Origini delle Religioni

GIULIO CAMILLO DELMINIO

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CAT_IMG Posted on 7/8/2014, 17:52 by: barionu
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Nome (tratto dal greco moderno

ἀποϕασισμένος


apofasimenos «condannato a morte»)

dei membri di una società segreta fondata (1830 circa) da F. Buonarroti per la realizzazione dell’indipendenza italiana e della repubblica unitaria. Trovò il maggior propagandista in Carlo Angelo Bianco di Saint-Jorioz e finì assorbita dalla Giovine Italia.





LA SETTA DEGLI APOFASIMENI A BOLOGNA




di GIOVANNI GRECO



Università di Bologna






La setta degli Apofasìmeni fu una società segreta fondata negli anni venti dell’Ottocento che partecipò anche ai moti del 1831. La setta fu guidata da Carlo Bianco di Saint-Jorioz che la organizzò in Francia e nelle colonie britanniche, e nel 1831 entrò a farvi parte anche Giuseppe Mazzini che successivamente, attraverso la Giovine Italia, l’assorbì (“una costola buonarrotiana inserita nella Giovine Italia”). Fra gli esponenti di rilievo Filippo Buonarroti, che contribuì peraltro, fra il 1831 e il 1834, a costituire una catena di società segrete. Gli Apofasimeni ebbero in Toscana, in Piemonte, a Bastia, a Napoli, a Parma e a Bologna le zone di più intensa diffusione, anche perché riuscirono a combinare elementi carbonari e patriottici dell’area romagnola e dell’area bolognese.

Il nome della setta derivava dal verbo apofasizo che in greco moderno significa sentenziare, e voleva equivalere a “uomini della sentenza già scritta”, persone disposte a tutto, disposte a rischiare sino alla morte, “condannate a morte”: d’altra parte, “è rischio di morte il nascimento” (G. Leopardi). L’etimologia è piuttosto ricca e variegata, tant’è che l’apofasimeno è ritenuto un “inguaribile malato”, ovverosia un uomo che, mentre da un lato coltiva i suoi ideali e una visione “romantica” della vita in generale, e della massoneria in particolare, dall’altro è profondamente teso alla realizzazione concreta dei suoi obiettivi culturali e umani. Senza dimenticare la definizione che Guerrazzi fornisce dell’apofasimeno: milite e cittadino ardito, deciso, costante, intraprendente, capace di servire in modo appassionato l’istituzione, ardente “amatore” del nostro paese. Secondo Napoleone de’ Masini, fu Filippo Buonarroti, cospiratore inesauribile, che, dopo il convegno massonico di Aarau del luglio 1823, al fine tra l’altro d’infondere nuovo vigore e linfa alla carboneria, creò la setta degli Apofasimeni, con un nome strano, “duro a pronunciare, difficile a ritenere, e fatto apposta per imbrogliare i delatori e spaventar le polizie”. In effetti, i giudici della Sacra Consulta, che a lungo indagarono le caratteristiche della setta, arrivarono alla conclusione che apofasimeno significava “dimostrante forza e furore”, mentre per Annibale Alberti gli apofasimeni erano “gli insoddisfatti”.

Carlo Bianco partecipò all’organizzazione della setta accentuandone il livello cospirativo e la struttura schiettamente militare. Essa era divisa in tende, centurie, castelli e campi, seguendo schemi derivati direttamente dalle strutture dell’esercito romano. Poteva diventare un apofasimeno ogni “cittadino italiano” capace di dimostrare di aver già arrecato danni “ai nemici della nostra auspicata patria”, per cui più “compromesso” era l’aderente, più possibilità aveva di essere accolto nelle file degli Apofasimeni. Ciascun profano veniva a lungo “tegolato” da un centurione, il quale doveva convincersi che non perseguisse fini individuali, ma esclusivamente patriottici. Ogni apofasimeno doveva essere all’ordine assoluto dei suoi superiori, doveva costantemente operare per la nascita della nostra patria e considerare tutti gli italiani fratelli alla stessa maniera. All’atto dell’iniziazione, dopo aver effettuato tutta una serie di giuramenti, fra cui il celebre giuramento dei supplizi, il neo-apofasimeno doveva appunto ripetere testualmente:



Ho prestato il presente giuramento perché sono convinto della bontà e santità della causa per la difesa della quale entrai in questa Società, e se mancassi ad una delle parti o a tutto quanto ho volontariamente giurato, voglio che mi sian levati gli occhi dalla testa, strappata la lingua dalla bocca, tagliato e scorticato il corpo, a poco a poco; che mi vengano stracciate le budella; che un veleno corrosivo mi corroda con dolore e spasimo i polmoni e lo stomaco con i più acerbi dolori; che il mio corpo venga squartato e che un cartello nel luogo del supplizio faccia vedere ai viaggiatori e passeggeri contemporanei e posteri la mia infamia; seguito dalla immediata punizione, portando scritte in lettere cubitali: qui fu giustamente punito N.N. infame, e così Dio protettore dei veri amanti della Patria mi protegga nell’adempimento dei miei doveri.



Tutti gli apofasimeni avevano un nome di battaglia e dovevano essere sempre pronti al combattimento con la baionetta, con sessanta cartucce e la coccarda rosso-verde-turchina ricevuta in consegna al momento dell’ingresso nella setta. Marco Bruto era il santo protettore degli Apofasimeni e il giorno della festa della società era l’anniversario della morte di Cesare.

Gli Apofasimeni erano considerati uomini pronti a tutto: si chiamavano militi e giuravano di prendere le armi al solo ordine del centurione “senza indagare le cause, né il perché”.

Una delle fonti maggiormente qualificate per comprendere l’essenza stessa della setta fu Mazzini, che entrò anche a farne parte (è conservata ancora la sua tessera firmata dal Gran Maestro): sosteneva, fra l’altro, che la setta era “diretta da ottimi capi, animati dagli stessi principii, cammina d’accordo colla nostra e saremo uniti al dì del pericolo”, e che gli Apofasimeni e la Giovine Italia erano ruote dello stesso carro e che lui, Mazzini, rappresentava l’anello di congiunzione fra i due gruppi: “Siamo già forti di due forze e spero che andremo raccogliendone altre con noi: abbiamo in Italia elementi sufficienti a rigenerarci, purché s’uniscano”.

La setta di Buonarroti e Bianco, per Mazzini, era costituita da “bassa gente”, montanari e marinai, artigiani e patrioti provenienti dalle professioni liberali, oltre a studenti e soldati. Bianco scrisse prima gli Statuti degli Apofasimeni e poi i “Nuovi statuti della società degli Apofasimeni in aggiunta e soppressione dei primi”[1]. Questi nuovi statuti furono redatti dal Bianco dopo l’ingresso nell’orbita del Mazzini e vennero riformulati in senso maggiormente egualitario, nel 1832, in concomitanza con l’accordo tra la buonarrotiana società dei “Veri italiani” e la Giovine Italia.

