Origini delle Religioni

LA CROCIFISSIONE

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roxi
CAT_IMG Posted on 2/9/2014, 11:36 by: roxi
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Il termine crux usato in latino non rende il senso di stauros. Non so quando i termini stauros, e staurow furono tradotti con crux e crucifigo, dando ad intendere che si trattasse effettivamente di uno strumento di tortura a due bracci incrociati. La pratica della sospensione ad un palo (o tronco di albero, ξύλοs) era ampiamente diffusa nell’antichità,tra l’altro, era anche ebraica, i condannati, dopo la lapidazione, venivano appesi (tramite corde o chiodi) agli alberi come avvertimento e venivano considerati maledetti (Dt 21,22-23, Jos 10.26). Questa pratica spiega il riferimento del Nuovo Testamento, nella versione greca, ad “albero" o legno. Ad esempio (traduzione Nuova Riveduta):

Gal. 3.13
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge diventando egli stesso maledizione per noi, come è scritto: Maledetto chi pende dal legno (ἐπὶ ξύλου)

Atti 5, 30
il Dio dei nostri Padri ha resuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a un legno (ἐπὶ ξύλου)


Atti 10, 39
e (essi – i Giudei) lo appesero a un legno (ἐπὶ ξύλου)

Atti 13, 29
lo deposero dal legno (ἀπὸ τοῦ ξύλου ) nel sepolcro

Stranamente, in queste tre citazioni di Atti, solo la versione CEI traduce ξύλοs con “croce”.

1 Pietro 2, 24
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno (ἐπὶ τὸ ξύλον)

Anche stauros significa palo verticale e in nessun modo “croce”, cioè incrocio tra due pali.

Ora, Sapremo, non mi voglio infilare in calcoli di probabilità e possibilità ecc. confesso a denti stretti che la matematica non è il mio forte, ma se leggi i Vangeli non pensando che stai leggendo un “testo sacro” e metti al posto di Gesù un qualsiasi altro personaggio, non puoi non renderti conto che non si tratta di racconti storici, cioè storia ricordata, ma sono essenzialmente storia costruita per un fine teologico o sociale, attraverso simbolismi e allegorie.

Come si fa a stabilire se i Vangeli sono mito? Essenzialmente se si conferma che contengono racconti che si conformano più alla definizione di mito che non di storia. Ed infatti la maggior parte del linguaggio dei Vangeli è metaforico, quello che importa è il contenuto che va oltre il significato letterale, e questo contenuto che va oltre il significato letterale non dipende dalla realtà storica del linguaggio.

I Vangeli assomigliano a biografie edificanti ma totalmente fittizie, un sistema di pericopi, che erano un dispositivo retorico standard, che chiunque avesse imparato il greco letterario conosceva, e gli autori dei Vangeli lo conoscevano bene il greco letterario.

Prendiamo il racconto di Barabba. Barabba in aramaico significa “figlio del Padre”, in alcuni manoscritti compare addirittura come “Gesù Barabba”. Gesù stesso era chiamato “figlio del Padre”.

Abbiamo due personaggi con nome uguale, Gesù figlio del Padre. Come non pensare ai due capri, che dovevano essere necessariamente uguali, usati per il sacrificio di Yom Kippur? Uno, Barabba che porta i peccati di Israele – assassinio e insurrezione- viene liberato. L’altro, Gesù, viene sacrificato affinché il suo sangue possa espiare i peccati di Israele.

Barabba porta i peccati in senso letterale. Gesù solo in senso figurato. Il racconto di Barabba non è storia ricordata, è una chiara descrizione figurata del sacrificio espiatorio di Yom Kippur, l’ultimo, definitivo Yom Kippur compiuto da Cristo, come ben si legge nella Lettera agli Ebrei.

Allora in realtà che cosa vuol dire Marco con questa sua parabola? Vuol dire che dobbiamo rigettare i peccati dei Giudei (omicidio e insurrezione) e abbracciare invece la salvezza eterna dell’espiazione offerta da Cristo. Invece i Giudei si tengono Barabba, non riconoscendo in lui il vero capro espiatorio carico dei peccati, mentre trattano Gesù da capro espiatorio, essendo Egli invece il capro sacrificale.

Questa è una pesante ironia nei confronti dei Giudei.

E quando tu dimostri che una pericope non è storia ricordata, ma invece è un modo per veicolare un contenuto che non è quello letterale (cioè è un mito), allora hai tutto il diritto di sospettare che anche tutte le altre pericopi, cioè l’intera narrazione marciana, sia la narrazione di un mito.

La descrizione evangelica della crocifissione, con tutti gli annessi e connessi, titulus cruci incluso, è un racconto romanzesco, fin troppo pieno di dettagli particolareggiati, trasportato e ambientato sulla terra, del sacrificio di Sé che il Cristo Celeste compì nei cieli inferiori, dove fu ucciso e appeso dagli “arconti di questo tempo". Cioè è sostanzialmente la trasposizione letteraria di un mito. Perché viene descritta in termini di crocifissione Romana? Forse perché era il tipo di tortura e di esecuzione capitale che l’autore di Marco ( e gli altri che lo copiarono) aveva più presente, e per la sua brutalità avrebbe colpito e impressionato molto l’immaginario dei i suoi lettori.

Giuseppe Flavio stesso racconta, in più punti delle sue opere, di innumerevoli e raccapriccianti crocifissioni fatte dai Romani.

Paolo non parla mai della morte di Gesù in termini terreni, non la colloca in un luogo preciso e in un tempo preciso, non ci dice come si svolse, chi era presente, niente di niente. Paolo parla del Cristo crocifisso nei cieli sotto la luna.

Ecco come si può visualizzare dove e come, come spiega Carrier, Paolo credesse fosse avvenuta la morte di Cristo:


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(Le frecce azzurre rappresentano il supposto rapimento di Paolo al 3° cielo)

OT
Una domanda a Sapremo: ma proprio non ti è venuta nessuna curiosità di leggere il libro di Carrier? Se poi qualora lo dovessi leggere, e dovessi trovare che ogni suo argomento è “debole”, allora avresti tutto il diritto di criticarlo e proporre i tuoi conto-argomenti, con tanto di dimostrazione.

Edited by barionu - 12/4/2022, 08:34
 
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