro (sebbene sia, naturalmente, pericoloso giungere a conclusioni sulla base di un cosi breve passaggio) concordi con un gruppo di manoscritti (Parisinus-Ambrosianus-Marcianus [PAM] group) e non con un altro (Vaticanus-Palatinus-Urbinas [VRC] group) ci induce a suggerire che sia pericoloso basarsi eccessivamente su un solo gruppo, come fece Niese con il PAM group.

Una chiave per determinare l'autenticità del Testimonium è quella di esaminare il vocabolario e lo stile del passaggio. Un tale studio è stato realizzato da David L. Mealand [David L. Mealand, "On Finding Fresh Evidence in Old Texts: Reflections on Results in Computer-Assisted Biblical Research," Bulletin of the John Rylands University Library of Manchester 74, no. 3 (1992): 67-88.] LINK
www.escholar.manchester.ac.uk/api/...RS-DOCUMENT.PDF

Ά causa della brevità del Testimonium – solo 89 parole – Mealand usa tre criteri:

1) Compara la fraseologia di Giuseppe nel Testimonium con il suo uso nel resto dei suoi lavori.
2) Compara la sua fraseologia con quella della letteratura Greca in generale e dei primi testi Cristiani in particolare
3) Esamina la complessità del linguaggio del Testimonium. Compara poi il passaggio con un passaggio non disputato di Giuseppe


I criteri furono selezionati in un range molto vario e largo, che includeva lunghezza delle parole, uso dei pronomi relativi ed indefiniti, parole con l’ iniziale tau, e la posizione della prima preposizione nella frase.


Basandosi su questi criteri, Mealand conclude provvisoriamente che la maggior parte (bulk) del passaggio su Gesù in Giuseppe è genuino.



Nel determinare se il linguaggio del Testimonium è compatibile con il linguaggio usato altrove da Giuseppe, notiamo un problema con la prima parola, ginetai, tradotta sopra con "there lived" ma che grammaticalmente è un verbo al presente, letteralmente "there comes into being," "there is," "there lives," "there arises," or "there appears on the scene." Mentre Giuseppe usa il presente storico altrove per descrivere azioni nel passato, in questo contesto il presente indicativo è strano in quanto suggerisce che Giuseppe credesse Gesù ancora in vita.

Il testo Slavo di Giuseppe omette il nome di Gesù. Una delle varianti testuali in uno dei manoscritti legge tis (a certain [ person]), ma sembra poco verosimile che uno scriba Cristiano abbia potuto aggiungere tis, che ha una connotazione irrispettosa, perfino sprezzante [così Paget, "Some Observations," 565, n. 105.]
Oppure bisogna pensare che l'inserimento di questo tis possa non essere stato intenzionale e sia il frutto dell' errore di un copista.

"If, indeed, one ought to call him a man” sembrerebbe una interpolazione Cristiana, poichè essa presuppone che Gesù fosse divino.

La parola poiētēs (tradotta sopra come “one who wrought”), che è qui usata per gli atti di Gesù, è sempre utilizzata da Giuseppe per riferirsi ai poeti e mai con il significato che ha qui. Henry Thackeray attribuisce questo uso al fatto che in questa parte delle Antichità Giuseppe aveva un assistente che imitava lo stile di Tucidide [29 Henry St. John Thackeray, Josephus, the Man and the Historian (New York, 1929), 144.]

Sebbene la parola didaskalos sia comune negli scritti di Giuseppe, intutti i casi salvo uno, (War 7.444), quando un genitivo segue la parola esso indica il contenuto dell' insegnamento piuttosto che l'identità dei destinatari dell'insegnamento. Qui invece esso indica l'identità dei destinatari dell'insegnamento.

Ken Olson rimarca che tre frasi -"one who wrought surprising feats," "tribe of the Christians," and "still to this day"- ricorrono qui ed altrove in Eusebio e solo qui in Giuseppe. [30 Ken A. Olson, "Eusebius and the Testimonium Flavianum," Catholic Biblical Quarterly 61 (1999): 313.]

Inoltre, una forma talēthē, nel senso di “la verità” si ritrova solo qui e in Antichità 8.23. Varie emendazioni sono state suggerite, in particolare paradoxōn, “strange, unusual things.”

“He won over many of the Jews and many of the Greeks”: Hellēnikoū nel senso di “il popolo Greco" è usato da Giuseppe solo qui e in Guerra 2.268. Molti commentatori scrivono che un interpolatore Cristiano non avrebbe fatto una simile affermazione, poiché Gesù nei Vangeli insiste sul fatto che il suo insegnamento non è diretto ai non-Ebrei; d' altro canto, l'affermazione concorda con la convinzione di Eusebio che fosse raccontato che il messaggio di Gesù avrebbe raggiunto tutte le nazioni e che i suoi miracoli li avrebbero conquistati. [Eusebius, Historia ecclesiastica 1.2.23, 1.13.1.]

Quanto è verosimile che un Ebreo impegnato possa aver scritto in tali positivi termini su Gesù e, in particolare, possa essersi riferito a lui come il Messia?

J. Neville Birdsall sostiene che coloro i quali rigettano l'autenticità del passaggio stanno pensando secondo termini anacronistici appropriati per secoli successivi, quando cioè l'antagonismo tra gli Ebrei e i Cristiani divenne molto più teso, mentre durante il primo secolo, quando Giuseppe scrisse queste parole, i Cristiani erano un gruppo molto più ridotto e difficilmente potevano costituire una minaccia. [Neville Birdsall, “The Continuing Enigma of Josephus’s Testimony about Jesus,” Bulletin of the John Rylands University Library of Manchester 67, no. 2 (1985): 611–612.]
LINK www.escholar.manchester.ac.uk/api/...RS-DOCUMENT.PDF

Ά quel tempo, scrive, Giuseppe non era scettico sui miracoli e credeva nel compimento delle profezie. Birdsall va tanto lontano da suggerire che Giuseppe possa tranquillamente aver detto ai suoi contemporanei, specialmente ai suoi seguaci Ebrei, che Gesù era colui nel quale le profezie messianiche si erano compiute.
Ά dire il vero, Giuseppe,da credente Ebreo, avrebbe difficilmente potuto negare la centralità di miracoli quali le piaghe d’Egitto, l’attraversamento del Mar Rosso, e le Rivelazioni al Sinai. Dall’altra parte, egli non volle esporsi al ridicolo per essere così credulone e insistette sul fatto che Mosè non scrisse nulla di irragionevole e che quindi tutto nelle Scritture era in sintonia con la natura dell' universo; in effetti, globalmente, egli tendeva a degradare i miracoli. [33 Louis H. Feldman, Josephus's Interpretation of the Bible (Berkeley, 1998), 210-212.]

Quei commentatori che credono che il Testimonium contenga interpolazioni puntano a questa affermazione Ho Christos houtos ēn (He was the Messiah), e sostengono che Giuseppe, quale Ebreo, non avrebbe potuto affermare che Gesù fosse il Messia.

Inoltre l’affermazione sembra fuori posto e disturba il flusso logico del passaggio. Se doveva apparire, ci si aspetterebbe che essa comparisse immediatamente dopo “Gesù” o “wise man” dove una identificazione complementare sarebbe stata presumibilmente più idonea. Ά dire il vero, storicamente, i Rabbi non consideravano Gesù come il Messia.
Comunque, un secolo dopo Gesù, niente meno che il grande Rabbi Akiba riconobbe Bar Kokhba quale Messia, sebbene altri Rabbini non lo fecero.
In più, la parola Christos (Messiah) ricorre anche in Antichità 20.200 (un passaggio che quasi tutti gli studiosi considerano genuinamente Flaviano) in connessione con Giacomo, il fratello del cosiddetto Christos, che chiaramente implica che egli sia stato menzionato precedentemente.

C'è ragione di credere, nonostante gli sforzi di Marinus de Jonge, Jacob Neusner, Richard Horsley, e Haim Ben-Sasson che l'attesa di una figura messianica, che fosse essa definita o meno con il nome "Messiah," , fosse diffusa tra gli Ebrei.

[34 Marinus de Jonge, "The Use of the Word ‘Anointed' in the Time of Jesus," Novum Testamentum 8 (1966): 132-148; Jacob Neusner, "Mishnah and Messiah," in Judaisms and Their Messiahs at the Turn of the Christian Era, ed. Jacob Neusner, William S. Green, and Ernest Frerichs (Cambridge, 1987), 265-282; Richard A. Horsley, "Messianic Movements in Judaism," in The Anchor Bible Dictionary, ed. David Noel Freedman et al. (New York, 1992), 4:791-797; Haim H. Ben-Sasson, "Messianic Movements," in Encyclopaedia Judaica ( Jerusalem and New York, 1971), 11:1417-1427.]

In particolare, richiamiamo l‘attenzione sull'affermazione di Giuseppe che l'elemento che, più di ogni altro, incitò gli Ebrei alla guerra contro i Romani nel 66 fu
"un ambiguo oracolo, verosimilmente inserito nelle loro sacre scritture, con l'effetto che a quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato sovrano del mondo” [35 Josephus, War 6.312.]

Il fatto che Giuseppe dichiari che questo, più di ogni altra cosa, spinse gli Ebrei alla guerra, indicherebbe che esso era una convinzione forte e largamente diffusa. Che fosse, davvero, largamente insita sembra indicato dal fatto che una predizione simile è menzionata da Tacito che afferma che la maggioranza (pluribus) degli Ebrei era persuasa che "i loro antichi testi sacerdotali contenevano la profezia che questo era il tempo in cui l'Oriente sarebbe fortemente cresciuto e in cui uomini provenienti dalla Giudea avrebbero posseduto il mondo" [Tacitus, Histories 5.13.2.]

Un'evidenza simile che una simile convinzione fosse largamente diffusa si ritrova in Svetonio il quale riporta che "si era diffusa in Oriente una vecchia e consolidata credenza per la quale alcuni uomini provenienti dalla Giudea erano destinati a dominare il mondo". [Suetonius, Vespasian 4.5.]

Menahem, il leader dei Sicari, che apparve nel Tempio vestito con abiti regali, offre certamente l'aspetto di una figura messianica, così come l'Ebreo egiziano che con trentamila seguaci, propose di sopraffare la guarnigione Romana a Gerusalemme.
Il fatto che, non molto dopo la Grande Rivolta, Lukuas-Andreas nel 115 e Bar Kokhba nel 132 comparvero come figure messianiche starebbe ad indicare che l’ anelito ad un Messia fosse persistente e ampiamente condiviso. [40 Victor A. Tcherikover, "Prolegomena," in Corpus Papyrorum Judaicarum, ed. Victor A. Tcherikover, Alexander Fuks, and Menahem Stern, vol. 1 (Cambridge, MA, 1957), 88.]

Non ci può essere alcun dubbio che dal tempo di Giuseppe il nome di Davide fosse intimamente connesso con l'era messianica; [41 Feldman, Josephus's Interpretation, 538, n. 5.]
Tuttavia Giuseppe rendendosi conto che la fede in un Messia ipso facto implicava la rivolta contro i Romani, omette ogni riferimento a Davide quale antenato del Messia. Il fatto che l’ iscrizione sopra la croce sulla quale Gesù è condannato a morire legga, con leggere variazioni, in ognuno dei quattro Vangeli (Matthew 27:37, Mark 15:26, Luke 23:38, and John 19:19) in greco, latino ed ebraico, "Questo è il Re degli Ebrei" indica il crimine per il quale Gesù fu accusato. Era un crimine politico, ossia, l'aver tentato di abbattere il governo di Roma e di stabilire uno stato indipendente con Gesù come re, similmente all' obbiettivo degli Zeloti e dei Sicari della generazione successiva.
I Romani, che erano una minoranza nel loro stesso impero, erano costantemente nel timore di rivolte da parte di queste altre minoranze.
L'agitazione ebraica per l'indipendenza culminò, una generazione dopo la morte di Gesù, con una rivolta che durò otto anni prima che fosse completamente sedata.

L'affermazione che Gesù apparve vivo ai suoi discepoli dopo la sua morte, "perché i profeti di Dio avevano profetizzato queste e innumerevoli altre cose meravigliose su di lui" è chiaramente un'espressione di fede.
Essa deve essere un'interpolazione Cristiana perchè non c'è alcuna profezia di questo tipo prima del Nuovo Testamento. Andre Dubarle suggerisce di seguire la maggioranza dei vari testimoni indiretti del Testimonium fra i Padri della Chiesa [Andre M. Dubarle, "Le temoignage de Josephe sur Jesus d'apres la tradition indirecte," Revue biblique 80 (1973): 499.]
Ma le decisioni degli studiosi non si costituiscono propriamente in questa maniera, specialmente perché molti di questi testimoni hanno semplicemente seguito i predecessori e non hanno quindi presentato una visione indipendente.

Il passaggio si riferisce alla "tribù dei Cristiani" ma è poco verosimile che Giuseppe si riferisse ai Cristiani come una nazione, distinta dagli Ebrei e dai gentili. La parola "Christians" (Χριστιανῶν) non si trova in nessun altro passaggio delle opere di Giuseppe. La frase "tribe of Christians" si trova due volte nelle opere di Eusebio e in nessuna altra delle opere dei primi scrittori Cristiani. [Eusebius, Historia ecclesiastica 3.33.2, 3. Olson, "Eusebius and the Testimonium Flavianum," 312, n. 12, cites this as the reason that Solomon Zeitlin, "The Christ Passage in Josephus," Jewish Quarterly Review 18 (1928): 231-255, identifies Eusebius as the author of the Testimonium.]

Inoltre il Testimonium nell'affermare che la "tribe of the Christians" è "so called after him" chiaramente implica che solo i Cristiani sono chiamati così in qualità di veri seguaci del Messiah Christos.



C'è una sola frase nel Testimonium che, pur essendo stata notata da molti studiosi,



εἰς ἔτι τε νῦν

εἰς ἔτι τε νῦν


non è stata sufficientemente enfatizzata, cioè, eis eti te nun (still to this day- fino ad oggi) in riferimento al fatto che "still to this day," "the tribe of the Christians, so called after him, has not disappeared."

Questa breve frase, vorrei suggerire, potrebbe - ripeto, potrebbe - offrirci la chiave per l'intero puzzle in merito alla legittimità del Testimonium Flavianum.


Tale chiave è adesso disponibile grazie alla compilazione realizzata negli ultimi decenni del Thesaurus Linguae Graecae, il dizionario completo di tutte le parole greche contenute in tutta la letteratura greca sopravvissuta.


Ci si aspetterebbe che in un simile thesaurus una frase come questa apparisse non centinaia ma migliaia di volte, e che essa appaia frequentemente; ma il solo scrittore in questa intera collezione di molte migliaia di testi greci che usa questa frase con le parole in questo ordine, a parte Giuseppe, è Eusebio, nei cui scritti essa appare tre volte. Questa frase appare quindi essere una favorita di Eusebio e di nessun altro, almeno per quanto riguarda gli scrittori di quel periodo pervenutici.



In totale, quindi, tre frasi -"who wrought surprising feats," "tribe of the Christians," and "still to this day" ricorrono altrove in Eusebio e in nessun altro autore. Un certo numero di studiosi, fra i più reputati Solomon Zeitlin, hanno sospettato che poiché Eusebio fu il primo scrittore ad includere il Testimonium, fosse stato proprio lui a scriverlo. [44 Zeitlin, “The Christ Passage in Josephus,” 251–255]


D’altra parte il fatto che Eusebio quoti il Testimonium in tre forme differenti induce Joseph Kennard a concludere che se Eusebio fosse stato l'autore del Testimonium, egli non avrebbe quotato male se stesso. [45 Joseph S. Kennard, "Gleanings from the Slavonic Josephus Controversy," Jewish Quarterly Review 39 (1948-1949): 161-170.]



