Origini delle Religioni

L’ORIGINALE CONCETTO SCRITTURALE DEL “ SIGNORE” GESÙ

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CAT_IMG Posted on 29/8/2022, 08:53
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L’originale concetto scritturale del “ Signore” Gesù

Di Richard Carrier

25/02/2021

[Traduzione di roxi]




Di recente, mi sono reso conto che è passato inosservato un fatto minore ma fondamentale nella conoscenza di background che ho esposto nel mio libro sottoposto a revisione paritaria On the Historicity of Jesus. Mi sembra banale, ma troppe cose lo sono. Capisco che queste cose che io do per scontate sono davvero scioccanti o sconvolgenti per molti, perché hanno visto la Bibbia solo attraverso la lente deformante costruita dagli apologeti cristiani. Anche studiosi non cristiani e atei dalla nascita possono esserne vittime, perché gran parte della "narrazione culturale" sul cristianesimo e sulla Bibbia che viene trasmessa anche in ambienti laici (perfino professionali e accademici) ha avuto origine proprio nell'apologetica cristiana, a volte secoli fa, e da tempo ha perso il suo evidente indicatore di origine. In breve, non sapete che molte delle cose che vi sono state dette sono false. Perché anche esperti e appassionati laici continuano a perpetuare inconsapevolmente queste idee.

Gli studenti che hanno seguito il mio corso mensile sulla storicità di Gesù per diversi anni, hanno ripetutamente notato il fatto che ce ne sono tonnellate di esempi, anche solo in OHJ, anzi, anche solo nei primi capitoli; e quell'opera non mirava in alcun modo a trovarli o a toccarli tutti, solo quelli rilevanti per esaminare quanto possiamo essere certi che ci sia mai stato davvero un Gesù all'origine del cristianesimo. Ma nessuno di loro, fino a poco tempo fa, aveva menzionato quello di cui sto scrivendo oggi: che al tempo di Paolo, i cristiani credevano che i riferimenti al "Signore" nelle antiche scritture ebraiche in effetti intendessero Gesù - letteralmente. Anche quando le scritture dichiaravano che “il Signore” aveva detto questo o quello, i cristiani credevano che fosse stato Gesù Cristo a dirlo. Cosa questo significhi, è ciò che approfondirò oggi, riutilizzando ed espandendo parte del materiale che troverete (insieme ad altri esempi e dettagli e studi citati) in On the Historicity of Jesus.

Rivelazioni del Signore

Troverete questo argomento elencato come Element 16 delle conoscenze di background rilevanti nel Capitolo 4 di OHJ (pag. 137-41), il cui sommario iniziale è:

“I primi cristiani sostenevano di conoscere almeno alcuni (se non tutti) i fatti e gli insegnamenti di Gesù dalla rivelazione e dalla scrittura (piuttosto che da testimoni), e le consideravano fonti più affidabili del passaparola (solo molte generazioni dopo le opinioni dei cristiani su questo punto cambiarono sensibilmente).”

Il primo esempio che fornisco proviene da Paolo stesso, che è esplicito su questo punto:

“Il mio vangelo e la predicazione di Gesù Cristo [è] secondo la rivelazione del mistero che è stato tenuto segreto per lunghi secoli, ma ora è reso visibile attraverso le scritture profetiche ed è reso noto a tutte le nazioni, secondo il comando dell'eterno Dio, per l'obbedienza della fede.”
(Romani 16, 25 e 16,26)


In altre parole, Paolo dice apertamente che anche la predicazione di Gesù (come pure l'intero vangelo) è conosciuta dalla rivelazione e dalle scritture. Nessuna menzione di tramandatori umani. L'idea che queste cose fossero conosciute dagli Apostoli a cui Gesù predicò in vita è qui completamente assente. Ci sono molte altre prove di questo punto specifico che ho elencato in OHJ. Ma qui il mio interesse non è sostenere che questo sembra essere stato l'unico modo in cui qualcuno pensava che si potesse sapere qualcosa su o da Gesù (tratto in dettaglio questo caso in OHJ e lo riassumo nel mio lavoro molto più accessibile Jesus from Outer Space). Piuttosto, supponiamo che ci sia stato un Gesù storico e che almeno “alcuni” dei suoi insegnamenti e predicazioni provenivano dal suo ministero storico e dal successivo passaparola. Se così fosse, è anche vero che “alcuni” dei suoi insegnamenti e della sua predicazione “venivano” da rivelazioni e dalle antiche scritture ebraiche — e questa non è una semplice teoria, ma un fatto documentato. Come mostro in Element 16 e nei Capitoli 8.5 e 11 di OHJ.

Solo una parte, ma una parte importante, di questa evidenza consiste nell'evidenza in Galati 1 , dove Paolo giura e spergiura, ripetutamente, di non aver appreso il vangelo dalla tradizione orale, ma solo dalla rivelazione, illustrando così l'ordine dei valori: lui e le sue congregazioni rispettavano le comunicazioni mistiche dello spirito molto più delle tradizioni umane (vedi Capitolo 11.2 e 11.6 di OHJ). Paolo sta in effetti combattendo l'accusa di aver ottenuto alcuni degli insegnamenti di Gesù da fonti testimoniali : l'accusa, badate bene. Prestate molta attenzione a questo fatto: Paolo dovette scrivere un intero capitolo insistendo disperatamente sul fatto di non aver appreso nulla da fonti oculari, perché i Galati in realtà pensavano che apprendere queste cose da testimoni avrebbe reso Paolo un truffatore.

