Origini delle Religioni

MORO AUDIZIONE DI UMBERTO GIOVINE

« Older   Newer »
  Share  
CAT_IMG Posted on 24/2/2022, 20:36
Avatar

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

Group:
Administrator
Posts:
8,427
Location:
Gotham

Status:




da pubblicare

http://documenti.camera.it/leg17/resoconti...afico.0152.html



-----------------------


PARTE 1

--------------------------------


www.parlamento.it/parlam/bicam/ter...ci/steno38a.htm







La seduta ha inizio alle ore 19,45.

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la seduta.

Invito l'onorevole Taradash a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

TARADASH, segretario f f , dà lettura del processo verbale della seduta dell'8 luglio 1998.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.



COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

PRESIDENTE. Comunico che, dopo l'ultima seduta, sono pervenuti alcuni documenti, il cui elenco è in distribuzione, che la Commissione acquisisce formalmente agli atti dell'inchiesta.



INCHIESTA SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO:

AUDIZIONE DELL'ONOREVOLE

UMBERTO GIOVINE

Viene introdotto l'onorevole Umberto Giovine

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro, l'audizione dell'onorevole Umberto Giovine.

Ringraziamo l'onorevole Giovine per la sua disponibilità ad essere audito dalla Commissione. Naturalmente, trattandosi di un collega parlamentare, non possiamo che procedere in sede di libera audizione. L'onorevole Giovine avrà capito le ragioni per cui l'Ufficio di Presidenza della Commissione ha deciso di verificarne la disponibilità ad essere audito. Le ragioni sono in dichiarazioni che recentemente l'onorevole Giovine ha rilasciato all'Adnkronos. Ne do lettura, perché vorrei che innanzitutto l'onorevole ci confermasse se queste dichiarazioni sono state rese: "Durante il sequestro Moro il generale Dalla Chiesa riuscì ad entrare in contatto con elementi di Autonomia e delle Brigate rosse.

Questi ultimi, anche se non direttamente coinvolti nel rapimento dello statista, fornirono al generale indicazioni utili per la trattativa e per le indagini. Lo rivela all'Adnkronos Umberto Giovine, all'epoca direttore della rivista "Critica Sociale" ed oggi deputato di Forza Italia. "Dalla Chiesa" - prosegue Giovine, che nel 1978 insieme all'avvocato Giannino Guiso gestiva a Milano i contatti con l'Autonomia - "utilizzò un margine di manovra tramite Craxi, potendo così attivarsi pur non essendo ancora stato nominato a capo dell'Antiterrorismo.

In quel periodo il generale si attivò moltissimo per liberare Moro, aveva conoscenze interne molto vaste, era in grado di suscitare le confidenze dell'Autonomia e dei brigatisti non direttamente coinvolti nel sequestro. Ma, dato che vi era un'area di osmosi tra questi ambienti, egli riuscì a sfondare un pezzo di quel muro che lo divideva dalla prigione del presidente della Dc". "Ma a chi riferiva Dalla Chiesa, - domanda il giornalista - visto che non aveva incarichi ufficiali durante i cinquantacinque giorni del sequestro?" "Non riferiva a nessuno" - afferma ancora l'ex direttore di "Critica sociale" - e questo lo rendeva prezioso. Fu Craxi a dargli qualche possibilità e sarebbe bene che la Commissione Stragi su questo lo andasse a sentire ad Hammamet"". (Io su questo ho dichiarato, come voi ricorderete, che questa è una delle ragioni per cui abbiamo deliberato l'audizione di Craxi ad Hammamet). Sulla trattativa per liberare Moro, Umberto Giovine aggiunge altri particolari.

Ad esempio che: "Autonomia aprì diversi fronti a Milano, a Roma e a Bologna. Io mi occupavo dell'area milanese insieme all'avvocato Guiso e ci accorgemmo di essere seguiti e controllati. Sotto casa mia stazionavano due auto giorno e notte. Non avevamo incoraggiamenti. In ogni caso avemmo diversi incontri e ricevevamo messaggi che sapevamo provenire da Morucci. A Bologna, probabilmente, qualcuno cercò di avvertire i professori della seduta spiritica. I contatti non erano mai diretti; mandavano una persona, che sapevamo rischiava la vita incorrendo nelle rappresaglie dell'ala più dura delle Br. L'estremo tentativo lo facemmo pochi giorni prima del 9 maggio, nel carcere di Torino. Guiso parlò con Curcio, tentando di strappargli un appello, ma non riuscì a convincerlo". Vorrei innanzitutto chiedere all'onorevole Giovine se conferma di aver dato queste dichiarazioni all'Adnkronos.

GIOVINE. Sì, con due precisazioni di dichiarazioni che non ho fatto e che sono state sommariamente riportate. Per quanto riguarda Bologna, la giornalista ha confuso. Io ho solo espresso una opinione, che era già corrente sulla stampa circa la famosa questione della seduta spiritica. Non sono assolutamente a conoscenza di alcuna attività dell'Autonomia a Bologna, che anzi mi risulta fosse molto modesta. Quindi, quella non è una dichiarazione su cose che io so, ma semplicemente su sentito dire.



PRESIDENTE. Una ipotesi che coincide con quella che personalmente avevo formulato in una proposta di relazione. E’ una deduzione logica.

GIOVINE. Ecco, quindi la fonte è il Presidente, non sono io. Non per scaricare la responsabilità, ma per distinguere dalle altre dichiarazioni. La seconda, che è invece una inesattezza piuttosto grave, riguarda Morucci. All'epoca né io, né probabilmente altri, sapevamo neanche chi era Morucci. Quindi, noi abbiamo svolto questa trattativa parlando nel vuoto e dal vuoto ricevendo delle risposte, ma assolutamente non in grado di stabilire nome e cognome di chi poteva essere la fonte. A tutt'oggi non si è certi che Morucci abbia avuto un ruolo per la parte opposta, perché quantomeno non ha spiegato quali e come fossero i suoi contatti con questa osmosi dell'area dell'Autonomia. Quindi, non ho detto che io conoscessi Morucci o che sapessi che era Morucci l'autore delle controproposte - chiamiamole così - che ci arrivavano. A parte questo, l'intervista è estremamente corretta.



PRESIDENTE. Però effettivamente c'era una persona che sapevate rischiava la vita incorrendo nelle rappresaglie dell'ala più dura delle Br, con le quali avevate rapporti.

GIOVINE. Più di una direi: tutti quelli che in qualche modo si sono esposti a darci una mano correvano un duplice rischio, quello di essere oggetto di vendetta in quanto accusati di delazione da parte dei duri e quello di essere semplicemente arrestati dalla Forza pubblica, e questo rischio queste persone lo hanno corso. Poi oggi sappiamo meglio qual era l'articolazione all'interno dell'ambito da cui nasce il rapimento del presidente Moro, allora le cose apparivano più schematiche. Oggi sicuramente vediamo le cose con maggiore conoscenza di causa, ma in sostanza queste persone hanno rischiato parecchio.

PRESIDENTE. Lei non ritiene di farcene i nomi?

GIOVINE. All'epoca il mio ruolo era quello di direttore, insieme ad Alfassio Grimaldi, della rivista "Critica sociale", una piccola rivista però molto autorevole nell'ambito socialista in quanto fondata da Filippo Turati e Anna Kulisciof. Quindi, in qualche modo l'ideologia del riformismo socialista ha sempre ruotato attorno alla "Critica sociale" di Turati, Kulisciof, poi di Mondolfo e Faravelli; io sono stato l'ultimo direttore "non partitico" di quella rivista. Conseguentemente, in quanto direttore e in quanto giornalista professionista, ho garantito fino ad oggi la copertura delle fonti. Devo dire però che, pur rispettando l'etica professionale, non è poi così difficile, mettendo insieme l'immensa pubblicistica arrivata dopo sul caso Moro e anche - se posso dire - le firme degli autori di articoli espliciti usciti sulla rivista "Critica sociale", indagare maggiormente. Dubito però che le persone direttamente coinvolte possano dire di più di quello che ci dissero all'epoca. In base alle cose che ci dissero, le azioni che facemmo comunque non ottennero il risultato che ci eravamo proposti, cioè liberare Aldo Moro.

PRESIDENTE. Aggiungo che, riflettendo su tutte queste vicende dalla prospettiva di ciò che oggi sappiamo, capisco perché poi lei abbia, sia pure in forma dubitativa e non assertiva come ha riportato l'agenzia, ritenuto che il contatto con l'interno delle Br potesse essere Morucci. Sono noti, per esempio, i rapporti di Morucci con Pace e il ruolo che Pace svolse a Roma nei contatti che ebbe con esponenti del partito socialista. Lei questo non l'aveva mai scritto prima?

GIOVINE. No, mi ero posto un embargo di venti anni su questa faccenda. Su altre cose l'embargo è di trent'anni, su questa era di venti anni perché ritenevo, a torto, che in venti anni comunque si sarebbero sapute le cose che c'erano da sapere. Siccome non è avvenuto così, sono lieto di dare un piccolo contributo alla Commissione.

PRESIDENTE. Sì, che però consiste nel darci conferma di una valutazione che personalmente avevo fatto basandomi su dati diversi, e cioè che la impermeabilità delle Brigate rosse era relativa e che ci fosse un’osmosi tra il mondo delle Br e il mondo dell'Autonomia, cioè fra i pesci e l'acqua in cui i pesci nuotavano.

GIOVINE. La valutazione del presidente è sicuramente giusta.

PRESIDENTE. Quello che mi ha colpito è il fatto che lei attribuisce al generale Dalla Chiesa un rapporto con questo mondo permeato o contiguo alle Brigate rosse. Potrebbe dirci di più su questo? Recentemente abbiamo ascoltato il generale Bozzo, che all'epoca dei fatti, come colonnello o capitano, era uno dei più stretti collaboratori di Dalla Chiesa, e lui ci avrebbe escluso qualsiasi attività del generale per la liberazione di Moro, dato che in quel momento non ricopriva incarichi istituzionali per intervenire.

GIOVINE. Ho anche chiesto a Nando Dalla Chiesa, che tra l'altro è un collega parlamentare, se suo padre avesse mai parlato in famiglia di questo. Certo, un ufficiale dei carabinieri forse non parla di tutto in famiglia, ma poteva essere del tutto legittimo che ne avesse fatto cenno. Nando Dalla Chiesa mi ha detto che non ne sapeva niente.

Però mi sono anche chiesto io stesso come avessimo rafforzato nel tempo questa opinione, che già allora era molto forte, circa un intervento del generale Dalla Chiesa. Essa derivava da due elementi: il primo era certamente il rapporto tra il generale Dalla Chiesa e Bettino Craxi, che era un rapporto molto stretto. Posso testimoniare quanto fosse stretto. Quando l'avvocato Guiso mi confermò che sul versante romano (bisogna infatti distinguere questo versante da quello milanese) Dalla Chiesa era stato coinvolto da Craxi, non ebbi difficoltà a credergli.

E gli credetti soprattutto per il fatto che Dalla Chiesa non aveva ruolo per intervenire: infatti se l'avesse avuto difficilmente avrebbe potuto essere coinvolto nella nostra iniziativa, in quanto la posizione dei socialisti, o comunque del segretario del PSI Craxi, rispetto a quella trattativa era in contraddizione con la posizione del Governo. Pertanto difficilmente il generale avrebbe potuto intervenire. La sua relativa libertà si accompagnava poi ad una conoscenza delle Brigate rosse probabilmente non eguagliata da nessun altro in Italia: aveva arrestato Curcio ed aveva infiltrato le Brigate rosse, com'è documentato.

Quindi il suo intervento in qualche modo ufficioso, sollecitato da Craxi, era del tutto legittimo. Anzi, mi sarei meravigliato del contrario, cioè che se ne fosse lavato le mani. Un altro elemento che avvalorò la mia convinzione fu il fatto che il colonnello Giovannone, che, per quanto ne so, con Dalla Chiesa non aveva rapporti, dimostrò anni dopo una buona conoscenza del ruolo svolto dal generale Dalla Chiesa. Questo fatto mi stupì.


PRESIDENTE. Giovannone era un uomo dei Servizi.

GIOVINE. Sì. Era rimasto molto toccato dalla vicenda perché era l'uomo di fiducia di Aldo Moro in Medio Oriente. Era un uomo di grandissime capacità che conobbi in circostanze fortuite nel 1981 o nel 1982. Ebbene, Giovannone era a conoscenza del ruolo svolto dal generale Dalla Chiesa pur non essendoci alcun rapporto tra lui, tra i Servizi ed il generale. Questo confermò nella mia opinione un intervento da parte del generale. Ma quel che è più importante è che erano di questa opinione i nostri interlocutori nell'Autonomia: erano loro a "credere" in Dalla Chiesa.

PRESIDENTE. Di questo rapporto tra personaggi dell'Autonomia e Dalla Chiesa lei ha scienza diretta perchè le è stato riferito da uomini dell'Autonomia stessa o perché ha avuto contatti con Dalla Chiesa?

GIOVINE. Ho avuto contatti occasionali con Dalla Chiesa prima e dopo il sequestro Moro, ma non durante.

PRESIDENTE. Allora come fa a sapere che essi avevano contatti con Dalla Chiesa?

GIOVINE. Su questo deve parlare in modo definitivo soprattutto Craxi, perché è lui ad avere conoscenza del ruolo diretto svolto sul versante romano.



PRESIDENTE. Ma prendiamo per buona l'ipotesi peggiore, cioè che non riusciamo a parlare con Craxi, anche se speriamo di farlo: ci dica lei da dove deriva questa certezza.

GIOVINE. Nell'ultima fase, molto animata e per noi abbastanza drammatica dei tentativi, tutti inutili, di superare quel muro che ormai, era inevitabile riconoscere, si era creato contro la liberazione di Moro, cioè nei venti giorni che vanno dal falso comunicato del lago Duchessa al comunicato n. 9, quello "del gerundio", che annuncia l'inevitabile esecuzione, la "trattativa" con le Brigate rosse si era spostata dall'iniziale richiesta di uno scambio di prigionieri politici (l'ultimo nome che si fece fu quello della detenuta Besuschio) alla richiesta di modifiche nei trattamenti carcerari riservati ai brigatisti.

Ci trovammo di fronte a cambiamenti drammatici in questa "trattativa" che in realtà si svolgeva con l'area con la quale eravamo in rapporti, che dimostrava di essere a sua volta in rapporti con l'area dei brigatisti rapitori di Moro o dei loro collaboratori. Occorre infatti fare una differenza, perché c'era anche un'area delle Brigate rosse che non ne era a conoscenza: Curcio e Franceschini, che erano in carcere, credo non sapessero assolutamente niente; a tutt'oggi ne sono ancora convinto.

Ebbene quest'area, evidentemente interessata a una soluzione positiva della vicenda, spostò la "trattativa" dalla liberazione dei prigionieri al miglioramento dei trattamenti carcerari per i brigatisti. Questo apriva possibilità insperate perchè il generale Dalla Chiesa era responsabile della sicurezza nelle carceri: ecco quale fu il teorema che noi vedemmo. Dalla Chiesa non era soltanto un profondo conoscitore delle Brigate rosse e quindi per questo da loro apprezzato (va infatti considerata anche questa mentalità di tipo militare delle Brigate rosse), ma era anche l'uomo in grado di fare concessioni sul versante carcerario e di farle brevi manu, con la disinvoltura - lo dico in senso positivo - che era noto Dalla Chiesa usasse, a differenza di altri.

Pertanto non c'era soltanto la conoscenza del fatto che il generale Dalla Chiesa era innestato nell'attività che noi mettevamo in opera sul versante romano, ma c'era anche la richiesta della controparte di ottenere una modifica del trattamento carcerario, di quello che Dalla Chiesa chiamava "il circuito dei camosci", che consisteva nel trasferimento dei detenuti da un carcere di sicurezza ad un altro: questo creava estreme difficoltà perché era un regime carcerario molto duro e quindi era particolarmente sentita dai brigatisti l'instabilità dovuta ai continui trasferimenti. Il generale Dalla Chiesa lo chiamava così, non chiedetemi il perché: non lo so.

Non voglio fare alcun paragone tra le Brigate rosse e la mafia, ma, in quanto carcerati, gli esponenti di queste due organizzazioni hanno avuto pulsioni simili: appare pertanto comprensibile che le richieste fatte allora per i brigatisti carcerati fossero non troppo dissimili da quelle che fa oggi certa parte dei detenuti mafiosi. Queste sono le ragioni per cui Dalla Chiesa risultava avvalorato ai nostri occhi come interlocutore che poteva fare concessioni ai brigatisti e come uomo di cui questi "si fidavano".

PRESIDENTE. Che vi fossero contatti vi fu riferito da questi uomini dell'Autonomia con cui eravate in contatto o fu una vostra intuizione?

GIOVINE. Il contatto di Dalla Chiesa (che fu indiretto: dubito fosse diretto) fu determinato da Craxi.

TARADASH. Questo lo ha sentito da Craxi o dagli uomini dell'Autonomia?

GIOVINE. Deve essere lui ad avvalorare questa tesi. Anche Guiso non penso potrebbe dire di più, ma forse varrebbe la pena di ascoltarlo su questo specifico punto.Poi rimane soltanto Craxi. Ma nell'ipotesi negativa che faceva prima il Presidente, il coinvolgimento generico di una persona esperta sulle Brigate rosse come Dalla Chiesa e su una questione specifica come la possibile trattativa in ordine ad eventuali concessioni carcerarie, questa fu una scoperta nostra sul versante milanese. Ci rendemmo conto che quello era un terreno sul quale si poteva trattare.