Ma come ho affermato altrove, [46 Feldman, "The Testimonium Flavianum," 189.] Clemente di Alessandria, per esempio, quando cita fonti precedenti, varia costantemente il testo. Questo, di per se, non prova che il Testimonium fu fabbricato.

Comunque, specialmente a causa del fatto che Eusebio era un grande polemista, un apologeta del Cristianesimo in due enormi opere contro il paganesimo, un fiero difensore della vita di Gesù quale compimento della profezia ebraica, uno dei maggiori interlocutori che risposero all’attacco che il filosofo Porfirio portò all'interpretazione Cristiana delle Scritture,

un guerriero implacabile che tenta di dimostrare che i Cristiani furono i veri eredi del Giudaismo, uno dei maggiori difensori del controverso Origene, un attivista della controversia Ariana, una figura chiave del Concilio di Nicea e un protagonista della formulazione e della difesa del Credo Niceno, uno storico maggiore dei martiri Cristiani,

successivamente il vescovo del centro chiave Cristiano di Cesarea, l'autore di un’ opera maggiore sull' imperatore Costantino quale sovrano del suo popolo, e il primo storico maggiore del Cristianesimo, deve essere stato molto disturbato dal fatto che nessuno prima di lui, fra tanti scrittori cristiani, avesse formulato anche solo un minuscolo sketch della vita e delle opere di Gesù.

Conseguentemente, egli potrebbe essere stato motivato ad originare il Testimonium.




Conclusione

In generale, quando la tradizione manoscritta è unanime o quasi unanime, noi la seguiamo .Il TF appare in tutti i manoscritti esistenti delle Antichità, ma i più antichi di questi datano solo dell'undicesimo secolo. Il TF, inoltre, appare in tutti i numerosi manoscritti della traduzione Latina che fu fatta sotto la direzione di Cassiodoro nel sesto secolo. Bisogna anche tener presente che Eusebio, il primo scrittore che quotò il TF, lo fa in tre delle sue opere, ogni volta con leggere variazioni. Possiamo suggerire che se Eusebio stava quotando un passaggio così importante, dove ogni frase era soggetta ad interpretazione, egli non avrebbe rischiato di modificarlo, neanche con delle piccolissime variazioni. Inoltre rileviamo che quando un Arabo Cristiano, Agapius, si riferisce al TF nel decimo secolo, egli omette la linea ""if, indeed, we ought to call him a man," omette riferimenti ai miracoli di Gesù, omette il ruolo dei leaders Ebrei nell' accusare Gesù, non riporta che Gesù apparve ai suoi discepoli il terzo giorno ma che essi riportarono ciò, e egli non dichiara che Gesù fosse il Messia ma piuttosto che egli era forse il Messia. Come avrebbe potuto un Cristiano prendersi tali libertà con un così importante ed ufficiale passaggio?



. Contro la convinzione che il TF fu scritto da Giuseppe c’è il fatto che nonostante la forte opposizione dei pagani e degli Ebrei sui temi teologici e nonostante gli scontri con la comunità Cristiana durante i primi tre secoli, compresa la risposta di Giustino Martire nel secondo secolo all’accusa che Gesù non fosse esistito, ci sono otto padri della Chiesa che vissero prima del quarto secolo e che menzionano Giuseppe ma che tuttavia non riferiscono questo passaggio. Perfino l'estremamente prolifico ed influente Origene che fu profondamente coinvolto in controversie concernenti la natura di Gesù che conosceva Giuseppe molto bene, come indicato dal fatto che cita le Antichità sette volte, non cita il Testimonium. Al contrario, Origene si meraviglia che Giuseppe non credesse alla messianicità ed alla divinità di Gesù. Schreckenberg ammette che è difficilmente possibile determinare con certezza quali corruzioni del testo di Giuseppe siano dovute ad Origene stesso e quali siano dovute ad una fonte intermedia che Origene potrebbe aver utilizzato in buona fede.



In entrambi i casi l’osservazione che la trasmissione fu aggiustata o addirittura falsificata per ragioni apologetiche è valida. In questa connessione, dovremmo tener presente il metodo di lavoro di Origene, e cioè che egli dettava i suoi lavori ad almeno sette stenografi alla volta, e che il testo dettato era poi riprodotto da un numero identico di scribi. Infine, troviamo una sorta di caso simile di una interpretazione cristianizzata di Giuseppe nel trattamento Cristiano di Filone che, secondo Jerome, incontrò Pietro a Roma,strinse un amicizia con lui, e fu pertanto favorevolmente disposto nei confronti dei seguaci di Marco discepolo di Pietro. In conclusione, c’è ragione di pensare che un Cristiano come Eusebio avrebbe cercato di ritrarre Giuseppe come più favorevolmente disposto verso Gesù e potrebbe certamente aver interpolato un brano come quello che si trova nel Testimonium Flavianum.



Ribadito che questo articolo di Feldman veicola una numerosa serie di spunti di riflessione che meriterebbero di essere debitamente approfonditi (e mi riprometto nell’ambito di questa discussione di farlo) vorrei provare a “rileggere” questo fondamentale passaggio di FG inserendolo “prepotentemente” in quel contesto/modello che ho ridefinito “ipotesi messianista” sulle origini del cristianesimo.

Questo modello (pattern) che si nutre di quel ricco cluster di “tradizioni” testuali indiscutibilmente (e stranamente) presenti nelle attuali versioni dei Vangeli, resta, secondo me, la matrice più opportuna e più fertile sulla quale elaborare una spiegazione delle origini del cristianesimo che abbia al contempo maggior grado di plausibilità storica (criterio metodologico che dopo essere stato per decenni molto “svalutato”, sembra riprendere quota nel mondo specialistico), e maggiore capacità di includere, anche in maniera “semplice” il maggior numero di elementi (alcuni dei quali rimasti da sempre “isolati” in quanto apparentemente avulsi dal quadro generale recepito se non in palese, inconciliabile contraddizione con esso).

E’ evidente che, come ottimamente ricordato anche da Feldman, i sostenitori di una ricostruzione “non ortodossa” delle origini del cristianesimo, abbiano sempre mirato ad affermare la totale inautenticità del TF o quanto meno una sua violenta manomissione realizzata attraverso opportune ed ideologiche interpolazioni cristiane su un testo di base nel quale FG senza arrivare a quelle affermazioni (per lui impossibili) aveva comunque vidimato l’esistenza e soprattutto la continuità che quel personaggio aveva generato (ritengo, restando in questa chiave di lettura, che quest’ultimo sia probabilmente l’elemento che più abbia motivato l’eventuale “rielaborazione” cristiana del testo Flaviano, ovvero la necessità da epoca posteriore di riempire un lontano topos spazio-temporale delle origini, storicamente diverso, proiettandovi quella costruzione mitica che intanto si era riusciti ad imporre quale storia reale)



Ora il punto che mi sembra rilevante è che questa impostazione del problema mi pare sia stata scaltramente sfruttata (se non pilotata) proprio da quei sostenitori del “paradigma ortodosso”, ossia da coloro i quali da duemila anni tendono ad affermare con forza che i fatti siano sostanzialmente andati, fin dall’inizio, così come i testi interni alla tradizione teologica ci raccontano.


In fondo, “incanalare” una polemica sul TF su una sua parziale o totale autenticità, “concedere” eventuali interpolazioni, mettere in brackets interi pezzi di un testo di per sè già breve, lasciando sornionamente inalterata la “verità” che un importante storico ebreo abbia vidimato l’esistenza (e, ripeto, soprattutto il fatto essenziale che quel personaggio abbia ingenerato una continuità di fede e di appartenenza che ne diventa a sua volta paradossalmente garanzia di esistenza e di “consistenza”) di un certo “Gesù”, risulta un ottimo prezzo da pagare pur di incassare una sottile ma fondamentale vittoria.


Quella di diffondere, anche su profonde basi psicologiche, la senzazione che “quel Gesù” sia realmente esistito, al di là della percezione che lo stesso FG abbia potuto averne. E ottenuto questo risultato si campa di rendita per secoli fino a quando, cominciate le polemiche critiche ci si è potuti rintanare in una difesa che, pronta a riconoscere talune esagerazioni ascrivendole con generosa convenienza alle marachelle teologicamente ipetrofiche di qualche autore che, colmo di pie intenzioni ha voluto strafare, permette di arroccarsi agevolmente su una questione di percezione più o meno chiara da parte di Flavio Giuseppe.


Il problema, quindi, non è più la sostanza di fondo, e cioè cosa davvero aveva probabilmente riportato FG (il TF originario) ma, ferma restando la verità storica autonoma (figlia della successiva storicizzazione di un teologumeno), quale possa esserne stata la reale percezione di FG.


Ecco che in maniera anche semanticamente subdola un probabile brano di una vasta opera di FG nella quale l’autore tanto aveva narrato (seppur in chiave fortemente ideologica) delle complesse vicende messianiche (o pseudo-tali) ebraiche dell’epoca, diventa di base un TESTIMONIUM, ossia un cogente ed ineluttabile riscontro che FG si deve di offrire, fosse anche sospendendo la sua linea narrativa più generale, ad una Verità che, per quanto gli possa piacere o meno, è ineludibile in quanto, che lo abbia compreso a pieno o solo in parte, che lo abbia accettato o rifiutato, segna finalmente ed incontrovertibilmente il Vero compimento del disegno divino…ebraico.
E se non lo ha compreso ed accettato, poco importa. L’importante che, anche da "miscredente", lo abbia TESTIMONIATO. Altri, dopo di lui, ma anche prima di lui, avranno saputo spiegare alle masse che quanto, anche da lui, riportato, era, è, e sarà la Verità indiscutibile.

Ora se io da detrattore di questa “ricostruzione dei fatti” mi ponessi in un paradigma squisitamente e totalmente MITICISTA, sostenendo per esempio la totale inesistenza di Gesù quale figura storica reale, e di riflesso la totale non autenticità del TF, i miei avversari avrebbero gioco facile ad utilizzare (quando gli conviene ne fanno il miglior uso…) quei parametri di storicità che innegabilmente “colorano” questa storia.



In altre parole gli elementi storici, pur frammentari, che appartengono senza dubbio al sostrato originario che sono stati così abili a riplasmare, sarebbero sventolati ad arte per dimostrarmi quanto è ridicola la mia pretesa che il loro Gesù sia il parto di una completa (e quanto difficile da realizzare…) invenzione.
Ecco perché, tante volte, ho sostenuto che, senza volerlo, i miticisti puri e duri hanno finito per avvantaggiare il compito di chi dall’altra parte si batteva per mantenere in vita una costruzione teologica non banale.


La realtà, mi si perdoni il gioco di parole, è che in questa storia il mito c’è, ma viene dopo. Prima c’è la Storia, di cui il Mito Incarnatore si è fatto carnefice…
Se da un lato il “paradigma ortodosso” non può avere consistenza storica perché è fatalmente dipendente da troppe variabili anistoriche, dall’altro il “paradigma mitista” puro è altrettanto discutibile perché nel tentativo di smascherare il primo finisce per "mitizzare” anche quegli elementi che onestamente sembrano possedere un elevato grado di plausibilità storica.


Ecco che, una volta di più, in medio stat virus…

Un modello che si sforzi di “separare quello che Dio ha (falsamente) unito” , che infranga un fuorviante “matrimonio mistico” fra tante prosaiche verità storiche e una capziosa visione metastorica della realtà.

Questa è l’ineludibile necessità di chi voglia realmente recuperare una passabile ed affidabile sequenza evenemenziale.



Nel caso specifico, mi sembra evidente che l’ “ipotesi messianista” , almeno nella versione che io considero più probabile preveda quanto segue:

1) Il cristianesimo del primo secolo e di parte del secondo non è altro che una componente particolare di un variegato messianismo ebraico che sarà teso fino alla sconfitta finale di Bar Kocheba alla redenzione(liberazione) del popolo d’Israele. La componente che mi pare più fondante di questo particolare messianismo è quella Millenaristica. Nessuna delle caratteristiche che prenderà dopo (e a causa del)la rielaborazione mitico- teologica che comincia a mettersi in moto dopo il primo secolo, è presente nel primo secolo.

2) Il corpus neo-testamentario è assolutamente assente dal panorama del primo secolo. In modo particolare la letteratura Paolina e gli Atti degli apostoli sono prodotti posteriori ai vangeli. Il Paolo del cristianesimo postumo è creatura mitologica o nella migliore delle ipotesi (che io prediligo) rielaborazione “a rovescio” di una figura storica del primo secolo.

3) Il giudeo-cristianesimo “narrato” dai testi cristiani e non e come tale vidimato dagli specialisti è, anch’esso, una mera invenzione postuma, figlia dell ‘operazione teologica madre. Si tratta della comprensibile esigenza di retroproiettare la propria nuova mitologia-teologia in un tempo ed uno spazio originario (quello palestinese del primo secolo) che seppur non più centrale al momento in cui questa operazione viene realizzata, ha il potente valore di “fondare un’origine”, per poter dire “c’eravamo, così come siamo, fin dall’inizio”.

La storia reale della Palestina del primo secolo è invece stata tutt’altra cosa ed i suoi protagonisti erano pervasi di ebraicità. (su questo punto fondamentale il recente, parziale e ancora debole recupero storiografico dell’ebraicità del Cristo, non ha ancora fatto scaturire una discussione, che pure ne sarebbe logica conseguenza, sulla ebraicità del cristianesimo originale.

Purtroppo mi è pessimisticamente chiaro che se, da un lato, un formale, generico e ruffianamente catartico riconoscimento di una realtà evidente, da sempre, a tutti, (“Gesù era un ebreo”) può in questa fase storica essere “generosamente” concesso, dall’altro canto cosa ben diversa e molto più insidiosa sarebbe quella seria conseguenza e cioè una volta ammesso che “Gesù era un ebreo” chiedersi che tipo di ebreo egli fosse, visto che gli Ebrei dell’epoca non erano (come non lo sono oggi) robot programmati ma persone con un’ autonomia ed una varietà di pensiero ben più ricca di quanto a certi storici esponenti di una assurda accusa di deicidio ha fatto comodo credere e far credere.

Per quanto concerne la questione del TF, alla luce della lunga premessa fatta, e degli elementi concreti a nostra disposizione, il paradosso di quel “era il Messia” attestato dalla lezione presente nelle citazioni di Eusebio (e che probabilmente è servita da base per l’archetipo greco che poi ha originato la famiglia di manoscritti definitiva delle Antichità Giudaiche – stabilità della tradizione manoscritta) congiuntamente alla “diversa attestazione” che Origene con la sua strana parafrasi ci ha lasciato, mi spingono ad avanzare il sospetto che il tutto si potrebbe leggere in maniera molto differente.

Io credo che FG abbia scritto a Roma in un contesto in cui, come detto, il cristianesimo che oggi conosciamo non era ancora stato “inventato”. Credo quindi che FG abbia scritto, in coerenza con le linee guida (ideologiche) che si era dato, qualcosa a proposito di un presunto (uno dei tanti) pseudo-messia ebrei (il “TF originale”) Credo che lo abbia descritto con gli stessi toni sprezzanti, critici, negativi (forse anche sarcastici) che in linea generale utilizzava per questi personaggi ai quali, in fondo, addebitava la sorte tragica subita dal suo popolo. Un TF scritto in un periodo in cui quello pseudo-cristo, falso messia finito in croce non era stato ancora teologicamente trasformato nel Cristo “Gesù” fortemente degiudaizzato che comparirà progressivamente a partire dal secondo secolo. Un periodo in cui, per l’appunto i Romani non avevano da fare insensate differenze tra ebrei e cristiani quanto piuttosto tra ebrei accomodanti e/o collaborazionisti ed ebrei messianisti.