I moderni non lo capiscono. Perché è stato detto loro più e più e più volte che Paolo doveva sostenere che le sue rivelazioni erano valide quanto le fonti dei testimoni oculari. Ma è falso. È una invenzione apologetica cristiana successiva. Nelle sue lettere Paolo non solo non fa mai quell'argomento, ma indica ripetutamente che era vero il contrario : le fonti testimoniali (umane, orali) erano considerate inaffidabili da tutti i cristiani di allora, e nessuno se ne fidava. Chiunque affermasse di avere gli insegnamenti di Gesù in quel modo veniva rigettato come inaffidabile. Questa era letteralmente l'accusa mossa contro Paolo, per confutare la quale dovette scrivere l'intero Galati 1; e la sua difesa fu di aderire al principio, mosso contro di lui dai suoi compagni cristiani, che le fonti testimoniali umane hanno autorità pari a zero, imponendogli invece di giurare e spergiurare che non le aveva mai usate - che aveva l'unico tipo di fonti di cui tutti i cristiani allora si fidavano: comunicazioni dirette da parte dello stesso Gesù celeste nella mente di Paolo, e documenti scritti di tali comunicazioni spirituali del passato fatte a profeti morti da tempo.

E quest'ultima parte è forse quella meno notata e compresa dalla maggior parte delle persone oggi: i cristiani ai giorni di Paolo, incluso Paolo, pensavano che Gesù avesse parlato agli antichi profeti, e che quindi le profezie delle scritture ebraiche, persino i Salmi, fossero letteralmente le parole di Gesù — pronunciate da Gesù, usando i profeti che le avevano documentate, “come strumenti musicali”, come direbbe Atenagora. Potevano perciò essere citate come parole di Gesù. E con la totale sicurezza che lo fossero davvero; non erano richieste ulteriori testimonianze oculari di Gesù. Questa era più della convinzione, ancora oggi comunemente espressa, che le scritture ci dicevano cose autorevoli su Gesù. Come per esempio quando Paolo dice che dobbiamo ricorrere alle scritture per “farci insegnare” le cose su Gesù (Romani 15:3-4) e che non dobbiamo “andare oltre” le scritture nelle nostre affermazioni su Gesù (1 Corinzi 4:6 ) o quando Paolo dice che apprendiamo della crocifissione e della sepoltura di Gesù “dalle scritture” (il vero significato di kata tas graphas, l'antico modo di dire per citare una fonte, in 1 Corinzi 15:3 e 15:4).

La verità andava oltre. Non imparavano solo cose su Gesù dai messaggi nascosti che trovavano nelle scritture; imparavano cose da Gesù in quei messaggi nascosti. È anche importante rendersi conto che, per loro, "le scritture" non erano solo ciò che ora chiamiamo Antico Testamento , ma lo erano anche dei libri aggiuntivi , poiché l’"Antico Testamento" come tale, non esisteva quando sorse il cristianesimo. Quindi, quando Paolo o qualsiasi altro autore del cristianesimo primitivo dice "le scritture", intendevano un corpo di testi più ampio rispetto all’ "Antico Testamento", che comprendeva opere come Enoc e la Sapienza e i Salmi di Salomone e forse anche l' Assunzione e la Rivelazione di Mosè. Intendevano anche versioni delle nostre scritture dell'Antico Testamento che dicevano cose diverse dalle nostre versioni attuali. (Su entrambi i punti, vedi le prove e gli studi citati in Element 9 di OHJ . Questi punti sono un altro di quei piccoli "fatti" spesso non noti al pubblico, sebbene in questo caso, almeno di solito, noti agli studiosi.)

Come questo influisce sull'interpretazione

Vediamo l'esempio più chiaro di ciò che intendo nell’antica epistola di 1 Clemente (che, contrariamente alla tradizione cristiana successiva, molti studiosi ed io crediamo risalga agli anni 60 d.C. e quindi molto vicino all'epoca di Paolo: OHJ, Cap. 7.6). Lì troviamo innumerevoli “citazioni” di cose dette da “Gesù Cristo”– e mai una volta qualcuna viene attribuita a qualche tradizione orale o a testimoni. In ogni singolo caso le uniche fonti citate sono rivelazioni e scritture:

“Clemente presume che Gesù “ci parli” attraverso le scritture. Clemente non aveva nemmeno bisogno di dirlo. Semplicemente, presume che una citazione delle scritture può essere descritta come una citazione di “Cristo”, senza spiegazione o riferimento – il fatto che anche i Corinzi di Paolo non abbiano bisogno che gli venga loro spiegato, implica che era compreso abitualmente nelle chiese del tempo: che Gesù parla attraverso le scritture, piuttosto che attraverso la tradizione umana.” (On the Historicity of Jesus, p. 132)

Infatti, quando Clemente vuole citare i “detti” del loro “Signore” e “maestro” a supporto di un punto (come quello che Dio salverà i penitenti: 1 Clemente 8; oppure che Dio resusciterà i morti 1 Clemente 24-26, o che non dobbiamo soccombere all’orgoglio e all’ipocrisia: 1 Clemente 30), cita le antiche scritture (e in modo estensivo), non Gesù, in alcun tipo di tradizione pre o post evangelica; e fornisce esempi (di pentimento, perdono, resurrezione) solo dalle antiche scritture, mai da alcun tipo di tradizione pre o post evangelica. Questo significa che non c’era nessuna tradizione evangelica. Nessuna storia su Gesù. Nessuna cosa detta o insegnata da Gesù. Clemente poteva trovare esempi e insegnamenti di Gesù solo scavando nei libri sacri antichi.