PRESIDENTE. Ci sta dicendo due cose: la prima che Craxi nella sua autonomia politica assunse una iniziativa che a mio personale avviso colpisce non sia stata assunta da quelli che avevano responsabilità istituzionali...

GIOVINE. E’ inutile che le dica che sono d'accordo con lei.

PRESIDENTE. Cioè io sono rimasto colpito del fatto che si chiamavano veggenti, rabdomanti e direttori di enciclopedia e non si chiamavano invece il maggior esperto di terrorismo, che, insieme a Santillo, era Dalla Chiesa, perché desse sia pure informalmente un contributo alle indagini. E’ indubbiamente un problema che abbiamo, anche perché l'attuale generale Bozzo ci ha riferito che gli uomini del gruppo di Dalla Chiesa furono fatti venire a Roma ma restarono assolutamente inutilizzati, tant'è vero che la sera se ne andavano al cinema perché non sapevano bene cosa dovevano fare. La seconda cosa che lei ci dice è che Craxi non ha detto al verità alla commissione Moro, perché lui in quella sede minimizzò al massimo questo suo contatto con l'Autonomia, addirittura dicendo che non sapeva nemmeno bene chi fosse Lanfranco Pace e che aveva avuto dei contatti molto fugaci portando quindi avanti soltanto un'iniziativa di puro programma politico.

GIOVINE. Posso chiederle, Presidente, la data della deposizione di Craxi alla commissione Moro?

PRESIDENTE. Le posso dare questa indicazione, comunque essa avvenne quando era in funzione la commissione Moro e quindi abbastanza nell'immediatezza del fatto.

GIOVINE. Sono convinto che il tempo in alcuni casi fa riacquistare la memoria e che quindi forse oggi la posizione di Craxi... Non dico che le cose che ha detto non siano vere, può darsi benissimo che non conoscesse nome e cognome delle persone con cui trattava, ma Craxi mise in piedi a Roma una trattativa in piena regola, con anche quelle misure di sicurezza che ci consentirono di eludere la sorveglianza molto stretta, da me dichiarata anche nell'intervista citata dal presidente, degli organi di Polizia. Il senatore Andreotti mi ha fatto l'onore, in un'intervista radiofonica alla quale anch'io ho partecipato, di riconoscere questa nostra abilità nel momento in cui disse che la forza pubblica aveva cercato di seguire Guiso ma che "una volta i nostri uomini lo avevano seguito in metropolitana a Milano e lui all'uscita aveva preso una macchina, andando via con qualcuno, e quindi lo si era perso". Avevo predisposto lo quella operazione; al capolinea della metropolitana 1 di Milano, sapendo che era seguito, noi eravamo lì con la macchina, prendemmo Guiso e lo portammo via, se ricordo bene, da Monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea, che aveva fatto una sua generosa ma fantasiosa proposta di cui la stampa si è di nuovo occupata, anche di recente. I contatti tra me e Craxi all'epoca - io a Milano lui a Roma - furono ridotti al minimo.

PRESIDENTE. Craxi fu sentito dalla commissione Moro il 6 novembre del 1980.

GIOVINE. Non ho bisogno di aggiungere altro perché la data parla da sé: siamo lontani anni-luce e si può capire che un politico nel pieno delle sue funzioni cercasse di minimizzare qualsiasi ruolo potesse essere al di fuori dell'immagine che dava di se stesso.

PRESIDENTE. Sì, perché il problema che sorge e che in qualche modo riguarderebbe sia pure in maniera minore anche lei e l'avvocato Guiso è che probabilmente le informazioni sulla trattativa sarebbero state suscettibili di un'utilizzazione da parte degli apparati di sicurezza non per portare avanti la trattativa ma per arrestare qualcuno ed arrivare alla prigione di Moro.

GIOVINE. Lei dice questo, Presidente, perché ne è convinto o mi sta facendo una domanda per sapere la mia opinione?

PRESIDENTE. Questa è una mia valutazione. Ritengo che la divisione tra partito della fermezza e partito della trattativa abbia portato da un lato il partito della fermezza a restare fermo - e non era proprio il modo di assumere un atteggiamento di fermezza -, e questo riguarda l'intero partito della fermezza senza esclusioni, dall'altro a far sì che il partito della trattativa fosse così impegnato nel raggiungere l'obiettivo politico della conclusione della trattativa da non dare alcuna collaborazione agli apparati di sicurezza per fare invece operazioni di Polizia e rintracciare la prigione.

GIOVINE. Ha perfettamente ragione. L'idea di collaborare con gli apparati di sicurezza non mi è neanche passata per la testa all'epoca; oggi sarei ancora più convinto di questo. La nostra convinzione, allora, che non si volesse trovare la prigione di Moro e che il comunicato del Lago della Duchessa fosse una costruzione dei Servizi - su cui poi, Presidente, vorrei dire ancora qualcosa - era molto solida al riguardo, ed ha avuto conferma in tutte le istanze dei processi successivi. Gli apparati di sicurezza, almeno quelli di cui eravamo a conoscenza, erano interessati a una sola cosa, impedire la trattativa.

PRESIDENTE. Non rintracciare la prigione?

GIOVINE. No, perché avevano mezzi di farlo, se avessero voluto. Il collega Fragalà ha già esposto, e sicuramente, Presidente, egli è ben più a conoscenza di me di tutte le prove che ci sono al riguardo. Io non voglio insistere sul fatto dell'intestazione degli appartamenti di Via Gradoli, voglio parlare di cose che la Commissione non conosce non di quelle che già sa, però c'è una messe di informazioni tale, come l'intestazione al compianto dottor Parisi e tante altre cose... Ma potrei aggiungere a ciò che l'intero ambiente del Ministero dell'interno appare inquinato, e perciò inefficace nell'azione. Giustamente il Presidente dice che si è chiesto a rabdomanti e a direttori di enciclopedia; è vero, ma in questa corte dei miracoli c'erano poi anche, come in tutte le corti dei miracoli, veri protagonisti. Pensiamo al ruolo di Michael Ledeen, che entrava e usciva dal Viminale in quei giorni. Michael Ledeen non è uno qualsiasi, ma è forse il più esperto, non teorico ma pratico, della disinformazione americana. Michael Ledeen peraltro è anche un intellettuale apprezzato: è lui per esempio l'autore dell'intervista a De Felice sul fascismo. All'epoca del caso Moro era uno dei più abili giocatori di poker a Roma. E’ l'uomo che ha congegnato il cosiddetto "Billygate", cioè che ha incastrato il fratello del presidente Carter con una operazione in Libia di altissima scuola fra i cosiddetti "dirty tricks".

PRESIDENTE. Insieme a Pazienza.

GIOVINE. Ma Pazienza è un ragazzo di bottega rispetto a Michael Ledeen, e io ho citato solo una delle sue imprese. E poi chi troviamo all'altro capo del telefono quando Craxi parla col presidente Reagan la notte di Sigonella? Michael Ledeen, che traduce per Reagan. Ho citato solo due episodi: Ledeen è un uomo di punta di tutto l'ambiente che grava intorno al generale Alexander Haig, personaggio cruciale dell'ambiente nixoniano, uomo poi caduto sull'affare Iran-Contras, il cui ruolo è centrale.

PRESIDENTE. Quindi, mentre l'amministrazione Carter manda Pieczenik, lei dice che i circoli nixoniani facevano un'operazione opposta?

GIOVINE. Sì, Ledeen, ripeto, ha contatti con il giro di Alexander Haig, che è un giro particolare, di una massoneria particolare e di Servizi di un certo tipo, come del resto è noto alle cronache. Michael Ledeen è uomo che il ministro Cossiga fa entrare direttamente nella vicenda Moro: non mi interessano i rabdomanti e la corte dei miracoli, ma che, all'interno di questi vi sono anche gli uomini forti. Michael Ledeen è un uomo forte in questo tipo di azione. E’ mai stato chiesto il suo ruolo? E’ mai stato chiesto a Cossiga perché si è rivolto a Michael Ledeen? Perché lo ha mandato, con quale scopo? Scusatemi questa valutazione politica, ma altri come lui possono essere stati coinvolti da Cossiga, di cui neanche sappiamo i nomi.

PRESIDENTE. E’ difficile un colloquio con il presidente Cossiga: per aver avanzato dubbi in questo senso mi ha definito un mascalzone politico. Questo troncava qualsiasi possibilità di dialogo costruttivo. Un'ultima cosa sull'episodio del Lago della Duchessa: la mia personale valutazione è che aveva ragione Moro, che lo definì più o meno letteralmente una tragica messa in scena della sua futura esecuzione, quindi un modo per capire quali sarebbero state le reazioni popolari nell'ipotesi di una sua uccisione. Lei ha una versione ulteriore?

GIOVINE. Io posso dire questo. Appena leggemmo quel comunicato capimmo subito che non era un comunicato delle BR, non ci voleva una grande abilità semantica.

PRESIDENTE. Si sa pure che l'idea originaria era del dottor Vitalone.

GIOVINE. Che la rivendica e dice che Cossiga forse ha seguito il suo consiglio a riguardo. Io non sono in grado di valutarlo, però certamente noi all'epoca a Milano eravamo costretti a diventare degli esperti di comunicati delle BR. I comunicati arrivavano in una libreria del centro, la libreria Calusca, gestita da un personaggio geniale e stravagante, oggi defunto: Primo Moroni. Lì era una specie di porto delle nebbie: arrivavano i volantini, arrivavano i giornalisti e arrivavamo noi per vedere. Era una zona franca che anche Polizia sapeva che andava lasciata libera perché altrimenti i comunicati non avevano modo di arrivare. Lì quindi arrivavano i comunicati; quello del Lago della Duchessa è tutto eccetto che un comunicato delle BR e, ripeto, lo si capì immediatamente. Insisto, passarono venti giorni e niente accadde. E’ argomento su cui tra l'altro mi sembra sia intervenuto il brigatista latitante Casimirri in una recente intervista che ha rilasciato fra l'altro ad un mio collaboratore di allora, Guglielmo Sasinini di "Famiglia cristiana". Casimirri avvalora l'ipotesi che già allora Morucci fosse di questa ala e sostiene che il rapimento Moro fu comunque organizzato qualche settimana o due o tre mesi prima e quindi che tutta l'area attorno alle Brigate rosse ne fosse a conoscenza. Noi abbiamo trattato con quell'area che quindi non era estranea - come erano Curcio e Franceschini per ragioni di detenzione - ma anzi aveva partecipato alla fase di costruzione di questo rapimento. Riteniamo quindi che chi ha fatto quel comunicato lo ha fatto per motivi precisi.

PRESIDENTE. Questo possiamo darlo per acquisito, e credo che così la pensi l'intera Commissione. Vorrei farle un'ultima domanda. Sono rimasto sempre colpito dai tempi e dai modi con cui Dalla Chiesa entra nel covo di Via Monte Nevoso e trova le carte di Moro. Secondo lei, l'idea che fosse stato monitorato il percorso delle carte e che quindi Dalla Chiesa sapesse che erano arrivate da poco a Via Monte Nevoso quando poi finalmente partì quel blitz che egli stesso aveva ritardato, mentre poi dette il via, è un'ipotesi attendibile?

GIOVINE. E’ attendibile, ma non ho le prove per sostanziarla, perché sul percorso di quelle carte c'è ancora qualche punto oscuro. Voglio anche aggiungere, per dire quali erano e quali sono tuttora i nostri limiti, che l'area dell'Autonomia che ha trattato con noi era un'area non marxista-leninista, ma un'area, direi, anarchica che faceva capo alla cosiddetta "Croce nera" anarchica, grande fornitrice di informazioni all'epoca del libro "La strage di Stato": era questo che ce la accreditava come ambiente serio. Questo ambiente era completamente all'oscuro su quanto è avvenuto dopo, in relazione alle carte di Via Monte Nevoso, e quindi le nostre fonti a quel punto non valevano più niente.

MANCA. Credo di sapere già in anticipo la risposta che lei potrà dare alla mia domanda, ma la faccio comunque. Perchè non ha mai sentito l'esigenza, durante e dopo i contatti che aveva con quelli di Autonomia, di avvisare la polizia, in modo da dare un qualche contributo che poi potesse portare addirittura anche a individuare la prigione di Moro? Si è mai posto il problema di cercare di inserirsi nel discorso ufficiale per dare un contributo alla soluzione almeno di una parte del problema?

GIOVINE. La risposta è duplice. Innanzitutto ero, e lo sono ancora di più oggi, convinto che qualsiasi contributo avessi dato sarebbe stato usato per intenti opposti. Del fatto che il partito della fermezza volesse solo stare fermo - come ha detto il Presidente - eravamo assolutamente convinti. La seconda risposta è più articolata: non ero assolutamente convinto che i nostri interlocutori fossero a conoscenza di questo particolare; anzi devo dire francamente che ritengo tuttora che loro ne avessero soltanto una vaga idea.

PRESIDENTE. Di quale particolare?

GIOVINE. Di dove si trovasse Moro.

MANCA. Questo sì, ma alle volte da cosa nasce cosa, da un anello nasce un altro anello e poi si forma la catena.

GIOVINE. Posso rispondere a questa domanda con le parole pronunciate pochi giorni fa dall'allora Presidente del Consiglio Andreotti: "E’ vero - ha detto in un convegno al Senato - che lo Stato era debole e impreparato". Cioè la debolezza dello Stato, il precedente smantellamento degli apparati più efficienti e la situazione politica certamente non favorevole al raggiungimento della verità erano cose note a chiunque si occupasse di politica. Io non ho mai fatto politica attiva fino ad ora, ma ero al corrente di queste cose. Che esistesse una cosiddetta linea Cossiga-Pecchioli non l'ho inventato io ora, ma lo si è detto venti anni fa; la nostra rivista pubblicò due opinioni importanti di "trattativisti", sia pure con vari distinguo: una di Galloni, che dette un'opinione sul PCI molto chiara circa il perché il Partito comunista fosse obbligato ad essere assolutamente duro e cieco, dato che aveva questa contiguità, che ovviamente non voleva, specialmente nella zona emiliana, con le Brigate rosse (tutte cose già risapute); ed una del defunto onorevole Riccardo Lombardi che sosteneva, in modo direi speculare, che se la DC avesse avuto il senso dello Stato, che non aveva, non avrebbe avuto problemi ad affrontare anche le trattative. Sulla mia rivista ho pubblicato (e la lascerò alla Commissione per puro interesse giornalistico) una rassegna che abbiamo fatto immediatamente, a caldo, dimostrando che in tutti i casi di rapimento nel mondo si era trattato, compresi quelli israeliani. Una cosa è dire che non si tratta, altra cosa è trattare. Prima del raid di Entebbe ci fu trattativa. Anzi, più uno Stato è forte, quindi più vuole fare sul serio, più tratta, non fosse altro che per prendere tempo. Voglio citare un'altra cosa impressionante: in Canada addirittura si trattò dopo un assassinio commesso da parte del Front de libération québequois.

Per noi che conoscevamo queste cose a livello internazionale la situazione era insopportabile. Non potevamo crederci, e in seguito ci siamo rimproverati, chiedendoci cos'altro avremmo potuto fare, chiedendoci perché non eravamo scesi in piazza. La verità è - mi si consenta di dirlo - che c'era un vero regime. Si parla anche oggi di regime, ma vorrei riportare la mente a venti anni fa. Purtroppo quello che si venne a creare, per una serie di circostanze, era un vero e proprio regime. Per noi che eravamo all'opposizione in questo regime la sensazione era precisa. Per avvisare la polizia per me sarebbe stato sufficiente aprire la finestra e chiamare gli agenti. Per fortuna tempo dopo ebbi modo di parlare con il capo del servizio che mi aveva sorvegliato, che era un conterraneo cilentano di mio padre, il quale mi raccontò anche i particolari; ci incontrammo in piazza in quel paese al Sud e mi raccontò tutto.

Non ho quindi neanche alcun dubbio sugli intenti che c'erano allora nel Governo. Certamente non dicevano ad un maresciallo quali erano quegli intenti, ma egli era abbastanza bravo da capirli. Voglio aggiungere un'altra considerazione: che la situazione fosse altamente pericolosa lo dimostrò la comparsa, nel periodo del fatto Moro, di un personaggio di nome Volker Weingraber. Questo personaggio, che ora è sotto processo su richiesta dei servizi segreti tedeschi, era un agente provocatore tedesco utilizzato per azioni di infiltrazione nell'ambiente anarchico in Germania, rimasto poi coinvolto nell'assassinio di un anarchico, che era stato spedito in Italia in condizioni non chiare, ma che l'allora ministro Cossiga non poteva non conoscere (ora va di moda questa locuzione retorica).

Perchè Volker Weingraber venne in Italia?

E’ mai possibile che un servizio alleato mandi un agente provocatore senza dirlo agli omologhi servizi italiani? E’ impossibile! Ed ecco che Weingraber viene da me chiedendo di fare un'edizione tedesca delle nostre ricerche per accreditarsi lui in Germania (oggi lo sappiamo, ma allora no) presso gli ambienti della sinistra. Egli era stato introdotto da ambienti della sinistra extraparlamentare. La rivista "L'Espresso" ha fatto due inchieste su di lui e ci sono gli atti di un processo: egli si infiltrò in questo ambiente in modo abbastanza articolato. Per puro caso andò ad abitare nello stesso palazzo dove abitava anche Walter Tobagi, ma non ritengo che questo abbia un nesso con la morte di quest'ultimo. Ci fu inoltre un movimento di presenze, anche provenienti dalla parte sovietica.