Credo plausibile ipotizzare che Origene abbia potuto leggere una versione del TF, se non originale, sicuramente molto più vicina ad esso di quanto non sarà posteriormente. E che questa versione conservasse in luogo di quel paradossale “ERA IL MESSIA” qualcosa come (ALCUNI LO CONSIDERARONO/CREDETTERO CHE) ERA IL MESSIA. (“CREDEBATUR ESSE” , “HE WAS THOUGHT TO BE THE MESSIAH”)

Questa versione letta da Origene in un periodo in cui la tradizione manoscritta di FG non era ancora caratterizzata da quella Stabilità formalmente accertata da Eusebio in poi (e che viene a mio avviso impropriamente utilizzata da molti specialisti quale prova regina della autenticità anche parziale di quella versione del TF, a prescindere dalle interpolazioni quali “era il Messia” ) spinse ovviamente lo stesso Origene a dire che FG non lo riconosceva come Messia. Vale a dire in parole semplici che Origene ci porta testimonianza del fatto che FG pur parlando di “Gesù” (e quindi probabilmente di chi era e di come fu considerato da alcuni altri ebrei) ripudiava proprio per quelle sue caratteristiche da falso-profeta nemico del Tempio ed anti-romano, una sua presunta messianicità.

Purtroppo non mi sembra neppure casuale che mentre in Eusebio si trovino delle citazioni, in Origene resti esclusivamente una ambigua parafrasi.

Fra le altre cose questa ipotesi darebbe anche un senso compiuto al passaggio di Antichità XX nel quale FG si riferirebbe al Giacomo fratello di Gesù chiamato Cristo, dove il senso di quel “chiamato” lungi dal collimare con il distorto “era il Messia” sarebbe decisamente più compatibile con il "Credebatur esse/fu considerato" della Tradizione manoscritta latina e del Testimonium arabo di Agapius. La Tradizione manoscritta latina in effetti non sarebbe da vedere quale risultanza di una improbabile volontà di stemperare una lezione greca ritenuta troppo forte, quanto invece la residua memoria di un ramo pre-archetipico che conservava una lezione del TF più vicina all’originale e sicuramente simile se non corrispondente a quella letta da Origene.

Se questa ipotesi fosse valida, sarebbe a mio avviso logico il silenzio di altri autori cristiani (pre e post origeniani) i quali, a differenza di Origene, e forse maggiormente consapevoli dell’operazione teologica in corso sul personaggio reale che si era distinto per la sua stretta, rigorosa, zelante adesione ad un diffuso ideale messianico di redenzione del suo popolo, non “commisero l’errore strategico” di tirare in ballo, commentandolo, il pericoloso passaggio Flaviano. Ritenendo a giusto titolo e con sagace prudenza che non erano ancora maturi i tempi in cui una più consolidata “nuova creatura gesuana” (frutto di un processo più spinto di degiudaizzazione che ne avesse maggiormente stemperato l’iniziale e potenzialmente pericolosa coesistenza/persistenza della memoria della originaria “matrice messianista ebraica”) avrebbe permesso una fase successiva del processo.



Fase che poi sarebbe arrivata allorquando qualcuno poco prima di Eusebio (o lo stesso Eusebio) complice una diversa e ben più profonda intersecazione della “nuova religione" cristiano-paolina con il sempre più decadente Impero Romano, avrebbe finalmente provveduto ad un definitivo accomodamento dell’ opera Flaviana ed in particolare ad una edizione definitiva del TF. Finalmente Flavio Giuseppe poteva “confessare” che questo Gesù fosse il Messia.



Mi preme chiudere con una considerazione che non ha mai avuto il giusto peso. sovente si è polemizzato contro chi tenta di rivedere le origini del cristianesimo postulando interpolazioni anche pesanti nel testo delle opere di autori antichi, in modo particolare nel caso di Flavio Giuseppe. Nella quasi totalità dei casi si è violentemente deriso chi praticava questa ipotesi, adducendo che era davvero grottesco pensare che a quell'epoca si potesse riuscire ad orientare un testo inserendo delle varianti significative ed interessate data l'enorme difficoltà di controllare/censurare tutte le copie esistenti.



Trattasi di un mito senza valore. Il caso di Origene, quale che sia la sua corretta definizione, dimostra a mio modo di vedere, in maniera rigorosamente scientifica, che sensibili variazioni di contenuti fossero assolutamente possibili, almeno nella fase iniziale e cioè prima che la forte spinta di un particolare testo archetipico non venisse a renderne più difficile (ma non impossibile) la realizzazione.






Edited by barionu - 18/4/2022, 11:30
 
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CAT_IMG Posted on 7/4/2024, 11:15
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cip di richiamo

https://letterepaoline.net/2009/01/23/il-t...nium-flavianum/






Tra le più antiche fonti non cristiane sull’esistenza storica di Gesù (elencate brevemente qui), figurano due passaggi dalle Antichità giudaiche dello storico ebreo Giuseppe Flavio (Gerusalemme, circa 37 d.C. – Roma, circa 100 d.C.).

L’opera, composta durante l’ultimo decennio del I secolo, accenna rapidamente alla figura di Gesù in due occasioni: nel libro XX (9,1), laddove riferisce della condanna a morte di Giacomo il minore, ordita nell’anno 63 dal sommo sacerdote Anano (sadduceo, poi destituito su pressione dei farisei); e poco prima, più estesamente, al libro XVIII (3,3, §§ 63-64). Quest’ultimo brano è noto come Testimonium flavianum: è anche alla sua importanza che si deve l’abbondante trasmissione del testo di Giuseppe Flavio, in epoca antica e medievale (assieme ad altre opere dello storico: la Guerra giudaica, suo capolavoro indiscusso, l’interessantissima autobiografia, e il libretto apologetico Contro Apione, giuntoci in forma frammentaria).

Attorno ad esso, soprattutto a partire dai dubbi espressi dall’umanista francese Joseph Scaliger (XVI sec.), la critica si è concentrata in vari modi, negando o contestando l’autenticità del passo, e producendo in tal modo una bibliografia sterminata (da ultimo, si veda il contributo di A. Whealey, Josephus on Jesus. The Testimonium Flavianum Controversy from Late Antiquity to Modern Times, New York 2003). Prima di parlarne brevemente, leggiamo dunque il brano, nella recente traduzione di Manlio Simonetti:

Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli che tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani (Flavio Giuseppe, Storia dei Giudei da Alessandro Magno a Nerone. “Antichità Giudaiche”, libri XII-XX, Milano 2002, pp. 412-413).

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SEGNALA QUESTO ANNUNCIOPRIVACY
Su Giuseppe Flavio, come si è detto, abbiamo parecchie informazioni di prima mano. Nell’autobiografia, ad esempio, egli stesso si qualifica come rampollo di un’antica e nobile famiglia sacerdotale. Da giovane, sempre per sua ammissione, frequentò le principali sette giudaiche dell’epoca (farisei, sadducei, esseni), e dopo un breve periodo nel deserto, al seguito di un misterioso personaggio di nome Banno, optò per l’ingresso ufficiale nel movimento farisaico, cui rimase legato fino alla morte.

Sempre in gioventù, gli venne affidato un delicatissimo incarico: quello di difendere presso la corte imperiale romana, con una spedizione ad hoc, alcuni membri di famiglie sacerdotali probabilmente accusati di sedizione. La missione andò a buon fine, e gli consentì di entrare nelle grazie di Poppea, seconda moglie di Nerone, per intercessione di un mimo di origine ebraica molto apprezzato dall’imperatrice. Tornato in patria, l’ondivago Giuseppe si ritrovò coinvolto nella sanguinosa insurrezione antiromana del 66, tra le fila dei Giudei, in qualità di comandante (valoroso condottiero, secondo il resoconto da lui stesso offerto nella Guerra giudaica, e prudente mediatore di pace, secondo l’autobiografia). Al termine di un rovinoso assedio dei romani nei pressi del villaggio galilaico di Jotapata, forse grazie a un abile escamotage, riuscì infine a scampare a un suicidio di massa approntato dalle sue truppe.

Quel gesto, oltre ogni possibile previsione, rappresentò per lui l’inizio della gloria. Passando definitivamente dalla parte dei Romani, Giuseppe si assicurò infatti il favore degli ex avversari, presentandosi come “profeta giudeo”, e preconizzando nientemeno che l’elezione a imperatore dell’allora generale Vespasiano, visto come il messia liberatore atteso dal popolo ebraico (la profezia è nota anche grazie ad autori pagani, quali Svetonio e Dione Cassio). Non si pensi, però, a un improvvisato e momentaneo voltafaccia. Vespasiano, divenuto imperatore in capo a due anni, concederà a Giuseppe tutti gli onori del caso, permettendogli di porre mano, con una serie di opere indirizzate prevalentemente a un pubblico non ebraico, a un grandioso tentativo di giustificazione storica, politica e persino teologica del clamoroso rovesciamento nelle vicende del popolo d’Israele.

Come intuito da Adolf von Harnack e da Jacob Taubes, il neoromano Giuseppe si convince infatti che «la caduta di Gerusalemme testimoni e riveli all’ebraismo che il mondo è teatro di una sua più grande vittoria (…), che il suo Dio, abbandonato dalla santità di Gerusalemme, conquisterà il mondo e che la sua legge sottometterà l’Imperium romanum». Giuseppe spera «che la legge divina del popolo ebraico conquisti il dominio sul mondo e che la teocrazia dello stato ebraico si estenda a teocrazia mondiale (…). Nella teocrazia dell’ebraismo si realizza l’ideale di Platone e di tutte le utopie greche sullo stato migliore» (J. Taubes, Escatologia occidentale, trad. it. Milano 1997, p. 88). Ciò darà a luogo a una curiosa eterogenesi dei fini, perché il prodotto della propaganda dello storico ebreo, come di quella di un suo (diversissimo) contemporaneo, Filone Alessandrino, contribuiranno invece a lavorare «l’Impero romano come un campo da coltivare, rendendolo fertile per la semina cristiano-orientale»: vale a dire per un’operazione di segno opposto, anche se di uguale matrice ebraica.

Si capisce allora come il Testimonium flavianum, nella forma in cui ci è giunto, non possa provenire integralmente dalla penna di Giuseppe, ma sia il probabile risultato di una controversa storia testuale, nella quale copisti cristiani intervennero a correggere il testo. Tali copisti, tuttavia, non avrebbero potuto creare di sana pianta il passaggio, né alterarlo completamente. L’antico scrittore, di certo, non nutriva alcun particolare interesse nei confronti dei seguaci di Cristo: ma non poteva nemmeno ignorarne l’esistenza (come non ignorò l’esistenza di un altro protagonista delle origini: Giovanni Battista). Anche la critica più radicale, inoltre, è costretta ad ammettere che lo stile del passo risulta compatibilissimo con la mano di Giuseppe.

Fino a che punto, dunque, i copisti successivi aggiustarono le cose? I tentativi di restituzione dell’originale non sono mancati, anche a partire dall’esame accurato delle varianti presenti nella tradizione manoscritta. Una versione araba del passo, scoperta nel 1971, proviene ad esempio da un autore siriaco del X secolo, il vescovo Agapio di Hierapolis:

Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie” (la traduzione è presa da J. Maier, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, trad. it. Brescia 1994, p. 65).

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Le differenze nei vari passaggi, in questo caso, si possono spiegare supponendo una citazione a memoria (secondo una prassi non inusuale): nulla, ad ogni modo, ci assicura che questa fosse la versione originaria. Una possibile ricostruzione del brano, a un di presso, potrebbe essere allora la seguente (i passaggi non dovuti a Giuseppe Flavio sono espunti tra parentesi quadre; i passaggi ricostruiti per via congetturale sono posti fra gli indicatori; la traduzione dal greco è di chi scrive):

A quel tempo, visse un uomo sapiente (in gr.: sophòs anēr), se è appropriato chiamarlo uomo. Perché operò prodigi, fu maestro di uomini che accolsero con piacere < l’empietà? >, e condusse sulla propria strada numerosi Giudei (polloùs Ioudaìous), ma anche molti Gentili (polloùs toû ellēnikoû): [ i quali dicevano che ] era il Cristo. E quando su accusa dei nostri notabili venne fatto crocifiggere da Pilato, quanti dal principio lo avevano amato non smisero di amarlo: [ essi sostenevano infatti che ] apparve loro nel terzo giorno, vivente, e i profeti avevano predetto questa e diecimila altre cose incredibili (thaumásia) su di lui. Ancora oggi sussiste la stirpe dei cristiani, che da lui ha preso il nome.

Il brano, così restituito, risulterebbe assai vicino alla versione riferitaci dalla maggior parte dei manoscritti, e supporrebbe pochissimi interventi: due espunzioni (“i quali dicevano che”; “essi sostenevano che”) e una sola alterazione (l’attuale “verità”, in luogo forse di un originario “empietà”). Ci troveremmo di fronte ad affermazioni che un cristiano non avrebbe mai potuto compilare, in questi termini: oltretutto con l’ammissione esplicita che quanto viene riferito deriva da affermazioni dei discepoli di Gesù (nondimeno, vi sono studiosi come Étienne Nodet che spiegano diversamente le presunte interpolazioni cristiane, e giungono ad ammettere la sostanziale autenticità del passo trasmesso).

Cosa possiamo ricavare da questo brano? Le informazioni, anche nella supposta versione “corretta”, sono di primaria importanza, al di là del riferimento alla crocifissione di Gesù e alla fede dei seguaci nella sua risurrezione. Innanzitutto, Gesù è indicato come un sophòs anēr, un “saggio”, un “sapiente”: non fu un profeta, non fu un taumaturgo, non fu un “rabbi” nel senso posteriore del termine (all’epoca di Gesù, il titolo era puramente onorifico), non fu nemmeno un agitatore politico, e non appartenne a nessuno dei movimenti giudaici menzionati da Giuseppe (farisei, esseni, sadducei; gli “zeloti”, per Giuseppe, si organizzarono come movimento autonomo durante la guerra giudaica, quindi dopo la morte di Gesù; prima il termine aveva un altro significato).

La valutazione di Giuseppe è simile a quella dello scrittore greco Luciano di Samosata (II secolo), che in un suo caustico pamphlet, dedicato a un predicatore itinerante del suo tempo, un certo Peregrino, menziona la frequentazione sporadica da parte di questi di un gruppo di “cristiani”, descritti come «adoratori di un sofista crocifisso». Anche altre fonti non cristiane, di poco precedenti, parlano di Gesù come di un saggio o di un sapiente (vedi la lettera di Mara Bar Serapion, databile alla seconda metà del I secolo), messo a morte dal suo stesso popolo.

Le ulteriori informazioni fornite da Giuseppe, poi, concordano col quadro che si desume dalle successive fonti rabbiniche. In un brano del Talmud babilonese (trattato Sanhedrin, § 43), si dice infatti che «alla sera della Parasceve si appese Jeshu ha-notzrì (il nazareno, ovvero cristiano)», con una triplice imputazione: «ha praticato la magia e ha sobillato (hissit) Israele [all’idolatria] e l’ha traviato (hiddiah) il popolo». L’accusa corrisponderebbe a quanto scritto nelle Antichità giudaiche, per cui Gesù si sarebbe distinto come operatore di prodigi (donde l’accusa di magia, riferita anche dalle fonti evangeliche), come predicatore di empietà o di idolatria (donde l’accusa, riferita sempre nei vangeli, di avere bestemmiato e di essersi proclamato “Figlio di Dio” e “Figlio dell’uomo”, entrambi titoli sovrumani), e come traditore di Israele.

Riguardo a quest’ultimo punto, la notazione di Giuseppe è particolarmente interessante, dato ch’egli sottolinea come Gesù «condusse sulla propria strada numerosi Giudei, e anche molti Gentili». Il vocabolo Ioudaios, all’epoca in cui scrive lo storico ebreo, ha un senso eminentemente etnico-culturale, non religioso (come in Paolo, che per indicare l’appartenenza religiosa utilizza ebraios). Ugualmente, l’espressione (hoi) toû ellēnikoû ha valore etnico-culturale: non può indicare ebrei di lingua greca, da contrapporre ad ebrei di area palestinese. Significa “quelli di stirpe greca”, vale a dire i non Ioudaioi, i non Giudei. Particolare importante, perché Giuseppe potrebbe attestare in tal modo il fatto che Gesù avrebbe avuto anche non ebrei fra i suoi discepoli, o quantomeno fra i suoi primi seguaci: un elemento in più, questo, per sostenere che l’apertura del primissimo gruppo dei discepoli agli esterni della “casa d’Israele” non fu il prodotto di una serie di contingenze storiche o di “tradimenti” (come quello che secondo taluni sarebbe stato operato da Paolo), ma trasse forse la sua linfa dalla predicazione originaria del Maestro.