In particolare, nelle nuove istruzioni per gli Apofasimeni si leggeva:



Dalla rigenerazione che gli Apofasimeni preparano deve nascere per l’Italia un assetto uniforme alla giustizia, vale a dire a quell’uguaglianza che la natura ha posto fra gli uomini tutti. Quindi è che, mentre da noi si combatte per l’indipendenza, l’unità e la libertà della patria, dobbiamo studiare di svellere dal ruolo della medesima ogni seme di quei barbari istituti che tengono il popolo nel bisogno e nella dipendenza. Questi istituti soni i privilegi per mezzo dei quali le ricchezze trovansi ristrette in poche mani a danno della libertà e degli agi di tutti gli altri; finché tali vizi infesteranno l’Italia, imponibil cosa fia il renderla veramente indipendente e libera. Un grande incarico è questo che Dio c’impone.



Indubbiamente l’“Istruzione generale” ha un’impronta tipicamente giacobino-rivoluzionaria, attraverso la dichiarazione dei diritti e delle leggi naturali, l’abolizione dell’esistenza dei privilegi conseguenti, la sostituzione delle alte gerarchie ecclesiastiche con “un semplice sistema parrocchiale”.

Alla fine degli anni venti, inizio anni trenta, circolavano numerosi opuscoli di propaganda degli Apofasimeni che contribuirono a far registrare diverse adesioni grazie anche all’operato di Giuseppe Galletti, Giuseppe Petroni, Augusto Aglebert, Cesare Guidicini – ricordato anche nelle carte del Museo civico del Risorgimento di Bologna – ed altri.

Giuseppe Galletti (1798-1873), bolognese, si dedicò alla professione forense e alla vita politica. Dalla fine degli anni venti dell’Ottocento, si occupò alacremente della propaganda e dell’organizzazione all’interno della setta, riunita spesso nella sua stessa abitazione, punto di lavoro e di coagulo cospirativo, adoperandosi anche nei moti del 1831 e partecipando alla presa di Cento, che gli valse la nomina a rappresentante delle Province Unite. Venne costantemente posto sotto occhiuta vigilanza poliziesca, e il suo nominativo fu inserito nel Libro dei sospetti (1832). In questa fase, sostiene Marco Adorni, “risulta appartenente alla setta degli Apofasimeni di Bologna e mantiene contatti con gli esuli… [fra cui] l’avvocato romano Montecchi, ma l’intrapresa corrispondenza venne intercettata dalla polizia pontificia e gli costò arresto e processo insieme ai suoi complici”. Successivamente appartenne alla loggia “Galvani” e fu membro della Società di mutuo soccorso fondata dal fratello Livio Zambeccari.

Giuseppe Petroni (1812-1888), avvocato bolognese, si arruolò, nei moti del ’31, nella legione degli studenti universitari bolognesi; nel ’32, si iscrisse alla setta degli Apofasimeni col nome di battaglia di Marco Canonico, e venne arrestato nel ’34. Fondamentale fu l’incontro con l’avvocato Tognetti ai fini della sua decisione di sposare la causa liberale e cospirativa, e fortissimo il suo rapporto con Giuseppe Mazzini, di cui si conservano consistenti faldoni epistolari. Dell’avvocato Tognetti, che ricevette anche un elogio ad opera di Francesco de’ Marchi, pure Silvio Pellico aveva scritto: “Si è estinto ora in Bologna un giovine generoso, una delle speranze d’Italia, l’avvocato Tognetti”(12). Successivamente fu ministro di Grazia e Giustizia sotto la Repubblica Romana e Gran Maestro della massoneria italiana dal 1882 al 1885.

Augusto Aglebert (1810-1882), bolognese anch’egli, “partecipò ai moti del ’31 e come molti altri massoni venne schedato dalla polizia pontificia particolarmente puntuale nello specificare la qualificazione ‘massone’ a fianco dei compromessi”. Negli anni quaranta scrisse una commedia intitolata Di male in peggio e partecipò al moto insurrezionale di Savigno nell’agosto 1843. Fu prima nella loggia “Concordia”, poi partecipò ai lavori di fusione della loggia “Severa” con la “Concordia Umanitaria”, sorta sulle ceneri dell’antica “Concordia”, contribuendo alla nascita della loggia “Galvani” in cui operò in qualità di segretario, nella sede di via Santo Stefano 96. Ebbe un ruolo notevolissimo nella ricerca di una unità massonica nazionale. In una lettera al fratello Piancastelli ebbe a dire: “La massoneria ha principi che si elevano sopra le istituzioni sociali, sopra tutte le religioni, sopra ogni parola di morale. La massoneria riguardando governi e religioni come istituzioni, ne giudica l’andamento e le opere secondo i principi di libertà, eguaglianza, fraternità, che professa per dettato della Grande Madre della massoneria: la filosofia”.

Fra gli altri appartenenti alla setta si segnalano altresì il livornese Carlo Bini, il medico bolognese Gabriello Rossi, docente presso l’università di Urbino, il già menzionato De’ Masini, che inserì Petroni nella centuria bolognese, e Ignazio Ribotti.

In particolare, Gabriello Rossi veniva da Parigi, portatore delle idee e degli scritti di Saint-Simon, e fu precettore di Luigi Tanari (“in breve tempo si conquista la stima e la devozione del giovane allievo”); era membro della prestigiosa società medico-chirurgica di Bologna e professore di patologia e medicina legale. Socialista, scrisse alcune opere fra cui ricordiamo Sulla condizione economica e sociale dello stato pontificio confrontata specialmente con quella della Francia e dell’Inghilterra (Bologna 1848). Alla stessa stregua di Napoleone De’ Masini, ufficiale della Guardia civica, possidente, che secondo Bottrigari era il comandante della centuria bolognese, di Ignazio Ribotti, giunto dalla Spagna ufficiale, che comandò circa duecento uomini e che con chiari riferimenti agli Apofasimeni parla di “uomini disperati”, e di Federico Comandino, professore dell’Accademia di belle arti, che nel ’32 fu sotto il comando del De’ Masini.

Alla fine, dopo l’inglobamento degli Apofasimeni nella Giovine Italia, a Bologna trovò un certo spazio anche la Legione Italica, fondata a Malta nel 1837 dal modenese Nicola Fabrizi[2], così come la società dei Veri Italiani[3], società segreta vicina a Casa Savoia. Tutto ciò avveniva in un clima di estrema difficoltà data la presenza militare austriaca sino al 1838, con persecuzioni ed arresti all’ordine del giorno.

Nel 1840, proprio a Bologna si svolsero alcune riunioni di rilievo di cospiratori di ogni appartenenza, incontri che portarono anche al moto di Savigno del 1843, promosso da Nicola Fabrizi, ma osteggiato da Mazzini.







ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI ESSENZIALI



M. Adorni, Massoni bolognesi nelle vie di Bologna, in G. Greco (a cura di), Bologna massonica. Le radici, il consolidamento, la trasformazione, Bologna, 2007.

A. Alberti, Elenchi di compromessi o sospettati politici (1820-1822), Roma, 1936.

R. Barbiera, Passioni del Risorgimento, Milano, 1903.

P. Bertolazzi, Cronache risorgimentali. 1831-1849, a cura di G. Guidi, Bologna, 1999.

C. Bianco, Della guerra nazionale d’insurrezione per bande applicata all’Italia, Marsiglia, 1830.

F. Botti, Il pensiero militare e navale italiano dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale, Roma, 1995.

E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, Bologna, 1960-62.

A. D’Ancona, Memorie e documenti di storia italiana dei secoli XVIII e XIX, Firenze, 1914.

G. De Castro, Il mondo secreto, Milano, 1864, vol. VIII.

F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani, Milano, 1974.

A. M. Ghisalberti, Napoleone De’ Masini e gli Apofasimeni, in “Rassegna storica del Risorgimento”, 1934.

G. Mazzini, Carlo Bianco, in Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, Imola, 1916.

E. Musiani, Circoli e salotti femminili nell’Ottocento. Le donne bolognesi tra politica e società, Bologna, 2003.

A. Occhi, Cenni sulla rivoluzione dell’anno 1831 a Bologna, Chiavari, 1900.

S. Pellico, Le mie prigioni (1832), a cura di A. Jacomuzzi, Milano, 1986.

F. Ragazzi, Napoleone de’ Masini, Bologna, 1962.

G. Rizzo Schettino, Terrorista per sistema, non per cuore. Vita e pensiero di Carlo Bianco, Roma, 2007.



[1] Lo Statuto e le norme della Società degli Apofasimeni sono conservati presso la Domus Mazziniana a Pisa.



[2] G. Greco, Nicola Fabrizi, teorico della guerra per bande, in AA. VV., Il pensiero di studiosi di cose militari meridionali in epoca risorgimentale. Atti, Roma, 1978. Fabrizi fu altresì al centro della cospirazione napoletana, con legami anche con Pisacane. Cfr. G. Greco, Le carte del Comitato segreto di Napoli, Napoli, 1979, e G. Greco, L’utopia di Pisacane attraverso le carte del Comitato, in Idealità politica e azione rivoluzionaria di Carlo Pisacane. Atti del Convegno nazionale di studi, Salerno, 1992.

[3] Oltre che a Bologna, i Veri italiani operavano pure a Vercelli, mentre a Livorno fra gli animatori vi furono anche due ebrei, Ottolenghi e Montefiore.


www.bibliomanie.it/setta_apofasimeni_bologna_greco.htm


Anche

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/...rioti-13699086/


https://it.search.yahoo.com/yhs/search?hsp...e&p=apofasimeni

vedi filippo buonarroti

.com/yhs/search;_ylt=A7x9UnlO5idUdXEA3ypHDwx.?ei=UTF-8&hsimp=yhs-sweet_page&hspart=Elex&p=napoleone+de+masini+setta+degli+apofasimeni&SpellState=&fr2=sp-qrw-corr-top



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GHISILBERTI




www.risorgimento.it/rassegna/index....ricerca_libera=



Napoleone De' Masini e gli Apofasimeni

FONTI E DOCUMENTI

NAPOLEONE DE' MASINI E GLI APOFASIMENI





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Quando, dopo le molte vicende della sua vita avventurosa, Filippo Buonarroti si stabilì a Bruxelles, non rinunciò all'opera di organiz-zione e di riforma settaria. Fedele, sostanzialmente ai vecchi ideali carbonari, parzialmente modificati, come rammenta il Sòriga, dopo i gravi insuccessi del 1820-21, nel convegno massonico di Aarau del luglio 1823, si sforzava d'infondere nuovo vigore, di alimentare nuove linfe nelTormai esaurito organismo della Carboneria.

Tra le varie associazioni alle quali diede vita in questo periodo l'inesauribile cospiratore fu quella degli Apofasimeni dallo strano nome, ce duro a pronunziare, difficile a ritenere, e fatto apposta per imbrogliare i delatori e spaventar le polizie (1). Per mezzo del conte Carlo Bianco di Saint Jorioz la setta si diffuse dopo il 1830 in Italia, con qualche successo in Piemonte, in Toscana, nelle Romagne e in mezzo agli emigrati politici (2).


(1): A. D'ANCONA, Memorie e documenti di storia italiana dei secoli XYin e xix, Firenze, Sansoni, 1914, p. 202. Mentre l'estensore del ristretto processuale contro il De* Masini, di cui parleremo più avanti, interpreterà nel 1835 il nome nel significato forse di abnegazione ad ogni vincolo , i giudici della Sacra Conralla riterranno a. etimologia più probabile dimostrante forza, furore.


(2) R. SORICA, in Enciclopedia Italiana, v. DI, p. 665 ritiene il conte fondatore della setta, come già prima 6. LA CECILIA, Memorie storico-polìtiche dal 1820 al 1876, Roma, Aiterò, 1876-77, v. II, p. 45. Più recentemente la stessa idea ha accettato À. Luzro nel Corriere della Sera del 6 aprile 1932 (Il primo bio-grafp di G. Garibaldi). Ma è piuttosto da ritenere che il Bianco ne -Àa stato il diffonditore, cfr. G. ROMANO-CATANIA, Filippo Buonarroti, Palermo, Sandron. 1902, p. 182, in coi ai conferma quanto scriveva già il Mozzini: a capitanata da lui [Bianco] sotto l'alta direzione dì Buonarroti >->. V. anche sugli Apofasimeni G. DE CASTOO. Il mondo segreto Milano, Duelli, 1864, voi. Vili, p. 79; E. MICHEL in M. Rosi, Dizionario dei Risorgimento Nazionale, Milano, Vallardi, 1931, v. I, pagina 44.