Non dimentichiamo infatti che il senatore Pecchioli era uomo di fiducia dell'Unione sovietica, era persona di fiducia di Boris Ponomarev: dobbiamo allora cercare di contestualizzare la cosa. Ponomarev era l'uomo che teneva d'occhio l'Italia, e non solo. Quando Andreotti, mi pare nel 1977, andò in Urss e i sovietici gli chiesero notizie circa il materiale nucleare nella base de La Maddalena, secondo il suo interlocutore sovietico Andreotti gli rispose, a sua giustificazione, che gli americani avevano creato la base senza dirgli nulla. Questo era il clima. Mentre Andreotti diceva questo, risultano ora agli atti, non solo stando a quanto pubblicato dalla rivista russa "Stolica", ma anche negli archivi sovietici, proseguivano i rapporti tra Pecchioli e Ponomarev. Nel frattempo Michael Ledeen entrava al Quirinale (ed è l'uomo di Haig). A questo punto, signor Presidente, andare a cercare i "grandi vecchi" non ha molto senso, in quanto era tutto un pullulare di personaggi dell'Est e dell'Ovest...

PRESIDENTE. Sarà che io tendo ad un'eccessiva semplificazione, però sono portato a distinguere le posizioni e le responsabilità politiche dalle posizioni e responsabilità istituzionali. Che ci potesse essere una decisione politica di rifiuto della trattativa e che questo possa portare ad un giudizio politico e ad eventuali responsabilità politiche è un conto; che però apparati istituzionali che avevano il dovere istituzionale di rintracciare la prigione e liberare l'ostaggio non lo abbiano fatto, ci fa fare un salto molto maggiore nella gravità del giudizio.

GIOVINE. Certo, Presidente, ma non spetta a me ricordare alla Commissione l'esistenza di qualcosa che lega alcuni personaggi di questa storia: nomine fatte ai vertici dei Servizi e delle Forze armate concordemente effettuate dalle persone, precedentemente nominate, appartenenti ad una unica lobby massonica. Messaggi che passano nelle Forze armate che talvolta non sono ordini o fonogrammi ma sono del tipo di quelli avanzati dal Conte Zio dei Promessi Sposi: "troncare, sopire"; basta questo perché un'inchiesta si fermi; perché qualcuno non indaghi o non si dia troppo da fare. E’ ben vero che Dalla Chiesa arrestò Curcio ma poi fu rimosso dall'incarico; non lo dimentichiamo. E’ una lezione che ha avuto una sua influenza sulle gerarchie.

PRESIDENTE. Ciò mi induce ad insistere nel considerarle mascalzonate politiche.

GIOVINE. Concordo con lei; ma con conseguenze letali anche sulle gerarchie militari.


-------------------------------





Edited by barionu - 17/2/2023, 11:59
 
Top
CAT_IMG Posted on 24/2/2022, 20:58
Avatar

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

Group:
Administrator
Posts:
8,427
Location:
Gotham

Status:





----------------------










MANCA. Si sa che l'avvocato Guiso - credo in un suo libro - ha scritto che lei cercò di interloquire o, comunque, di ottenere un intervento internazionale a favore della trattativa, rivolgendosi a Willy Brandt. Questo personaggio però non ritenne di farlo. Potrebbe riferirci di che natura era questo intervento da lei auspicato?

GIOVINE. Ho avuto ottimi rapporti con il Presidente Brandt; ero con lui a Varsavia nel 1970: si ricorderà la famosa foto di Brandt inginocchiato davanti al monumento della rivolta nel ghetto quando era cancelliere; io da studente avevo abitato vicino a quel monumento, in Ulica Aniclewicza. Un monumento storico. Fui poi con Brandt nell'Internazionale socialista quando divenne Presidente, ricoprendo al suo interno degli incarichi. Sul perché Brandt non sia intervenuto posso limitarmi a dare un mia interpretazione, anzi due: la prima è che si fosse reso conto che non era possibile fare niente; allora era già Presidente dell'Internazionale; non era più cancelliere perché dimessosi nel 74 a seguito di un'operazione di "incastramento", di cui fu vittima grazie ad un agente dell'allora Repubblica democratica tedesca di nome Guillaume, e non senza qualche conoscenza se non addirittura approvazione dei servizi occidentali, cioè americani.

La seconda ragione - legata alla prima - per cui Brandt non è intervenuto è perché questi è sempre stato sospettato - si direbbe - sia nel suo paese sia presso ambienti politici occidentali, particolarmente statunitensi: nel suo paese perché non si è apprezzata mai la sua resistenza al regime nazista ed il suo "fuoriuscitismo" in Norvegia; egli fu in Norvegia durante la guerra (sua moglie era norvegese). Per molti tedeschi tale atteggiamento era imperdonabile; pur essendo Brandt molto popolare il suo "sospetto fuoriuscitismo" lo rendeva molto prudente nel trattare certe questioni internazionali, anche se si potrebbe pensare l'opposto essendo egli Presidente proprio dell'Internazionale.

Ognuno però ha i propri limiti e lui aveva questo. Il secondo motivo era che rimaneva molto antipatico a molti ambienti statunitensi perché sospetto di collusione con i sovietici. La Ostpolitik, vista dagli europei come un grande progresso, era invece interpretata, da alcuni ambienti americani, per esempio quelli che facevano capo al generale Haig e, soprattutto, al generale Dick Vernon Walters, poi ambasciatore all'Onu, personaggio chiave di tutta la politica americana dal '64 in poi (che ha deposto recentemente tra l'altro a discarico del senatore Andreotti). Vernon Walters è un uomo chiave in molti avvenimenti dal Brasile all'Italia; era addetto militare in Italia durante la guerra; fu l'unico a proporre nel 1961 l'eventualità di un intervento anche armato dalle basi americane in Italia nel caso di avvento al Governo dei socialisti. Un personaggio insomma molto interessante.

Questi ambienti sospettavano Brandt di essere ricattato dai sovietici; questo limitava notevolmente sulle questioni delicate come era sicuramente quella di Moro il raggio di azione di Brandt; in particolare se si ricorda che era rimasto vittima a sua volta di un'operazione internazionale come quella dell'agente Guillaume...

MANCA. Capisco le ragioni per cui secondo lei non è intervenuto; la mia domanda era però che tipo di intervento ha chiesto a Brandt.

GIOVINE. In quel caso non si trattava del settore trattative, piuttosto di quello enunciazioni; sia con Brandt poi con altri personaggi -Craxi fece intervenire anche Amnesty international - sia con Curcio (ruolo dell'avvocato Guiso) si cercò di ottenere delle dichiarazioni che rafforzassero l'ala più disponibile delle BR - o quelle che noi ritenevamo tale e che oggi siamo certi fosse tale - ed influenzassero con il loro peso l'andamento delle cose, visto che da parte dello Stato (e del Vaticano) non si arrivava a niente. Una dichiarazione forte di Brandt, essendo persona accetta alla sinistra in generale, certamente sarebbe servita, anche se non ad alcun scopo pratico. Il segretario dell'Onu Kurt Waldheim intervenne per esempio a titolo di amicizia per Moro. La dichiarazione di Curcio invece era più importante e tuttora sono molto perplesso su questo episodio perché fu l'ultimissimo tentativo fatto, sapendo dell'impossibilità che Curcio, Franceschini e gli altri sapessero alcunché. (La forza pubblica un'operazione intelligente la fece ma non ebbe esito; l'arresto del brigatista Piancone poteva costituire un legame ma lui non c'entrava niente con i rapitori, per cui tutto finì lì). Curcio non era noto come persona particolarmente dura di cuore; non ha mai ucciso nessuno, anzi ha subito un dramma familiare per la sua militanza politica. L'avvocato Guiso, avvocato delle Brigate rosse, come tutti gli avvocati tendeva a rappresentare anche la posizione politica delle Brigate rosse con una certa convinzione e capacità che gli ho sempre riconosciuto...

PRESIDENTE. Una dichiarazione di Curcio a favore della trattativa avrebbe aperto una più profonda contraddizione...

GIOVINE. Assolutamente. Perché non fu fatta la dichiarazione? Devo purtroppo dire una cosa di cui non vado orgoglioso ma di cui non mi pento: avevo detto all'avvocato Guiso - vorrei che lui lo confermasse ma magari non lo farà - di andare a parlare con Curcio, tenuto conto di questi personaggi e dubitando quindi che lui avrebbe da solo preso il coraggio di fare una dichiarazione; lo Stato era talmente ottuso su questo aspetto che onestamente non avevamo nulla da proporre a Curcio. In cambio di cosa potevamo chiedere alcunché? Certo, vi era la questione delle carceri; dissi pertanto all'avvocato Guiso di recarsi da Curcio, di non coinvolgerlo direttamente nella questione; ormai la gente è abituata a vedere in te - gli dicevo - non soltanto l'avvocato ma anche il portavoce dei brigatisti; esci e fai tu una dichiarazione', non imbrogli nessuno; non dici che Curcio ti ha detto che...; dirai tu qualcosa. Il clima all'epoca era tale che una dichiarazione dell'avvocato Guiso all'uscita delle carceri di Torino avrebbe avuto un forte impatto. Evidentemente quello che Curcio disse a Guiso in quell'occasione fu tale da scoraggiare l'avvocato Guiso dal parlare. L'avvocato Guiso pertanto non disse niente; però deve essere lui a spiegare il motivo della sua scelta perché ci tolse l'ultimissima possibilità di agire. Avevo convocato i media alla porta del carcere. Tutto inutile.

FRAGALA’. Innanzitutto la ringrazio della sua disponibilità e dell'aiuto che ci sta dando non soltanto nell'analisi ma soprattutto nella rappresentazione di una vicenda che dopo 20 anni appassiona ancora non soltanto la nostra Commissione ma soprattutto l'opinione pubblica. Con il generale Dalla Chiesa e con Craxi si pose il problema del perché gli apparati investigativi antiterrorismo in Italia tra il 1976 e il 1978 furono completamente smantellati? Perché infatti il nucleo antiterrorismo di Santillo fu sciolto? Perché Dalla Chiesa e il suo nucleo antiterrorismo furono mandati a casa nonostante che il pericolo del brigatismo rosso fosse enormemente presente e nonostante che Dalla Chiesa avesse ottenuto dei successi eccezionali nel 1974 e nel 1975? Quale fu l'analisi politica di questa volontà da parte dello Stato di smantellare, alla vigilia del sequestro dell'onorevole Moro, tutti gli apparati investigativi antiterrorismo?

GIOVINE. Per le discussioni che facemmo all'epoca e che furono molto precise (rileggendo gli articoli di allora vedo che si era capito forse più di ora che abbiamo perso il senso di quell'epoca) non c'è dubbio che il clima politico negli anni fra le elezioni amministrative del 1975 - se vogliamo una data precisa - e l'affare Moro era un clima che forse oggi abbiamo dimenticato, ma che certamente non spingeva a rafforzare gli apparati dello Stato che garantissero, nelle frasi del rapporto del prefetto di Milano Mazza, "una lotta equanime contro gli opposti estremismi". Ricordo che la sola menzione del termine "opposti estremismi" causò una ribellione nella intellighentia italiana pari a quella che suscitò nei militanti dei gruppi di estrema sinistra, e nella sinistra in generale, devo dire francamente: non fra i socialisti. Per dare un'idea di come poi cambiò questa situazione (però intanto erano avvenuti dei fatti che il collega Fragalà ha ricordato), quando venne a Milano Gunther Grass, uomo altamente gradito alla sinistra, un simbolo, un grande scrittore, amico di Brandt, parlò al circolo De Amicis, che era un po' il luogo d'incontro della sinistra riformista milanese con il Club Turati. In Germania c'era una sfasatura rispetto all'Italia: avevano già avuto la Baader-Meinhof, erano già stati sottoposti ad un forte stress, si erano già resi conto del rischio che c'era a non combattere in modo uguale a destra e a sinistra gli estremismi. Quando Gunther Grass, pur avendo - ripeto - una platea inizialmente molto favorevole - la sala era stracolma - si azzardò a dire che bisognava che lo Stato fosse forte come in Germania stava diventando per combattere contro l'estremismo di sinistra, suscitò una sollevazione. Ricordo un intervento di Giorgio Bocca, che era già molto noto allora, il quale prese a male parole Grass, e solo grazie alla traduttrice queste parole non vennero tradotte in tedesco. Ma la sollevazione, di cui Bocca fu la mosca cocchiera, ruolo che gli è congeniale, fu di tutti, tutti quelli che si chiamavano allora i radical chic. Di lì a qualche tempo cambiò il clima anche in Italia, ma nel frattempo il danno, ad avviso di chi come noi poi protestò contro questa "fermezza" che era in realtà inerzia dello Stato, era già fatto. Che poi il filo che lega certi uomini, messi a capo di quelle strutture oramai svuotate, fosse il filo di una lobby politica, non sta a me giudicare; certo è impressionante la coincidenza, ma ciò è già stato indagato in questo Parlamento. Certamente la cosa venne valutata già allora nei suoi aspetti e tutte le testimonianze venute dopo dimostrano che c'è una finestra che si apre tra il 1975 e il 1978, periodo nel quale accadono una serie di fatti devastanti. Noi intervistammo per "Critica sociale" un personaggio che era tabù all'epoca, Randolfo Pacciardi, che ci raccontò delle cose molto interessanti su questo aspetto. Lui aveva buone informazioni, essendo stato per cinque anni Ministro della difesa e avendo fatto crescere alcuni personaggi poi diventati importanti nelle Forze armate. Certamente vi fu un intento di smantellamento, o comunque di controllo, e il controllo lo si ottiene di più se le strutture sono deboli che non se sono forti e in grado di reagire al controllo politico. (Il 25 aprile 1975, militari in divisa e partigiani sfilarono insieme al Campo di Marte. Fu un segnale?).

FRAGALA’. Ha risposto in modo esauriente. La mia seconda domanda vuole essere anche una riabilitazione della memoria del maresciallo Leonardi, che più volte è stato ingiustamente attaccato. Quando lo Stato, con la scorta di Moro in via Fani, quel 16 marzo, si presentò con le armi nel portabagagli, non fu il frutto di una superficialità o di un pressappochismo della scorta, ma fu invece il portato di un clima per cui lo Stato aveva smantellato tutte le strutture e la scorta di Moro era una specie di accompagnamento, di status symbol, e non una protezione effettiva. Era questo il clima?

GIOVINE. Certo, peggio che uno status symbol: era esporre degli uomini della forza pubblica ad essere dei bersagli destinati. Perché quando non c'è la copertura generale questo naturalmente avviene, e purtroppo è avvenuto. D'altra parte, ho citato prima le parole del senatore Andreotti dette a pochi passi da qui qualche giorno fa: "lo Stato era debole". Ma come si spiega che questo Stato debole, anni prima avesse avuto successi consistenti - torno a Dalla Chiesa - nella lotta al terrorismo? Com'è che è diventato debole tutto ad un tratto? Ed era poi uno Stato che, se andiamo indietro nel tempo, altri successi li aveva avuti. Io scrissi nel 1974 un libro sul banditismo nel dopoguerra, e devo dire che si sono fatte delle cose importanti. Evidentemente era una debolezza, non voglio dire indotta, ma certo improvvisa e imprevista; ma non imprevista dalle BR, che si erano addestrate appunto per questo. Ora il senatore Andreotti, con l'ironia che gli riconosco, qualche giorno fa ha detto testualmente: "Quanto al partito della trattativa, non è che ne ho visti poi tanti allora; deve essere un partito con retrodatazione della tessera". Dice una verità: che fossimo pochi all'epoca ce ne rendemmo drammaticamente conto. Quando andammo a fare l'inchiesta e raggruppammo sotto "Critica sociale" tutti quelli che erano d'accordo, trovammo a destra e a sinistra, ma pochi, nell'ambiente laico e cattolico: nessuno voleva esporsi. Pertini era contrario, per dirne uno, altri erano estremisti che non volevano né lo Stato né le BR, quindi ci consideravano trattativisti al servizio dello Stato. Era veramente un clima che non vorrei si riproducesse in Italia. Concordo con la valutazione fatta dall'onorevole Fragalà.