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A

ITALIANOENGLISH
La lunga querelle riguardante il testo del Testimonium Flavianum non può dirsi ancora conclusa. La critica si divide sul problema dell’autenticità o meno di questa importante testimonianza sulle origini del Cristianesimo. In questo breve lavoro, dopo un’analisi storico-filologica condotta sul testo, si ipotizza che il medesimo possa aver risentito dell’opera di un interpolatore cristiano di II secolo. In particolar modo, l’uso di φαίνω, in comparazione con i verbi usati nelle versioni siriaca e araba, e i versi di Mc 16, 9-11, che sarebbero stati inseriti nel testo, sarebbero un’ulteriore prova che il Testimonium abbia risentito di una interpolazione cristiana in relazione alla ‘manifestazione’ di Gesù.



Conclusioni
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TEXTE INTÉGRAL
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1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cf (...)
2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei (...)
1Il caso del cosiddetto Testimonium Flavianum può dirsi ancora oggi non chiuso. Il breve passaggio su Gesù di Nazaret, che appare in tutti i manoscritti esistenti nel diciottesimo libro dello storico giudeo romanizzato Flavio Giuseppe, Antiquitates iudaicae (XVIII, 63-64) scritto in greco nel 93-94 d.C. circa, è stato soggetto a dispute teologiche circa la sua autenticità, sin dal sedicesimo secolo. Le interpretazioni della critica divergono sensibilmente e possono essere raggruppate, in ultima analisi, in due filoni opposti: coloro che sostengono l’autenticità del passo e coloro che la negano in parte o in tutto, parlando esplicitamente di interpolazione/interpolazioni1. Il dibattito sull’autenticità del Testimonium nasce dalla presenza di alcuni passi difficili da conciliare con quanto si conosce della religiosità di Flavio Giuseppe. Generalmente, la maggioranza degli studiosi accetta parzialmente il Testimonium attribuendo ad interpolatori cristiani alcune affermazioni in esso contenute2. La querelle è stata poi ulteriormente alimentata dal confronto fra il textus receptus e alcune versioni più tarde in siriaco e in arabo, le quali tuttavia , nonostante i lodevoli sforzi dei commentatori, non sembrano al momento far progredire più di tanto la ricerca.

3 Van Voorst 2000, 91-92.
4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Bas (...)
5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettat (...)
6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” (...)
7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino (...)
8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.
2Il dibattito si basa principalmente da una parte sull’analisi testuale e sul confronto del passo in questione con altre opere di Flavio Giuseppe, mentre dall’altra parte tiene conto del contesto storico e culturale nonché della totale assenza di qualche riferimento al Testimonium nelle fonti antiche3, infatti sebbene non meno di undici autori cristiani facciano riferimento a Flavio Giuseppe prima di Eusebio di Cesarea nel 324 d.C., nessuno menziona il Testimonium4. Andando per ordine, prima di Eusebio, Origene, nella metà del III secolo, scrive che Flavio Giuseppe non ‘accetta’ Gesù come Messia5, di conseguenza tale dato farebbe propendere per la totale autenticità del passo, ma come sostiene Paul L. Maier, questa ipotesi è da ritenersi ‘senza speranza’6. Il Testimonium è stato riportato verbatim da Eusebio di Cesarea per scopi apologetici anti-pagani7. San Girolamo riporta una traduzione letterale del passaggio, ma al posto della frase “questi era il Cristo” - ὁ χριστὸς οὗτος ἦν - propone “questi era creduto essere il Cristo” – credebatur esse Christus 8- tale variante è indipendentemente supportata dalla versione in siriaco di Michele il Siro la quale contiene la medesima variante:

ܗܘܐ ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܙܚܙܐ ܐܥܬܘܗܝ

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale d (...)
“si pensava che egli fosse il Cristo”9;

10 Whealey 2016, 347.
l’esistenza di questi due testi paralleli implicherebbe il fatto che ci doveva essere stata una versione greca del Testimonium da cui hanno attinto sia Girolamo sia Michele il Siro poiché gli scrittori cristiani latini e siriaci non leggevano tra loro le loro opere ma solo la letteratura cristiana redatta in greco10.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte (...)
12 Whealey 2016, 348.
3A partire dal XVI secolo il dibattito sull’autenticità del Testimonium si fa più intenso tra gli studiosi ebrei, come Isaac Abravanel (1437-1508) e Menassah ben Israel (1604-1657), i quali rigettano la veridicità del testo in quanto manca nella versione del Sefer Yosippon11; mentre per i cristiani la supposizione che il testo sia stato falsificato comincia a diventare esplicita alla fine del secolo, durante il quale emergono figure come il luterano Lucas Osiander (1534-1604) anche se la sua teoria si poggia solo su presupposizioni a priori12.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey(...)
14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di (...)
4Già a metà del XVII secolo circolavano opinioni divergenti sul Testimonium, ma solo tra la seconda metà del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo la questione troverà un chiaro assestamento; ciò non avvenne per caso in quanto Protestanti come C. Arnold, D. Blondel, T. Faber, T. Ittig e S. Snell studiarono a fondo il testo e i loro argomenti a supporto dell’inautenticità risultarono talmente convincenti che gli studiosi, di qualunque religione o no, erano obbligati ad accettare le loro congetture. Solo nella metà del XIX secolo emerse un forte consenso riguardo al fatto che il Testimonium risulta essere parzialmente o totalmente interpolato13. La frase ‘incriminata’, “questi era il Cristo”, ha condotto, ad esempio, uno studioso riformato come Tanaquilius Faber (1615-1672) a pensare all’inautenticità del Testimonium per il fatto che Origene riporta che Flavio Giuseppe non crede in Gesù come Cristo. Dopo Faber, in epoca moderna, molti studiosi cominciano a credere a una possibile falsificazione del testo, prova ne sarebbe, di tale pensiero, il fatto che Niese, nella sua edizione critica delle Antiquitates, pone tra parentesi l’intero passo (di sotto esposto) pensando che sia totalmente interpolato; possibilmente la frase “questi era il Cristo” è stata, secondo alcuni, corrotta da un precedente “questi era ritenuto essere il Cristo”14.

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al- (...)
16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.
5Nel 1971 S. Pines pubblica una monografia sulla cronaca medievale araba del X secolo, redatta da Agapio15, ponendola a confronto con la cronaca siriaca di Michele il Siro (vd. supra) poiché tutte e due le opere conservano una versione del Testimonium16. Il Testimonium di Agapio, a ben vedere, differisce dal textus receptus in greco, in particolar modo per la menzione:

فلعله هو المسيح

“e forse lui è il Cristo”,

17 Pines 1971, 33.
18 Whealey 2008, 587-588.
presentando, secondo Pines, pochi ‘tratti cristiani’ che, al contrario, contraddistinguono il testo greco17. La versione del Testimonium di Michele sembrerebbe invece molto più vicina a quella greca, ma anche in essa, come esplicitato prima, vi si legge “si pensava che egli fosse il Cristo”, linguisticamente più vicino al credebatur esse Christus di Girolamo, che la accosterebbe notevolmente al pensiero di Flavio Giuseppe, riguardo a Gesù e al suo status, rispetto al Testimonium di Agapius18.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fed (...)
6Per quanto attiene alle fonti adoperate dai due autori, Agapio sostiene che la propria Cronaca si basi su quella siriaca di Teofilo di Edessa, mentre Michele il Siro ammette di aver attinto direttamente dall’opera storica del patriarca di Antiochia Dionigi Tel Maḥrē per il periodo tra 582-843; lo stesso Dionigi riconosce di aver utilizzato Teofilo per la sua opera, quindi Teofilo sarebbe stato la fonte maggiore da cui hanno attinto Agapio e Michele per il periodo storico 582-780 circa, tanto che viene citato espressamente dai due autori riguardo le loro fonti per il periodo omayyade19.

20 Cfr. Pines 1971, 27.
21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.
7Secondo Pines il Testimonium di Michele sarebbe stato composto utilizzando parti della Historia Ecclesiastica di Eusebio e parti della versione Testimonium preso dalla fonte siriaca di Agapio20; invece è plausibile che i Testimonia di Agapio e Michele derivino da una stessa fonte comune siriaca che è stata riportata verbatim da Michele, mentre Agapio ha ritenuto opportuno ricorrere ad una parafrasi abbreviata, ma entrambi gli autori hanno estratto parti dalla Historia Ecclesiastica per coprire il periodo che va dalla Creazione al 780 d.C.21

8Per quanto concerne gli elementi in comune che i due testi condividono si segnalano il riconoscimento di Gesù come messia e la sua morte in croce.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurr (...)
23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.
9Come già annotato la versione siriaca riporta l’espressione “si pensava che egli fosse il Cristo”, mentre quella araba “e forse lui è il Cristo”. Occorre sottolineare che a quel tempo una consistente parte di autori medievali leggeva solo letteratura scritta in greco e probabilmente la fonte originaria dei due Testimonia sarebbe stata redatta in greco riportando nel punto in questione una frase simile a “si pensava che egli fosse il Cristo”; inoltre il participio singolare maschile siriaco di forma ethpe‘al ܡܣܬܒܪܐ “si pensa”22 identificherebbe una connotazione scettica e non usuale da parte di un vescovo cristiano medievale, come Michele, nei confronti dello status di Messia di Gesù. Se la fonte originaria greca riportava realmente una frase similare, con il verbo ἐνοµίζετο “si pensava” (come in Lc. 3, 23), allora ciò rafforzerebbe l’affermazione di Origene secondo la quale Flavio Giuseppe non credeva in Gesù come messia23.

24 Pines 1971, 31-32.
10Per quanto concerne la menzione della crocifissione e della morte di Gesù, si nota che i due testi fanno un riferimento più esplicito24, infatti Agapio riporta:

و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت

“Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte”,

11Michele invece scrive:

ܠܡܗܡ ܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܥܬ ܝܗܒܗ ܦܝܠܜܘܣ

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.
“Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì”25.

26 Pines 1971, 30.
12Non esiste un parallelo di tale aggiunzione in altre precedenti traduzioni greche o latine del Testimonium così come risulta inverosimile che ‘la condanna di Pilato’ facesse parte di un precedente Testimonium originario; inoltre non vi è ragione del perché un autore siriaco, tra il IV-V secolo e l’epoca di Michele, abbia inserito tale avvenimento dato che esso è già incluso nel textus receptus 26.

13L’intenzione è allora quella di rileggere il testo greco e condurre un’analisi filologica, confrontando il lessico ivi impiegato con quello dei testi in arabo e in siriaco. Astraendo da considerazioni più propriamente dottrinali o più semplicemente correlate con visioni religiose, potremmo forse aggiungere qualche dato ulteriore per comprendere la reale natura di questa controversa testimonianza.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.
14Il Testimonium di Flavio Giuseppe si presenta nel modo seguente27:

Γίνεται δὲ κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον Ἰησοῦς σοφὸς ἀνήρ, εἴγε ἄνδρα αὐτὸν λέγειν χρή: ἦν γὰρ παραδόξων ἔργων ποιητής, διδάσκαλος ἀνθρώπων τῶν ἡδονῇ τἀληθῆ δεχοµένων, καὶ πολλοὺς µὲν Ἰουδαίους, πολλοὺς δὲ καὶ τοῦ Ἑλληνικοῦ ἐπηγάγετο: ὁ χριστὸς οὗτος ἦν. καὶ αὐτὸν ἐνδείξει τῶν πρώτων ἀνδρῶν παρ᾽ ἡµῖν σταυρῷ ἐπιτετιµηκότος Πιλάτου οὐκ ἐπαύσαντο οἱ τὸ πρῶτον ἀγαπήσαντες: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν τῶν θείων προφητῶν ταῦτά τε καὶ ἄλλα µυρία περὶ αὐτοῦ θαυµάσια εἰρηκότων. εἰς ἔτι τε νῦν τῶν Χριστιανῶν ἀπὸ τοῦδε ὠνοµασµένον οὐκ ἐπέλιπε τὸ φῦλον.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, (...)
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce.
Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani28.

29 Pines 1971, 14.
15Testo arabo di Agapio29:

و كذالك يوسيفوس العير اني فلنه قال فيميامره التي كتبها عل تدبير اليهود: انه كان هذا الز مان رخل حكيم يقال له ايسو ع و كانت له سيرة حسنة و حلم انه فاضل و انه تتلمذ له كثير من الناس من اليهود و ساتر الشعوب و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت و الذين تتلمذو ا له لم يتركو ا تلمذته و ذكرو ا انه ظهر لهم نعد ثلثة ايام من طلبه و انه عاش فلعله هو المنسيح الذي قالت عنه الانبياء الاعاجيبب

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” (...)
Così Giuseppe l’ebreo disse, nei suoi trattati, di aver scritto sull’amministrazione dei Giudei: a quel tempo c’era un uomo saggio chiamato Gesù. E la sua condotta era buona ed era conosciuto come un uomo virtuoso. Molte persone tra gli ebrei e tra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte. E coloro i quali divennero i suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Loro ricordarono30 che Egli apparve a loro tre giorni dopo dalla sua crocifissione ed era vivente; e forse Egli è il Cristo di cui i profeti riportarono i prodigi.

31 Whealey 2008, 589.
16Testo siriaco di Michele il Siro31:

ܕܒܗܠܝܢ ܙܒܙܐ ܐܝܬ ܗܘܐ ܓܒܪܐ ܚܕ ܚܟܝܡܐ ܕܫܡܗ ܝܫܘܥ . ܐܢ ܘܠܐ ܠܢ ܕܓܒܪܐ ܢܩܪܝܘܗܝ
ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ ܓܝܪ ܣܥܘܪܐ ܕܥܒܕܐܵ ܫܒܝܵܚܐ ܘܡܠܦܢܐ ܕܫܪܪܐ . ܘܠܣܓܝܵܐܐ ܡܢ ܝܘܕܝܵܐ ܘܡܢ ܥܡܡܵܐ
ܬܠܡܕܘ . ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܝܚܐ ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ . ܘܠܘ ܐܝܟ ܣܗܕܘܬܐ ܕܪܝܫܢܘܗܝ ܕܥܡܐ ܡܛܠܗܕܐ . ܝܗܒܗ
ܦܝܠܛܘܣ ܠܡܣܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܝܬ ܘܗܢ ܘܢ ܕܝܢ ܕ ܐܚܒܘܗܝ ܠܐ ܫܠܝܘ ܡܢ ܚܘܒܗ . ܐܬܚܙܝ ܠܗܘܢ ܡܢ
ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ . ܢܒܝܵܐ ܓܝܪ ܕܐܠܗܐ ܘܕܐܝܟ ܗܠܝܢ ܐܡܪܘ ܥܠܘܗܝ ܬܡܝܗܵܬܐ . ܘܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ
ܠܐ ܡܓܪܕܐ ܥܡܐ ܕܟܪܣܛܝܢܐ ܕܡܢܗ ܘܥܕܡܐ ܐܫܬܡܗ.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act (...)
In quei tempi c’era un uomo saggio chiamato Gesù. Se è corretto per noi chiamarlo uomo. Poiché egli era colui il quale compieva32 opere gloriose ed era il maestro della verità. Molti tra i Giudei e tra le nazioni divennero suoi discepoli. Si pensava che egli fosse il Messia. Ma non secondo la testimonianza del capo della (nostra) nazione. Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì. E coloro i quali lo hanno amato non hanno smesso di amarlo. Apparve a loro dopo tre giorni vivente. Di certo i profeti di Dio parlarono di lui di cose meravigliose. E fino a (quel) giorno non fu assente il popolo dei Cristiani che fu nominato dopo di lui.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Gramma (...)
17Linguisticamente parlando il senso del passo greco è abbastanza chiaro e riflette lo stile di Flavio Giuseppe33. Dopo una breve introduzione nella quale si parla della straordinaria importanza della figura di Gesù, si passa direttamente al fatto principale riguardante la vita di costui: la crocifissione, la morte e la resurrezione.