Anche il libro di Ebrei afferma di citare "Gesù", ma in realtà ripete versi di antiche scritture (ad esempio Ebrei 10:5-10, sostenendo che il Salmo 40:6-8 riporta le parole di Gesù). Ma questo è ancora più esplicito in 1 Clemente, dove i "comandamenti" di Cristo (49.1) sembrano provenire dalla rivelazione o dalle scritture; Clemente non cita nessun'altra fonte, se non gli Apostoli come sostituti di entrambe. Per esempio, Clemente dice che gli Apostoli appresero “attraverso nostro Signore Gesù Cristo” che dovevano stabilire gli uffici e i ruoli della successione nella chiesa (44.1), anche se la maggior parte degli studiosi dubiterebbe che ciò sia vero (è una preoccupazione che la maggior parte degli studiosi ammette che sia sorta solo in seguito). Tuttavia, Clemente sembra immaginare che gli Apostoli abbiano appreso questa cosa da Gesù, attraverso le scritture (42.5). Clemente non cita mai nessun'altra fonte su questo punto. Eppure, alcune di queste scritture che Clemente cita non esistono più; non sappiamo quale libro stia citando. Per esempio, Clemente dice ai Corinzi (dando chiaramente per scontato che sappiano a cosa si stia riferendo):

“Ricordate le parole del nostro Signore Gesù Cristo, perché egli disse: guai a quell’uomo! Sarebbe stato bene per lui non essere nato, piuttosto che far inciampare uno dei miei eletti. Meglio per lui avere al collo una macina da mulino ed essere annegato in mare, piuttosto che aver corrotto uno dei miei eletti".
(1 Clemente, 46, 7-8)

Questo è chiaramente rappresentato come una citazione di un detto unitario, mentre nei vangeli è citato come due detti del tutto scollegati tra loro: una parte è pronunciata durante il ministero di Gesù, in presenza di un gruppo di bambini, sulle persone che inducevano i suoi seguaci al peccato (Chiunque induca al peccato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui se una grande macina gli pendesse dal collo e fosse scaraventato in mare”, citata esattamente nel primo vangelo di Marco, e che poi si è evoluta nel tempo quando è passata attraverso Matteo e Luca), poi un’altra parte è pronunciata a proposito di Giuda nell’Ultima Cena (Guai a quell’uomo a causa del quale il Figlio dell’Uomo è tradito! Sarebbe stato bene per quell’uomo non essere mai nato”, così ancora in Marco, e che poi si è evoluta in Matteo e Luca).

Clemente non conosce la storia di Giuda. Altrove, elabora molti esempi di tradimento come lezione per i Corinzi – evidentemente non aveva mai sentito parlare del tradimento paradigmatico del mito cristiano da cui trarre insegnamento: Giuda. Perciò vediamo che qui la frase: “Guai a quell’uomo! Sarebbe stato bene per lui non essere nato”, originariamente non fu mai qualcosa che Gesù aveva detto a proposito di Giuda, ma una dichiarazione generica su coloro che inducono al peccato i "figli" del Signore, cioè a dire, i cristiani (gli "eletti" di Gesù secondo Matteo 18:3-7; si veda anche Element 13 in OHJ). Ciò significa che quasi certamente Gesù non l’ha mai detto - perché riflette il concetto di una comunità ecclesiale, di "credenti" in Gesù, che non è esistita fino a dopo la sua morte. Il che lo rende un buon candidato per una rivelazione post mortem (Element 16), o, ancora una volta, qualche scrittura pre-cristiana che Clemente sta citando, ma che noi non possediamo più (Element 9). Perché, a parte questo e un altro caso (13,2-3), per Clemente le parole di Gesù provengono sempre dalla scrittura. Probabilmente è la stessa cosa anche qui. Solo che non abbiamo la scrittura che sta citando.

Tutte queste prove significano che quando Paolo cita le scritture come detti del Signore, in realtà intende letteralmente dire che Gesù ha detto quelle cose ai profeti che le hanno messe per iscritto, e che ora Paolo sta citando. E non doveva spiegarlo; i suoi ascoltatori cristiani già convengono che questi sono i detti di Gesù. Perciò quando Paolo ci dice, per esempio, di avere un “comandamento dal Signore”, (ad esempio, 1 Corinzi 14:37 e 1 Corinzi 7:9-11), non sappiamo se intenda per rivelazione (come in Galati 1 o 2 Corinzi 12) o da qualche scrittura che ritiene riporti le antiche parole dell'essere spirituale Gesù - una scrittura di cui non disponiamo più; o una che abbiamo, ma che allora diceva cose diverse da quello che dicono le nostre copie ora, o che erano interpretate in un altro modo. Ad esempio, quando Paolo dice "il Signore comanda" che coloro che lavorano per il vangelo siano pagati, sembra che i cristiani abbiano inteso che egli stesse citando o "interpretando" un'antica scrittura ora perduta (si confrontino 1 Corinzi 9:14 e 1 Timoteo 5:18, forse una variante di lettura o "interpretazione" di un'antica versione del Levitico o del Deuteronomio in cui troviamo, con parole diverse, molti degli insegnamenti ora "attribuiti" a Gesù: si veda Two Shipwrecked Gospels di Dennis MacDonald per alcuni esempi).

Analogamente, quando Paolo dice "è scritto" che "’è mia la vendetta, io la ripagherò’, dice il Signore” (Romani 12:19; citando Deuteronomio 32:35 e poi, come se anche questo fosse stato pronunciato dal "Signore", Proverbi 25:21-22), Paolo intende dire che l’ha detto Gesù - come se l'avesse detto all'antico profeta Mosè, che si limitò a registrare le parole del Signore Gesù Cristo su un rotolo. E i lettori di Paolo lo sapevano, e ci credevano. Così anche Romani 14:11: "È scritto: ‘Com'è vero che io vivo’, dice il Signore, ‘ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua riconoscerà Dio’". Paolo vuol dire che tutti riconosceranno Dio inchinandosi al suo Signore Gesù (Filippesi 2:10: "al nome di Gesù ogni ginocchio si deve piegare"), e sta "citando Gesù" da, appunto, Isaia 45:23. Lo stesso vale per 2 Corinzi 6:17, dove Paolo dice: " ‘Uscite da loro e separatevi’, dice il Signore; ‘non toccate le cose impure e io vi accoglierò’ ", citando questa volta un mix di pesher di Isaia 52:11 e di Ezechiele 20:34, 41. Si noti che "dice il Signore" non è in questi versi nelle effettive scritture che Paolo sta citando. Sebbene i capitoli originali, ognuno scritto da un profeta del passato che dice le parole del Signore, potrebbero indicarlo, Paolo stesso aggiunge, alle righe specifiche che cita, il promemoria che il Signore dice queste cose. E sappiamo bene che il Signore per Paolo, e per i suoi cristiani, significava Gesù (es. Filippesi 1:2, Filippesi 2:11, Filippesi 2:19; 1 Tessalonicesi 1:1, 1 Tessalonicesi 2:19, 1 Tessalonicesi 4:2; Filemone 1:3, Filemone 1:5, Filemone 1:25; Galati 1:3, Galati 6:14, Galati 6:18; 2 Corinzi 1:3, 2 Corinzi 11:31, 2 Corinzi 6:18: 14, Galati 6:18; 2 Corinzi 1:3, 2 Corinzi 11:31, 2 Corinzi 13:14; Romani 1:7, Romani 5:1, Romani 10:9; e soprattutto 1 Corinzi 1:2, 1 Corinzi 6:11, 1 Corinzi 8:6; ecc. ).