FRAGALA’. Il professor Silvestri è venuto qualche giorno fa a dare testimonianza di una sua collaborazione in un inesistente comitato di crisi. Poi abbiamo scoperto che era una consulenza ed una collaborazione che gli aveva chiesto a titolo personale il senatore Cossiga durante quel periodo: e il professor Silvestri ci ha confermato una valutazione, che poi ha affidato ad una intervista l'esperto americano Pieczenik, che era stato mandato dalla CIA e dagli americani in Italia per operativamente collaborare alla individuazione del covo e alla liberazione di Moro. Ebbene, il professor Silvestri ci ha dato questa valutazione, che Pieczenik, con cui lui aveva una particolare vicinanza in quel periodo, andò via dall'Italia quando si rese conto che il partito della fermezza non era indirizzato né a salvare l'ostaggio, o a liberarlo, né ad individuare il luogo della prigione, ma serviva esclusivamente a tutelare il quadro politico; così ha detto il professor Silvestri. Ora io le chiedo questo: allora voi che vi battevate per la trattativa e per la liberazione di Moro (noi poi abbiamo ascoltato Cossiga, che ha detto praticamente la stessa cosa) avevate avuto la sensazione, o addirittura la conoscenza, di fatti che avessero il significato preciso che non si volesse andare in fondo nella liberazione di Moro perché bisognava salvaguardare il quadro politico, quello del compromesso storico, o addirittura bisognava soprattutto salvaguardare il Partito comunista? In una parola, voi avevate saputo che i precedenti contatti tra l'onorevole Pecchioli e il generale Maletti, quando Maletti era capo dell'Ufficio D dei nostri servizi, erano contatti che avevano avuto poi una determinata influenza negli apparati di informazione e anche di sicurezza dello Stato? E se questi contatti tra Pecchioli e Maletti durante l'affaire Moro vennero fuori e furono portati a vostra conoscenza come elementi determinanti perché l'affare Moro si conducesse in un certo modo piuttosto che in un altro?

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Fragalà, ma che ruolo aveva Maletti durante l'affare Moro?

FRAGALA’. Nessuno; sto parlando dei contatti precedenti - l'ho detto - che ci sono stati rivelati dal generale Maletti a Johannesburg. Desidero che lei risponda, se ha elementi in merito, su quanto le ho chiesto.

GIOVINE. Che ci fosse un intento preciso di salvaguardare un ambito politico era evidente fin da prima che si arrivasse al dramma del rapimento di Moro. Quando si crea una condizione così inedita per un paese occidentale come quella oggi nota come "compromesso storico", è molto importante per chi la pone in atto ridurre il dissenso ai minimi termini; di qui anche la partecipazione dei socialisti, che non avrebbero normalmente né voluto né dovuto partecipare ma che poi parteciparono perché non potevano non partecipare. Quindi c'era tutto un insieme...

FRAGALA’. Che lei ha chiamato regime.

GIOVINE. Che lo chiamo regime e che è diventato drammatico quando è venuta fuori una questione come l'affare Moro, ma che c'era anche prima. Sostenere una situazione politica, poi, attraverso l'utilizzo di alcuni apparati e lo smantellamento di altri apparteneva a quella "guerra per bande", purtroppo ancora oggi non ignota per altri settori in Italia, che vedeva contrapposti a livello terminale uomini come Maletti o come Miceli. E’ il caso di ricordare che Miceli era uomo di fiducia di Moro, e che Andreotti ha più volte criticato questa fiducia di Moro in Miceli.

PRESIDENTE. Anche qui in Commissione.

GIOVINE. L'attività investigativa della "Critica sociale", che per sua natura era una rivista ideologica, iniziò se ricordo bene, con l'affare Eni-Petromin; fui costretto a penetrare in questo groviglio nell'affare Eni-Petromin. Ero in possesso di carte sul modo di operare dell'Eni...

PRESIDENTE. Però in gran parte era un problema interno al PSI.

GIOVINE. Lo era in gran parte, però coinvolgeva trasversalmente anche correnti democristiane. Fu allora che, almeno a mia conoscenza, venne fuori per la prima volta questo contrasto: si crearono secondo me all'epoca dell'affare Eni-Petromin degli spartiacque che sono poi rimasti. Ripeto, la fiducia di Moro in Miceli, la lotta che gli fece Maletti ed il coinvolgimento di Maletti, tramite il defunto Pecchioli, in certa parte di questi assetti ha sicuramente un ruolo; mi rifaccio ancora alla testimonianza su questo argomento del colonnello Giovannone, che considero molto attendibile, perché non era uomo che parlava a vanvera, anzi, parlava pochissimo ma quel poco che diceva secondo me lo diceva giusto. Parlò con me, tra l'altro, per sostenere che lui con l'affare Eni-Petromin non c'entrava niente; ora mi ricordo anche perché andai ad incontrarmi con Giovannone. Oggi che abbiamo anche le carte attendibili di parte sovietica - non parlo di quelle meno attendibili, che sono un po' di tutti i colori - su quelli che erano i rapporti anche logistici fra l'apparato controllato politicamente da Boris Ponomarev e logisticamente dal KGB - il cui terminale, inizialmente in Piemonte e poi a livello nazionale, era il senatore Pecchioli, al quale faccio riferimento soltanto perché le cose di cui parlo sono già acclarate. D'altra parte il senatore Flamigni è già intervenuto diverse volte, ed io contro di lui, su questo argomento - esse creano una diramazione di cui è difficile non vedere la conseguenzialità. Inoltre rimane sempre agli atti la dichiarazione del generale Torrisi di essere in possesso della ricevuta del conto pagato alla pizzeria qui vicino ("La Capricciosa") dove gli fu offerta la carica, che poi ebbe, di Capo di Stato maggiore con la benedizione di Pecchioli, alla presenza anche di alcuni autorevoli colleghi ed ex colleghi dell'allora PCI. Quindi non c'è bisogno di andare molto lontano. Naturalmente da parte democristiana c'erano altri tipi di rapporti, però devo ricordare che all'epoca del caso Moro - secondo quanto a loro volta rivelano le carte rese pubbliche negli Stati Uniti - il senatore Andreotti, a lungo terminale di riferimento di ambienti statunitensi in Italia, non era più tale, forse perché anche lui incappava nel sospetto di collusione con i sovietici (per questo ho riferito il colloquio Ponomarev - Andreotti del 1977); ma era Cossiga, era inequivocabilmente Cossiga. Silvestri dice sicuramente una cosa giusta e, immagino, se interrogato su Ledeen direbbe: è l'autore dell'intervista a De Felice e di altri libri. Non tutti hanno la voglia di andare a vedere cosa c'è dietro a certi personaggi: ebbene, Ledeen in questa corte dei miracoli è il personaggio importante. Su questo punto il senatore Cossiga non può eludere la domanda, deve spiegarci cosa ci faceva Ledeen - che è quello di cui so io: magari altri sanno di altri, ma di lui sono certo -, questo esperto in dirty tricks in Italia, in quel momento che cosa ha fatto? Aveva un ruolo, come dice Vitalone, magari nel comunicato della Duchessa o è venuto lì così? Ledeen non ha mai fatto niente a caso, era un uomo di notevole potere. Mi rendo conto che la mia risposta è insufficiente, però forse per contestualizzarla meglio andrebbe allargata su un altro versante, quello del senatore Cossiga.

PRESIDENTE. Volevo fare un'osservazione. La sua assomiglia per alcuni aspetti ad una audizione, per altri profili no. Lei però è un parlamentare, e il Parlamento dovrà discutere la nostra relazione sul caso Moro e quindi per questo non sto intervenendo in questo suo debordare.

GIOVINE. La ringrazio, signor Presidente, per aver compreso.

PRESIDENTE. C'è qualcosa però che non riesco a capire. Lei poco fa ci ha detto - lo avevo annotato - che a suo avviso la preparazione dell'agguato in via Fani era percepita negli ambienti dell'Autonomia, o perlomeno percepibile. Inoltre - su questo ci soffermeremo nella prossima audizione - c'è il grosso sospetto che negli apparati di sicurezza vi siano state delle falle che abbiano reso possibile - come Silvestri ci ha riferito che Pieczenik riteneva - che tutto andasse liscio a via Fani. A via Fani, cioè, tutto va troppo liscio per non pensare ad una falla a livello, diciamo, abbastanza alto dell'apparato di sicurezza. Come si giustifica ciò con la volontà di tener fermo il quadro politico? Perché certamente il quadro politico sarebbe rimasto più stabile se Moro non fosse stato rapito.

GIOVINE. Non risultano da nessuna parte collegamenti fra le Brigate Rosse e "l'assetto politico". Le Brigate Rosse perseguono un loro fine e l'assetto politico è tutt'altra cosa, anzi, le Brigate Rosse funzionano da catalizzatore contro questo assetto.

PRESIDENTE. Sì, ma se non salvare Moro, secondo la sua visione delle cose, era funzionale al mantenimento dell'assetto, impedire il sequestro sarebbe stato anch'esso funzionale al mantenimento dell'assetto, anzi molto più efficace, perché poi quell'assetto dopo il rapimento di Moro in effetti dura poco.

GIOVINE. Certamente, però da una parte fare indagini serie su Moro era un obiettivo preciso, visibile e secondo me indispensabile. In generale, prevenire il rapimento di Moro richiedeva un apparato dello Stato ed anche una coscienza repressiva dello Stato che non c'era assolutamente, per le ragioni che prima, rispondendo al collega Fragalà, ho cercato di spiegare. Quindi lo Stato, se esiste una tale entità, non poteva essere a conoscenza dell'obiettivo anche se - mi riferisco ancora alle interviste...

PRESIDENTE. Quindi sarebbero concause che si muovono però su piani diversi.

GIOVINE. Anche se l'unico brigatista a piede libero, che è Casimirri - attendibile in quanto in qualche modo fuori da tutto il contesto italiano - nelle due interviste che ha rilasciato a "Famiglia cristiana" e a "L'Espresso" ritiene che chi avesse avuto occhi per leggere anche solo i comunicati avrebbe capito che Moro era il bersaglio.

PRESIDENTE. Come Renzo Rossellini.

FRAGALA’. I comunicati erano negati!

GIOVINE. I comunicati non furono neanche pubblicati. Al secondo comunicato si pubblicò solo il sommario, facendo riferimento giornalistico a comunicati non pubblicati - noi poi li pubblicammo tutti - e criminalizzando - uso scientemente tale termine - chi osasse andare a divulgarli, quale responsabile di intelligenza con il nemico; il clima era questo. Basta andare a leggersi i giornali dell'epoca, specialmente quelli che rappresentavano il cosiddetto "partito della fermezza", che era un partito molto trasversale. Non dimentichiamo che il compianto direttore de "II Corriere della sera"...

PRESIDENTE. Mi pare che anche l'estrema destra politica partecipasse al partito della fermezza.

GIOVINE. C'erano tutti i tipi secondo me.

FRAGALA’. In modo assoluto.

GIOVINE. Forse il Presidente però si riferiva all'estrema destra extraparlamentare.

PRESIDENTE. No, all'estrema destra politica, quella presente in Parlamento.

GIOVINE. Non sono in grado di dirlo. Però devo dire che le lotte a livello di uomini come Miceli e Maletti hanno inquinato un po' tutta la situazione. Vorrei aggiungere sulla questione politica dell'intervento dello Stato che ricordo che il "Corriere della Sera" - che allora era l'ammiraglia di questa linea, direttore Di Bella - al momento dei funerali di Moro, ai quali la famiglia impose non fosse presente lo Stato, ma che lo Stato fece lo stesso in assenza del corpo di Aldo Moro, titolò a tutta pagina - e a quell'epoca non erano frequenti i titoli a tutta pagina, abitudine poi dilagata - "Fiero requiem dell'Italia per Moro". Ecco, trovo che il partito della fermezza, che niente aveva fatto, tentò in qualche modo anche di attribuirsi Moro come eroe di questa stessa "fermezza" che ne aveva causato la morte. Immediatamente dopo iniziò la rimozione, ma questo è un fatto politico e non voglio, Presidente, abusare della sua pazienza.

FRAGALA’. Però, onorevole - per rispondere anche alla domanda del Presidente - lo smantellamento preventivo era assolutamente in sintonia con la creazione e la tutela di quel quadro politico, perché dava il segnale agli apparati di sicurezza investigativi che era proibito indagare a sinistra. Ricordiamoci che nel 1976 le Brigate rosse erano "sedicenti Brigate rosse", erano fascisti travestiti nell'immaginario...

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, la realtà è complessa. Violante, Caselli, Vigna, Galli, erano tutti magistrati orientati ideologicamente a sinistra, e furono gli unici che fecero qualche cosa di serio sulle Brigate rosse, se non altro perché si collegarono l'uno con l'altro ed evitarono che un brigatista, spostandosi da un distretto all'altro di Corte di appello, improvvisamente riacquistasse verginità. Su questa stasi della risposta al terrorismo rosso nel 1975 ci sono pagine di un libro di Caselli che hanno la loro importanza, la loro evidenza.

FRAGALA’. Le conosciamo benissimo. Tra l'altro, allora in effetti a Torino il capo di questo partito della fermezza era l'onorevole Giuliano Ferrara, più che Caselli o Violante. Desidero farle una domanda, onorevole Giovine, su un problema che ci siamo sempre posti, quello del cosiddetto canale di ritorno. Noi abbiamo appreso dal senatore Cossiga che il giorno in cui Moro fu assassinato, la mattina di quel 9 maggio il senatore Cossiga uscì da casa con la lettera di dimissioni da Ministro dell'interno in tasca perché sapeva che di lì a poco si sarebbe riunito il consiglio nazionale della Dc, presieduto dall'onorevole Riccardo Misasi, e che avrebbe, con un discorso di Fanfani, aperto la trattativa e rotto il fronte tra Dc e Pci del partito della fermezza. Cossiga ci ha detto pubblicamente in questa Commissione che aveva già scritto la lettera di dimissioni. Il problema è che i brigatisti seppero per tempo che si apriva questa possibilità e che quindi Moro poteva a questo punto essere salvato perché si andava verso un riconoscimento comunque politico del sequestro. Quella mattina stessa, in contraddizione, irrazionalmente o con troppa coerenza, Moretti uccide Aldo Moro. Ci siamo posti sempre il problema di questo canale di ritorno: come faceva Aldo Moro a sapere, non soltanto di tutte le discussioni interne dei gruppi dirigenti della Dc e del partito comunista, ma addirittura a mandare le sue lettere mirate ai personaggi che potevano identificare una posizione o un'altra durante la sua prigionia. I brigatisti ci hanno sempre detto che questa era abilità di Moro, perché leggeva i giornali e conosceva i personaggi politici interlocutori del suo mondo; mentre ci sono elementi per pensare che invece vi era un canale di ritorno, qualcuno che andava a riferire e che riferì tragicamente una notizia che a un certo punto fece prendere la decisione al gruppo militare, al gruppo duro delle Brigate rosse di uccidere immediatamente Moro, prima che non potesse più consumarsi questo delitto perché si apriva la trattativa addirittura dal vertice più alto della Democrazia cristiana, cioè il Consiglio nazionale. Voi avete mai saputo, pensato o immaginato che vi potesse essere un personaggio politico che andava a riferire, o che comunque era un trait d'union mai conosciuto tra le Brigate rosse e i gruppi dirigenti dello Stato?

GIOVINE. Non abbiamo avuto conoscenza di questo e in quegli ultimi giorni - quelli in cui si parlò del possibile intervento di Fanfani - non eravamo già più nella partita. Dopo il tentativo Dalla Chiesa sulla questione delle carceri e la totale sordità dello Stato su questo punto, il tentativo fatto con Curcio e l'impossibilità di ottenere da Curcio comunque un proclama, noi non abbiamo avuto più nessuna carta da giocare. Per quanto riguarda invece la prima parte della questione, relativamente al dottor Caselli, devo dire che ho chiesto al dottor Caselli in un breve colloquio se fosse a conoscenza del ruolo avuto dal generale Dalla Chiesa in quel momento e Caselli ha detto: no, non ne sono a conoscenza, però non sono autorizzato a parlare in quanto, essendo la procura di Palermo preposta ad indagare sull'assassinio del generale Dalla Chiesa, la questione è coperta da segreto. Lui però mi ha indicato che il fatto che Buscetta all'epoca fosse nel carcere di Cuneo, che era un punto locale dei carceri di massima sicurezza, era un aspetto importante.

PRESIDENTE. Sono questioni note da moltissimo tempo, perché fanno parte delle due richieste di autorizzazione a procedere che ho letto nella giunta delle immunità del Senato contro Andreotti: quella palermitana e quella romana per la verità, poi trasferita a Perugia, sull'omicidio Pecorelli.

GIOVINE. Quindi, sono agli atti di quella inchiesta. Poi, naturalmente, anche agli atti della Commissione...

PRESIDENTE. Risulta - ne ho parlato anche nella mia proposta di relazione - questo attivarsi di impossibile canale carcerario, che però poi si interrompe quando, secondo Mannoia, Calò dice a Bontade: non hai capito che non lo vogliono salvare?

GIOVINE. Perché era Bontade che avrebbe parlato con Buscetta, chiedendogli e poi la cosa comunque finì lì.

PRESIDENTE. Diciamo che intorno al 15 aprile si interrompono tutti questi canali che erano stati attivati.

FRAGALA’. Onorevole Giovine, lei, o l'onorevole Craxi, o altri esponenti del cosiddetto partito della trattativa siete in possesso di lettere dell'onorevole Moro che non sono state mai pubblicate? Noi sappiamo che ci sono alcune lettere di Moro che non sono state rese note per vari motivi, o politici o personali, soprattutto quelle della famiglia. A lei risulta che ci siano queste lettere e se l'onorevole Craxi è in possesso di alcuna di queste lettere, o è stato destinatario di queste lettere?

GIOVINE. Non sono in grado di parlare per Craxi, perché stranamente di questo argomento non si è più parlato: c'è stata una sorta di rimozione, anche per l'inutilità di tutto questo. Però certamente, all'epoca, i nostri ambienti politici di Milano ricevettero copia delle lettere prima che la stampa ne venisse a conoscenza.

PRESIDENTE. Di lettere non note?