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Gli Apofasimeni avevano un'organizzazione essenzialmente soldatesca: tende, centurie, castelli e campi sostituivano le baracche e le vendite carbonare; la gerarchia militare romana aveva fornito il modello, e cosi si avevano decurioni, capi manipoli, centurioni, capi coorte. Ogni gregario doveva essere cittadino italiano, ardito e deciso a tutto, capace di servire la patria, intraprendente, costante, ardente amatore d'Italia e disposto a sacrificare vita e averi per renderla una, indipendente e libera sotto forma repubblicana. Prima di essere ammessi nell'associazione, che aveva rispetto alle altre consimili un più accentuato carattere unitario, gli aspiranti dovevano provare di aver a portato danno copertamente e scopertamente ad un nemico d'Italia . Esaminato poi a lungo da un Centurione, il neofita doveva giurare solennemente che entrava nella società non per interesse particolare, ma per il fine sociale, ce essendo pienamente convinto che la sola unità, indipendenza e libertà possono rendere l'Italia florida e potente, senza di che non può esservi vera felicità per gli Italiani . E s'impegnava ad obbedire ciecamente agli ordini del proprio Centurione, a compiere lavoro assiduo per realizzare l'unità, l'indipendenza e la libertà della patria, a non riconoscere alcuna differenza tra gli Italiani delle varie provincie, a considerarli tutti fratelli, figli di una stessa madre e degni di una sorte migliore, a non rifuggire da alcun mezzo atto a raggiungere gli scopi della società. Un'invocazione teatralmente truculenta ammoniva sulla spaventosa sorte degli spergiuri: <c Ho ff prestato il presente giuramento perchè sono convinto della bontà a e santità della causa per la difesa della quale entrai in questa Società, <l e se mancassi ad una delle parti, o a tutto quanto ho volontariati mento giurato, voglio che mi sian levati gli occhi dalla testa, strap-a pata la lingua dalla bocca, tagliato e scorticato il mio corpo, a poco or a poco; che mi vengano stracciate le budella; che un veleno corro-<c sivo mi corroda con dolore e spasimo il petto, i polmoni e lo stomaco coi più acerbi dolori; che il mio corpo venga squartato e che un cartello sul luogo del supplizio faccia vedere ai viaggiatori e pas-a seggeri contemporanei e posteri la mia infamia, seguita dalla im- mediata punizione, portando scritto in lettere cubitali: Qui fu giu-a stamcnle punito N. N. infame; e così Dio protettore dei veri amanti 9. della Patria mi protegga nell'adempimento dei miei doveri ,
Ogni milite assumeva un nome di guerra romano dei tempi gloriosi della Repubblica e doveva tener pronto un fucile con baionetta, sessanta cartucce e una coccarda rosso-verde-turchina. L'anniversario della morte di Cesare era il giorno festivo dell'associazione, che vene-


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rava come suo santo protettore Marco Bruto. L'ordinamento della società appariva accentuatamente soldatesco e irrigidito nel forma* lismo di una disciplina esteriore che finiva per soffocare rentusiasmo e malamente teneva luogo di un principio morale predominante (3),
Il 19 febbraio 1831 nella Terra di San Casciano la polizia toscana perquisiva l'abitazione del piemontese Felice Ansaldi, cui Ira altre carte sequestrava gli statuti e varie istruzioni per gli Apófasimeni, Pochi mesi più tardi, in Marsiglia, anche il Mazzini aveva notizia della setta ed accettava di farne parte col nome di Trasea Peto, ritenendola utile come elemento materiale della sua federazione (4).
L'ingresso del Mazzini ebbe come conseguenza il versamento degli Apófasimeni nella Giovine Italia. Sia che comprendesse veramente <r l'efficacia e l'alto valore dell'apostolato mazziniano a risvegliare i popoli d'Italia, ad infondervi nuovi ardimenti, a rigenerarli , sia che sentisse come ormai fosse tramontata l'età d'oro della Carboneria, certo è che il Buonarroti permise al conte Bianco di fondere gli Apófasimeni nella Giovane Italia ed incaricò lo stesso Bianco di metter questa in contatto con la Giovine Carboneria dei Veri Italiani (5). Dal canto suo il Mazzini cercava di convincere i suoi amici che la società degli Apófasimeni era diretta da capi ottimi e animati dagli stessi principii e perfettamente d'accordo sulla via da seguire con la Giovine Italia: due ruote dello stesso carro . Le due associazioni sarebbero state unite nel giorno del pericolo. Da quanto afferma il Mazzini appare che gli Apófasimeni erano principalmente


(3) Le istruzioni dei militi apófasimeni stampò già E. MICHEL in F. D. Guerrazzi e le cospirazioni polìtiche in Toscana, Roma-Milano, Soc. ed. Dante Alighieri, 1904, pp. 165-177, e prima ancora, desumendole dalla copia che si conserva nel Museo del Risorgimento di Bologna' tra i documenti di Gerolamo Tipaldo de' Pretenderi (cfr. E. MASI in II segreto di re Carlo Alberto, Bologna, Zanichelli, 1890, p. 255 n.), A. OCCHJ nei Cenni sulla rivoluzione dell'anno 1831 a Bologna, Chiavari, Battilana, 1900, pp. 80-86. Un accenno anche in A. Luzio, op. cit. Attendiamo: là 'pubblicazione delle carte Cuneo per giudicare delle affermate modificazioni mazziniane agli statuti che negli esemplari finora noti appaiono impregnati dello spirito e infarciti dei luoghi comuni cari al vecchio carbonarismo, anche se la formula unità, indipendenza e liberta degli Apófasimeni rammenti quella mazziniana di libertà, indipendènza ed unione, della lettera a Carlo Alberto

(4) E. MICHEL, op. cit. p. 25; G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, ediz. naz., V, p. 50 n., xvm, p. 322 n., ov'è riprodotta la tessera di Apofasimcno del Mazzini.


(5) ROMANO-CATANIA, op. city * 21:0- Ved. la lettera di Mazzini a S. figlioli (Marsiglia, 9 agosto 1831) in SIX, V, pp. 49-50. Cfr. anche LA CECILIA, op. city, v. II, p. 45.




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sparsi ce tra la bassa gente, * montagnuoli,. marinai etc. , quasi a rappresentare principalmente l'elemento materiale. Con il giugno 1832 le due associazioni appaiono legate da un vero e proprio vincolo federale, /use, dirà il Mazzini, ma non così che non sorgessero dall'una parte e dall'altra diffidenze, riluttanze, opposizioni, come appare da più luoghi dell'epistolario mazziniano (6).
E l'innaturale accordo non poteva durare troppo a lungo. Il contrasto spirituale tra le due associazioni era stridente: gli Apofasimeni, anche se ritoccati e nobilitati dall'ardente spiro mazziniano, tradivano sempre l'angustia originaria delle formule carbonare e non potevano piacere al Mazzini, cui dorrà più tardi che la Legione Italica ne copiasse l'organizzazione complicata, minuta, e mancasse di un corpo di principii come già gli Apofasimeni. Son le solite cose ineseguibili, che tutti gli uomini della società siano soldati, che tutti vadano sui monti, etc. etc. . Il ricordo sfavorevole durò a lungo in Mazzini, anche dopo che la Giovine Italia ebbe praticamente tolti di mezzo gli Apofasimeni, assorbendone gli elementi migliori (7).
Nelle Romagne forse fu primo introduttore il greco Gerolamo Tipaldo de* Pretender!, aggregato alla Carboneria italiana, il quale ebbe qualche parte negli eventi bolognesi del 1831-32. Ma l'opera sua, che non dovette durare oltre il 1833, non pare abbia dato risultati efficaci (8). Ne maggior successo sembra riportasse Napoleone De' Ma-sini, che tra il 1833 e il 1834 tentò di far proseliti e di organizzare una centuria apofasimena. Ma poiché le notizie che si hanno sngli Apofasimeni sono per ora scarse, di lui e dell'opera sua si dà qui qualche cenno secondo i documenti dell'Archivio di Stato' di Roma (9).