Conclusione

Quindi, quando Paolo dice "il Signore" nelle sue lettere, intende effettivamente Gesù Cristo, come spirito eterno che agisce come intermediario tra Dio e gli uomini, nel suo stato esaltato pre-incarnato. Gli inni di credo in Romani 1 e Filippesi 2 spiegano che Gesù ha brevemente rinunciato a questo status e si è sottoposto all'umiliazione e alla morte per dimostrare la sua fedeltà a Dio, e per questo gli è stato riassegnato quel ruolo, ed è stato ulteriormente elevato per essere il sostituto di Dio. Ma egli era il Signore di Dio già prima (Paolo lo conferma ripetutamente: si veda Element 10 del Capitolo 4 di OHJ). Sappiamo già che nell'angelologia ebraica l'"Arcangelo dai Molti Nomi" aveva già questo ruolo prima di quella che, secondo Paolo, sarebbe stata l'incarnazione di quell'angelo in Gesù (e Filone potrebbe addirittura aver già capito che uno dei nomi di quell'angelo era "Gesù", letteralmente "Salvatore di Dio", prima che il cristianesimo escogitasse l'idea della sua discesa e del suo sacrificio). Quindi questo "Signore" poteva rivelare segreti e insegnamenti non solo ai suoi "messaggeri" appena scelti (il significato di "Apostolo" è "uno che è stato inviato"), ma a tutti gli antichi profeti. Le antiche scritture contenevano quindi direttamente le parole di Gesù stesso.

In 1 Clemente vediamo entrambe queste idee: il Signore Gesù come rivelatore (che parla agli Apostoli), e il Signore Gesù come in effetti il Metatron: quando Dio "parla" a Mosè o a uno dei Profeti o anche ai Salmisti, in realtà è Gesù (il Signore) che parla loro, come strumento di Dio. Nell'angelologia ebraica questo ruolo era spesso svolto dal Metatron, l'Angelo del Volto, cioè il volto di Dio (ogni volta che nella Bibbia qualcuno afferma di "vedere" Dio, in realtà sta vedendo il sostituto di Dio, questo angelo). Ad esempio, il roveto ardente era in realtà questo angelo, attraverso la cui voce Dio parla - così è sia Dio che parla, che un angelo subordinato che parla, come se quell'angelo fosse l'altoparlante di Dio. I cristiani identificavano quell'angelo con il loro Gesù: centinaia di anni fa, l'eterno Signore Gesù parlò a quei profeti, proprio come tali, e per loro quelle rivelazioni sono valide quanto quelle nuove che Paolo o qualsiasi Apostolo riceve direttamente dal Signore Gesù - perché per loro è esattamente lo stesso processo.

Infatti, i Cristiani di lingua greca (gli unici di cui abbiamo qualche scritto) si fidavano specificamente della Septuaginta greca come raccolta di scritture sacre e ispirate contenenti i detti e gli insegnamenti diretti di Gesù - di cui si fidavano in quanto tali, perché credevano alla leggenda della Septuaginta: che settanta rabbini entrarono ciascuno in un cubicolo separato per tradurre le scritture ebraiche in greco e quando uscirono per confrontarle scoprirono miracolosamente che le loro traduzioni erano identiche in ogni più piccolo dettaglio, e così Dio ne aveva provato l'autenticità per sempre. I cristiani potevano dunque trattare le scritture come la parola affidabile e diretta di Gesù stesso, che esprimeva la mente di Dio e quindi esprimeva le parole di Dio. Da Dio, a Gesù, al Profeta o agli Apostoli. Questa era la loro comprensione.

Questo rende difficile sapere cosa intende Paolo quando, ad esempio, dice di avere un "comandamento dal Signore". Potrebbe significare "trovato nelle scritture" o "consegnato a me personalmente", perché Paolo non avrebbe visto alcuna distinzione rilevante tra queste due cose, né l'avrebbe visto nessuno di quelli a cui stava scrivendo. Egli “potrebbe” anche aver inteso una qualche tradizione umana, come insistono gli storicisti, ma in realtà non ci sono prove per questo, e ci sono ampie prove contro. Questa è una tradizione apologetica cristiana. Non prove che davvero supportano le nostre convinzioni. Ma anche se vi perdete in questo imbroglio e continuate a credere che Paolo "potrebbe" citare la tradizione dei testimoni oculari dei "discepoli" a cui Gesù ha insegnato in vita, ancora non sapete quando e se egli abbia mai inteso questo. Perché sappiamo per certo che egli si fidava delle rivelazioni dirette e delle rivelazioni di Gesù agli antichi profeti come di un'autorità pari o addirittura superiore, e non fa mai nessuna distinzione su quale fonte intenda quando cita o fa riferimento a qualcosa che egli sostiene che Gesù abbia detto


Edited by barionu - 30/8/2022, 19:47
 
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CAT_IMG Posted on 30/8/2022, 18:55
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L’originale concetto scritturale del “ Signore” Gesù

Di Richard Carrier

25/02/2021

[Traduzione di roxi]






Di recente, mi sono reso conto che è passato inosservato un fatto minore ma fondamentale nella conoscenza di background che ho esposto nel mio libro sottoposto a revisione paritaria On the Historicity of Jesus.