GIOVINE. No, di lettere che poi sono diventate note. Non c'è rimasta in tasca alcuna lettera che poi non sia stata diffusa. Però a noi arrivarono prima e questo, peraltro, ci accreditava la fonte. In seguito vennero tutte pubblicate, sia pure in forma contratta e tronca. Non ricordo di altre lettere. Craxi non me ne ha mai parlato, ma questo non vuol dire.

FRAGALA’. Lei è a conoscenza del fatto che il sequestro e l'assassinio dell'onorevole Moro portarono ad uno scontro all'interno della Guardia di finanza, per quanto riguarda i generali Giudice e Lo Prete, all'inchiesta del giudice istruttore Vaudano sulla Guardia di finanza, sui finanziamenti dei petrolieri e via dicendo?

GIOVINE. So soltanto quello che all'epoca dell'argomento scriveva Pecorelli, che fu quello che attraverso un trasparente gioco di nomi fece uscire la questione. Prendevamo queste rivelazioni dell'agenzia OP per quel che potevano valere: le ho seguite attentamente per vedere quali fossero sostanziate da qualche altro fatto, ma senza avere elementi. Mentre nel caso ENI-Petronim erano state condotte indagini molto accurate che avevano portato a conclusioni sorprendenti, in questo caso, al di là delle notizie di Pecorelli e di altre fonti giornalistiche successive, non abbiamo avuto nulla.

PRESIDENTE. Per ritornare se possibile allo scopo dell'audizione, cioè all'acquisizione di fatti nuovi, le pongo una domanda chiedendole brevemente di dirci se è in condizione di dire qualcosa oppure no. Recentemente abbiamo ascoltato Morucci nell'ambito di una audizione abbastanza "chiusa" e, accanto alle cose che sapevamo, abbiamo avuto due spiragli nuovi. Del primo abbiamo parlato in altre occasioni ed è stato percepito dai mezzi di informazione: riguarderebbe il proprietario di una casa presso Firenze nella quale si riuniva il comitato esecutivo delle Brigate rosse. Nell'ultima audizione è stato detto che probabilmente si trattava di una villa signorile alla periferia di Firenze. L'altro spiraglio era sfuggito anche a me inizialmente: si tratta di un accenno al personaggio - un irregolare - che secondo Morucci avrebbe dattiloscritto i comunicati delle BR. Un accenno ancor più sfumato è stato fatto al brigatista che ha dattiloscritto il memoriale di Moro nella versione consegnata all'autorità giudiziaria dai carabinieri dopo il sequestro in via Monte Nevoso. Ha qualche osservazione da fare su questi spiragli?

GIOVINE. Sulla seconda questione non ho assolutamente nulla da dire. Per quanto riguarda la villa a Firenze ho le informazioni che mi derivano dall'essere nato e cresciuto in quella città. L'espressione "villa alla periferia di Firenze" può riferirsi a duecento edifici diversi. Però devo dire che all'epoca a Firenze contava abbastanza l'aristocrazia terriera. Essa era già intervenuta a supporto di iniziative giovanili nel 1966, dopo l'inondazione. Ci furono movimenti nel 1968 e soprattutto nel 1974 quando a Firenze nacque l'Autonomia. Fu proprio a Firenze che nel 1975 per la prima volta l'Autonomia fece uso di armi da fuoco, senza fare vittime. L'Autonomia a Firenze era molto contigua a questi ambienti di aristocrazia terriera, tant'è vero che si parlava, scherzando, di "Podere operaio". Il famoso anfitrione potrebbe essere identificato in quindici persone diverse. Potrebbe essere fortemente ingiusto nei confronti delle altre quattordici cercare di fare il raccordo.

TARADASH. Comunque si trattava di un aristocratico.

GIOVINE. Di un aristocratico o di una aristocratica.

TARADASH. Innanzi tutto c'è da lamentare che il suo Gruppo non l'abbia designata a membro di questa Commissione, perché dal quadro che lei ci ha fornito questa sera il suo apporto sarebbe stato sicuramente prezioso!

PRESIDENTE. Probabilmente non mi sarei sentito dire da un membro di questa Commissione che la Democrazia in Italia c'è perché si è votato dal 1946 in poi a suffragio universale!

TARADASH. Dal quadro che lei fa della situazione par di capire che c'era una strana alleanza in quei giorni. Il Partito comunista, con l'URSS alle spalle, era alleato con la DC, in particolare con la sinistra democristiana. Poi c'erano la P2 e la destra americana. Erano tutti uniti nella stessa azione politica tendente a far sì che il fronte della fermezza trionfasse e di conseguenza che l'onorevole Moro non venisse liberato. C'era chi, ovviamente sul fronte politico, sosteneva la fermezza e chi, sul fronte operativo, in dissonanza dal fronte politico, agiva perché Moro non venisse liberato. C'era la presenza di Ledeen, esponente della destra americana, collegato a Cossiga; e c'era, diametralmente contrastante, la presenza di Pieczenik, esperto inviato ufficialmente dal Governo americano presso il Ministero dell'interno. Questo è già un quadro sconcertante. Bisognerebbe capire per quale motivo Pieczenik fosse più sulle posizioni di Craxi mentre Ledeen stava su posizioni analoghe a quelle di Pecchioli e Ponomarev. E’ uno scenario da capire per comprendere che tipo di fatti si verificassero. Poi c'era la questione di Dalla Chiesa. Ho capito che lei non abbia voluto informare gli ispettori che stazionavano sotto casa sua. Ma che il generale Dalla Chiesa, che credo avesse all'epoca una responsabilità istituzionale, che era stato candidato a direttore del Sisde e - se è vero quel che ci ha detto Cossiga - aveva subito il veto del Partito comunista, instaurasse un rapporto personale privato con il segretario di un partito politico sostenitore della trattativa, che avesse degli informatori e magari degli infiltrati all'interno dell'Autonomia e delle Brigate rosse e che durante tutto il periodo avesse costruito una sua pista alternativa senza informare di tutto ciò il Presidente del consiglio, il Ministro dell'interno o quello della difesa, senza informare nessuno, questo è un fatto che definire sconvolgente è dire poco, che getta un'ombra sinistra su una situazione. Non voglio dire su una persona, ma certo su una situazione. Getta un'ombra sinistra su quello che era avvenuto prima e su quello che sarebbe avvenuto dopo. Se sarà possibile andremo ad Hammamet per avere conferma da Craxi, ma comunque le rivelazioni che lei ci ha fatto questa sera sul ruolo del generale Dalla Chiesa evidentemente aprono uno squarcio tenebroso sulla vicenda.

GIOVINE. Circa la stranezza della presenza di personaggi americani legati alla Cia o ad ambienti completamente diversi, posso soltanto ripetere che Ledeen fu chiamato da Cossiga, ebbe accesso al Viminale, a carte e ad uffici. Non so assolutamente perché il Ministro Cossiga l'abbia convocato, né quale fosse il suo ruolo. Egli peraltro è molto attento a presentarsi come un free lance e se lo ascoltaste confermerebbe questo suo ruolo. Quindi su quello che ha fatto Ledeen non so niente, cioè so qualcosa su quello che ha fatto prima e dopo, ma su quello che ha fatto nel caso specifico può rispondere solo Cossiga. Pertanto, la mia personale opinione, non suffragata da alcuna prova, è che Ledeen abbia approfittato del legame con Cossiga per uno scopo suo o del suo gruppo non necessariamente congeniale, anzi probabilmente, come indicava l'onorevole Taradash, opposto ad altri. Quando avvengono fatti del genere si buttano tutti dentro, tutti i servizi segreti devono avere una parte quando c'è una fibrillazione di questo genere. Era il terreno di caccia più adatto a gente come Ledeen. Pertanto non mi sorprende la sua presenza, anche perché certi ruoli possono poi essere scambiati con altri. Certamente Ledeen apparteneva all'ala più ferocemente anticomunista dell'ambiente americano; da sempre e scopertamente. L'ho conosciuto come tale, quindi mi pare improbabile per certi aspetti - però in questo campo è meglio non essere troppo recisi - una sua collusione con questa situazione che invece era rappresentata egregiamente dal Ministro stesso che l'aveva invitato. La negligenza del Ministro nel momento in cui si circonda di personaggi del genere è altrettanto grave delle sue inadempienze sul piano investigativo, e torno al caso di Volker Weingraber, sul perché agenti provocatori siano stati mandati, nel caso specifico dal Bundeskriminalamt o dai Servizi in Italia, a infiltrarsi. Ma per fare che e perché? Non è forse, quello tedesco, un servizio alleato? Idem per gli israeliani. Per quanto riguarda invece la parte sul generale Dalla Chiesa, intanto sicuramente il collega Taradash ricorderà che a quell'epoca i Servizi erano più intenti a mandare veline gli uni contro gli altri e a informare gli uomini politici su quello che facevano i loro vicini, in base al vecchio criterio che ognuno vuole sapere cosa fa contro di lui l'amico - e nemmeno è tanto interessato a sapere cosa fa il nemico ideologico - che non a mettere in piedi una struttura. Mi riferisco anche a quanto detto in testimonianze varie da chi aveva delle responsabilità in un periodo precedente, quello in cui i Servizi funzionavano meglio. Per quanto non approvi tutte le dichiarazioni che ha fatto il generale Viviani, egli aveva nel 1972 un ruolo tale da consentirgli, ad esempio, di descrivere rapporti tra i servizi segreti sovietici e una parte della sinistra, ad esempio all'epoca dell'attentato dove trovò la morte l'editore Giangiacomo Feltrinelli. Pertanto in questo contesto io non trovo per niente stupefacente che il generale Dalla Chiesa, uomo tra l'altro abituato ad ottenere comunque dei risultati, si servisse di un suo contatto politico, cui era legato a quanto pare da amicizia personale, per poter avere un ruolo laddove non era previsto, se non nel caso della sicurezza delle carceri, in una questione così importante. Anche perché egli sapeva meglio di quanto sappia io quali erano i canali da attivare. Ripeto, le Brigate rosse, data la loro mentalità militarista, si fidavano soltanto del nemico militare che consideravano più equipaggiato, cioè Dalla Chiesa. Ciò non è sorprendente. Per quanto riguarda i mezzi, non conoscendoli nei dettagli, non posso esprimermi, posso solo dire che non trovo strano ciò che ha fatto Dalla Chiesa; se coincide con quanto ho detto ora e con quanto spero dirà Craxi era una presa di libertà molto limitata rispetto alle gravissime irregolarità che venivano commesse quotidianamente a tutti i livelli, anche i più alti, delle istituzioni dello Stato, e mi riferisco anche a quelle caratterizzate da legami militari. Insisto sul caso dell'agente segreto tedesco perché di lui si è parlato. Quindi di lui si conosce e c'è un processo in corso, perché il servizio segreto tedesco gli ha chiesto di restituire mezzo miliardo di marchi che gli aveva dato perché non aveva ottenuto il risultato che doveva ottenere e lui ora vive tranquillamente in Toscana, ma di altri non sappiamo niente e forse il Ministro dell'interno di allora potrebbe anche far luce su questo. Ormai sono passati vent'anni, quindi la mia risposta forse è insufficiente, ma non condivido lo stupore del collega Taradash su questo comportamento del generale Dalla Chiesa.

ZANI. Signor Presidente, devo dire che in effetti anch'io sono abbastanza stupito, perché per la prima volta dopo aver letto tanti libri, aver sentito anche in questa sede tanti personaggi e aver riflettuto per moltissimi anni su questa vicenda che ha segnato la storia recente del nostro paese, oggi se ho ben capito ci troviamo di fronte ad un'analisi di tipo nuovo rispetto a tutte quelle che si erano sentite finora, secondo la quale in estrema sintesi Moro doveva morire per salvaguardare il quadro politico del compromesso storico. C'è un filo rosso che parte dalla locuzione opposti "estremismi" del prefetto Mazza, il quale crea un clima, una sollevazione, una levata di scudi che è alla base dello smantellamento dell'ispettorato antiterrorismo di Santillo e, aggiunge l'onorevole Fragalà, anche dell'impreparazione della scorta di Moro e quindi dell'impreparazione dello Stato. In generale tutti gli organi istituzionali sono in mora dentro questo filo rosso e quindi in questo modo si assolvono naturalmente le responsabilità di qualsivoglia organo istituzionale. Ciò che ha contato nella vicenda specifica e nella storia recente del nostro paese è stato questo tentativo del partito della fermezza di salvaguardare il quadro politico del compromesso storico; è un'analisi davvero perspicua, dato che il quadro politico salta esattamente all'indomani dell'uccisione di Moro. Dunque, secondo me mi pare ci sia qualcosa che non va in questa analisi. Fino ad adesso avevamo sempre pensato, pur dividendoci nella eventuale ricerca delle responsabilità, ad una sorta di alleanza più o meno vasta, articolata ed occulta contro il compromesso storico, come condizione di questo "essere contro": si prendeva Moro, lo si rapiva e lo si uccideva, questo grosso modo era il quadro. Cioè si voleva affermare un esperimento. Poi, con responsabilità diverse, incroci, strane alleanze e tutto ciò che volete, adesso quest'analisi viene esattamente ribaltata. E’ abbastanza interessante, devo dire, anche se la considero assai poco aderente alla realtà. Il quadro politico salta perché Moro viene prima preso dalle Brigate rosse e poi ucciso, questo è il dato di fatto. Salta immediatamente e dato che nella realtà è avvenuto ciò, ragionando in questo modo, faccio presente che io potrei dire che Craxi era il grande vecchio delle Brigate rosse perché era l'unico davvero interessato alla rottura del quadro politico. Non mi pare che questo sia un modo serio di ragionare. All'interno di tale quadro devo poi dire che ci sono anche degli altri fatti nuovi, che per la prima volta sento espressi in questi termini, e cioè che Pecchioli era di fatto un terminale del KGB essendo uomo di Ponomarev, un organico. Quindi Ponomariov era un uomo che si occupava dell'organizzazione, la logistica...

GIOVINE. Politicamente Ponomarev, per la logistica il KGB!

ZANI. Esatto, stavo appunto dicendo questo. Quindi veniamo a sapere questo. Ho conosciuto il senatore Pecchioli per lungo tempo e ho sempre saputo e verificato che lui era praticamente l'uomo più vicino ad Enrico Berlinguer tra quelli che ho conosciuto. Veniamo invece a sapere che Pecchioli di fatto faceva parte della lobby della P2, la quale - come ricordava poc'anzi anche l'onorevole Taradash - era in contatto con la destra americana e con il generale Haig; quindi sostanzialmente in realtà o Berlinguer lavorava contro se stesso e per il suo suicidio, oppure Pecchioli era un infiltrato del KGB posto alla destra di Berlinguer. Infatti dall'analisi che viene fatta emerge questo dato di fatto, che rappresenta un fatto nuovo: lo registriamo, lo mettiamo a verbale e ci rifletteremo perché è davvero straordinario! Penso che in questo modo sarà difficile fare un passo avanti. Mi domando onestamente a cosa possano servire audizioni di questo genere. Comunque, se il combinato disposto "onorevole Fragalà-onorevole Giovine" ci dà questa nuova analisi della situazione, proveremo a ragionarci su!

FRAGALA’. C'è la variabile impazzita dell'onorevole Zani, che ha detto esattamente il contrario di quello che ho sostenuto io.

ZANI. Io ho cercato di sintetizzare, ma se ho sbagliato correggetemi: Moro sarebbe stato il bersaglio (e quindi il partito della fermezza aveva questo bersaglio) per salvaguardare quel quadro politico che era dentro la strategia politica del compromesso storico.

FRAGALA’. Lo hanno detto tutti, anche Silvestri!

PRESIDENTE. Silvestri questo non lo ha detto. Se rileggiamo il verbale della sua audizione, ce ne rendiamo conto.

ZANI. Come vede, onorevole Fragalà, l'ho ben compresa. Lei lo mette in bocca a Silvestri, poi vedremo se effettivamente lo ha detto: sta di fatto che lei è convinto di questo. Ripeto però che questa è un'analisi del tutto nuova, che io sento per la prima volta. Credo peraltro che sia smentita dalla realtà dei fatti. Infatti, se si voleva salvaguardare quel quadro politico, ci voleva Moro vivo ad elaborare la sua terza fase e a costruire insieme a Berlinguer...

FRAGALA’. Moro liberato dalle Brigate rosse sarebbe stato il peggior nemico del Pci!

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, non anticipiamo il dibattito.

TARADASH. Facciamo però le domande all'audito!

ZANI. Certo, infatti io sto facendo la seguente domanda: ho capito bene? Ci troviamo di fronte a questa nuova analisi, per cui in Italia c'era questa lobby? Per me infatti sarebbe abbastanza sconcertante, come voi capite bene. Se effettivamente il braccio destro di Berlinguer era di fatto un uomo della P2...

FRAGALA’. Chi lo ha detto questo?

ZANI. Come chi lo ha detto? Mi sembra il contenuto di quanto dichiarato.

FRAGALA’. Era un uomo del KGB, come dimostrano tutte le carte e i documenti!

PRESIDENTE. Questo non è vero. Non ci sono né carte, né documenti.

ZANI. Bene, allora a questo punto chiedo formalmente all'onorevole Fragalà o all'onorevole Giovine di avere i documenti che dimostrano che il senatore Ugo Pecchioli era uomo del KGB. Desidero avere questi documenti.

FRAGALA’. Saranno prodotti immediatamente!

ZANI. Perfetto, li attendo e concludo qui il mio intervento.

FRAGALA’. E la domanda all'audito qual è?