(6) S.E.I., V, p. 98 (lettera a Elia Bensa); ivi, p. 101. Ved. anche ivi. p. 103 le istruzioni per le cose da intendersi ; ivi, p. 121, lettera del settembre 1832 al MelegariL

(7) S.E.I., XVI' p. 322, lettera al Melegari (30 dicembre 1839). Siiamo facendo (niello che rimprovera virino un tempo ai Veri Italiani, agli Apofasinumi, etc.* ivi, XIX, p. 363, lettere al Fabrizi (1 dicembre 18-10); ivi, XXH1, p. 29, lettera al Giannone (28 gennaio 1842). Ved. anche Protocollo della Giovine Italia, tÉC, p. 1(11, lettera del Lamberti al Mazzini (20 Hcttembrc 1844):

(8) E. MASI, op. cit., pp. 209 e 255-256.

(9) Per non citare continuamente le stesse fonti ricordo ohe questo stadio è condotto sulla base del ristretto processuale della causa Bologna di nuova società segreta contro Napoleone Marina, Enrico Curii, Giovanni Salvigni (Roma 1835) e eoi documenti del R. Archivio di Stato di Roma: Miscellanea politica 1835, B.* 96, num. 2948 e Processi politici della Sagra Consulta, 46 B nero e 28 nero B. Purtroppo, mancano i costituti originali




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Napoleone De' Masìni Pierattini (ma anche solamente Masini e più frequentemente Masina), nato sui primi dell'Ottocento a Bologna (all'atto dell'arresto aveva 34 anni) era, secondo appare dal ristretto processuale della causa politica che gli fu intentata, antico settario, noto per aver sempre manifestato massime contrarie alla religione e al governo pontificio e in modo particolare durante i turbinosi eventi del 1831-32. Nemico al governo s'era dimostrato <c sino dall'adolescenza e in tale atteggiamento aveva sempre persistito, unendosi alla gioventù più ardita e depravata . Nella notte del 4 febbraio 1831 era stato uno dei conduttori degli armati e più tardi aveva marciato agli ordini del Sercognani alla volta di Roma, giungendo fino a Otricoli e Amelia. Nelle agitazioni seguite al primo ritiro degli Austriaci dalle Legazioni, nel cosidetto periodo della Civica, aveva avuto nuova parte: si era segnalato come aiutante presso il Patuzzi con l'incarico particolare di provvedere all'abbigliamento dei Civici, aveva partecipato come tenente con la Civica bolognese al combattimento di Cesena del gennaio 1832. Frequentatore assiduo del famoso Caffè Spisani ce cognito ridotto de' Settari , soleva intrattenersi con individui notoriamente designati per liberali e vi teneva discorsi sediziosi, sparlando del governo e dei preti, spesso esprimendo l'augurio: a Venisse presto il momento di tornare a comandare! , come più tardi riferirà al processo qualche zelante testimone.
Né contegno più cauto pareva tenere quando andava alla Por-retta per ragione d'affari o per far visita alla propria sorella. Nel periodo febbraio-marzo 1833 vi si era recato per una settimana e anche questa volta non aveva cessato di farsi vedere colli cogniti nemici del governo , suscitando nuovi sospetti sulla sua condotta. Sospetti che si accrebbero in occasione di un suo successivo soggiorno dell'agosto, che provocò una maggiore sorveglianza della polizia nei suoi riguardi.


E si venne a conoscere prosegue il ristretto fiscale che il Masina praticava con tutte le persone sospette al governo perchè ritenute di mene perverse e contrarie al governo stesso ed alla religione t choj teneva si In casa di alcuni dì tali persone, e di una sorella di egnal carattere colà maritata, unioni scerete di notte con tutti i liberali del paese* pc? cui dall'autorità stessa si venne in qualche sospetto sulle medesime riunioni: che inoltre si risapesse doversi fare una cena da tali soggetti amici del Mattina dove doveva esservi in tavola una bandiera tricolore, qual ceno però fosse fatta invece in casa della sorella, in altro luogo, ed essendo sopraggiunta la vigilia, si mangiasse anche di carne... .



Tutte cose queste che Indussero il governatore di Porretta e sfrattare il De* Masini da questa località il 21 settembre 1833.



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Ora proprio in questo tempo il De' Masini aveva cominciato ad accogliere di notte in casa sua, in Via Cavaliera, presso la Chiesa di S. Niccolò degli Alberi, giovani per lo più baffuti e barbuti , come deporrà più tardi una cameriera, con i quali si chiudeva in una camera in misteriose confabulazioni. E durante il giorno continuava a fare insinuazioni alla gioventù di massime contrarie al governo, cercando di convincere i suoi interlocutori ad arruolarsi in una società o unione patriottica, pagando il socio qualche paolo al mese, società diretta alla libertà d'Italia , alla quale, egli assicurava, a molti bravi giovani già s'erano associati . Un altro testimone, cui qualche giorno di prigione rese meno incerta la memoria e meno reticente la lingua, si rammentò che il De' Masini, trovandosi a bere con Itti e con altri giovani all'osteria, aveva tenuto discorsi relativi alia libertà , sostenendo essère ormai tempo che tutti i giovani appartenessero al partito liberale, e a lui testimone aveva chiesto della sua passata attività politica e confidato che vi era persona che andava associando dei giovani per una certa unione in caso si rinnovasse un qualche imbroglio . E il testimone, decisamente indotto a più matura riflessione dopo essere stato et sperimentato col carcere , aveva ben compreso che l'arruolatore doveva essere lo stesso De* Masini (10).
Così, un po' troppo facile alle confidenze, il De* Masini andava facendo propaganda. Tra i primi a dargli ascolto fu il giovane chirurgo Giovanni Corazza, che assunse nella centuria apofasimena il nome di guerra di Catone (11). E il Corazza fu il tramite per le aggregazioni di altri giovani, tra i quali furono Luigi Bertoccbi, spedizioniere, di 26 anni (nome di guerra Virginio) e gli studenti Enrico Curii, diciannovenne (Euribiade), Giovanni Salvigni, ventiduenne (Aristide), Giuseppe Petrosi, ventenne (Tiberio Gracco), Federico Mazzoli, ventiduenne (Scipione), Cesare Guidicini, ventitreenne (Decio), Gaetano Colombarini (Camillo), ventunenne (12). Di altri associati il processo del 1835 non dà i nomi, ma un accenno delle memorie inedite di Augusto Aglebert, conservate nel Museo del Risorgimento di Bo-


(10) Sol De' Musini, v. per ora A. M. GHISALBERTI, in M. Rosi, Dizionàrio cit. v. Ili, pagina 519.