Mi sembra banale, ma troppe cose lo sono. Capisco che queste cose che io do per scontate sono davvero scioccanti o sconvolgenti per molti, perché hanno visto la Bibbia solo attraverso la lente deformante costruita dagli apologeti cristiani.

Anche studiosi non cristiani e atei dalla nascita possono esserne vittime, perché gran parte della "narrazione culturale" sul cristianesimo e sulla Bibbia che viene trasmessa anche in ambienti laici (perfino professionali e accademici) ha avuto origine proprio nell'apologetica cristiana, a volte secoli fa, e da tempo ha perso il suo evidente indicatore di origine.

In breve, non sapete che molte delle cose che vi sono state dette sono false. Perché anche esperti e appassionati laici continuano a perpetuare inconsapevolmente queste idee.



Gli studenti che hanno seguito il mio corso mensile sulla storicità di Gesù per diversi anni, hanno ripetutamente notato il fatto che ce ne sono tonnellate di esempi, anche solo in OHJ, anzi, anche solo nei primi capitoli; e quell'opera non mirava in alcun modo a trovarli o a toccarli tutti, solo quelli rilevanti per esaminare quanto possiamo essere certi che ci sia mai stato davvero un Gesù all'origine del cristianesimo. Ma nessuno di loro, fino a poco tempo fa, aveva menzionato quello di cui sto scrivendo oggi: che al tempo di Paolo, i cristiani credevano che i riferimenti al "Signore" nelle antiche scritture ebraiche in effetti intendessero Gesù - letteralmente. Anche quando le scritture dichiaravano che “il Signore” aveva detto questo o quello, i cristiani credevano che fosse stato Gesù Cristo a dirlo. Cosa questo significhi, è ciò che approfondirò oggi, riutilizzando ed espandendo parte del materiale che troverete (insieme ad altri esempi e dettagli e studi citati) in On the Historicity of Jesus.





Rivelazioni del Signore


Troverete questo argomento elencato come Element 16 delle conoscenze di background rilevanti nel Capitolo 4 di OHJ (pag. 137-41), il cui sommario iniziale è:

“I primi cristiani sostenevano di conoscere almeno alcuni (se non tutti) i fatti e gli insegnamenti di Gesù dalla rivelazione e dalla scrittura (piuttosto che da testimoni), e le consideravano fonti più affidabili del passaparola (solo molte generazioni dopo le opinioni dei cristiani su questo punto cambiarono sensibilmente).”

Il primo esempio che fornisco proviene da Paolo stesso, che è esplicito su questo punto:

“Il mio vangelo e la predicazione di Gesù Cristo [è] secondo la rivelazione del mistero che è stato tenuto segreto per lunghi secoli, ma ora è reso visibile attraverso le scritture profetiche ed è reso noto a tutte le nazioni, secondo il comando dell'eterno Dio, per l'obbedienza della fede.”
(Romani 16, 25 e 16,26)


In altre parole, Paolo dice apertamente che anche la predicazione di Gesù (come pure l'intero vangelo) è conosciuta dalla rivelazione e dalle scritture. Nessuna menzione di tramandatori umani. L'idea che queste cose fossero conosciute dagli Apostoli a cui Gesù predicò in vita è qui completamente assente. Ci sono molte altre prove di questo punto specifico che ho elencato in OHJ. Ma qui il mio interesse non è sostenere che questo sembra essere stato l'unico modo in cui qualcuno pensava che si potesse sapere qualcosa su o da Gesù (tratto in dettaglio questo caso in OHJ e lo riassumo nel mio lavoro molto più accessibile Jesus from Outer Space). Piuttosto, supponiamo che ci sia stato un Gesù storico e che almeno “alcuni” dei suoi insegnamenti e predicazioni provenivano dal suo ministero storico e dal successivo passaparola. Se così fosse, è anche vero che “alcuni” dei suoi insegnamenti e della sua predicazione “venivano” da rivelazioni e dalle antiche scritture ebraiche — e questa non è una semplice teoria, ma un fatto documentato. Come mostro in Element 16 e nei Capitoli 8.5 e 11 di OHJ.



Solo una parte, ma una parte importante, di questa evidenza consiste nell'evidenza in Galati 1 , dove Paolo giura e spergiura, ripetutamente, di non aver appreso il vangelo dalla tradizione orale, ma solo dalla rivelazione, illustrando così l'ordine dei valori: lui e le sue congregazioni rispettavano le comunicazioni mistiche dello spirito molto più delle tradizioni umane (vedi Capitolo 11.2 e 11.6 di OHJ). Paolo sta in effetti combattendo l'accusa di aver ottenuto alcuni degli insegnamenti di Gesù da fonti testimoniali : l'accusa, badate bene. Prestate molta attenzione a questo fatto: Paolo dovette scrivere un intero capitolo insistendo disperatamente sul fatto di non aver appreso nulla da fonti oculari, perché i Galati in realtà pensavano che apprendere queste cose da testimoni avrebbe reso Paolo un truffatore.