18Proprio il dato storico riferibile alla resurrezione è in questa sede il punto sul quale sarà focalizzata maggiore attenzione. La pericope in questione è la seguente: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν “nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo”.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.
35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col (...)
36 LSJ, 749-750.
19Si tratta di una sintetica espressione che per la sua struttura ha suscitato non poche perplessità34. L’impiego del verbo ἔχω “io ho” sembra alquanto curioso. Per quale motivo impiegare questa espressione per indicare la resurrezione nel terzo giorno? Si è voluto vedere in questa costruzione una eco del testo evangelico di Luca (24: 18-27)35 nel quale, in riferimento alla resurrezione, si dice esplicitamente: τρίτην ταύτην ἡµέραν ἄγει “sono passati tre giorni”. Alcuni studiosi hanno sottolineato come l’uso del verbo ἔχω nel Testimonium Flavianum sia ambiguo, ovvero non renda un significato appropriato per quanto si voleva dire. In effetti, si tratta di un usus scribendi particolare, ma non incomprensibile; è ovvio che il verbo ha qui il valore intransitivo, con il significato di “trovarsi, esserci”36, e che quindi il senso della frase sia semplicemente quello di indicare che il Cristo “era davvero vivente nel terzo giorno” e non rappresentava una semplice visione. Da un confronto con i testi arabo e siriaco si nota che Gesù fosse già risorto dopo tre giorni, infatti in Agapio leggiamo: و انه عاش “ed egli è vivente” in cui عاش rappresenta il participio attivo del verbo “vivere”, quindi “vivente”; mentre in Michele: ܚܝ ܟܕ “mentre è vivente”, anche qui con il participio attivo del verbo “vivere”, ma rafforzato dalla particella ܟܕ “mentre”.

20Astraendo dunque da questa presunta difficoltà lessicale, parrebbe più opportuno soffermare l’attenzione sull’uso del verbo φαίνω, qui nella forma dell’aoristo II intransitivo.

21Il significato è chiaro: Gesù apparve di nuovo vivente nel terzo giorno.

22Un primo confronto può essere condotto con le versioni siriache ed araba del Testimonium. Nella versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio (1.11.8) leggiamo:

ܓܝܪ ܡܢ ܒܬܪ ܬܠܬܐ ܝܘܡܵܝܢ ܬܘܒ ܟܕ ܚܙ ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ

“…infatti apparve a loro dopo tre giorni di nuovo vivente”;

parallelamente nella cronaca di Michele il Siro (4.91) troviamo un’espressione quasi identica alla precedente:

ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ ܡܢ ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ

“ … apparve a loro dopo tre giorni vivente”.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come pri (...)
38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.
39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il gr (...)
40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.
41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158
42 Cfr. DNWSI, 357-361.
23Notiamo subito che, a fronte di una sostanziale convergenza con il testo greco, è proprio la forma verbale che indica la presenza improvvisa del Cristo in mezzo ai viventi che assume un valore affatto differente. Se in greco possiamo leggere ἐφάνη, in siriaco troviamo la forma ’ethpa‘el del verbo ḥzy “vedere”37. Però, la presenza in siriaco della particella ܠ “a, verso, per” dopo il verbo in questione tende a mutare il significato originario di “fu visto” con “apparve a”38, dunque “apparve a loro” sottintendendo che “fu visto da loro” come una visione39. L’apparizione improvvisa invece viene indicata in siriaco dalla radice blq40. Da un confronto con altre lingue semitiche come l’ebraico, in quest’ultima ḥazah significa proprio “vedere, osservare, percepire”, verbo talvolta adoperato anche per identificare la reale esperienza di una presenza divina come in Es 24, 11 e Gb 19, 26, da cui ḥazōn “visione”41; la radice *ḥzy trova un riscontro, con lo stesso significato originario e primario di “vedere”, anche nelle altre varietà di aramaico42.

24Sulla base di ciò, tale differenza potrebbe sembrare insignificante, ma, ad uno sguardo più attento, non sfuggirà che una cosa è affermare che il Cristo “apparve”, altra è dire che lo stesso “fu visto” dai suoi discepoli, poiché l’esperienza sensoriale è assolutamente differente. Nel primo caso l’agente, il Cristo, sembra incarnare una visione, è il medesimo che si presenta al cospetto altrui; nel secondo, invece, tutto il significato verbale è spostato sui discepoli che hanno l’esperienza materiale di vedere, verificare, la presenza del Cristo tra loro poiché si è manifestato come apparizione, visione. Non è escluso dunque che la traduzione siriaca abbia cercato di sanare, in itinere, quella che poteva apparire ad un cristiano un’aporia, ovvero ridefinire l’esperienza che i discepoli avevano fatto di fronte al Cristo risorto: era vivente, lo videro, lo sperimentarono!

25Tutt’altro se si trattava di un’apparizione: in ultima analisi, colui che era apparso, allo stesso modo poteva scomparire. La sensazione dell’ ‘apparire’ è molto più sfumata e ha un significato meno concreto di quella del ‘vedere’.

26Arriviamo dunque all’ultima versione del Testimonium che fornisce Agapio in lingua araba: وذكروا انه ظهر لهم بعد ثلثة ايام من صلبه وانه عاش “… e ricordarono che Egli apparve a loro dopo tre giorni dalla sua crocifissione ed era vivente”

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto (...)
44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice origina (...)
45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.
27In questo caso, trattandosi di una versione riassunta, l’autore tende a mantenere il verbo originale, impiega, infatti, il verbo arabo ẓahara “apparire, mostrare/mostrarsi”43. Qui troviamo in arabo un verbo che originariamente aveva il significato di “brillare, portare alla luce”, quindi “mostrare”44 esattamente come indica φαίνω “recare alla luce, portare alla luce, mostrare, splendere, brillare, apparire, comparire”45

28È presumibile che l’uso del verbo φαίνω debba dunque mantenersi nell’accezione usuale per l’aoristo intransitivo. Si tratta allora di un dato forse da non sottovalutare, specialmente se confrontato con gli analoghi racconti presenti nella letteratura coeva o di poco anteriore all’età di Flavio Giuseppe.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.
47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 1 (...)
29Da una ricognizione su tutte le fonti evangeliche, canoniche e apocrife, e sul corpus paolino46 non esiste un’espressione simile riferita all’esperienza che i discepoli e gli altri fecero del Cristo risorto. I verbi usati sono altri, infatti, Gesù ‘si rende noto’, ‘giunge’ o ‘viene visto’47, forse proprio per il fatto che si voleva assolutamente evitare ogni confusione tra il Cristo vivente e risorto e le immagini di visioni presenti nell’Antico Testamento o nella letteratura pagana. Del resto l’uso di φαίνω con il significato di apparire in visioni è ben testimoniato nei Vangeli (Mt 1: 20; 2: 13) e quindi, se gli autori avessero voluto impiegarlo in relazione al Cristo avrebbero potuto; ma non l’hanno fatto, proprio perché tale verbo racchiude un significato improprio per quanto rappresentato dal loro maestro che, vivente, dimostrava la veridicità della loro fede.

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-1 (...)
49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro (...)
50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.
51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 1 (...)
30Probabilmente qui l’introduzione, nella fede cristiana, dell’epifania ha giocato un ruolo nella costruzione letteraria del passo. Il termine epifania, dal greco ἐπιφαίνω “mi rendo manifesto”, indicava nel mondo greco antico la ‘manifestazione’, l’ ‘apparizione’ delle divinità per poi assumere nel cristianesimo il significato della manifestazione di Gesù ai popoli di tutto il mondo. Il concetto cristiano di epifania era già insito nella missione divulgativa dell’apostolo Paolo; la nozione ha subito un’evoluzione trasformandosi nella ‘manifestazione’ divina evangelica, ossia Paolo, da inviato, proclamava che Gesù era εἰκὼν τοῦ θεοῦ “immagine di Dio”, mettendo in moto forme di mediazione della presenza divina che nei primi Cristiani si fondavano sui viaggi apostolici e sui testi e in queste due forme si annunciava il luogo dove poter ‘incontrare’ la presenza divina48. La prima celebrazione, il 6 gennaio49, è avvenuta nel tardo II secolo allorché le prime comunità cristiane di Alessandria di Egitto celebrarono la Natività di Gesù Cristo, e con essa anche l’Epifania come la ‘manifestazione del Signore al mondo’. Fino all’introduzione nei primi anni del IV secolo, da parte della Chiesa di Roma, del 25 dicembre come festa della Nascita di Gesù, la stessa veniva celebrata insieme al Battesimo50. Inoltre, la parola epifania non compare mai nei Vangeli (tranne che sotto forma di verbo in Lc 1, 79), ma in altri documenti del Nuovo Testamento51. Non si esclude che l’uso di φαίνω nel Testimonium abbia risentito dell’influenza del concetto di epifania ormai radicato nell’interpolatore cristiano che avrebbe messo mano al Testimonium poiché un ebreo come Flavio Giuseppe non avrebbe mai potuto concepire la ‘manifestazione’ di Gesù come ‘apparizione’ divina.

31Tornando al testo, si è detto che una tale forma verbale non è mai impiegata in racconti sulla resurrezione; ma in realtà un esempio ci sarebbe, ma fa parte dei versetti dell’ultimo capitolo del Vangelo di Marco, oggi unanimamente ritenuti un’aggiunta posteriore non originale.

Nello specifico a 16: 9 leggiamo:
[[Ἀναστὰς δὲ πρωῒ πρώτῃ σαββάτου ἐφάνη (corsivo e grassetto mio) πρῶτον Μαρίᾳ τῇ Μαγδαληνῇ, παρ’ ἧς ἐκβεβλήκει ἑπτὰ δαιµόνια.

“Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, (...)
32L’uso verbale è identico: il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala. Una simile espressione non solo somiglia molto a quella del Testimonium, ma sembra realmente un’aggiunta fatta in un secondo momento per completare un testo che si riteneva mancante del dettaglio principale, quello caratterizzante la fede dei Cristiani52. Tale aggiunta, tuttavia, pare anche più superficiale, meno ragionata rispetto alla comprensione profonda dell’evento storico che riguardava la resurrezione del Cristo.

33Poiché ovviamente è da ritenere che una simile appendice sia stata inserita in ambito cristiano, pur se in maniera cursoria e probabilmente ricollegabile alla tradizione orale, potremmo avanzare un’ipotesi di lavoro riguardo al passaggio del Testimonium che abbiamo analizzato.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.
34La critica data i versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco ad un periodo che può essere collocato tra il primo quarto e la metà del II secolo53, ovvero dopo la pubblicazione delle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe.

35Il Vangelo di Marco era tra i più letti e utilizzati in ambito siro-palestinese almeno fino al VI secolo; potremmo allora ipotizzare che, traendo spunto dal versetto 9 del capitolo 16, un interpolatore cristiano abbia inserito nell’opera di Flavio Giuseppe il passo in questione?

Conclusioni
54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifa (...)
36Tornando alla problematica suscitata sulla totale o meno falsificazione del Testimonium di Flavio Giuseppe, il passaggio è stato inizialmente citato verbatim da Eusebio che lo ha utilizzato per i suoi propositi apologetici anti-pagani. Il testo è tutt’ora oggetto di critica ed è stato etichettato come ‘interpolato’ sin dal XVI secolo, focalizzando l’attenzione principalmente sul fatto che l’espressione “questi era il Cristo” non poteva essere originale nel textus receptus e comunque non poteva essere stata concepita da un non cristiano come Flavio Giuseppe; inoltre il ritrovamento di una traduzione siriaca contenente l’espressione utilizzata da Girolamo “si pensava che egli fosse il Messia” (“credebatur esse Christus”) nonché di un altro testo semitico, quello arabo di Agapio, in cui si trova la frase “forse egli è il Messia”, ha alimentato l’ipotesi secondo la quale ci doveva essere stato un precedente e originale testo greco che contenesse un’espressione similare sullo status di Messia di Gesù e di conseguenza che il Testimonium di Flavio Giuseppe è stato interpolato, anche se parzialmente, da un cristiano che è ‘intervenuto’ in quelle parti fondamentali del credo cristiano, ossia morte e resurrezione di Gesù. Un altro dato a supporto della falsificazione del testo emerge se si analizza l’uso e il significato di φαίνω, anche in comparazione con le successive versioni siriache e araba, nel Testimonium. Sembrerebbe evidente che la nozione di epifania abbia realmente creato le condizioni per utilizzare φαίνω in relazione alla manifestazione di Gesù come divinità e si sa che l’epifania non poteva di certo essere una concezione veritiera per un giudeo come Flavio Giuseppe54. I versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco sarebbero ancora una volta la prova che un interpolatore cristiano abbia voluto inserire nel textus receptus una concezione della manifestazione di Gesù, utilizzando proprio Marco, e rendere ancora di più ‘cristiano’ il Testimonium. La questione secondo la quale nelle versioni siriache e araba si utilizzano verbi che hanno il significato principale di ‘vedere’, ‘rendersi visibile’, ‘mostrarsi’ per tradurre φαίνω potrebbe essere spiegata col fatto che nei Vangeli Gesù non viene descritto come colui che ‘appare’, nel senso specifico di φαίνω, ma sostanzialmente egli ‘giunge’, ‘viene visto’, ‘si mostra’. Pertanto si tratta di resurrezione o di visione del Cristo? L’interpolatore cristiano ha voluto quindi inserire un dato significativo: Gesù è già risorto ed è stato visto, si è mostrato ai suoi discepoli; così facendo l’interpolatore avrebbe narrato l’evento in parallelo a quanto descritto nei Vangeli, ma avrebbe preso spunto dagli ultimi versetti di Marco per inserire il verbo ‘necessario’ alla ‘visione’ di Cristo, ossia φαίνω che sottolinea la definitiva e necessaria ‘apparizione’ di Cristo.

55 Olson 1999.
56 Baras 1987, 340.
57 Van Voorst 2000, 97.
37Stando a tali riflessioni, ci si chiede pertanto quando sia avvenuta questa interpolazione. Secondo K. Olson il Testimonium sarebbe stato falsificato interamente da Eusebio55, mentre per Z. Baras il Testimonium sarebbe stato manomesso prima di Eusebio; secondo questi Origene vide il Testimonium originale, che non riportava quotazioni negative su Gesù, e l’interpolazione sarebbe quindi avvenuta in un arco di tempo che va da Origene a Eusebio56 (II-III secolo ?). Della stessa opinione è E. Van Voorst57.

38Forse l’uso di una forma verbale è troppo poco per ipotizzare la reale genesi di un passo così tormentato e discusso come il Testimonium, ma è comunque non improprio tenere conto anche di questa difficoltà ermeneutica che, trovando sostegno in altri elementi, storici o filologici, potrebbe in ultima analisi porre un altro piccolo tassello sulla via dell’interpretazione e della comprensione di quanto troviamo nelle Antichità Giudaiche.

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BIBLIOGRAPHIE
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NOTES
1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cfr. Bell 1976, 16-22; Meier 1990, 76-103; Olson 1999, 305-322; Bardet 2002; Whealey 2003 e Whealey 2016 con ricca bibliografia; Bermejo-Rubio 2014; Dettwiler 2017.

2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei quali mette in dubbio la totale o parziale autenticità del Testimonium (vd. Feldman-Hata 1989, 430 e Feldman 2011, 11-30).

