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ANAGRAMMI, Tobagi le carte di Moro

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barionu
CAT_IMG Posted on 24/2/2022, 20:26 by: barionu
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Le carte di Moro, la trattativa di Craxi.

Da dove ripartire per dare giustizia a Tobagi



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Politica
Le carte di Moro, la trattativa di Craxi. Da dove ripartire per dare giustizia a Tobagi
di
Maria Antonietta Calabrò
ANSA foto



Benedetta Tobagi, figlia dell’inviato del Corriere della Sera ucciso 40 anni fa, pone ancora oggi domande sull’assassinio del padre e sulla necessità di aprire gli archivi dell’antiterrorismo
28 Maggio 2020


Benedetta Tobagi, figlia dell’inviato del Corriere della Sera Walter Tobagi, ucciso come oggi 40 anni fa, pone alcune domande sull’assassinio del padre e sulla necessità di aprire gli archivi dell’antiterrorismo per approfondire lo scenario di quel delitto. In parte questo è stato fatto negli ultimi anni con la desecretazione voluta dal Governo Renzi del 2014 degli atti di Ministeri, Servizi segreti, Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, relativi ad atti di strage e terrorismo.

Ho studiato gran parte di quei documenti (versati alla commissione di inchiesta Moro2) ed essi dimostrano possibili connessioni tra l’assassinio di Tobagi e il caso Moro. Quindi in base a quegli atti - dalla fine del 2018 pubblici - possiamo rispondere in prima approssimazione alla richiesta di nuova chiarezza avanzata della figlia.

Come è noto fu la Brigata “XXVIII marzo” ad uccidere Tobagi, esattamente due mesi dopo l’irruzione nel covo brigatista di Genova in via Fracchia da parte degli uomini del generale Dalla Chiesa, il 28 marzo 1980. La strage di via Fracchia fu una degli ultimi importanti reportage di Tobagi, prima della morte. Con lui furono inviati a Genova dall’allora direttore Franco Di Bella anche Antonio Ferrari e Giancarlo Pertegato.

Solo oggi però sappiamo che Tobagi - cattolico, socialista, vicino al segretario Bettino Craxi - ebbe un ruolo nella ″trattativa” milanese che Craxi instaurò durante il sequestro Moro per la salvezza dello statista Dc e che faceva perno sul generale Dalla Chiesa. Una “trattativa “ distinta da quella “romana” che coinvolse Piperno, Morucci e Faranda. Questo filone “milanese” è emerso solo negli ultimi anni grazie alle indagini della Commissione Moro2. Facendo emergere tanti fatti e circostanze che illuminano gli ultimi anni della vita di Tobagi, e forse, anche la sua morte. La conoscenza di quegli anni infatti è molto progredita, portando alla luce fatti sorprendenti, che potrebbero anche spiegare come mai nell’archivio di Villa Wanda sequestrato nel 1981 a Licio Gelli fosse conservata una copia del volantino di rivendicazione dell’assassinio di Tobagi.

L’impegno di Tobagi per salvare Moro.

Umberto Giovine, iscritto al Psi sin da ragazzo, militante nella Federazione milanese, con incarichi nell’ambito dell’Internazionale socialista e direttore di ”Critica Sociale”, ha dichiarato alla Commissione Moro 2 (tra il 2015 e il 2017) che l’input per cercare d’intervenire nella vicenda Moro per salvare la vita del sequestrato avvenne qualche giorno dopo il 16 marzo 1978, a Torino, durante il congresso del Psi. “Ebbi modo di parlare con Walter Tobagi, che conoscevo da molti anni, e mi disse che secondo lui avrei potuto e dovuto fare qualcosa attraverso Critica Sociale visto che lui personalmente, data la sua posizione al Corriere della Sera non poteva agire”, disse Giovine. “Craxi - aggiunge- in ogni caso poteva contare sull’appoggio e il contributo del generale Dalla Chiesa che era responsabile nazionale delle carceri di massima sicurezza e che in tale veste poteva muoversi anche in modo indipendente e senza specifiche autorizzazioni del Governo”. Il Corriere della Sera, il 2 aprile 1980, negli articoli che illustravano l’irruzione in via Fracchia segnalava che sarebbe stata trovata nel covo delle Br una cartellina con un appunto ”materiale da decentrare sotto terra”.

Il “tesoro” di Genova: tutte le carte di Moro.

Massimo Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti, scriverà anni dopo la barbara uccisione di Tobagi, nel numero 1 di ”Pagina” del 25 febbraio 1982, e nel periodico ″Illustrazione Italiana”, n. 32, luglio 1986: ”Disse a caldo (dopo l’irruzione nel covo brigatista di via Fracchia, ndr) l’allora procuratore della Repubblica di Genova, Antonio Squadrito: La verità è che abbiamo trovato un tesoro. Un arsenale di armi… Soprattutto una trentina di cartelle scritte meticolosamente da Aldo Moro alla Dc, al Paese”. La rivelazione di Caprara è precisa e circostanziata. Ma di quelle trenta cartelle ″meticolosamente scritte da Aldo Moro”, indicate dal magistrato, che nel 1980 era al vertice della Procura del capoluogo ligure, non è stata trovata alcuna traccia agli atti del processo penale per la strage di via Fracchia.