I moderni non lo capiscono. Perché è stato detto loro più e più e più volte che Paolo doveva sostenere che le sue rivelazioni erano valide quanto le fonti dei testimoni oculari. Ma è falso. È una invenzione apologetica cristiana successiva. Nelle sue lettere Paolo non solo non fa mai quell'argomento, ma indica ripetutamente che era vero il contrario : le fonti testimoniali (umane, orali) erano considerate inaffidabili da tutti i cristiani di allora, e nessuno se ne fidava. Chiunque affermasse di avere gli insegnamenti di Gesù in quel modo veniva rigettato come inaffidabile. Questa era letteralmente l'accusa mossa contro Paolo, per confutare la quale dovette scrivere l'intero Galati 1; e la sua difesa fu di aderire al principio, mosso contro di lui dai suoi compagni cristiani, che le fonti testimoniali umane hanno autorità pari a zero, imponendogli invece di giurare e spergiurare che non le aveva mai usate - che aveva l'unico tipo di fonti di cui tutti i cristiani allora si fidavano: comunicazioni dirette da parte dello stesso Gesù celeste nella mente di Paolo, e documenti scritti di tali comunicazioni spirituali del passato fatte a profeti morti da tempo.



E quest'ultima parte è forse quella meno notata e compresa dalla maggior parte delle persone oggi: i cristiani ai giorni di Paolo, incluso Paolo, pensavano che Gesù avesse parlato agli antichi profeti, e che quindi le profezie delle scritture ebraiche, persino i Salmi, fossero letteralmente le parole di Gesù — pronunciate da Gesù, usando i profeti che le avevano documentate, “come strumenti musicali”, come direbbe Atenagora. Potevano perciò essere citate come parole di Gesù. E con la totale sicurezza che lo fossero davvero; non erano richieste ulteriori testimonianze oculari di Gesù. Questa era più della convinzione, ancora oggi comunemente espressa, che le scritture ci dicevano cose autorevoli su Gesù. Come per esempio quando Paolo dice che dobbiamo ricorrere alle scritture per “farci insegnare” le cose su Gesù (Romani 15:3-4) e che non dobbiamo “andare oltre” le scritture nelle nostre affermazioni su Gesù (1 Corinzi 4:6 ) o quando Paolo dice che apprendiamo della crocifissione e della sepoltura di Gesù “dalle scritture” (il vero significato di kata tas graphas, l'antico modo di dire per citare una fonte, in 1 Corinzi 15:3 e 15:4).



La verità andava oltre. Non imparavano solo cose su Gesù dai messaggi nascosti che trovavano nelle scritture; imparavano cose da Gesù in quei messaggi nascosti. È anche importante rendersi conto che, per loro, "le scritture" non erano solo ciò che ora chiamiamo Antico Testamento , ma lo erano anche dei libri aggiuntivi , poiché l’"Antico Testamento" come tale, non esisteva quando sorse il cristianesimo. Quindi, quando Paolo o qualsiasi altro autore del cristianesimo primitivo dice "le scritture", intendevano un corpo di testi più ampio rispetto all’ "Antico Testamento", che comprendeva opere come Enoc e la Sapienza e i Salmi di Salomone e forse anche l' Assunzione e la Rivelazione di Mosè. Intendevano anche versioni delle nostre scritture dell'Antico Testamento che dicevano cose diverse dalle nostre versioni attuali. (Su entrambi i punti, vedi le prove e gli studi citati in Element 9 di OHJ . Questi punti sono un altro di quei piccoli "fatti" spesso non noti al pubblico, sebbene in questo caso, almeno di solito, noti agli studiosi.)






Come questo influisce sull'interpretazione


Vediamo l'esempio più chiaro di ciò che intendo nell’antica epistola di 1 Clemente (che, contrariamente alla tradizione cristiana successiva, molti studiosi ed io crediamo risalga agli anni 60 d.C. e quindi molto vicino all'epoca di Paolo: OHJ, Cap. 7.6). Lì troviamo innumerevoli “citazioni” di cose dette da “Gesù Cristo”– e mai una volta qualcuna viene attribuita a qualche tradizione orale o a testimoni. In ogni singolo caso le uniche fonti citate sono rivelazioni e scritture:



“Clemente presume che Gesù “ci parli” attraverso le scritture. Clemente non aveva nemmeno bisogno di dirlo. Semplicemente, presume che una citazione delle scritture può essere descritta come una citazione di “Cristo”, senza spiegazione o riferimento – il fatto che anche i Corinzi di Paolo non abbiano bisogno che gli venga loro spiegato, implica che era compreso abitualmente nelle chiese del tempo: che Gesù parla attraverso le scritture, piuttosto che attraverso la tradizione umana.” (On the Historicity of Jesus, p. 132)



Infatti, quando Clemente vuole citare i “detti” del loro “Signore” e “maestro” a supporto di un punto (come quello che Dio salverà i penitenti: 1 Clemente 8; oppure che Dio resusciterà i morti 1 Clemente 24-26, o che non dobbiamo soccombere all’orgoglio e all’ipocrisia: 1 Clemente 30), cita le antiche scritture (e in modo estensivo), non Gesù, in alcun tipo di tradizione pre o post evangelica; e fornisce esempi (di pentimento, perdono, resurrezione) solo dalle antiche scritture, mai da alcun tipo di tradizione pre o post evangelica. Questo significa che non c’era nessuna tradizione evangelica. Nessuna storia su Gesù. Nessuna cosa detta o insegnata da Gesù. Clemente poteva trovare esempi e insegnamenti di Gesù solo scavando nei libri sacri antichi.