(11) Il Corazza aveva 23 anni Non potè essere arrestato perchè fin dal 10 agosto 1833 era partito con regolare passaporto per Algeri.


(12) Brevi cenni sulla parte presa noi moti del *31 da Pctroni, Corazza, Corti, Guidicini, Mazzoli, Salvigni sono in G. NATALI, Intorno ai moti del 1831 in Bologna, in li Comune di Bologna, 1921, pp. 29, 37, 38, 40, 41, 44 dell'estratto. Cesare Guidicini era fratello di un altro compromesso del 1831, Luigi, ivi, p. 26, e così pare Giovanni Salvigni (ivi, cenno su suo fratello Luigi, p. 45). Ignoro se




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logna, assegna agli Apofasimeni del De' Masini Felice Orsini, Giù-seppe Galletti e un Marzoli. La memoria, però, deve aver tradito l'antico patriota, che Felice Orsini non potè certo appartenere allora alla setta, essendo nato nel 1819 e la società disciolta nel 1834 (può forse trattarsi di suo padre, Giacomo Andrea), e il Marzoli non può già identificarsi nel Mazzoli compagno dei Bandiera e morto poi in Grecia* di cui parla l'Aglébert, perchè quello si chiamava Tommaso e non Federico. Così pure è errata la data del 1838 indicata dall'Aglehert per gli arresti.
I misteriosi convegni e gli imprudenti discorsi non dovevano restare a lungo nascosti alla polizia, che per mezzo di un segreto confidente ebbe presto notizia che il De' Masini oc potesse aver fondata in Bologna una nuova società segreta sotto la denominazione di Milizia Apofasimena e che ne fosse Centurione. Furono allora dati gli ordini per una perquisizione, che venne effettuata in casa di lui la notte dal 25 al 26 settembre 1834. E fu perquisizione fruttuosa, perchè si trovarono nascoste armi militari ed altri effetti non che le carte più interessanti relative alla società suddetta e queste occultate nel camerino della latrina, e murate nella celata superiore della medesima insieme con due stili, un coltello fermo al manico, una coccarda tricolore, una fascia di lana bianca, rossa e verde, cioè proprio il materiale, che secondo l'articolo 5 del Regolamento degli Apofasimeni ogni socio doveva tenere presso di se (13).



anche Cesare Salvigni, suicida a 30 anni, cugino di Felice Orsini, fosse parente di Giovanni e Luigi. Cfr. F. ORSINI, Memoirs and adventures, Edimburgo 1857, p. 24. Sul Petroni, più famoso di tutti, cfr. A. COMANDINI, Cospirazioni di Romagna e Bologna, Bologna, Zanichelli, 1899, pp. 509-513, G. MAIOLI, Giuseppe Petroni, in // Comune di Bologna, gennaio 1929. n. 1, S. GUCLIELMETTI, G. Mazzini e i suoi seguaci di Roma, in Rassegna storica del Risorgimento, XVI (1929), fase. I, id. in M. Rosi, Dizionario, cit., v. HI, pp. 862-863. Su lui v. pure MAZZINI, S.E.I. cit., voi. XLVHT, XL1X, L, passim. Gaetano Colomharìni prese poi parte con il fratello Raffaele al moto di Savigno.


(13) A p. 7 del Ristretto le armi sequestrate sono così specificate: ce Quattro fucili militari con sue baionette ben conservati, perchè involti con cimose di lana, e ben organizzali, cosi giudicati dal perito archibugiere; una spada con cintura di corame; una sciabola militare; un cappello appuntato alla militare; un giaccò di soldato d'infanteria ; un bonnet di panno verde filettato rosso con striscia bianca in argento; quattro giberne; un capotto di panno alla militare; una mun-tura di panno verde, con mostregialure rosse; un sottocorpetto di stessa uniforme; ottantatrè cartuccie formate di polvere sulfurea, a palle di piombo per uso di fucile; un fucile a due canne da caccia; e due pugnali triangolari della lunghezza fra manico e lama di nove onde, ed un quarto con manico di osso negro e tra-versetto di ottone; un coltello scrratore a molla a scrocco, lungo fra manico e lama 14 oncie, con punta accumulata , armi tutte proibite quoad omnia .




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Di notevole interesse apparvero subito i documenti sequestrati con le armi:
il catechismo della setta carbonica col tenore del giuramento che prestavano quei settori; una còpia di lettera, che sembra responsiva, che tratta dello scopo della società, cioè di render libera l'Italia... quale incomincia Fratello, salute ed amor di Patria Non è nostro intendimento di segregarci in alcun modo ...e termina colla sottoscrizione Il Direttore Aud.; tre scacchi di carta con indicazioni dei mesi con numero progressivo al nove per ciascun mese, ed in ogni numero con lettera alfabetica iniziale i cognomi dei socj sottoscritti con cifre di baj. e numeri di 10 o 30 o più ecc.; il regolamento dell'anione milizie Apofasi-mene...; il foglio contenente lo scritto del giuramento colle sottoscrizioni di otto socj ed una striscia di carta col nome; iteli nono socio relativamente alla detta unione; una stampa in forma di supplica di tenor sedizioso e ribelle sottoscritta da più avvocati e causidici bolognesi rigettando i Regolamenti giudiziari dei 5 ottobre e 5 novembre 1831; ed una copia di una lettera incendiaria e sediziosa scritta dal Piemonte in giugno 1832 da un Italiano, che incomincia Il Simulacro del Dispotismo sta per crollare... (14).
H regolamento, a giudicare dal rapido riassunto giudiziario, doveva essere uguale a quello già pubblicato dalla Occhi e dal Michel. Esso notava il processante:
istituisce in Italia una Società patriottica, sotto il titolo di Milizia Apofasimena nello scopo di procurare con ogni mezzo l'indipendenza, la libertà e l'unità d'Italia per rivendicargli l'antica potenza e splendore col mezzo del maggior numero possibile di Militi Apofasimeni in Città e sino ai più piccoli Villaggi. Il titolo del medesimo porta le parole odio ai tiranni indipendenza unità libertà * alla gloria dei grandi maestri di libertà Marco Giunto Bruto immortali italiani*
a Si compone il Regolamento di sette capitoli che all'iniquità dello scopo non aggiunge verun allettamento personale di vantaggio, e solo sembra istituita per fare mtt'il male possibile, nel solo amore del male.
Le qualità personali per essere ascritto milite (escludendosi chiunque non sia Italiano ed insieme domiciliato) consistono nel carattere ardito, deciso, intraprendente, costante, amatore della libertà, nemico del dispotismo, persuaso che l'Italia non può esser felice se non è unita in una sola Nazione, e libera nel suo interno politico governativo sistema; subordinato, segreto, disinteressato e pronto a sagrifìcare vita e sostanza. La forinola del giuramento si compone in sostanza dei medesimi elementi del regolamento .
Arrestato immediatamente il De' Maaini, si provvide anche all'arresto di quelli che apparivano firmatari della formula del giuramento sequestrato, ma il Corazza era partito fin dall'anno prima per l'Africa, il Mazzoli e il Colombari ni non furono trovati. Quest'ultimo, allora in campagna a Malalbergo, appena ebbe notizia dell'incarceramento


(14) Ristretto eie, pp. 8-9.