ZANI. La domanda è molto semplice: chiedo conferma di tutti questi eventi, cioè del fatto che Pecchioli era uomo del KGB!

FRAGALA’. ... che si incontrava con Maletti per decidere...

ZANI. Che c'entra questo?

PRESIDENTE. Ha detto che Maletti lo ha incontrato una volta sola!

FRAGALA. ... che si incontrava con il capo dei servizi segreti...

ZANI. Ma che c'entra?

PRESIDENTE. Non era il capo dei servizi segreti e poi ci ha detto di averlo incontrato una volta sola.

FRAGALA’. Ha detto tre volte.

PRESIDENTE. Si sta sbagliando: basta rileggere quel resoconto. Lei sta confondendo gli incontri con Boldrini con quelli con Pecchioli.

ZANI. Lei comunque, onorevole Fragalà, sostiene che Pecchioli era un uomo del KGB. Questo è un dato nuovo. Buono a sapersi, perché io non lo sapevo; è una novità mondiale, se mi consente. Bene, dato allora che è una novità mondiale, producete i documenti in modo che noi possiamo poi fare anche una riflessione. Siamo stati nel PCI: o ci hanno presi tutti in giro, oppure anch'io sono un uomo del KGB.

TARADASH. Fragalà intendeva dire che era Pecchioli che si incontrava con Ponomarev e che era il referente del KGB. Non estremizziamo!

ZANI. Bene, io sto cercando di ricondurre il dibattito nell'ambito di una certa normalità, perché lei stesso, onorevole Taradash, si è accorto che con tutto questo giro, tra P2 e Alexander Haig, ne viene fuori un quadro francamente nuovo. Chiedo allora se questo nuovo quadro è effettivamente confermato.

PRESIDENTE. La domanda è quindi se la lettura che l'onorevole Zani ha dato della sua audizione, onorevole Giovine, è un'interpretazione autentica o merita correzione.

CORSINI. L'onorevole Zani chiede anche di più, cioè se è possibile avere la documentazione che attesta la veridicità di quanto dichiarato dall'onorevole Giovine.

ZANI. Esatto, questa è la seconda richiesta.

GIOVINE. Sulla prima questione la ricostruzione fatta dal collega Zani è a sua volta un po' curiosa. Intanto, se egli mi permette, attribuire razionalità a tutti i soggetti e in tutte le circostanze è altamente rischioso.

ZANI. Infatti io non lo faccio!

GIOVINE. Solo chi si riferisce ad un'ideologia molto chiusa può attribuire a tutti i soggetti protagonisti di fatti storici una razionalità indefettibile.

ZANI. E’quello che mi pareva lei avesse fatto!

GIOVINE. Ho già detto rispondendo al collega Taradash che la presenza di Michael Ledeen (e magari anche di altri) nell'entourage e su richiesta del ministro Cossiga, essendo inequivocabilmente Michael Ledeen proveniente dagli ambienti nixoniani del generale Haig, non dimostra nulla. Non ho infatti detto - perché non lo so - cosa ha fatto in quelle settimane e dopo. Dico soltanto che lui si vende come free lance, ha formidabili appoggi internazionali e può benissimo aver montato da solo un'operazione. Questo lo rende ancora più sospetto. Va allora chiesto a Cossiga perchè Ledeen era stato messo lì. Ma andiamo oltre: che le Brigate rosse fossero contro il compromesso storico è talmente noto che non ho perso neanche un minuto ad insistere su questo punto, anche perché non è questo il mio ruolo come audito. Mi scuso quindi con l'onorevole Zani se la mia esposizione ha dato anche solo per un istante l'idea che io la pensassi diversamente. Abbiamo dei soggetti che hanno ideologizzato questa loro posizione; gli stessi Autonomi andavano in giro gridando lo slogan: "Bee, bee, bee, Berlinguer". Quindi forse c'è un equivoco. Quando si dice o si deduce che la morte di Moro dovuta all'inettitudine delle indagini fosse stata provocata, cioè l'inettitudine ergo la possibilità per gli assassini di Moro di proseguire senza che venissero fatti tentativi seri di fermargli la mano, e servisse a mantenere l'assetto politico è quanto ho affermato e quanto credo di poter confermare anche in base a fonti pubblicistiche ormai note, e spero anche in base alle testimonianze. Devo dire che il senatore Cossiga ha detto molte cose, anche in contraddizione l'una con l'altra; recentemente qualcuno - mi sembra il senatore Sergio Flamigni - ha detto che questa faccenda è ormai un nervo scoperto per Cossiga, e così ha anche ribadito il senatore Cesare Salvi. Comunque, leggendo le innumerevoli esternazioni di Cossiga, si trova anche questo: innanzitutto egli ha detto che potevano salvare Moro; in secondo luogo ha detto che non avevano fatto tutto per salvarlo, è arrivato molto vicino a dire francamente che avevano di fatto boicottato le indagini, contraddicendo quanto detto al momento delle dimissioni. Certo un Ministro dell'interno, prima di arrivare a dire questo deve pensarci due volte, ma non sta a me giudicare. Insisto, in base alle carte degli archivi sovietici, di cui sicuramente il collega Zani ha preso visione perché le hanno pubblicate anche i giornali italiani (non soltanto "Stolica" ed altri quotidiani sovietici; vi è stato anche un libro di Francesco Bigazzi, all'epoca corrispondente dell'Ansa da Mosca, e di Valerio Riva, intitolato "Onde rosse", pubblicato in parte su un numero di "Panorama" dell'ottobre 1993, che spiega i rapporti esistenti, con la foto di Pecchioli) sul fatto che il senatore Pecchioli...

ZANI. La foto di Pecchioli non è probante.

GIOVINE. Non posso leggere ora tutti i passaggi, ma si parla di Pecchioli, degli apparecchi radio commissionati ai sovietici da Pecchioli a nome del Pci.

PRESIDENTE. Ma questo in che epoca?

FRAGALA’. Il problema non è cronologico per l'onorevole Zani. Per lui tutto ciò non è mai successo, in nessuna epoca. Non è un problema di tempi.

ZANI. Che cosa non è mai successo?

PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, lei non può attribuire questo all'onorevole Zani, sapendo benissimo che non è storia del Pci.

ZANI. Onorevole Fragalà, lei mi deve soltanto fornire i documenti con i quali si dimostra che Pecchioli era del KGB!

GIOVINE. Onorevole Zani, lascerò qui quanto meno la documentazione di stampa. Comunque, avendo frequentazioni familiari con la Russia, se la Commissione ritiene di rimborsarmi le spese, posso anche recarmi lì a procurarmi la documentazione.

PRESIDENTE. Abbiamo già nominato un esperto.

GIOVINE. Benissimo. Io dico comunque che, mentre di Michael Ledeen si può anche accettare la sua versione che sia un free lance, difficilmente potremmo dire la stessa cosa di Pecchioli, che tutto era fuorché un free lance.

ZANI. Questo non dimostra alcunché.

GIOVINE. No, ma dico soltanto che tutto quello che Pecchioli ha fatto, a torto o a ragione, lo ha fatto in quanto incaricato dal Partito comunista. L'onorevole Zani dice: per quanto mi riguarda potrei anche io essere del KGB; segnalo che il KGB si è sempre fidato piuttosto dei piemontesi che degli emiliani. Spetta a lei indicare il perché; forse è a causa delle decisioni di Palmiro Togliatti negli anni '60. In ogni caso ricomincio ad elencare titoli di rassegna stampa: "Gladio rossa ancora attiva nel '76,",- "Pecchioli guida la Gladio rossa (1993): non può controllare i servizi segreti". Il collega Tassone ora non presente in Commissione fu uno di quelli che impedì che Pecchioli se ne andasse e gli votò a favore; è tutto agli atti; riporto altri titoli: "L’archivio del Pcus incastra Pecchioli",- "Da Mosca 50 milioni di dollari al Pci" - mi scuso, signor Presidente per questa elencazione ma il collega Zani mi chiede le prove - "Gladio rossa: Pecchioli resta, salvato dalla DC" e "Sulla guancia del Komunista di ghiaccio il bacio mortale di Kossiga"; "Pecchioli nella bufera",- "Gladiio rossa: Pecchioli nega e si attacca alla poltrona",- "Anche la DC contro Pecchioli"; "Le verità di Craxi"; "Craxi accusa Pecchioli". E infine leggo: nell'ottobre del 1993 Pannella disse l'intera storia fin dal ritiro del PDS quando si trattava di portare il caso Cossiga in Parlamento descrivendola così: "la successiva ed immediata nomina di Pecchioli all'attuale incarico e l'altrettanto immediata esultanza esternata da Cossiga nel silenzio di quasi tutta la stampa avrebbe meritato e meriterebbe titoli a scatoloni"-, si chieda a Pannella cosa intendesse con queste parole. Vi è un trade off, uno scambio. Come mai il PDS molla le accuse a Cossiga e Pecchioli improvvisamente diventa Presidente? Tutte cose che non sta a me dire. Riporto un altro titolo: "Craxi: Pecchioli deve dimettersi; rispunta Pecchioli nell'armadio del KGB", e così via. Sulla rivista "Cuore e Critica" ho pubblicato nel 1993 un dossier su Pecchioli che farò avere ai commissari.

PRESIDENTE. Se mi consente, nel '93 questa commissione già esisteva e disponeva di una rassegna stampa estremamente aggiornata.

GIOVINE. Il collega Zani non l'ha letta.

PRESIDENTE. Siccome in questi giorni il mondo politico italiano è agitato sull'opportunità di costruire un'ulteriore Commissione d'inchiesta, quello che sta avvenendo stasera ne dimostra i limiti. Ciò che è singolare nella vicenda di Moro è che ci portiamo ancora dietro la palla di piombo di una vecchia polemica politica che dovrebbe essere superata: quello tra il partito della trattativa e quello della fermezza, quanto alle ragioni politiche che spinsero il Pci ad assumere la posizione della fermezza, agli atti di questa Commissione vi è una lettera mandata da Cossiga al Presidente Spadolini (recuperata dall'archivio Spadolini) per dirgli che per il futuro aveva intenzione di dire che un certo giorno era venuto Bufalini che gli aveva detto: per noi Moro è come se fosse morto. Le ragioni politiche che spinsero il Pci ad assumere una posizione della fermezza sono note e sono probabilmente diverse da quelle che spinsero la Dc ad assumere la stessa posizione e ancora diverse da quelle che spinsero il Movimento Sociale italiano ad assumere quella posizione. Oggi abbiamo un dovere diverso: capire perché le istituzioni funzionarono fino ad un certo punto e se è attribuibile solo a disorganizzazione il fatto che la prigione di Moro non fu individuata e Moro non fu salvato. Questo è il giudizio che noi oggi possiamo dare: riprendere questa polemica, a mio avviso sterile, soprattutto attribuendo a persone che abbiamo già sentito cose che in parte non hanno detto, mi sembra un esercizio inutile. Il nostro compito è di capire se si poteva evitare il sequestro a via Fani; gli apparati di sicurezza erano in possesso - fra poco avremo un'altra audizione che ci riporterà drammaticamente a quel elemento - di elementi che potevano avvisare che stava per succedere quanto è successo a via Fani? In caso positivo perché non furono utilizzati e perché i tanti e tanti segnali - non vorrei ricordare all'onorevole Fragalà quante volte ci ha parlato di via Gradoli, dello spiritismo e così via - furono utilizzati così male? Altrimenti, la conclusione è la cronaca di una morte annunciata. Tutti contribuirono ad un evento che forse nessuno voleva.

GIOVINE. Alcuni più di altri.

PRESIDENTE. Compresi quelli che non informavano gli apparati di sicurezza delle trattative in corso con le BR o con ambienti vicine a queste. Ecco perché è importante sentire Craxi; se quello che lei dice è vero, la posizione di Craxi diventa difficile; egli era in possesso di una massa enorme di informazioni laddove la giustificazione può essere quella che mi ha dato Signorile in un dibattito poco tempo fa: non demmo quella informazione, perché come la famiglia Moro, non ci fidavamo di quelli che sarebbero andati a liberare Moro; il che crea una nube estremamente oscura sulla quale non ho personalmente ancora un'opinione definita; ho un dubbio che ancora non sono riuscito a chiarire.

GIOVINE. In questo posso aiutarla: allora scrivevo un libro con Altiero Spinelli - il grande federalista europeo - e mi ricordo che proprio in quei giorni venni a trovarlo qui a Roma, nella sua casa a Clivo Rutario. Gli dissi: credo vada fatta una trattativa per avere delle informazioni che possono servire, e lui mi disse che era assolutamente necessario che io comunicassi quanto sapevo agli organi dello Stato; quindi fui posto di fronte a una questione da una persona che stimavo moltissimo ma io pensai: neanche per sogno. Non c'era bisogno del bicchiere semovente di Prodi per capire che non era il caso di andare a cacciarsi in una situazione impossibile. Se arriva nella mia casa un agente tedesco (il quale poi inventerà che a casa mia abitava una pericolosa terrorista, pure tedesca) egli non può non essere mandato dagli italiani. Quando - dieci anni prima - facevo azioni contro la dittatura "dei colonnelli" in Grecia diffidavo soprattutto delle questure italiane che avrebbero riferito tutto quanto scoprivano su di noi ai loro colleghi greci: un'intera operazione durata oltre due anni in Italia, l'intera rete di sostegno della resistenza greca, fu fatta clandestinamente. Credo di sapere come trattare queste cose; Andreotti me ne ha dato atto in un caso molto più banale. Signor Presidente, non me ne voglia se venti anni dopo sono ancora più convinto che avrei fatto un gravissimo errore esponendo le mie fonti, che dovevo difendere a titolo politico e giornalistico, a chissà quali rappresaglie senza ottenere alcuno lo scopo. Spero che questa Commissione riesca a dimostrarmi che ho avuto torto.

PRESIDENTE. La prova del contrario non c'è; personalmente mi sarei comportato in maniera diversa: avrei lasciato la responsabilità agli altri di non utilizzare queste informazioni.

CORSINI. Vorrei svolgere due osservazioni e due domande: una soltanto per soddisfare una mia curiosità personale nel caso incorressi in una sorta di scambi di omonimia. La prima constatazione è che mi sembra che le campagne di stampa e le rassegne stampa non costituiscano documenti, fonti di prova, di giudizi, di attribuzioni di responsabilità. Poiché sono anch'io molto interessato alla vicenda di Pecchioli, invito il collega a fornirmi fonti e documenti, non rassegne stampa. La seconda osservazione un po' polemica è la seguente: il presidente Pellegrino sarà molto soddisfatto perché questa sera è diventato anche Presidente in pectore della futura Commissione, se ci sarà, su tangentopoli...

PRESIDENTE. Ho già rifiutato; ho proposto il collegio arbitrale e ho dato scelta all'altro arbitro, il presidente Cossiga, di scegliere il Presidente tra l'onorevole Severino Citaristi e il procuratore Borrelli.

CORSINI. E sempre sulla base di una documentazione che non è una documentazione, cioè il fatto che Pecchioli abbia ricevuto non so se 50.000 dollari, non ho ben capito, entriamo nel cuore di Tangentopoli, quindi ringrazio l'onorevole Giovine perché con la sua presenza questa sera ha inaugurato questa nuova Commissione.

FRAGALA’. Fu fatta l'amnistia per i finanziamenti dall'estero per Pci e Dc: un po' di soldi li avete presi anche voi!

CORSINI. Probabilmente li hanno presi tutti. Se io ragionassi con l'impianto logico che ha caratterizzato alcuni passaggi dell'audizione per la parte che ho ascoltato, e cioè in realtà che l'assassinio di Moro è servito a stabilizzare il sistema politico, dovrei trarre l'arbitraria, o fondata, conclusione che, siccome noi dobbiamo accertare le tante responsabilità di chi non ha portato alla liberazione di Moro, anche l'onorevole Giovine porta questa responsabilità. Perché se ipoteticamente avesse reso pubbliche o fatto conoscere le sue fonti, avrebbe aperto sicuramente una pista di ricerca per l'individuazione dei carcerieri di Moro. Le due domande. In realtà Michael Ledeen non è un free lance, Michael Ledeen esordisce sulla scena dell'imprenditoria e della pubblicistica italiana con due volumi: il primo l'intervista a De Felice sull'antifascismo, e il secondo il volume, pubblicato da Laterza, sull'internazionale fascista. Sono molto interessato ad una migliore identificazione di questo personaggio, che all'epoca negli ambienti accademici e degli storici italiani suscitava non poche perplessità non soltanto in ordine alle tesi che sosteneva e che aveva pubblicizzato soprattutto nel secondo volume, ma proprio in relazione alla sua figura di studioso. Ho letto nella sua biografia, collega Giovine, che lei ha insegnato in non meglio definite università americane.

GIOVINE. Non meglio definite da chi? Dalla biografia, non da me.

CORSINI. Sì, dalla biografia, nel senso che nella "Navicella" si dice che lei è stato per una certa fase docente in queste università, ma non si dice quali. Ma questo non è un problema. La cosa che mi sconcerta è che per un verso lei sembra informato dell'identità più propria di questo personaggio americano, e quindi le chiedo se può darmi qualche ulteriore elemento per conoscere meglio la biografia, la collocazione politica e il ruolo di Ledeen. Ad esempio, una voce che circolava negli ambienti universitari è che Michael Ledeen fosse uomo dei servizi segreti americani. Non so fino a che punto questa voce fosse fondata. Sulla base delle conoscenze che lei sicuramente avrà tratto dalle sue esperienze americane, per le notizie che ci dà questa sera, può ulteriormente approfondire l'identità di questo personaggio? La seconda domanda scaturisce da una mia curiosità personale: non vorrei che ci fosse un’omonimia e quindi io sia tratto in inganno. Lei ha mai avuto processi o riportato condanne in primo grado per diffamazione?