Anche il libro di Ebrei afferma di citare "Gesù", ma in realtà ripete versi di antiche scritture (ad esempio Ebrei 10:5-10, sostenendo che il Salmo 40:6-8 riporta le parole di Gesù). Ma questo è ancora più esplicito in 1 Clemente, dove i "comandamenti" di Cristo (49.1) sembrano provenire dalla rivelazione o dalle scritture; Clemente non cita nessun'altra fonte, se non gli Apostoli come sostituti di entrambe. Per esempio, Clemente dice che gli Apostoli appresero “attraverso nostro Signore Gesù Cristo” che dovevano stabilire gli uffici e i ruoli della successione nella chiesa (44.1), anche se la maggior parte degli studiosi dubiterebbe che ciò sia vero (è una preoccupazione che la maggior parte degli studiosi ammette che sia sorta solo in seguito). Tuttavia, Clemente sembra immaginare che gli Apostoli abbiano appreso questa cosa da Gesù, attraverso le scritture (42.5). Clemente non cita mai nessun'altra fonte su questo punto. Eppure, alcune di queste scritture che Clemente cita non esistono più; non sappiamo quale libro stia citando. Per esempio, Clemente dice ai Corinzi (dando chiaramente per scontato che sappiano a cosa si stia riferendo):



“Ricordate le parole del nostro Signore Gesù Cristo, perché egli disse: guai a quell’uomo! Sarebbe stato bene per lui non essere nato, piuttosto che far inciampare uno dei miei eletti. Meglio per lui avere al collo una macina da mulino ed essere annegato in mare, piuttosto che aver corrotto uno dei miei eletti".
(1 Clemente, 46, 7-8)



Questo è chiaramente rappresentato come una citazione di un detto unitario, mentre nei vangeli è citato come due detti del tutto scollegati tra loro: una parte è pronunciata durante il ministero di Gesù, in presenza di un gruppo di bambini, sulle persone che inducevano i suoi seguaci al peccato (Chiunque induca al peccato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui se una grande macina gli pendesse dal collo e fosse scaraventato in mare”, citata esattamente nel primo vangelo di Marco, e che poi si è evoluta nel tempo quando è passata attraverso Matteo e Luca), poi un’altra parte è pronunciata a proposito di Giuda nell’Ultima Cena (Guai a quell’uomo a causa del quale il Figlio dell’Uomo è tradito! Sarebbe stato bene per quell’uomo non essere mai nato”, così ancora in Marco, e che poi si è evoluta in Matteo e Luca).



Clemente non conosce la storia di Giuda. Altrove, elabora molti esempi di tradimento come lezione per i Corinzi – evidentemente non aveva mai sentito parlare del tradimento paradigmatico del mito cristiano da cui trarre insegnamento: Giuda. Perciò vediamo che qui la frase: “Guai a quell’uomo! Sarebbe stato bene per lui non essere nato”, originariamente non fu mai qualcosa che Gesù aveva detto a proposito di Giuda, ma una dichiarazione generica su coloro che inducono al peccato i "figli" del Signore, cioè a dire, i cristiani (gli "eletti" di Gesù secondo Matteo 18:3-7; si veda anche Element 13 in OHJ). Ciò significa che quasi certamente Gesù non l’ha mai detto - perché riflette il concetto di una comunità ecclesiale, di "credenti" in Gesù, che non è esistita fino a dopo la sua morte. Il che lo rende un buon candidato per una rivelazione post mortem (Element 16), o, ancora una volta, qualche scrittura pre-cristiana che Clemente sta citando, ma che noi non possediamo più (Element 9). Perché, a parte questo e un altro caso (13,2-3), per Clemente le parole di Gesù provengono sempre dalla scrittura. Probabilmente è la stessa cosa anche qui. Solo che non abbiamo la scrittura che sta citando.



Tutte queste prove significano che quando Paolo cita le scritture come detti del Signore, in realtà intende letteralmente dire che Gesù ha detto quelle cose ai profeti che le hanno messe per iscritto, e che ora Paolo sta citando. E non doveva spiegarlo; i suoi ascoltatori cristiani già convengono che questi sono i detti di Gesù. Perciò quando Paolo ci dice, per esempio, di avere un “comandamento dal Signore”, (ad esempio, 1 Corinzi 14:37 e 1 Corinzi 7:9-11), non sappiamo se intenda per rivelazione (come in Galati 1 o 2 Corinzi 12) o da qualche scrittura che ritiene riporti le antiche parole dell'essere spirituale Gesù - una scrittura di cui non disponiamo più; o una che abbiamo, ma che allora diceva cose diverse da quello che dicono le nostre copie ora, o che erano interpretate in un altro modo. Ad esempio, quando Paolo dice "il Signore comanda" che coloro che lavorano per il vangelo siano pagati, sembra che i cristiani abbiano inteso che egli stesse citando o "interpretando" un'antica scrittura ora perduta (si confrontino 1 Corinzi 9:14 e 1 Timoteo 5:18, forse una variante di lettura o "interpretazione" di un'antica versione del Levitico o del Deuteronomio in cui troviamo, con parole diverse, molti degli insegnamenti ora "attribuiti" a Gesù: si veda Two Shipwrecked Gospels di Dennis MacDonald per alcuni esempi).



Analogamente, quando Paolo dice "è scritto" che "’è mia la vendetta, io la ripagherò’, dice il Signore” (Romani 12:19; citando Deuteronomio 32:35 e poi, come se anche questo fosse stato pronunciato dal "Signore", Proverbi 25:21-22), Paolo intende dire che l’ha detto Gesù - come se l'avesse detto all'antico profeta Mosè, che si limitò a registrare le parole del Signore Gesù Cristo su un rotolo. E i lettori di Paolo lo sapevano, e ci credevano. Così anche Romani 14:11: "È scritto: ‘Com'è vero che io vivo’, dice il Signore, ‘ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua riconoscerà Dio’". Paolo vuol dire che tutti riconosceranno Dio inchinandosi al suo Signore Gesù (Filippesi 2:10: "al nome di Gesù ogni ginocchio si deve piegare"), e sta "citando Gesù" da, appunto, Isaia 45:23. Lo stesso vale per 2 Corinzi 6:17, dove Paolo dice: " ‘Uscite da loro e separatevi’, dice il Signore; ‘non toccate le cose impure e io vi accoglierò’ ", citando questa volta un mix di pesher di Isaia 52:11 e di Ezechiele 20:34, 41. Si noti che "dice il Signore" non è in questi versi nelle effettive scritture che Paolo sta citando. Sebbene i capitoli originali, ognuno scritto da un profeta del passato che dice le parole del Signore, potrebbero indicarlo, Paolo stesso aggiunge, alle righe specifiche che cita, il promemoria che il Signore dice queste cose.