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del De' Masini, si recò nascostamente a Bologna il 25 settembre, e di qui, senza passaporto, fuggì in Toscana. Poco dopo potè imbarcarsi a Livorno per la Francia, ove, trovandosi privo di mezzi, si arruolò nella Legione Straniera la quale, dopo aver sostenute varie battaglie sulle coste dell'Africa, fu donata a Donna Cristina di Spagna , come è detto nel nuovo Ristretto contro il Colombarini.
Raggiunsero così il De1 Masini in carcere il Petroni, il Bertocchi, il Guidicini, il Curti e il Salvigni. I primi tre, a dispetto dei classici soprannomi, non ambirono affatto a crearsi una fama di eroi, che fin dal primo momento
a confessarono limpidamente di essere stati sedotti dal contumace Corazza lutti separatamente in novembre o decembre 1832 a recarsi in differenti sere e ciascuno isolatamente in casa del Masiua per far parte di una unione patriottica, e di essere stati costretti a firmare la formula del giuramento avanti un Crocifisso ed un pugnale senza essersi potuto ricusare di farlo, sebbene contro volontà dopo la prima giovanile imprudenza di aver ceduto all'invito benché non potessero immaginare che si volessero indurre a tanta enormità .
Il Curti e il Salvigni tentarono di difendersi negando tenacemente durante gli interrogatori di essere mai stati in casa De9 Masini, smentendo che le firme incriminate fossero le loro, pur ammettendo una certa somiglianza di scrittura. Ma anche questo loro contegno durò poco. Né più felici, anche se più recise, furono, come vedremo, le difese del De' Masini.
Sottoposte intanto le risultanze all'esame della Segreteria di Stato e fattasene relazione al Pontefice (23 gennaio 1835), questo si degnò di prendere in considerazione l'inesperienza dell'età dei tre confessi , le buone loro qualità precedenti, <c il pentimento dimostrato nell'aver ammesso il fallo , il fatto che quando firmarono non s'era ancora consolidato l'ordine pubblico, l'impossibilità di provare altro accesso dei medesimi in casa del Masina, o altra unione sediziosa con persone sospette e ordinò fossero messi in libertà a coi vincoli e comminatorie che il S. Padre rimise al prudente arbitrio dell'E.mo Commissario (15).
Quando il Curti e il Salvigni seppero della liberazione dei tre confessi Petroni, Bertocchi e Guidicini, decisero di mutar contegno e il 6 febbraio lo stesso giorno in cui elessero a proprio difensore pressò il Turno speciale della Sacra Consulta l'avv. Giuseppe Morandi chiesero di essere sottoposti a nuovo costituto. In mancanza degli atti


(15) Dispaccio 24 gennaio 1835, n. 25473. La liberazione avvenne il 31 gennaio.

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Alberto M. Gkisalberti
originali vediamo sulla fede del Ristretto che cosa asserirono in propria discolpa (16).

a II Corti per il primo disse che non per cattivo animo ma solo pél timore di non pregiudicarsi colla confessione di un fallo che conobbe aver commesso., ed anche per non far danno a chi lo aveva fatto incorrere nell'errore si era reso sino allora negativo del delitto, ma che si era quindi determinato a renderlo palese al Sovrano ed a qualunque altra autorità, e cosi passò anch'egli ad ammettere che cessata la Guardia Civica, nel gennajo 1832 ed avendo egli seguitato i suoi studi neU'univereità prese amicizia in novembre con Giovanni Corazza il quale secolui discorrendo delle passate rivoluzioni gli palesò che si stava istituendo un corpo di Milizia segreto per sostenere una nuova rivoluzione e gli fece conoscere che sarebbe stato bene se anche Egli vi si fosse unito come tanti altri, ed esserne allora indispensabile di parlarne con Napoleone Masina incaricato dell'arruolamento.

Che istigato più volte a risolversi facendogli conoscere che la cosa non si sarebbe scoperta se non nel caso di eseguirsi l'impresa fu condotto in una sera dal Corazza al Caffè Spisani ove fu presentato al Masina; e fu combinato di andare in casa di questo in un'altra sera ove realmente col Corazza si portò e dove sentì leggersi alcuni capitoli riguardanti il Corpo di Milizia Segreta ed il Masina gli fece prestare il giuramento ed apporre sul foglio la sua firma stando presso un Crocefisso ed un pugnale, e colla nuova assicurazione di non essere compromesso perchè quel foglio sarebbe stato spedito ai loro Superiori (17).
Che gli fu ordinato di provvedersi delle armi a tenore del disposto in imo degli articoli, armi che egli non mai provvidde tanto perchè dopo detto anno [sic per atto?] si penti di ciò che avea fatto quanto perchè passando il tempo ninno più gli parlò di' questa unione.

Disse di non aver mai conosciuto altri fuori che del Masina, e del Corazza e rinnovò infine del Costituto l'assicurazione del suo pentimento.
Non dissimile fu il contegno che nello stesso giorno dopo di esso tenne il Salvigni nelFaver richiesto di essere assoggettato a costituto. Sennonché soggiunse che nel sentir leggere il tenore di quel giuramento ne ebbe ribrezzo, ma il passo era fatto, e non gli faceva permettere di ricusare la firma: che per alcuni mesi sborsò baj dieci mensuali come gli era stato imposto, e che per compassione non del Masina, ma della famiglia si determinò a tacere il vero .
(16) Ristretto, pp. 21*23. Enrico Curii, figlio di Giuseppe e di Pietra Carondi era nato a Bologna nella Parròcchia di S. Maria Maddalena il 9 gennaio 1814. Rimasta vedova, la madre era passata a nuove nozze con il dott. Antonio Gibelli, di Francesco, possidente e architetto. Enrico si era laureato in chirurgia a a pienezza di suffragio il 12 giugno 1834. Sono nella memoria defensionale dell'avv. Mirandi attestati di antichi professori del Curii in suo favore. Giovanni Salvigni era figlio dell'avv. Andrea. Dell'uno e dell'altro il parroco di San Vitale e Agricola, Sante Turba, attestava il 5 settembre 1835 di non avere mai saputa cosa alcuna contro la loro condotta.