GIOVINE. Credo di aver ben compreso le domande del collega Corsini e forse, non maliziosamente, anche lo spirito di queste domande. Cercherò quindi nelle risposte di non deluderlo, nel senso di dare alle risposte un contenuto, ma anche un certo spirito. In primo luogo, per quanto riguarda l'individuazione del carcere di Moro e quello che io avrei voluto fare rivelando quello che stavo facendo, ho già detto che in nessun caso durante la trattativa noi riuscimmo a capire alcunché sulla localizzazione di Moro, perché non era questo il nostro obiettivo. E se anche lo fosse stato, non avremmo saputo niente. L'obiettivo era creare un ambiente favorevole ad una trattativa fatta da privati in base - diremmo oggi - al principio di sussidiarietà, visto che lo Stato non interveniva. Quindi sarebbe stato contraddittorio con l'intenzione stessa che io mi rivolgessi a quello Stato che non faceva niente; e tutto questo lo abbiamo scritto, personaggi autorevoli di tutte le parti. Ricordo nella sinistra, tra i religiosi, padre Ernesto Balducci, padre Davide Maria Turoldo, personaggi che vengono ora glorificati e collocati in loro nicchie dalla sinistra al potere, ma forse dimenticando il loro ruolo di allora. Padre Camillo Da Piaz, un eroe della Resistenza. Non accetto facilmente queste semplificazioni un po' parziali. Quindi sarebbe stato contraddittorio che io fossi andato a rivelare a quello Stato che scientemente non faceva niente, quel poco che noi potevamo fare. Dopo venti anni noi sappiamo che lo Stato sapeva di via Gradoli; non è ancora chiaro, ma nell'intestazione degli appartamenti, il dossier presentato dal collega Fragalà e altri...

PRESIDENTE. Lo aspettiamo.

GIOVINE. ... se ancora oggi vi sono ombre su questo...

FRAGALA’. C'è un'indagine della procura di Roma.

GIOVINE. Devo dire che sono contento di aver dato quel giorno quella risposta ad Altiero Spinelli, il quale, fra l'altro, aveva fatto la scelta di ritornare nel Pci, invitatovi da Amendola. Questo perché, anche per quanto riguarda Giuliano Ferrara, che è stato dirigente comunista, e altri ex comunisti, non si sa mai nella vita cosa può succedere... Che uno che ha sofferto anni per essere diventato anticomunista, come Spinelli, alla fine, torni nel Partito comunista, insegnava delle cose a chi aveva imparato tanto da un grande uomo come lui. Avevo conosciuto lui e sua moglie Ursula Hirschmann nel 1962. Certamente, ciò mi indusse a non fare una sola parola, al contrario di quanto egli mi chiedeva. Ma andiamo al concreto. Per quanto riguarda le fonti della rassegna stampa, sicuramente già saprete di quali fonti si tratti; le avevo portate qui per prudenza, per un antico vizio giornalistico: non faccio più il giornalista professionista da 15 anni. Qui ci sono i testi delle carte dell'archivio: cos'altro vogliamo? Quando si fa la storia si vanno a vedere gli archivi di Stato. Se si trovano delle carte, fino a prova contraria, esse sono valide.

CORSINI. Sugli archivi di Stato, come lei ben sa, c'è una seconda operazione da compiere, che è quella relativa all'autenticità delle fonti, perché non basta produrre un documento, bisogna dimostrare che è degno di fede, che è autentico.

PRESIDENTE. L'altro giorno, durante l'ultima audizione, è venuta una persona a dirci che ha visto un documento autentico russo in traduzione italiana; il che creava qualche problema sull'autenticità.

TARADASH. La Commissione possiede dei documenti che ci sono arrivati dalla Russia; abbiamo l'inchiesta Ionta, i rapporti tra Pci e Urss sono dimostrati!

PRESIDENTE. Dove però la periodizzazione storica diventa molto facile.

ZANI. Questo lo dovevano chiarire Fragalà e l'onorevole Giovine.

CORSINI. Onorevole Giovine, io ho fatto un'altra riflessione; ho detto che se noi applicassimo sillogisticamente la logica che lei applica all'interpretazione delle finalità dell'assassinio di Moro, dovremmo paradossalmente e arbitrariamente dedurre, sotto il profilo puramente logico-formale, che lei ha una responsabilità diretta in ordine alla mancata individuazione di personaggi che avrebbero potuto portare alla scoperta del covo e alla liberazione di Moro. Questo è un puro ragionamento logico-formale.

GIOVINE. Lei sta stabilendo un nesso di consequenzialità del tutto arbitrario. Lei mi sta dicendo che, siccome le persone con cui io ero in contatto erano a loro volta in contatto con le persone che in via Gradoli o altrove tenevano Moro, se io avessi dato il nominativo alla polizia...

CORSINI. In linea di principio, non di fatto.

GIOVINE. Ma l'errore che lei fa è che non c'è questo nesso, perché io avevo invece la certezza che i nostri interlocutori non erano i rapitori di Moro e non erano con costoro fisicamente in contatto. Infatti nei processi non è mai risultato nessuno scambio provato fra chi era dentro e chi era fuori. Cinque processi, nessuno scambio: perché mi dice queste cose? Per lasciare a verbale una traccia?

CORSINI. Ho letto la prima domanda che suppongo il Presidente le abbia fatto, perché è nel tabulato delle domande, che fa riferimento alla figura di Morucci.

PRESIDENTE. L'onorevole Giovine ha già risposto, dicendo che quello era un errore dei giornalisti, che lui oggi, ex post, può pensare che il contatto di quegli autonomi fosse Morucci, ma allora non ne aveva conoscenza.

GIOVINE. Questo l'ho chiarito all'inizio. La mia dichiarazione è stata riportata erroneamente dall'agenzia di stampa, a quell'epoca io non sapevo neanche chi era Morucci: la giornalista ha in qualche modo creato una sincope nell'intervista, ha messo insieme una valutazione di massima, come fu quella di Bologna, facendo in buona fede confusione. E’ un equivoco.

PRESIDENTE. Vorrei però su questo punto introdurmi un attimo. Poi risponderà alle domande di Corsini, meno a quella sul processo per diffamazione. Risponda semplicemente a questa domanda. Lo scontro politico era fra trattativa e fermezza; se la prigione di Moro fosse stata individuata e Moro fosse stato liberato, per il partito della trattativa sarebbe stata una sconfitta politica ed avrebbe dimostrato che la linea della fermezza era giusta; così come, per converso, se durante un'operazione militare che avrebbe dovuto portare alla liberazione di Moro casualmente, in uno scontro a fuoco, Moro fosse rimasto ucciso, per il partito della fermezza sarebbe stata una grande sconfitta, le piazze si sarebbero riempite di manifesti e di persone. Non potrebbe allora essere questa la banale spiegazione del perché i fautori del partito della trattativa non passarono agli organi di sicurezza informazioni che erano utili e del perché il partito della fermezza diventa il partito della stasi e non dell'azione? A me che non ho vissuto direttamente quel periodo questa sembra una verità che si impone in termini di assoluta evidenza logica.

GIOVINE. Concordo. Per la prima parte della sua esposizione, volevo farle presente...

PRESIDENTE. Le faccio un esempio: Dozier rappresenta una sconfitta del partito della trattativa, perché non c'è bisogno di trattare per fare operazioni di polizia, individuare il covo, entrare, liberare Dozier, e dopo un minuto Savasta aveva raccontato mezza storia delle Brigate rosse, la storia che conosceva lui; fu una sconfitta della logica della trattativa. Viceversa, nel momento in cui un'azione militare si fosse conclusa con la morte anche accidentale dell'ostaggio, sarebbe stata una sconfitta gravissima per il partito della fermezza. Ecco perché nasce la situazione di blocco: perché un problema istituzionale diventa un problema politico.

GIOVINE. Signor Presidente, secondo me non bisogna mettere neanche in linea teorica sullo stesso piano chi ha in mano lo Stato e chi con mezzi estremamente ridotti, sia pure con la collaborazione di uomini come Dalla Chiesa, cerca di porvi rimedio, perché non c'è paragone. Lo Stato della "fermezza" era fermo. Non sono io a dirlo, non voglio annoiare di nuovo la Commissione tirando fuori dei dati di stampa: era fermo! Noi cercavamo semplicemente la salvezza di Moro, non ci veniva neanche in mente quale fosse la conseguenza politica di una soluzione o dell'altra. Reagivamo al fatto.

PRESIDENTE. Sì, onorevole, ma in una riflessione serena un pedinamento di Pace avrebbe portato a Morucci e Faranda, un pedinamento di Morucci e Faranda avrebbe portato a Moretti, arrivati a Moretti con ogni probabilità Moro si sarebbe potuto liberare.

GIOVINE. Ed una ispezione nell'appartamento di via Gradoli fatta tempestivamente avrebbe portato...

PRESIDENTE. Esatto. Ecco perché dico che dovremmo abbandonare questa polemica, perché è la polemica politica che secondo me ha determinato involontariamente in gran parte l'evento e poi il concludersi tragico di questa vicenda.

GIOVINE. Signor Presidente, capisco il suo punto di vista. Mi rincresce che malgrado la mia troppo lunga esposizione non sia riuscito a dare l'idea di che cosa sia stata la primavera del 1978, di cosa sia stato quel periodo e di come tutti quelli che come noi hanno cercato di fare qualcosa ed anche coloro che, come il presidente Scalfaro, niente hanno fatto ma hanno forse pensato che potevano fare, ancora oggi annaspano in quest'idea che si poteva fare, che si doveva fare...

PRESIDENTE. Le consento di sindacare il Ministro dell'interno dell'epoca, non il Capo dello Stato di oggi perché questo ci è impedito dalla Costituzione.

GIOVINE. Mi riferisco all'interpellanza presentata e poi ritirata dal senatore Cossiga e poi ripresentata (e quindi agli atti) dal collega Mancuso, quindi non dico niente di nuovo.

PRESIDENTE. Ho ascoltato quel dibattito.

GIOVINE. Voglio solamente ricordare, per tornare alla domanda dell'onorevole Corsini, intanto che appena qualche giorno fa il senatore Cossiga ha di nuovo parlato dell'amnistia del 1989 e dei finanziamenti goduti dal Pci da parte del Pcus attraverso il KGB; non voglio neanche ripeterlo. Per quanto riguarda Michael Ledeen, per la verità non ho seguito questo personaggio anche se mi ricordo che ad un certo punto da notizie varie - perché era un personaggio inquietante, perciò interessante - avevo una documentazione. Confesso la mia negligenza: avendo già dovuto impiegare parecchie ore per prepararmi alla seduta di stasera, ho lasciato perdere Ledeen. Da qualche parte si troverà per esempio un articolo di Claire Sterling; Ledeen ne ha fatte di tutti i colori, però onestamente ricordo che ne sapevo molto di più dieci anni fa che non ora, ne sapevo abbastanza da poter affermare con certezza che era un uomo pericoloso... sul fatto poi che fosse dei servizi, onestamente io non credo che uno che fa parte dei servizi, di qualsiasi tipo, possa comportarsi con la disinvoltura che aveva Ledeen, però niente è escluso. Alexander Haig all'origine non era dei servizi, eppure ne disponeva, come si vide quando scoppiò lo scandalo "Iran-Contras".

PRESIDENTE. Ma la domanda era se i suoi studi nelle università americane le hanno dato informazioni specifiche su Ledeen.

GIOVINE. Io ho insegnato politica europea e mediterranea e rapporti internazionali (a quella che allora si chiamava School of Advanced International Studies), alla Johns Hopkins University di Washington e poi alla Standford University (il programma italiano), poi anche alla Johns Hopkins di Bologna. Alla prima mi aveva destinato nel 1971 proprio Spinelli; con la seconda ho sempre avuto rapporti, dato che in Italia la dirigeva un mio vecchio amico, lo storico Giuseppe Mammarella.

PRESIDENTE. Quindi non ha informazioni americane sul personaggio.

GIOVINE. No, assolutamente no. Sono informazioni note...

TARADASH. Bastava chiederlo.

GIOVINE. Non mi sono mai occupato accademicamente in questo mio periodo di insegnamento universitario di questioni che riguardassero servizi, perché non esiste nessun insegnamento pagato - e io insegnavo per denaro, non per la gloria, e per questo motivo lo facevo negli Stati Uniti - sull'argomento. Sull'ultima domanda del collega Corsini, sulla diffamazione, rispondo molto volentieri...

PRESIDENTE. Questa è una domanda che non vorrei ammettere. Lei può trincerarsi dietro questa mia valutazione di non ammissibilità della domanda.

GIOVINE. Poiché però la domanda potrebbe, se rimanesse senza risposta, ingenerare dubbi, volontariamente rispondo che avendo vinto cause per diffamazione (per esempio, una contro il quotidiano "l'Unità" a Milano che attraverso un Bollettino di Controinformazione Democratica compilato dai genitori di uno degli assassini di Tobagi, mi aveva accusato di alcune cose). Più tardi ne ho persa una e vinta un'altra contro due magistrati, per responsabilità oggettiva in quanto un mio collaboratore ed amico, attualmente noto giornalista televisivo, aveva scritto un pezzo in cui figurava la collocazione di un magistrato in un ambito massonico. Effettivamente, avendo avuto più tempo, forse potevo cancellare fra le tante cose quel riferimento, che tra l'altro era irrilevante per l'articolo. Mentre abbiamo vinto la querela del magistrato bolognese Persico, abbiamo perso quella contro il magistrato calabrese Marino: la Corte era presieduta dal giudice Caccamo. Sono cose che capitano. Molto si è discusso in ambito giornalistico se la responsabilità oggettiva sia veramente giusta o meno; io la ritengo giusta, perché ci deve essere pure un responsabile; essendo stato diffamato a volte io stesso... Ma non ho scritto mai niente che sia stato considerato diffamatorio per qualcuno, e di questo porto modesto merito.

PRESIDENTE. Tutta quella vicenda fa parte di un altro oggetto di inchiesta della Commissione, che però per adesso non stiamo affrontando. Direi che possiamo considerare conclusa questa audizione, anche perché siamo in ritardo con l'audizione del dottor Frattasio. Ringrazio pertanto l'onorevole Giovine per il suo contributo.

La seduta, sospesa alle ore 22,05, riprende alle ore 22,15.





 
Top
CAT_IMG Posted on 24/2/2022, 21:35
Avatar

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

Group:
Administrator
Posts:
8,427
Location:
Gotham

Status:


I







PARTE 2






NCHIESTA SUGLI SVILUPPI DEL CASO MORO: AUDIZIONE DEL DOTTOR ANTONIO FRA TTASIO

Viene introdotto il dottor Antonio Frattasio

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca ora, sempre nell'ambito dell'inchiesta sugli sviluppi del caso Moro, l'audizione del dottor Antonio Frattasio. Mi scuso con il notaio Frattasio per il ritardo della sua audizione, che era fissata per le ore 21, ma l'audizione precedente ha avuto un sviluppo più lungo di quello che aveva pensato l'Ufficio di Presidenza nel fissare le due audizioni nella stessa giornata.

Il notaio Frattasio, che ringrazio per la sua presenza, avrà capito le ragioni per cui l'Ufficio di Presidenza ha deciso di fare questa audizione. Si riferiscono a dichiarazioni del notaio Frattasio che sono apparse sull'agenzia Adnkronos il 17 giugno 1998. Vorrei innanzitutto che il notaio Frattasio mi confermasse il contenuto di queste dichiarazioni. L'agenzia riporta: "Durante il sequestro Moro al Viminale c'era una talpa che informava le Brigate rosse. Lo afferma l'ex commissario di Ps, Antonio Frattasio, in servizio presso la sala operativa della Questura di Roma nei giorni della strage di via Fani e del rapimento del presidente della Dc. L'ex funzionario, che risiede ad Udine, dove svolge la professione di notaio, in una dichiarazione al settimanale "Friuli", ha affermato inoltre: "Quella mattina del 16 marzo al timone della sala operativa della Questura di Roma c'era un ufficiale di Ps, e fu lui a dare l'ordine di spostare l'autoradio di Montemario in via Fani. Documenti che lo provano sono ora in mano alla procura di Udine". In una seconda dichiarazione, una lettera al giornale pubblicata 1'11 giugno 1998, Frattasio aggiunge che il caposcorta di Moro, maresciallo Oreste Leonardi, "prendeva ordini e comunicava direttamente con la sala operativa del Viminale. Anche dopo tanti anni" - prosegue - "sarebbe importante individuare la possibile talpa del Viminale. Non certo per conoscere uno o più fiancheggiatori dei brigatisti. In questi venti anni costoro avranno fatto carriera, vuoi nella stessa Amministrazione, vuoi potrebbero avere assunto importanti cariche istituzionali. Da ciò, dagli appoggi di carriera, dalle relazioni personali, sarebbe possibile, come di fatto ha segnalato la signora Moro, capire chi è quell'intelligenza che ha suggerito, magari tramite un canale internazionale, di colpire l'onorevole Moro". Frattasio ipotizza che "ci potesse essere un gruppo di persone che facevano capo al KGB, servizio che non aveva meno interesse degli americani a far fuori Aldo Moro".Vorrei sapere innanzitutto se lei conferma queste dichiarazioni, naturalmente rendendosi conto della loro gravità, perché provengono da un ex funzionario del Ministero dell'interno.