3 Van Voorst 2000, 91-92.

4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Basilio Magno, Cirillo di Alessandria, Sant’Ambrogio o Tommaso d’Aquino, non citano il Testimonium preferendo utilizzare altre opere di Flavio Giuseppe.

5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettato come Cristo”; cfr. anche XIII, 55, nonchè Contra Celsum 1, 47 e 2, 13.

6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” andrebbe contro l’ideologia di Flavio Giuseppe e probabilmente tale menzione è dovuta ad un’interpolazione cristiana, perché nessun ebreo avrebbe mai sostenuto che Gesù fosse il Messia.

7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino e in siriaco e adoperata da autori tardo-antichi e medievali che citano il Testimonium traendolo direttamente dalla Storia ecclesiastica di Eusebio.

8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale del Testimonium si trova nella sua Cronaca IV, 91. La sua opera è stata editata da Jean-Baptiste Chabot (ed.), Chronique de Michel le Syrien, Patriarche Jacobite d’Antiche (1166-1199). Éditée pour la première fois et traduite en français I-IV. Paris,1899; 1901; 1905; 1910 con ristampe del 1963 e del 2010.

10 Whealey 2016, 347.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte in latino e del De excidio Hierosolymitanae urbis dello Pseudo-Egesippo.

12 Whealey 2016, 348.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey 2016. Tra le varie teorie vi è anche quella relativa all’ipotetica neutralità, del testo originario, nei confronti del Cristo. Della Vorlage del Testimonium intesa come un ‘Neutral Text’ se ne è occupato Bermejo-Rubio il quale ha indagato le differenti ipotesi relative alla natura del testo (Bermejo-Rubio 2014, 331-336) ritenendo che la supposizione di un testo originario neutrale non è convincente e che: «the original text must have been at least implicity negative» (vd. conclusioni a pp. 363-356).

14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo”. Nella narrazione, l’episodio di Gesù è inserito in una serie di mali che condussero poi la nazione alla perniciosa ribellione contro Roma. Successivamente al passo relativo al Testimonium, Flavio Giuseppe cita un altro episodio negativo definendolo “un altro orribile evento” (Antiquitates XVIII, 65); ci si chiede se per lui originariamente la storia di Gesù era un deinon. Secondo alcuni studiosi la seconda menzione di Gesù rappresenterebbe un dato a favore del ‘Neutral Text’ del Testimonium anche se per Bermejo-Rubio tale ipotesi è poco convincente poiché il secondo riferimento a Gesù è considerato en passant in quanto il ‘focus’ del discorso è Giacomo (Bermejo-Rubio 2014, 336-337).

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al-‘Unwān di cui le due edizioni principali sono quelle di Alexander Vasiliev (ed.), Kitab al-’Unvan/Histoire Universelle, écrite par Agapius (Maḥboub) de Membidj, Patrologia Orientalis, N. 5 (1910), 7 (1911), 8 (1912), 11 (1915) e di Louis Cheikho (ed.), Agapius Episcopus Mabbugensis. Historia Universalis, CSCO 65, 1912.

16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.

17 Pines 1971, 33.

18 Whealey 2008, 587-588.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fedelmente Agapio e Michele per quanto concerne il I secolo e non include il Testimonium; ciò indicherebbe che Agapio e Michele avrebbero attinto da una precedente cronaca, per il I secolo, la quale è stata aggiunta alla versione di Agapio della cronaca di Teofilo di Edessa e alla versione di Michele della cronaca di Dionigi, ma non alla versione della Cronaca del 1234 della cronaca di Dionigi. Cfr. Whealey 2008, 576-577, nonché Conterno 2014, 22-23.

20 Cfr. Pines 1971, 27.

21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurre, riflettere”, “to expect; to reason”, quindi “pensare, capire”, mentre in forma ethpe‘al, in siriaco, “essere considerato, ritenuto essere”, “to be considered” (cfr. DNWSI, 775; Sokoloff 2009, 964-965).

23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.

24 Pines 1971, 31-32.

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.

26 Pines 1971, 30.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, è fornita da Simonetti 2002, 412-413: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli he tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani”.

29 Pines 1971, 14.

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” un avvenimento.

31 Whealey 2008, 589.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act”, anche se in generale nelle varietà di aramaico assume come primo significato quello di “visitare”, “agire”. Cfr. DNWSI, 796.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Grammar), 819-820 (26.4: Josephus’ Language and Style) e 817 (26.3: Josephus’ Statements about this Knowledge of Greek). Per un aggiornamento successive vd. ancora Feldman 1986.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.

35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col Testimonium di Flavio Giuseppe e tali occorrenze proverebbero che si possa essere trattato di un caso di coincidenza, ovvero che il Testimonium possa aver subito un’interpolazione cristiana sulla base di Luca o, come ultima ipotesi, che sia Flavio Giuseppe che Luca abbiano basato le loro descrizioni su affermazioni giudeo-cristiane che circolavano tra l’80-90 d.C. Per un’analisi sulla questione vd. Goldberg 1995.

36 LSJ, 749-750.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come primo significato “fu visto”.

38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.

39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il greco εἶδος in 2Cor 5, 7.

40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.

41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158

42 Cfr. DNWSI, 357-361.

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto”, “apparire, manifestarsi, mostrarsi” (Traini 1999, 874 e Lane 1863, 1926 e sgg.).

44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice originaria *ṣhr significherebbe “far luce, illuminare” vd. Klein 1987, 542.

45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.

47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 16, 12 nell’apparizione a due discepoli: ἐφανερώθη ἐν ἑτέρᾳ µορφῇ “e si rese manifesto sotto altra forma” (dal verbo φανερόω “render noto, chiaro, visibile, manifesto”); Lc 24, 15 Gesù si avvicina e non appare ai discepoli di Emmaus: καὶ αὐτὸς Ἰησοῦς ἐγγίσας συνεπορεύετο αὐτοῖς “ e lo stesso Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro”; Lc 24, 31: ἐπέγνωσαν αὐτόν “lo riconobbero”; Lc 24, 36 apparizione agli apostoli: αὐτὸς ἔστη ἐν µέσῳ αὐτῶν “Egli stette in mezzo a loro”; in Gv 20, 14 Maria Maddalena vede Gesù: καὶ θεωρεῖ τὸν Ἰησοῦν ἑστῶτα “e vede Gesù che stava lì”; in Gv 20, 19 Gesù non apparve ai discepoli, ma giunse in mezzo a loro: ἦλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἔστη εἰς τὸ µέσον “venne Gesù, stette in mezzo a loro”; in Gv 21, 1 nella terza apparizione ai discepoli: ἐφανέρωσεν ἑαυτὸν πάλιν ὁ Ἰησοῦς “Gesù si manifestò di nuovo”; in At 1, 3: οἷς καὶ παρέστησεν ἑαυτὸν ζῶντα “è a questi stessi apostoli che si era mostrato vivo”; ὀπτανόµενος αὐτοῖς “era apparso loro”(< παρίστηµι “mi colloco, mi presento, sono presente” e ὀπτάνοµαι “appaio, mi mostro”); 26, 16: ὤφθην σοι “ti sono apparso”, ma cfr. l’uso dell’aoristo passivo in Thayer 1889, p. 452, 5 “I was seen, showed myself, appeared”; in 1Cor 15, 5, 6, 7, 8: ὤφθη “fu visto” (aoristo di ὁράω “vedere, percepire, conoscere”).

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-191.

49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro 6 gennaio.

50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.

51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 13 indica la manifestazione di Cristo nella carne. In At 2, 20 compare l’aggettivo ἐπιφανὴς “splendido, glorioso”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, 497-508; Schröter 2010, 272-295.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.

54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifania, parafrasando celebri episodi del Vecchio Testamento.

55 Olson 1999.

56 Baras 1987, 340.

57 Van Voorst 2000, 97.





Edited by barionu - 7/4/2024, 18:01
 
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Mythos
Rivista di Storia delle Religioni

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Una nota sul testo del Testimonium Flavianum (Antiquitates, XVIII, 63-64) a confronto con le versioni siriaca e araba: resurrezione o visione?
A Remark on the Testimonium Flavianum Text (Antiquitates, XVIII, 63-64) in comparison with the Syriac and Arabic versions: Resurrection or Vision?
Giuseppe Petrantoni
p. 89-101
https://doi.org/10.4000/mythos.311
Résumé | Index | Plan | Texte | Bibliographie | Notes | Citation | Auteur
RÉSUMÉS
ITALIANOENGLISH




























La lunga querelle riguardante il testo del Testimonium Flavianum non può dirsi ancora conclusa. La critica si divide sul problema dell’autenticità o meno di questa importante testimonianza sulle origini del Cristianesimo. In questo breve lavoro, dopo un’analisi storico-filologica condotta sul testo, si ipotizza che il medesimo possa aver risentito dell’opera di un interpolatore cristiano di II secolo. In particolar modo, l’uso di φαίνω, in comparazione con i verbi usati nelle versioni siriaca e araba, e i versi di Mc 16, 9-11, che sarebbero stati inseriti nel testo, sarebbero un’ulteriore prova che il Testimonium abbia risentito di una interpolazione cristiana in relazione alla ‘manifestazione’ di Gesù.


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ENTRÉES D’INDEX
Keywords: Testimonium Flavianum, Flavius Josephus, Origins of Christianity, Gospels, Resurrection, Vision
Parole chiave: Testimonium Flavianum, Flavio Giuseppe, origini del Cristianesimo, Vangeli, resurrezione, visione
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PLAN
Conclusioni
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TEXTE INTÉGRAL
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1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cf (...)
2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei (...)
1Il caso del cosiddetto Testimonium Flavianum può dirsi ancora oggi non chiuso. Il breve passaggio su Gesù di Nazaret, che appare in tutti i manoscritti esistenti nel diciottesimo libro dello storico giudeo romanizzato Flavio Giuseppe, Antiquitates iudaicae (XVIII, 63-64) scritto in greco nel 93-94 d.C. circa, è stato soggetto a dispute teologiche circa la sua autenticità, sin dal sedicesimo secolo. Le interpretazioni della critica divergono sensibilmente e possono essere raggruppate, in ultima analisi, in due filoni opposti: coloro che sostengono l’autenticità del passo e coloro che la negano in parte o in tutto, parlando esplicitamente di interpolazione/interpolazioni1. Il dibattito sull’autenticità del Testimonium nasce dalla presenza di alcuni passi difficili da conciliare con quanto si conosce della religiosità di Flavio Giuseppe. Generalmente, la maggioranza degli studiosi accetta parzialmente il Testimonium attribuendo ad interpolatori cristiani alcune affermazioni in esso contenute2. La querelle è stata poi ulteriormente alimentata dal confronto fra il textus receptus e alcune versioni più tarde in siriaco e in arabo, le quali tuttavia , nonostante i lodevoli sforzi dei commentatori, non sembrano al momento far progredire più di tanto la ricerca.

3 Van Voorst 2000, 91-92.
4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Bas (...)
5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettat (...)
6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” (...)
7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino (...)
8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.
2Il dibattito si basa principalmente da una parte sull’analisi testuale e sul confronto del passo in questione con altre opere di Flavio Giuseppe, mentre dall’altra parte tiene conto del contesto storico e culturale nonché della totale assenza di qualche riferimento al Testimonium nelle fonti antiche3, infatti sebbene non meno di undici autori cristiani facciano riferimento a Flavio Giuseppe prima di Eusebio di Cesarea nel 324 d.C., nessuno menziona il Testimonium4. Andando per ordine, prima di Eusebio, Origene, nella metà del III secolo, scrive che Flavio Giuseppe non ‘accetta’ Gesù come Messia5, di conseguenza tale dato farebbe propendere per la totale autenticità del passo, ma come sostiene Paul L. Maier, questa ipotesi è da ritenersi ‘senza speranza’6. Il Testimonium è stato riportato verbatim da Eusebio di Cesarea per scopi apologetici anti-pagani7. San Girolamo riporta una traduzione letterale del passaggio, ma al posto della frase “questi era il Cristo” - ὁ χριστὸς οὗτος ἦν - propone “questi era creduto essere il Cristo” – credebatur esse Christus 8- tale variante è indipendentemente supportata dalla versione in siriaco di Michele il Siro la quale contiene la medesima variante:

ܗܘܐ ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܙܚܙܐ ܐܥܬܘܗܝ

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale d (...)
“si pensava che egli fosse il Cristo”9;

10 Whealey 2016, 347.
l’esistenza di questi due testi paralleli implicherebbe il fatto che ci doveva essere stata una versione greca del Testimonium da cui hanno attinto sia Girolamo sia Michele il Siro poiché gli scrittori cristiani latini e siriaci non leggevano tra loro le loro opere ma solo la letteratura cristiana redatta in greco10.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte (...)
12 Whealey 2016, 348.
3A partire dal XVI secolo il dibattito sull’autenticità del Testimonium si fa più intenso tra gli studiosi ebrei, come Isaac Abravanel (1437-1508) e Menassah ben Israel (1604-1657), i quali rigettano la veridicità del testo in quanto manca nella versione del Sefer Yosippon11; mentre per i cristiani la supposizione che il testo sia stato falsificato comincia a diventare esplicita alla fine del secolo, durante il quale emergono figure come il luterano Lucas Osiander (1534-1604) anche se la sua teoria si poggia solo su presupposizioni a priori12.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey(...)
14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di (...)
4Già a metà del XVII secolo circolavano opinioni divergenti sul Testimonium, ma solo tra la seconda metà del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo la questione troverà un chiaro assestamento; ciò non avvenne per caso in quanto Protestanti come C. Arnold, D. Blondel, T. Faber, T. Ittig e S. Snell studiarono a fondo il testo e i loro argomenti a supporto dell’inautenticità risultarono talmente convincenti che gli studiosi, di qualunque religione o no, erano obbligati ad accettare le loro congetture. Solo nella metà del XIX secolo emerse un forte consenso riguardo al fatto che il Testimonium risulta essere parzialmente o totalmente interpolato13. La frase ‘incriminata’, “questi era il Cristo”, ha condotto, ad esempio, uno studioso riformato come Tanaquilius Faber (1615-1672) a pensare all’inautenticità del Testimonium per il fatto che Origene riporta che Flavio Giuseppe non crede in Gesù come Cristo. Dopo Faber, in epoca moderna, molti studiosi cominciano a credere a una possibile falsificazione del testo, prova ne sarebbe, di tale pensiero, il fatto che Niese, nella sua edizione critica delle Antiquitates, pone tra parentesi l’intero passo (di sotto esposto) pensando che sia totalmente interpolato; possibilmente la frase “questi era il Cristo” è stata, secondo alcuni, corrotta da un precedente “questi era ritenuto essere il Cristo”14.

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al- (...)
16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.
5Nel 1971 S. Pines pubblica una monografia sulla cronaca medievale araba del X secolo, redatta da Agapio15, ponendola a confronto con la cronaca siriaca di Michele il Siro (vd. supra) poiché tutte e due le opere conservano una versione del Testimonium16. Il Testimonium di Agapio, a ben vedere, differisce dal textus receptus in greco, in particolar modo per la menzione:

فلعله هو المسيح

“e forse lui è il Cristo”,

17 Pines 1971, 33.
18 Whealey 2008, 587-588.
presentando, secondo Pines, pochi ‘tratti cristiani’ che, al contrario, contraddistinguono il testo greco17. La versione del Testimonium di Michele sembrerebbe invece molto più vicina a quella greca, ma anche in essa, come esplicitato prima, vi si legge “si pensava che egli fosse il Cristo”, linguisticamente più vicino al credebatur esse Christus di Girolamo, che la accosterebbe notevolmente al pensiero di Flavio Giuseppe, riguardo a Gesù e al suo status, rispetto al Testimonium di Agapius18.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fed (...)
6Per quanto attiene alle fonti adoperate dai due autori, Agapio sostiene che la propria Cronaca si basi su quella siriaca di Teofilo di Edessa, mentre Michele il Siro ammette di aver attinto direttamente dall’opera storica del patriarca di Antiochia Dionigi Tel Maḥrē per il periodo tra 582-843; lo stesso Dionigi riconosce di aver utilizzato Teofilo per la sua opera, quindi Teofilo sarebbe stato la fonte maggiore da cui hanno attinto Agapio e Michele per il periodo storico 582-780 circa, tanto che viene citato espressamente dai due autori riguardo le loro fonti per il periodo omayyade19.