(17) Cfr. con E. MICHEL, p. 166 e 168. Evidentemente nella pratica si era piuttosto sbrigativi e lo Statuto non veniva rispettato alla lettera.

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La confessione giungeva tardiva e il Curii ed il Sai vigni non riuscirono a sottrarsi al giudizio della Consulta. Ma intanto avevano compromessa la posizione del De4 Masini, che veniva riconosciuto come reo principale e uno dei principali autori della suddetta riunione patriottica .

Le risultanze contro di lui erano gravi. Un preciso rapporto di polizia l1 aveva accusato come Centurione degli Apofasimeni; i suoi precedenti politici lo designavano come avversario accanito del governo pontifìcio e liberale influente (e anche dopo l'arresto a la fazione liberalesca di Bologna procurava ogni mezzo per sottrarre dalle conseguenze della processura il Mas ina ); il sequestro avvenuto in casa sua di armi, emblemi, ecc., Torniva indizi chiarissimi di reità; le relazioni con elementi sospetti e da ultimo le confessioni degli altri inquisiti erano altrettante prove di colpevolezza. Negare era difficile e il De' Masini non tentò neppure di dare una smentita recisa e categorica, limitandosi a cei'car di attenuare, di ridurre, di spiegare. Sue, quindi, in parte le armi, eredità del tempo della Civica, altre consegnate a lui da ex Civici al momento dell'ordinato loro ritiro (ma la sua pretesa di avere avuto incarico ufficiale di questa operazione hi smentita dai testimoni da lui addotti...); suoi anche i pugnali e il coltello e di sua mano le carte, ma quanto a queste poteva spiegarsi... O almeno, gli pareva, che la storiella tirata fuori per l'occasione non poteva convincere nessuno tanto appariva inverosimile a prima vista.

E rendendo ragione dell1 epoca come e perchè tali carte fossero in sno potere, si fece a narrare che tornato da Otricoli dopo la rivoluzione si portasse in Porretta per suoi interessi, ed essendo amico di un tal Giovanni Pasquini di colà, in un giorno segretamente gli facesse parola che voleva associarsi ad una unione diretta a rinnovare la ribellione, al che si ricusasse, ma che in altro giorno lo stesso Pasquini tornandogli a parlare della stessa cosa gli dicesse, che quantunque non avesse volnto appartenere all'indicata società sarebbe stato a parte dei secreti di quella, e così dicendo gli consegnasse alcune carte pregandolo a farne copia ed a restituirgli l'originale e la copia stessa.

Che incominciata in casa la copia, conoscesse dal contenuto che quei scritti erano l'istituzione della società ridetta, per cui non volendo porre di suo carattere cose contro il governo facesse la difficoltà al Pasquini, il quale gli ripromettesse che non sarebbe stato compromesso; motivo per cui ultimasse la copia e la consegnasse col ritorno dell'originale. Negando rammentarsi il tenore dei fogli scritti, né il titolo della società [sic!].
Prosegui la narrativa asserendo che nell'autunno del 1832 il detto Pasquini si conducesse in Bologna per farsi curaro da una malattia, che fu l'ultima del medesimo, e negli accessi che aveva ila esso segretamente gli riconsegnasse le copie di quel regolamento di società, avvertendolo di conservarle per restituirle o ad esso se fosse guarito o a chi glie ne avesse fatta regolare richiesta e che in tal circo-*


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Alberto M. Ghisalberti
stanza gli facesse porre di suo carattere alcune postille sopra a scritti di altro carattere che vide esservi nel mezzo foglio contenente il tenore del giuramento, senza neppure rammentarsi le dette parole, e sapere perchè quelle si facessero vergare dal Pasquini.

Che allora gli facesse prestare il Pasquini il giuramento di non palesare a chicchessia la cosa e li scritti di altro carattere, e che, morto il Pasquini, niuno più glie ne facesse ricerca, senza che esso dopo poste in nascondiglio tali carte ed oggetti più le vedesse, asserendo che niuno fosse stato di ciò informato; e che tenesse quelle conservate con tanta circospezione perchè trattavano di cose contro il governo ed erano di sno carattere e non poteva distruggerle per il prestato giuramento suddetto. Che egualmente il Pasquini le (sic) facesse in sua cosa copiare quella lettera che incomincia Italiani, il simulacro del dispotismo sta per crollare e gli ordinasse di custodirla... >) (18).

(Ma ahi, che in un altro costituto aveva già detto che quella lettera gli era stata consegnata, perchè ne facesse copia, dal Patrizzi, sebbene nel giugno 1832, data della lettera, il Patuzzi non fosse più a Bologna!) E cosi pure gli avrebbe ordinato di custodire
a l'altra lettera che principia: Fratello, salute ed amor di patria e termina colla sottoscrizione II direttore Aud., ed unitamente a queste carte le (sic) consegnasse anche li pugnali ed il coltello serratore detto alla lughese, quali armi dichiarò però non poter descrivere, né riconoscere perchè parimenti non aveva mai quelle più osservate e rimosse dall'involto come gli erano state consegnate.

Quindi relativamente alii stralcetti di conti egli disse che nei giorno dopo che il Pasquini erasi condotto in Bologna a sua dettatura gli facesse scrivere prima in lapis e quindi coli'inchiostro le indicazioni in detti pezzi di carta contenenti i mesi dell'anno, i nomi progressivi fino al nove, e nella decima finca un zero in ciascun mese con alcune lettere iniziali ed altri numeri, senza che esso conoscesse, il motivo... (19)

L'ingenuo romanzetto mal si reggeva, perchè le indicazioni di pagamento giungevano fino al maggio 1834 e il Pasquini... era morto fin dal 12 aprile 1833. Invano tentò il De* Masini di opporre alle contestazioni del processante che nel dettargli le medesime il Pasquini, esso le (sic) domandasse il motivo di portare tant'oltrc quelle indicazioni, egli rispondesse che lui non doveva indagarne il motivo e che avesse seguitato a scrivere....;:; i suoi loquaci correi avevano svesciato ogni cosa e c'era poco da fare contro cinque concordi testimonianze.

(18; Ristretto, pp. 9-12.

(19) Ivi, p. 13, I cinque confessi riconobbero infatti di essersi impegnati al versamento mensile di una piccola quota: Petroni 30 baiocchi, gli altri 10. Il Berlocchi aveva corrisposto fino lire mesi prima dell'arresto. E tutto questo era confermato dagli stralcetti d'incasso. Il Colorai)orini pagò solo 30 baiocchi il primo






Edited by barionu - 15/1/2023, 14:40
 
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