I lavori della Commissione Moro 2 sono partiti da qui. La quantità e l’importanza del materiale sequestrato in via Fracchia si desumono esaminando il verbale di perquisizione e sequestro (acquisito agli atti della Commissione) che reca un impressionante elenco di 753 reperti, che certamente dal punto di vista investigativo poteva essere considerato un ″tesoro”. Tenuto conto degli interrogativi che sono nati dai parziali ritrovamenti documentali avvenuti nel covo di via Monte Nevoso a Milano (nel 1978 e nel 1990), la citata esternazione di Squadrito è apparsa meritevole di serio approfondimento, anche alla luce delle indicazioni sul ruolo che la colonna genovese guidata da Riccardo Dura, nel sequestro Moro. Già il presidente della Commissione Stragi (attiva fino al 2001), Giovanni Pellegrino, aveva elaborato l’ipotesi - che durante il sequestro Moro - ci fosse stato in realtà un doppio ostaggio: Moro, appunto, ma anche numerosa documentazione “sensibile” in mano alle Brigate Rosse (il memoriale completo, interrogatori…)

Solo agli inizi degli Anni Duemila, sono cominciati ad emergere nuovi fatti. Nell’articolo intitolato “Via Fracchia, ricordi indelebili. Quella donna in giardino, l’uomo con il piccone”, pubblicato venerdì 13 febbraio 2004, firmato da Simone Traverso sul Corriere Mercantile, storico quotidiano della città della Lanterna, vengono riportati i ricordi raccolti dalla ″gente del civico 12″, tra cui quello di ″un uomo misterioso, forse Riccardo Dura, che scavava con un piccone nell’erba alta delle aiuole”. Testimonianza questa che descrive una caratteristica peculiare del covo: la presenza anche di un giardino di pertinenza, a cui si accedeva dalla cucina e dalla sala da pranzo, e che conduceva alla parte posteriore dell’edificio. ″Un giardino che, incredibilmente – annota la Commissione Moro 2 – non trova esplicita menzione negli atti processuali, né viene evidenziato nella ricostruzione della planimetria dell’appartamento”.

Anche lo scavo di un’ampia buca nel giardino del covo non fu riferito negli atti giudiziari del 1980, ma è stato esplicitamente rievocato solo il 15 marzo 2017 nel corso delle dichiarazioni a Palazzo San Macuto dal pm Filippo Maffeo, intervenuto sul posto in qualità di pubblico ministero di turno, la mattina del 28 marzo 1980. Il magistrato ha indicato con certezza il particolare che in giardino il terreno appariva smosso da poco tempo, precisando le rilevanti dimensioni dello scavo, corrispondente, a suo avviso, al volume di tre valigie di media grandezza. Uno scavo immediato e verosimilmente mirato non poteva che scaturire dalla disponibilità di indicazioni precise. Quell′operazione dovette durare ore ed ore e terminare, appunto, prima dell’arrivo del magistrato di turno.

L’agente tedesco nella palazzina di Tobagi, le carte “segrete” di Moro.

Umberto Giovine (che ha illustrato da qualche anno il ruolo di Tobagi nella trattativa per Moro) ha anche parlato davanti alla Commissione della opaca vicenda di Volker Weingraber (alias Karl Heinz Goldmann), un agente tedesco occidentale che operò in Italia durante il sequestro Moro. Ecco, ben 6 informative del Sisde che lo riguardavano sono state desecretata dall’Aise (l’attuale servizio segreto estero) nel giugno 2017. In particolare, dagli atti del nostro servizio segreto – solo ora resi noti – risulta che Weingraber giunse a Milano nel febbraio 1978 e che si mise in contatto con diverse persone, tra cui il terrorista Oreste Strano e un gruppo che preparava il sequestro di un imprenditore svizzero.

L’informativa del 6 novembre 1978 precisava inoltre che ″la fonte infiltrata ha avuto contatti con Aldo Bonomi il quale gli avrebbe confermato di essere in grado di procurare armi e documenti falsi per sviluppare attività eversive″. La fonte – continua la citazione – ”ritiene che Bonomi sia un provocatore e un confidente della Polizia. Sarebbe stato isolato dalle Br perché ha sempre evitato di assumersi compiti rischiosi nell’ambito dell’organizzazione”.

Ma ″la fonte infiltrata″ – come risulta da un’altra lettera desecretata del 2 novembre 1990 inviata dall’ammiraglio Martini, capo del Sismi, al capo della Polizia, prefetto Vincenzo Parisi oggi desecretata – altri non era che proprio Weingraber, il quale lavorava in un’operazione congiunta del Sismi e dei servizi segreti tedesco e svizzero. Risulta inoltre che Weingraber – come confermato dal colonnello Giorgio Parisi al giudice Priore il 28 settembre 1990 e anche questo è in un documento desecretato– entrò in contatto, tramite Strano (che aveva una compagna tedesca), anche con Nadia Mantovani, cioè la persona che aveva avuto l’incarico di battere a macchina il Memoriale Moro, e che prima del suo arresto, a Novara frequentava una radio di sinistra extraparlamentare collegata alla Rote Armee Fraktion. Va pure segnalato che Weingraber alloggiò a partire dal 1978 in Italia nello stesso palazzo dove abitava Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980. Ma poi fu lo stesso Strano a denunciare Weingraber pubblicamente come un infiltrato, dopo che al valico del Brennero vennero sequestrati a quattro cittadini tedeschi 800 fogli di documenti: ciò accadde poche settimane prima della seconda scoperta di materiale proveniente dal sequestro Moro nel covo di via Monte Nevoso 8, a Milano, nel novembre 1990”.

Walter Tobagi, odiato senza ragione Su Rai Storia il ricordo del cronista a 40 anni dalla morte








Edited by barionu - 25/5/2023, 11:27
 
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