20 Cfr. Pines 1971, 27.
21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.
7Secondo Pines il Testimonium di Michele sarebbe stato composto utilizzando parti della Historia Ecclesiastica di Eusebio e parti della versione Testimonium preso dalla fonte siriaca di Agapio20; invece è plausibile che i Testimonia di Agapio e Michele derivino da una stessa fonte comune siriaca che è stata riportata verbatim da Michele, mentre Agapio ha ritenuto opportuno ricorrere ad una parafrasi abbreviata, ma entrambi gli autori hanno estratto parti dalla Historia Ecclesiastica per coprire il periodo che va dalla Creazione al 780 d.C.21

8Per quanto concerne gli elementi in comune che i due testi condividono si segnalano il riconoscimento di Gesù come messia e la sua morte in croce.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurr (...)
23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.
9Come già annotato la versione siriaca riporta l’espressione “si pensava che egli fosse il Cristo”, mentre quella araba “e forse lui è il Cristo”. Occorre sottolineare che a quel tempo una consistente parte di autori medievali leggeva solo letteratura scritta in greco e probabilmente la fonte originaria dei due Testimonia sarebbe stata redatta in greco riportando nel punto in questione una frase simile a “si pensava che egli fosse il Cristo”; inoltre il participio singolare maschile siriaco di forma ethpe‘al ܡܣܬܒܪܐ “si pensa”22 identificherebbe una connotazione scettica e non usuale da parte di un vescovo cristiano medievale, come Michele, nei confronti dello status di Messia di Gesù. Se la fonte originaria greca riportava realmente una frase similare, con il verbo ἐνοµίζετο “si pensava” (come in Lc. 3, 23), allora ciò rafforzerebbe l’affermazione di Origene secondo la quale Flavio Giuseppe non credeva in Gesù come messia23.

24 Pines 1971, 31-32.
10Per quanto concerne la menzione della crocifissione e della morte di Gesù, si nota che i due testi fanno un riferimento più esplicito24, infatti Agapio riporta:

و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت

“Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte”,

11Michele invece scrive:

ܠܡܗܡ ܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܥܬ ܝܗܒܗ ܦܝܠܜܘܣ

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.
“Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì”25.

26 Pines 1971, 30.
12Non esiste un parallelo di tale aggiunzione in altre precedenti traduzioni greche o latine del Testimonium così come risulta inverosimile che ‘la condanna di Pilato’ facesse parte di un precedente Testimonium originario; inoltre non vi è ragione del perché un autore siriaco, tra il IV-V secolo e l’epoca di Michele, abbia inserito tale avvenimento dato che esso è già incluso nel textus receptus 26.

13L’intenzione è allora quella di rileggere il testo greco e condurre un’analisi filologica, confrontando il lessico ivi impiegato con quello dei testi in arabo e in siriaco. Astraendo da considerazioni più propriamente dottrinali o più semplicemente correlate con visioni religiose, potremmo forse aggiungere qualche dato ulteriore per comprendere la reale natura di questa controversa testimonianza.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.
14Il Testimonium di Flavio Giuseppe si presenta nel modo seguente27:

Γίνεται δὲ κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον Ἰησοῦς σοφὸς ἀνήρ, εἴγε ἄνδρα αὐτὸν λέγειν χρή: ἦν γὰρ παραδόξων ἔργων ποιητής, διδάσκαλος ἀνθρώπων τῶν ἡδονῇ τἀληθῆ δεχοµένων, καὶ πολλοὺς µὲν Ἰουδαίους, πολλοὺς δὲ καὶ τοῦ Ἑλληνικοῦ ἐπηγάγετο: ὁ χριστὸς οὗτος ἦν. καὶ αὐτὸν ἐνδείξει τῶν πρώτων ἀνδρῶν παρ᾽ ἡµῖν σταυρῷ ἐπιτετιµηκότος Πιλάτου οὐκ ἐπαύσαντο οἱ τὸ πρῶτον ἀγαπήσαντες: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν τῶν θείων προφητῶν ταῦτά τε καὶ ἄλλα µυρία περὶ αὐτοῦ θαυµάσια εἰρηκότων. εἰς ἔτι τε νῦν τῶν Χριστιανῶν ἀπὸ τοῦδε ὠνοµασµένον οὐκ ἐπέλιπε τὸ φῦλον.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, (...)
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce.
Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani28.

29 Pines 1971, 14.
15Testo arabo di Agapio29:

و كذالك يوسيفوس العير اني فلنه قال فيميامره التي كتبها عل تدبير اليهود: انه كان هذا الز مان رخل حكيم يقال له ايسو ع و كانت له سيرة حسنة و حلم انه فاضل و انه تتلمذ له كثير من الناس من اليهود و ساتر الشعوب و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت و الذين تتلمذو ا له لم يتركو ا تلمذته و ذكرو ا انه ظهر لهم نعد ثلثة ايام من طلبه و انه عاش فلعله هو المنسيح الذي قالت عنه الانبياء الاعاجيبب

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” (...)
Così Giuseppe l’ebreo disse, nei suoi trattati, di aver scritto sull’amministrazione dei Giudei: a quel tempo c’era un uomo saggio chiamato Gesù. E la sua condotta era buona ed era conosciuto come un uomo virtuoso. Molte persone tra gli ebrei e tra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte. E coloro i quali divennero i suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Loro ricordarono30 che Egli apparve a loro tre giorni dopo dalla sua crocifissione ed era vivente; e forse Egli è il Cristo di cui i profeti riportarono i prodigi.

31 Whealey 2008, 589.
16Testo siriaco di Michele il Siro31:

ܕܒܗܠܝܢ ܙܒܙܐ ܐܝܬ ܗܘܐ ܓܒܪܐ ܚܕ ܚܟܝܡܐ ܕܫܡܗ ܝܫܘܥ . ܐܢ ܘܠܐ ܠܢ ܕܓܒܪܐ ܢܩܪܝܘܗܝ
ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ ܓܝܪ ܣܥܘܪܐ ܕܥܒܕܐܵ ܫܒܝܵܚܐ ܘܡܠܦܢܐ ܕܫܪܪܐ . ܘܠܣܓܝܵܐܐ ܡܢ ܝܘܕܝܵܐ ܘܡܢ ܥܡܡܵܐ
ܬܠܡܕܘ . ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܝܚܐ ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ . ܘܠܘ ܐܝܟ ܣܗܕܘܬܐ ܕܪܝܫܢܘܗܝ ܕܥܡܐ ܡܛܠܗܕܐ . ܝܗܒܗ
ܦܝܠܛܘܣ ܠܡܣܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܝܬ ܘܗܢ ܘܢ ܕܝܢ ܕ ܐܚܒܘܗܝ ܠܐ ܫܠܝܘ ܡܢ ܚܘܒܗ . ܐܬܚܙܝ ܠܗܘܢ ܡܢ
ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ . ܢܒܝܵܐ ܓܝܪ ܕܐܠܗܐ ܘܕܐܝܟ ܗܠܝܢ ܐܡܪܘ ܥܠܘܗܝ ܬܡܝܗܵܬܐ . ܘܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ
ܠܐ ܡܓܪܕܐ ܥܡܐ ܕܟܪܣܛܝܢܐ ܕܡܢܗ ܘܥܕܡܐ ܐܫܬܡܗ.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act (...)
In quei tempi c’era un uomo saggio chiamato Gesù. Se è corretto per noi chiamarlo uomo. Poiché egli era colui il quale compieva32 opere gloriose ed era il maestro della verità. Molti tra i Giudei e tra le nazioni divennero suoi discepoli. Si pensava che egli fosse il Messia. Ma non secondo la testimonianza del capo della (nostra) nazione. Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì. E coloro i quali lo hanno amato non hanno smesso di amarlo. Apparve a loro dopo tre giorni vivente. Di certo i profeti di Dio parlarono di lui di cose meravigliose. E fino a (quel) giorno non fu assente il popolo dei Cristiani che fu nominato dopo di lui.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Gramma (...)
17Linguisticamente parlando il senso del passo greco è abbastanza chiaro e riflette lo stile di Flavio Giuseppe33. Dopo una breve introduzione nella quale si parla della straordinaria importanza della figura di Gesù, si passa direttamente al fatto principale riguardante la vita di costui: la crocifissione, la morte e la resurrezione.

18Proprio il dato storico riferibile alla resurrezione è in questa sede il punto sul quale sarà focalizzata maggiore attenzione. La pericope in questione è la seguente: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν “nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo”.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.
35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col (...)
36 LSJ, 749-750.
19Si tratta di una sintetica espressione che per la sua struttura ha suscitato non poche perplessità34. L’impiego del verbo ἔχω “io ho” sembra alquanto curioso. Per quale motivo impiegare questa espressione per indicare la resurrezione nel terzo giorno? Si è voluto vedere in questa costruzione una eco del testo evangelico di Luca (24: 18-27)35 nel quale, in riferimento alla resurrezione, si dice esplicitamente: τρίτην ταύτην ἡµέραν ἄγει “sono passati tre giorni”. Alcuni studiosi hanno sottolineato come l’uso del verbo ἔχω nel Testimonium Flavianum sia ambiguo, ovvero non renda un significato appropriato per quanto si voleva dire. In effetti, si tratta di un usus scribendi particolare, ma non incomprensibile; è ovvio che il verbo ha qui il valore intransitivo, con il significato di “trovarsi, esserci”36, e che quindi il senso della frase sia semplicemente quello di indicare che il Cristo “era davvero vivente nel terzo giorno” e non rappresentava una semplice visione. Da un confronto con i testi arabo e siriaco si nota che Gesù fosse già risorto dopo tre giorni, infatti in Agapio leggiamo: و انه عاش “ed egli è vivente” in cui عاش rappresenta il participio attivo del verbo “vivere”, quindi “vivente”; mentre in Michele: ܚܝ ܟܕ “mentre è vivente”, anche qui con il participio attivo del verbo “vivere”, ma rafforzato dalla particella ܟܕ “mentre”.

20Astraendo dunque da questa presunta difficoltà lessicale, parrebbe più opportuno soffermare l’attenzione sull’uso del verbo φαίνω, qui nella forma dell’aoristo II intransitivo.

21Il significato è chiaro: Gesù apparve di nuovo vivente nel terzo giorno.

22Un primo confronto può essere condotto con le versioni siriache ed araba del Testimonium. Nella versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio (1.11.8) leggiamo:

ܓܝܪ ܡܢ ܒܬܪ ܬܠܬܐ ܝܘܡܵܝܢ ܬܘܒ ܟܕ ܚܙ ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ

“…infatti apparve a loro dopo tre giorni di nuovo vivente”;

parallelamente nella cronaca di Michele il Siro (4.91) troviamo un’espressione quasi identica alla precedente:

ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ ܡܢ ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ

“ … apparve a loro dopo tre giorni vivente”.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come pri (...)
38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.
39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il gr (...)
40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.
41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158
42 Cfr. DNWSI, 357-361.
23Notiamo subito che, a fronte di una sostanziale convergenza con il testo greco, è proprio la forma verbale che indica la presenza improvvisa del Cristo in mezzo ai viventi che assume un valore affatto differente. Se in greco possiamo leggere ἐφάνη, in siriaco troviamo la forma ’ethpa‘el del verbo ḥzy “vedere”37. Però, la presenza in siriaco della particella ܠ “a, verso, per” dopo il verbo in questione tende a mutare il significato originario di “fu visto” con “apparve a”38, dunque “apparve a loro” sottintendendo che “fu visto da loro” come una visione39. L’apparizione improvvisa invece viene indicata in siriaco dalla radice blq40. Da un confronto con altre lingue semitiche come l’ebraico, in quest’ultima ḥazah significa proprio “vedere, osservare, percepire”, verbo talvolta adoperato anche per identificare la reale esperienza di una presenza divina come in Es 24, 11 e Gb 19, 26, da cui ḥazōn “visione”41; la radice *ḥzy trova un riscontro, con lo stesso significato originario e primario di “vedere”, anche nelle altre varietà di aramaico42.

24Sulla base di ciò, tale differenza potrebbe sembrare insignificante, ma, ad uno sguardo più attento, non sfuggirà che una cosa è affermare che il Cristo “apparve”, altra è dire che lo stesso “fu visto” dai suoi discepoli, poiché l’esperienza sensoriale è assolutamente differente. Nel primo caso l’agente, il Cristo, sembra incarnare una visione, è il medesimo che si presenta al cospetto altrui; nel secondo, invece, tutto il significato verbale è spostato sui discepoli che hanno l’esperienza materiale di vedere, verificare, la presenza del Cristo tra loro poiché si è manifestato come apparizione, visione. Non è escluso dunque che la traduzione siriaca abbia cercato di sanare, in itinere, quella che poteva apparire ad un cristiano un’aporia, ovvero ridefinire l’esperienza che i discepoli avevano fatto di fronte al Cristo risorto: era vivente, lo videro, lo sperimentarono!

25Tutt’altro se si trattava di un’apparizione: in ultima analisi, colui che era apparso, allo stesso modo poteva scomparire. La sensazione dell’ ‘apparire’ è molto più sfumata e ha un significato meno concreto di quella del ‘vedere’.

26Arriviamo dunque all’ultima versione del Testimonium che fornisce Agapio in lingua araba: وذكروا انه ظهر لهم بعد ثلثة ايام من صلبه وانه عاش “… e ricordarono che Egli apparve a loro dopo tre giorni dalla sua crocifissione ed era vivente”

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto (...)
44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice origina (...)
45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.
27In questo caso, trattandosi di una versione riassunta, l’autore tende a mantenere il verbo originale, impiega, infatti, il verbo arabo ẓahara “apparire, mostrare/mostrarsi”43. Qui troviamo in arabo un verbo che originariamente aveva il significato di “brillare, portare alla luce”, quindi “mostrare”44 esattamente come indica φαίνω “recare alla luce, portare alla luce, mostrare, splendere, brillare, apparire, comparire”45

28È presumibile che l’uso del verbo φαίνω debba dunque mantenersi nell’accezione usuale per l’aoristo intransitivo. Si tratta allora di un dato forse da non sottovalutare, specialmente se confrontato con gli analoghi racconti presenti nella letteratura coeva o di poco anteriore all’età di Flavio Giuseppe.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.
47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 1 (...)
29Da una ricognizione su tutte le fonti evangeliche, canoniche e apocrife, e sul corpus paolino46 non esiste un’espressione simile riferita all’esperienza che i discepoli e gli altri fecero del Cristo risorto. I verbi usati sono altri, infatti, Gesù ‘si rende noto’, ‘giunge’ o ‘viene visto’47, forse proprio per il fatto che si voleva assolutamente evitare ogni confusione tra il Cristo vivente e risorto e le immagini di visioni presenti nell’Antico Testamento o nella letteratura pagana. Del resto l’uso di φαίνω con il significato di apparire in visioni è ben testimoniato nei Vangeli (Mt 1: 20; 2: 13) e quindi, se gli autori avessero voluto impiegarlo in relazione al Cristo avrebbero potuto; ma non l’hanno fatto, proprio perché tale verbo racchiude un significato improprio per quanto rappresentato dal loro maestro che, vivente, dimostrava la veridicità della loro fede.