E sappiamo bene che il Signore per Paolo, e per i suoi cristiani, significava Gesù (es. Filippesi 1:2, Filippesi 2:11, Filippesi 2:19; 1 Tessalonicesi 1:1, 1 Tessalonicesi 2:19, 1 Tessalonicesi 4:2; Filemone 1:3, Filemone 1:5, Filemone 1:25; Galati 1:3, Galati 6:14, Galati 6:18; 2 Corinzi 1:3, 2 Corinzi 11:31, 2 Corinzi 6:18: 14, Galati 6:18; 2 Corinzi 1:3, 2 Corinzi 11:31, 2 Corinzi 13:14; Romani 1:7, Romani 5:1, Romani 10:9; e soprattutto 1 Corinzi 1:2, 1 Corinzi 6:11, 1 Corinzi 8:6; ecc. ).




Conclusione



Quindi, quando Paolo dice "il Signore" nelle sue lettere, intende effettivamente Gesù Cristo, come spirito eterno che agisce come intermediario tra Dio e gli uomini, nel suo stato esaltato pre-incarnato. Gli inni di credo in Romani 1 e Filippesi 2 spiegano che Gesù ha brevemente rinunciato a questo status e si è sottoposto all'umiliazione e alla morte per dimostrare la sua fedeltà a Dio, e per questo gli è stato riassegnato quel ruolo, ed è stato ulteriormente elevato per essere il sostituto di Dio. Ma egli era il Signore di Dio già prima (Paolo lo conferma ripetutamente: si veda Element 10 del Capitolo 4 di OHJ). Sappiamo già che nell'angelologia ebraica l'"Arcangelo dai Molti Nomi" aveva già questo ruolo prima di quella che, secondo Paolo, sarebbe stata l'incarnazione di quell'angelo in Gesù (e Filone potrebbe addirittura aver già capito che uno dei nomi di quell'angelo era "Gesù", letteralmente "Salvatore di Dio", prima che il cristianesimo escogitasse l'idea della sua discesa e del suo sacrificio). Quindi questo "Signore" poteva rivelare segreti e insegnamenti non solo ai suoi "messaggeri" appena scelti (il significato di "Apostolo" è "uno che è stato inviato"), ma a tutti gli antichi profeti. Le antiche scritture contenevano quindi direttamente le parole di Gesù stesso.



In 1 Clemente vediamo entrambe queste idee: il Signore Gesù come rivelatore (che parla agli Apostoli), e il Signore Gesù come in effetti il Metatron: quando Dio "parla" a Mosè o a uno dei Profeti o anche ai Salmisti, in realtà è Gesù (il Signore) che parla loro, come strumento di Dio. Nell'angelologia ebraica questo ruolo era spesso svolto dal Metatron, l'Angelo del Volto, cioè il volto di Dio (ogni volta che nella Bibbia qualcuno afferma di "vedere" Dio, in realtà sta vedendo il sostituto di Dio, questo angelo). Ad esempio, il roveto ardente era in realtà questo angelo, attraverso la cui voce Dio parla - così è sia Dio che parla, che un angelo subordinato che parla, come se quell'angelo fosse l'altoparlante di Dio. I cristiani identificavano quell'angelo con il loro Gesù: centinaia di anni fa, l'eterno Signore Gesù parlò a quei profeti, proprio come tali, e per loro quelle rivelazioni sono valide quanto quelle nuove che Paolo o qualsiasi Apostolo riceve direttamente dal Signore Gesù - perché per loro è esattamente lo stesso processo.



Infatti, i Cristiani di lingua greca (gli unici di cui abbiamo qualche scritto) si fidavano specificamente della Septuaginta greca come raccolta di scritture sacre e ispirate contenenti i detti e gli insegnamenti diretti di Gesù - di cui si fidavano in quanto tali, perché credevano alla leggenda della Septuaginta: che settanta rabbini entrarono ciascuno in un cubicolo separato per tradurre le scritture ebraiche in greco e quando uscirono per confrontarle scoprirono miracolosamente che le loro traduzioni erano identiche in ogni più piccolo dettaglio, e così Dio ne aveva provato l'autenticità per sempre. I cristiani potevano dunque trattare le scritture come la parola affidabile e diretta di Gesù stesso, che esprimeva la mente di Dio e quindi esprimeva le parole di Dio. Da Dio, a Gesù, al Profeta o agli Apostoli. Questa era la loro comprensione.



Questo rende difficile sapere cosa intende Paolo quando, ad esempio, dice di avere un "comandamento dal Signore". Potrebbe significare "trovato nelle scritture" o "consegnato a me personalmente", perché Paolo non avrebbe visto alcuna distinzione rilevante tra queste due cose, né l'avrebbe visto nessuno di quelli a cui stava scrivendo. Egli “potrebbe” anche aver inteso una qualche tradizione umana, come insistono gli storicisti, ma in realtà non ci sono prove per questo, e ci sono ampie prove contro. Questa è una tradizione apologetica cristiana. Non prove che davvero supportano le nostre convinzioni. Ma anche se vi perdete in questo imbroglio e continuate a credere che Paolo "potrebbe" citare la tradizione dei testimoni oculari dei "discepoli" a cui Gesù ha insegnato in vita, ancora non sapete quando e se egli abbia mai inteso questo. Perché sappiamo per certo che egli si fidava delle rivelazioni dirette e delle rivelazioni di Gesù agli antichi profeti come di un'autorità pari o addirittura superiore, e non fa mai nessuna distinzione su quale fonte intenda quando cita o fa riferimento a qualcosa che egli sostiene che Gesù abbia detto[/font][/size]</td>








Edited by barionu - 31/8/2022, 11:27
 
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