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-1 (...)
49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro (...)
50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.
51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 1 (...)
30Probabilmente qui l’introduzione, nella fede cristiana, dell’epifania ha giocato un ruolo nella costruzione letteraria del passo. Il termine epifania, dal greco ἐπιφαίνω “mi rendo manifesto”, indicava nel mondo greco antico la ‘manifestazione’, l’ ‘apparizione’ delle divinità per poi assumere nel cristianesimo il significato della manifestazione di Gesù ai popoli di tutto il mondo. Il concetto cristiano di epifania era già insito nella missione divulgativa dell’apostolo Paolo; la nozione ha subito un’evoluzione trasformandosi nella ‘manifestazione’ divina evangelica, ossia Paolo, da inviato, proclamava che Gesù era εἰκὼν τοῦ θεοῦ “immagine di Dio”, mettendo in moto forme di mediazione della presenza divina che nei primi Cristiani si fondavano sui viaggi apostolici e sui testi e in queste due forme si annunciava il luogo dove poter ‘incontrare’ la presenza divina48. La prima celebrazione, il 6 gennaio49, è avvenuta nel tardo II secolo allorché le prime comunità cristiane di Alessandria di Egitto celebrarono la Natività di Gesù Cristo, e con essa anche l’Epifania come la ‘manifestazione del Signore al mondo’. Fino all’introduzione nei primi anni del IV secolo, da parte della Chiesa di Roma, del 25 dicembre come festa della Nascita di Gesù, la stessa veniva celebrata insieme al Battesimo50. Inoltre, la parola epifania non compare mai nei Vangeli (tranne che sotto forma di verbo in Lc 1, 79), ma in altri documenti del Nuovo Testamento51. Non si esclude che l’uso di φαίνω nel Testimonium abbia risentito dell’influenza del concetto di epifania ormai radicato nell’interpolatore cristiano che avrebbe messo mano al Testimonium poiché un ebreo come Flavio Giuseppe non avrebbe mai potuto concepire la ‘manifestazione’ di Gesù come ‘apparizione’ divina.

31Tornando al testo, si è detto che una tale forma verbale non è mai impiegata in racconti sulla resurrezione; ma in realtà un esempio ci sarebbe, ma fa parte dei versetti dell’ultimo capitolo del Vangelo di Marco, oggi unanimamente ritenuti un’aggiunta posteriore non originale.

Nello specifico a 16: 9 leggiamo:
[[Ἀναστὰς δὲ πρωῒ πρώτῃ σαββάτου ἐφάνη (corsivo e grassetto mio) πρῶτον Μαρίᾳ τῇ Μαγδαληνῇ, παρ’ ἧς ἐκβεβλήκει ἑπτὰ δαιµόνια.

“Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, (...)
32L’uso verbale è identico: il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala. Una simile espressione non solo somiglia molto a quella del Testimonium, ma sembra realmente un’aggiunta fatta in un secondo momento per completare un testo che si riteneva mancante del dettaglio principale, quello caratterizzante la fede dei Cristiani52. Tale aggiunta, tuttavia, pare anche più superficiale, meno ragionata rispetto alla comprensione profonda dell’evento storico che riguardava la resurrezione del Cristo.

33Poiché ovviamente è da ritenere che una simile appendice sia stata inserita in ambito cristiano, pur se in maniera cursoria e probabilmente ricollegabile alla tradizione orale, potremmo avanzare un’ipotesi di lavoro riguardo al passaggio del Testimonium che abbiamo analizzato.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.
34La critica data i versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco ad un periodo che può essere collocato tra il primo quarto e la metà del II secolo53, ovvero dopo la pubblicazione delle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe.

35Il Vangelo di Marco era tra i più letti e utilizzati in ambito siro-palestinese almeno fino al VI secolo; potremmo allora ipotizzare che, traendo spunto dal versetto 9 del capitolo 16, un interpolatore cristiano abbia inserito nell’opera di Flavio Giuseppe il passo in questione?

Conclusioni
54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifa (...)
36Tornando alla problematica suscitata sulla totale o meno falsificazione del Testimonium di Flavio Giuseppe, il passaggio è stato inizialmente citato verbatim da Eusebio che lo ha utilizzato per i suoi propositi apologetici anti-pagani. Il testo è tutt’ora oggetto di critica ed è stato etichettato come ‘interpolato’ sin dal XVI secolo, focalizzando l’attenzione principalmente sul fatto che l’espressione “questi era il Cristo” non poteva essere originale nel textus receptus e comunque non poteva essere stata concepita da un non cristiano come Flavio Giuseppe; inoltre il ritrovamento di una traduzione siriaca contenente l’espressione utilizzata da Girolamo “si pensava che egli fosse il Messia” (“credebatur esse Christus”) nonché di un altro testo semitico, quello arabo di Agapio, in cui si trova la frase “forse egli è il Messia”, ha alimentato l’ipotesi secondo la quale ci doveva essere stato un precedente e originale testo greco che contenesse un’espressione similare sullo status di Messia di Gesù e di conseguenza che il Testimonium di Flavio Giuseppe è stato interpolato, anche se parzialmente, da un cristiano che è ‘intervenuto’ in quelle parti fondamentali del credo cristiano, ossia morte e resurrezione di Gesù. Un altro dato a supporto della falsificazione del testo emerge se si analizza l’uso e il significato di φαίνω, anche in comparazione con le successive versioni siriache e araba, nel Testimonium. Sembrerebbe evidente che la nozione di epifania abbia realmente creato le condizioni per utilizzare φαίνω in relazione alla manifestazione di Gesù come divinità e si sa che l’epifania non poteva di certo essere una concezione veritiera per un giudeo come Flavio Giuseppe54. I versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco sarebbero ancora una volta la prova che un interpolatore cristiano abbia voluto inserire nel textus receptus una concezione della manifestazione di Gesù, utilizzando proprio Marco, e rendere ancora di più ‘cristiano’ il Testimonium. La questione secondo la quale nelle versioni siriache e araba si utilizzano verbi che hanno il significato principale di ‘vedere’, ‘rendersi visibile’, ‘mostrarsi’ per tradurre φαίνω potrebbe essere spiegata col fatto che nei Vangeli Gesù non viene descritto come colui che ‘appare’, nel senso specifico di φαίνω, ma sostanzialmente egli ‘giunge’, ‘viene visto’, ‘si mostra’. Pertanto si tratta di resurrezione o di visione del Cristo? L’interpolatore cristiano ha voluto quindi inserire un dato significativo: Gesù è già risorto ed è stato visto, si è mostrato ai suoi discepoli; così facendo l’interpolatore avrebbe narrato l’evento in parallelo a quanto descritto nei Vangeli, ma avrebbe preso spunto dagli ultimi versetti di Marco per inserire il verbo ‘necessario’ alla ‘visione’ di Cristo, ossia φαίνω che sottolinea la definitiva e necessaria ‘apparizione’ di Cristo.

55 Olson 1999.
56 Baras 1987, 340.
57 Van Voorst 2000, 97.
37Stando a tali riflessioni, ci si chiede pertanto quando sia avvenuta questa interpolazione. Secondo K. Olson il Testimonium sarebbe stato falsificato interamente da Eusebio55, mentre per Z. Baras il Testimonium sarebbe stato manomesso prima di Eusebio; secondo questi Origene vide il Testimonium originale, che non riportava quotazioni negative su Gesù, e l’interpolazione sarebbe quindi avvenuta in un arco di tempo che va da Origene a Eusebio56 (II-III secolo ?). Della stessa opinione è E. Van Voorst57.

38Forse l’uso di una forma verbale è troppo poco per ipotizzare la reale genesi di un passo così tormentato e discusso come il Testimonium, ma è comunque non improprio tenere conto anche di questa difficoltà ermeneutica che, trovando sostegno in altri elementi, storici o filologici, potrebbe in ultima analisi porre un altro piccolo tassello sulla via dell’interpretazione e della comprensione di quanto troviamo nelle Antichità Giudaiche.

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BIBLIOGRAPHIE
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NOTES
1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cfr. Bell 1976, 16-22; Meier 1990, 76-103; Olson 1999, 305-322; Bardet 2002; Whealey 2003 e Whealey 2016 con ricca bibliografia; Bermejo-Rubio 2014; Dettwiler 2017.

2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei quali mette in dubbio la totale o parziale autenticità del Testimonium (vd. Feldman-Hata 1989, 430 e Feldman 2011, 11-30).

3 Van Voorst 2000, 91-92.

4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Basilio Magno, Cirillo di Alessandria, Sant’Ambrogio o Tommaso d’Aquino, non citano il Testimonium preferendo utilizzare altre opere di Flavio Giuseppe.

5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettato come Cristo”; cfr. anche XIII, 55, nonchè Contra Celsum 1, 47 e 2, 13.

6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” andrebbe contro l’ideologia di Flavio Giuseppe e probabilmente tale menzione è dovuta ad un’interpolazione cristiana, perché nessun ebreo avrebbe mai sostenuto che Gesù fosse il Messia.

7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino e in siriaco e adoperata da autori tardo-antichi e medievali che citano il Testimonium traendolo direttamente dalla Storia ecclesiastica di Eusebio.

8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale del Testimonium si trova nella sua Cronaca IV, 91. La sua opera è stata editata da Jean-Baptiste Chabot (ed.), Chronique de Michel le Syrien, Patriarche Jacobite d’Antiche (1166-1199). Éditée pour la première fois et traduite en français I-IV. Paris,1899; 1901; 1905; 1910 con ristampe del 1963 e del 2010.

10 Whealey 2016, 347.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte in latino e del De excidio Hierosolymitanae urbis dello Pseudo-Egesippo.

12 Whealey 2016, 348.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey 2016. Tra le varie teorie vi è anche quella relativa all’ipotetica neutralità, del testo originario, nei confronti del Cristo. Della Vorlage del Testimonium intesa come un ‘Neutral Text’ se ne è occupato Bermejo-Rubio il quale ha indagato le differenti ipotesi relative alla natura del testo (Bermejo-Rubio 2014, 331-336) ritenendo che la supposizione di un testo originario neutrale non è convincente e che: «the original text must have been at least implicity negative» (vd. conclusioni a pp. 363-356).

14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo”. Nella narrazione, l’episodio di Gesù è inserito in una serie di mali che condussero poi la nazione alla perniciosa ribellione contro Roma. Successivamente al passo relativo al Testimonium, Flavio Giuseppe cita un altro episodio negativo definendolo “un altro orribile evento” (Antiquitates XVIII, 65); ci si chiede se per lui originariamente la storia di Gesù era un deinon. Secondo alcuni studiosi la seconda menzione di Gesù rappresenterebbe un dato a favore del ‘Neutral Text’ del Testimonium anche se per Bermejo-Rubio tale ipotesi è poco convincente poiché il secondo riferimento a Gesù è considerato en passant in quanto il ‘focus’ del discorso è Giacomo (Bermejo-Rubio 2014, 336-337).

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al-‘Unwān di cui le due edizioni principali sono quelle di Alexander Vasiliev (ed.), Kitab al-’Unvan/Histoire Universelle, écrite par Agapius (Maḥboub) de Membidj, Patrologia Orientalis, N. 5 (1910), 7 (1911), 8 (1912), 11 (1915) e di Louis Cheikho (ed.), Agapius Episcopus Mabbugensis. Historia Universalis, CSCO 65, 1912.

16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.

17 Pines 1971, 33.

18 Whealey 2008, 587-588.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fedelmente Agapio e Michele per quanto concerne il I secolo e non include il Testimonium; ciò indicherebbe che Agapio e Michele avrebbero attinto da una precedente cronaca, per il I secolo, la quale è stata aggiunta alla versione di Agapio della cronaca di Teofilo di Edessa e alla versione di Michele della cronaca di Dionigi, ma non alla versione della Cronaca del 1234 della cronaca di Dionigi. Cfr. Whealey 2008, 576-577, nonché Conterno 2014, 22-23.

20 Cfr. Pines 1971, 27.

21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurre, riflettere”, “to expect; to reason”, quindi “pensare, capire”, mentre in forma ethpe‘al, in siriaco, “essere considerato, ritenuto essere”, “to be considered” (cfr. DNWSI, 775; Sokoloff 2009, 964-965).

23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.

24 Pines 1971, 31-32.

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.

26 Pines 1971, 30.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, è fornita da Simonetti 2002, 412-413: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli he tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani”.

29 Pines 1971, 14.

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” un avvenimento.

31 Whealey 2008, 589.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act”, anche se in generale nelle varietà di aramaico assume come primo significato quello di “visitare”, “agire”. Cfr. DNWSI, 796.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Grammar), 819-820 (26.4: Josephus’ Language and Style) e 817 (26.3: Josephus’ Statements about this Knowledge of Greek). Per un aggiornamento successive vd. ancora Feldman 1986.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.

35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col Testimonium di Flavio Giuseppe e tali occorrenze proverebbero che si possa essere trattato di un caso di coincidenza, ovvero che il Testimonium possa aver subito un’interpolazione cristiana sulla base di Luca o, come ultima ipotesi, che sia Flavio Giuseppe che Luca abbiano basato le loro descrizioni su affermazioni giudeo-cristiane che circolavano tra l’80-90 d.C. Per un’analisi sulla questione vd. Goldberg 1995.

36 LSJ, 749-750.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come primo significato “fu visto”.

38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.

39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il greco εἶδος in 2Cor 5, 7.

40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.

41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158

42 Cfr. DNWSI, 357-361.

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto”, “apparire, manifestarsi, mostrarsi” (Traini 1999, 874 e Lane 1863, 1926 e sgg.).

44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice originaria *ṣhr significherebbe “far luce, illuminare” vd. Klein 1987, 542.

45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.

47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 16, 12 nell’apparizione a due discepoli: ἐφανερώθη ἐν ἑτέρᾳ µορφῇ “e si rese manifesto sotto altra forma” (dal verbo φανερόω “render noto, chiaro, visibile, manifesto”); Lc 24, 15 Gesù si avvicina e non appare ai discepoli di Emmaus: καὶ αὐτὸς Ἰησοῦς ἐγγίσας συνεπορεύετο αὐτοῖς “ e lo stesso Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro”; Lc 24, 31: ἐπέγνωσαν αὐτόν “lo riconobbero”; Lc 24, 36 apparizione agli apostoli: αὐτὸς ἔστη ἐν µέσῳ αὐτῶν “Egli stette in mezzo a loro”; in Gv 20, 14 Maria Maddalena vede Gesù: καὶ θεωρεῖ τὸν Ἰησοῦν ἑστῶτα “e vede Gesù che stava lì”; in Gv 20, 19 Gesù non apparve ai discepoli, ma giunse in mezzo a loro: ἦλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἔστη εἰς τὸ µέσον “venne Gesù, stette in mezzo a loro”; in Gv 21, 1 nella terza apparizione ai discepoli: ἐφανέρωσεν ἑαυτὸν πάλιν ὁ Ἰησοῦς “Gesù si manifestò di nuovo”; in At 1, 3: οἷς καὶ παρέστησεν ἑαυτὸν ζῶντα “è a questi stessi apostoli che si era mostrato vivo”; ὀπτανόµενος αὐτοῖς “era apparso loro”(< παρίστηµι “mi colloco, mi presento, sono presente” e ὀπτάνοµαι “appaio, mi mostro”); 26, 16: ὤφθην σοι “ti sono apparso”, ma cfr. l’uso dell’aoristo passivo in Thayer 1889, p. 452, 5 “I was seen, showed myself, appeared”; in 1Cor 15, 5, 6, 7, 8: ὤφθη “fu visto” (aoristo di ὁράω “vedere, percepire, conoscere”).

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-191.

49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro 6 gennaio.

50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.

51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 13 indica la manifestazione di Cristo nella carne. In At 2, 20 compare l’aggettivo ἐπιφανὴς “splendido, glorioso”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, 497-508; Schröter 2010, 272-295.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.

54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifania, parafrasando celebri episodi del Vecchio Testamento.

55 Olson 1999.

56 Baras 1987, 340.

57 Van Voorst 2000, 97.

 
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