FRATTASIO. Confermo innanzitutto le dichiarazioni, tranne ovviamente lo spunto del KGB, che è una piccola deduzione fatta dalla giornalista e che comunque è consequenziale a delle mie esternazioni. Signor Presidente...

PRESIDENTE. Mi scusi, non avevo finito. Quindi lei può dire alla Commissione chi era al timone della sala operativa della Questura di Roma, l'ufficiale di pubblica sicurezza che diede l'ordine di spostare l'autoradio di Montemario in via Fani?

FRATTASIO. Signor sì.

PRESIDENTE. Perché un'autoradio che fosse rimasta in via Montemario avrebbe intercettato la via di fuga dei brigatisti, mentre spostandosi in via Fani lascia in realtà libero il canale di fuga dei brigatisti che avevano rapito Moro.

FRATTASIO. Sì, ma il fatto più grave è come sono venuto a conoscenza, i motivi per cui sono venuto a conoscenza, che vorrei illustrare a questa Commissione in pochi minuti perché non credo che stiamo discutendo di caporali. Vorrei quindi, Signor Presidente, enunciare la mia vicenda per chiarire, perché non è un numero, non è un nome, ma è come mai c'è questo nome, come mai questo nome non è stato mai fatto, come mai questo nome è stato invece sostituito con ipotesi nei miei confronti da tanti anni; questa è la gravità. Ma soprattutto, la gravità in totale, è che non era un piccolo cialtrone, un "qualcunetto", un giornalista, eccetera, ma una persona che, a mio giudizio, ha rivestito e quindi nella specie riveste una funzione istituzionale somma. Lei, ad esempio, signor Presidente, adesso riveste una funzione istituzionale somma, tra dieci anni potrà essere un cittadino privato, ma comunque, se parlerà della Commissione Stragi, a mio giudizio lei svolgerà una funzione istituzionale somma. Questa è la mia opinione.

PRESIDENTE. Somma forse è un'esagerazione. Diciamo che svolgo una funzione istituzionale.

FRATTASIO. Lo so, ma dal punto di vista giudiziario mi dica un po' lei...Comunque, il senatore Flamigni mi coinvolge personalmente e direttamente nel caso Moro in due ipotesi che sono contenute in tre documenti: un primo documento è la lettera da lui spedita il 18 marzo 1998 al presidente della Corte di appello di Trieste, il secondo è un brano del suo ultimo libro, il terzo è un'intervista da lui rilasciata il 28 maggio di quest'anno al settimanale "Friuli" di Udine, intervista che è confermata da una successiva lettera pubblicata. Signor Presidente, le ipotesi - tolti i se, i condizionali tipici, che sono strumentali per effetti di carattere giudiziario - le espongo in questa maniera. La prima ipotesi è che io, dottor Antonio Frattasio, all'epoca commissario di pubblica sicurezza in servizio presso la sala operativa della Questura di Roma, la mattina del 16 marzo 1978 - secondo il senatore Flamigni - sarei stato di turno.

PRESIDENTE. Mentre lei ha sempre opposto che aveva fatto il turno la sera prima e quella mattina era andato a casa.

FRATTASIO. Perfetto. Su questa base...

PRESIDENTE. Mi scusi, notaio. Se fosse stato per le dichiarazioni di Flamigni avrei personalmente detto che ritenevo inutile la sua audizione.

FRATTASIO. No, signor Presidente, la mia audizione non è inutile e gliene spiegherò sinteticamente i motivi.

PRESIDENTE. Quello che vorrei chiarire è che io non le sto contestando quello che le ha attribuito Flamigni. Vorrei avere chiarimenti su quello che lei ha affermato.

FRATTASIO. Adesso ci arriviamo, signor Presidente, non si offenda.

PRESIDENTE. Non mi offendo.

FRATTASIO. Su questa base il senatore Flamigni sostiene che io, con la presenza di Antonio Esposito - piduista, eccetera eccetera - ho dato l'ordine di spostare l'autoradio del commissariato Montemario da via Bitossi, che era di servizio posto fisso presso la casa di un magistrato, in via Fani. Ciò facendo, ho agevolato, ho contribuito al trasbordo dell'onorevole Moro dalla Fiat 128 ad un furgoncino che è avvenuto lì nei pressi. La seconda ipotesi, molto più interessante signor Presidente, è che io, sempre quella mattina di turno, ho dato la disposizione dell'itinerario da seguire alla scorta dell'onorevole Moro e che l'autoradio dell'onorevole Moro era collegata con la sala operativa della Questura di Roma.

PRESIDENTE. Questo è noto, come sono state fino ad ora note le sue risposte in replica a Flamigni. Questa volta però lei ha aggiunto due cose che prima non aveva detto mai: che sapeva chi era la persona che diede l'ordine e che Leonardi rispondeva al Viminale per cui la talpa, se c'è, è al Viminale. Il problema - per la Commissione - è come facevano i brigatisti ad essere sicuri che Moro sarebbe passato da via Fani, quando era noto che la scorta seguiva tragitti diversi.

FRATTASIO. Dirò due cose di più, per quanto riguarda la Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani di cui l'onorevole Flamigni rappresentava la minoranza e quindi era molto più importante della maggioranza. Devo informare questa Commissione di due cose: primo, che sono stato coinvolto in ipotesi del caso Moro fin dal 1° settembre 1991; in secondo luogo, che nei miei confronti è stata posta in essere un'operazione a doppio binario; un'operazione giudiziaria in senso lato volta ad attribuirmi una personalità criminale. Mi spiego: se fosse stato vero, come dice Flamigni, che io avessi dato l'ordine di spostare la macchina, sarei un cretino e quindi meno male che ora faccio il notaio e non il commissario. Se invece si tenta di far acquisire che avrei rapporti con la P2, con Gladio, con i trafficanti d'armi, è chiaro che in questo caso la mia presenza nello scenario della strage dà adito ad ipotesi di complotto. Ma non vorrei farle perdere tempo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Non vorrei che lei fraintendesse il senso di questa audizione.

FRATTASIO. Parto dall'istanza di appello presentata dal noto avvocato Livio Bernot a Trieste per la condanna di due suoi difesi a seguito di una querela per diffamazione da me fatta: infatti sono stati condannati in primo grado (e la sentenza è stata confermata in appello) l'ex senatore del partito comunista Stojan Spetic quale direttore responsabile e Luigi Grimaldi quale autore del libro che contiene la diffamazione, il quale, tra l'altro, ha la introduzione di Felice Casson. Da questo punto di vista nell'istanza i due mi attribuiscono tre ipotesi di coinvolgimento nel caso Moro. La prima, la madre di tutte le ipotesi, è che io ero il capo della scorta di Moro, ero Leonardi, tanto per intenderci, e che in quel frangente sono andato a sparacchiare ai miei colleghi, ho preso le borse di Moro. Questa è la prima ipotesi, quella lanciata nel 1991 dalla Digos di Udine.

PRESIDENTE. Questa mi era sfuggita.

CORSINI. C'è un'altra persona che lo dice.

FRATTASIO. Non si preoccupi, sistemeremo tutti quelli che lo dicono. Comunque questa è un'ipotesi un po' trascurata ed è emersa soltanto perché le due persone che ho citato prima sono state condannate per diffamazione. Il cavallo di battaglia è la seconda ipotesi, quella secondo la quale io quella mattina dissi di andare lì e così sistemai la scorta di Moro e feci il trasbordo. C'è poi una terza ipotesi, appena abbozzata, ma, se non è zuppa, è pan bagnato: siccome sono amico di tizio, che è amico di caio, che è amico di Delfino, che ha rapporti con la ‘ndrangheta, potrei essere una di quelle ombre che sono state individuate attorno a Via Fani. Se volete particolari su queste ipotesi, posso lasciare agli atti la mia denuncia alla procura di Udine, nella quale tutti gli elementi sono riportati. L'unico punto emerso nella sentenza di primo grado è che Grimaldi ha consegnato, tramite il senatore Flamigni, il rapportino di fine turno del 17-18 marzo. Alla fine di ogni turno in sala operativa veniva redatto un rapportino che si portava all'ufficio di gabinetto, che conteneva un riassuntino di tutte le cose più importanti. La firma era di competenza non del dirigente di turno, ma del dirigente della sala operativa, che all'epoca era il dottor Sucato. Il funzionario di turno era abilitato a firmare quando Sucato non c'era. Ovviamente, signor Presidente, alle sette del mattino Sucato non si faceva mai vedere. Il fatto che lo abbia firmato io il giorno 18 dimostra che quel giorno ero in sala operativa e che ho diretto il turno.

PRESIDENTE. Quindi lei sostiene che, avendo firmato quel rapporto, lei non c'era nel turno successivo perché era andato a casa.

FRATTASIO. Esatto. Io credevo nella buona fede dei membri della precedente Commissione d'inchiesta. Pensavo che dicessero che Frattasio era lì perché non c'erano i documenti, perché non c'era la prova del contrario. Cerco allora una prova indiretta. Come posso procurarmi la prova indiretta? Chiedo una dichiarazione della sala operativa che specificasse quale era la procedura ed il ritmo del turno e chi era presente a cavallo tra il 17 e il 18 per dimostrare quale era il mio turno e quale era la mia cadenza. Ho chiamato la sala operativa; tenga conto, signor Presidente, che era la prima volta che parlavo con la segreteria perché io non ho mai intrallazzato. Ho parlato con un sottufficiale che mi ha detto: venga, ma prima gentilmente ci faccia una domanda. Dopo un po' di tira e molla, faccio la domanda e mi dicono di andare. Nel frattempo avevo inviato una sorta di relazione per spiegare cosa volevo in modo da non nascondere niente sulla serietà della questione. Tenete conto che in quel momento ero commissario di pubblica sicurezza dipendente dalla sala operativa, ma questa era dipendente dalla Squadra mobile ed il mio capo, dopo Sucato, era l'attuale capo della polizia. Pensavo che tutto sommato dire che un commissario potesse essere implicato in questa storia potesse essere abbastanza imbarazzante. Invece, arrivato a Roma non vengo ricevuto dal signor questore, perché aveva troppe cose da fare: non vengo ricevuto dal capo di Gabinetto, dottor Tagliente (all'epoca dei fatti capitano Tagliente), non vengo ricevuto da nessuno e questo mi sembrava strano. Vengo invece ricevuto dal dirigente della sala operativa che mi consegna un pezzo di carta nel quale si attestava che avevo prestato servizio lì. Ma lo volevo i turni e loro l'avevano capito. Per strada ho incontrato un certo Mocavero, mio dipendente operatore del canale 13, quello dell'autoradio. Ho scambiato qualche battuta cercando di capire il più possibile ed il quadro è cominciato a divenire più chiaro. Tornato ad Udine, poiché dovevo sapere qualcosa, mi sono letto il libro di Flamigni, "La tela del ragno", quell'opera letteraria interessante e molto culturale. Da lì sono riuscito a capire che in Commissione c'erano i verbali. Attraverso Internet mi sono fatto inviare tre o quattro raccolte di atti e, signori miei, nel volume 29, da pagina 989 a pagina 1026, ho trovato tutti i documenti che dimostrano chi dirigeva il turno quella mattina del 16 marzo 1978. Vogliamo scherzare? Ci sono sei schedine del 113, le fotocopie di entrambi i brogliacci di due canali, il 13 ed il 23, i rapportini di fine turno. C'è la schedina delle 9,03 che manda l'autoradio che è firmata da una sigla. C'è la schedina delle 9,06 quella dalla quale risulta che la macchina è arrivata e gli agenti dicono che sono tutti morti. La firma è identica, è sempre lo stesso funzionario. C'è poi la schedina delle 10,10: ditemi voi se questa non è la firma di Tagliente!

FRAGALA’. Era il capitano Tagliente?

FRATTASIO. Dire che c'era Tagliente vuol dire rovinare la carriera di un funzionario. A mio avviso Flamigni sapeva fin dall'inizio che il dirigente di turno quella mattina non era Frattasio. E non lo sapeva per considerazioni generali, non perché la Commissione parlamentare deve conoscere tutti gli atti; non perché nel suo libro riporta esattamente la dizione della schedina delle 9,03, allertata dai testimoni della strage. Lui consegna il fine rapporto del turno 17-18 con la mia firma (e la mia firma si riconosce). Lui consegna all'udienza del 10 gennaio 1996 la fotocopia della relazione del dirigente del CCT; pagina 992, il turno 14-19, il mio turno, che non è firmato da me ma dal dottor Cocola...

FRAGALA’. Ma il Flamigni?

FRATTASIO. Sì, che consegna tramite Grimaldi tale fotocopia del documento pubblicato agli atti della Commissione Moro, alla pagina 992 e che precede le schede delle telefonate pervenute al 113, da pagina 994 a pagina 998, del turno della mattina. Tale consegna è confermata nella nota all'appello a pagina 40. A comprova, l'avvocato Bernot, nel ricorso a pagina 40, scrive: "Il fatto è che il brogliaccio delle novità relativo all'ora dell'azione terroristica inviato all'autorità di pubblica sicurezza e alla Commissione parlamentare d'inchiesta non è firmato" - il che è vero - "e, come ha assicurato a Grimaldi il senatore Sergio Flamigni, capogruppo delegazione del PCI nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, finora non si è scoperto chi realmente fosse al timone della sala operativa al momento del sequestro". Ma come? Se è vero quanto ha affermato Grimaldi, il Flamigni allora, che conosce il rapporto di pagina 991 che non reca la firma e che consegna quello di pagina 992, come può ignorare le schede delle telefonate pervenute al 113 normalmente firmate dal dirigente il turno la mattina del 16 e accluse alle pagine 994-998? Per ultimo, nel suo libro "Convergenze parallele", a pagina 202, egli cita espressamente il volume 29, pagina 984, che è il rapporto del turno del 18 aprile 1978, che sarebbe quello che mi ha dato il turno a me: io oggi ricevo e lui mi dà il turno. Dice che è firmato da Esposito; poi la questione sua e di Esposito a me non passa neanche per la testa.

PRESIDENTE. Cerchiamo di fissare il punto. Lei ci sta dicendo che dai documenti acquisiti dalla commissione Moro che noi studieremo - nessuno di noi conosce tutti i documenti acquisiti dal nostro archivio, che ammontano a circa un milione di pagine, ed io ogni tanto ho il sospetto che alcune verità che cerchiamo probabilmente stanno lì e non ce ne siamo avveduti, ma questo purtroppo è il dramma di qualsiasi attività di ricerca e di inchiesta - risulta che il capitano Tagliente è il funzionario che con ogni probabilità avrà dato la disposizione all'auto scorta che stava in Via Monte Mario di spostarsi in Via Fani.

FRATTASIO. Sì, l'autoradio è andata in Via Fani.

CORSINI. Quindi questa disposizione non proviene dal Viminale ma dal dottor Tagliente?

FRATTASIO. Certo, lei sta dicendo una cosa che è evidente; stiamo parlando della sala operativa della Questura.

CORSINI. Sì, però questo contraddice quello che lei ha detto in un'altra occasione, 17 giugno del 1998, e cioè che il maresciallo Leonardi prendeva ordini e comunicava direttamente con la sala operativa del Viminale.

FRAGALA’. Ma noi stiamo parlando dell'autoradio.

PRESIDENTE. Sono due profili diversi.

FRATTASIO. Comunque ci arrivo. Questo argomento è molto più interessante perché stiamo parlando non di caporali, ma di generali.

PRESIDENTE. Mi faccia capire una cosa. Lei ritiene che ci sia stata da parte del capitano Tagliente una volontarietà nel dare quest'ordine? Intendo non rispetto all'ordine, che era indubbiamente volontario, ma rispetto al fatto di far spostare la macchina da Via Monte Mario a Via Fani.

FRATTASIO. E’ l'unica cosa sulla quale concordo con Flamigni. Cioè, in quel momento se non ci fosse stato il dottor Sucato per poter sostituire un ordine di servizio dell'Ufficio gabinetto, che era quello di posto fisso presso il giudice in Via Bitossi, e far spostare in Via Fani la macchina occorreva l'intervento di una massima autorità che poteva essere soltanto il funzionario di turno o il dirigente, dottor Sucato. Né un operatore, né un sottoufficiale si poteva permettere di superare un ordine del Gabinetto che equivale ad un ordine del questore. Poteva farlo solo un funzionario, è l'unica cosa sulla quale son d'accordo con Flamigni.

TARADASH. Ma il Presidente intendeva chiederle se c'era un'intenzione malevola o no.

FRATTASIO. Il problema è questo, signori miei, qui il fatto è: c'è stata la saturazione dei mezzi nell'invio a Via Fani? Dalla lettura del brogliaccio radio 23 si è visto che sono state inviate tutte le volanti, comprese gli ufficiali e i sottoufficiali, la beta 4 e la beta 3; quindi una fase di saturazione degli altri equipaggi. C'è stata la decisione dell'autoradio competente per territorio di essere inviata, decisione che - poi siete voi la Commissione, io vi dico soltanto qual è la risposta tecnica -personalmente...

PRESIDENTE. Quindi, secondo lei quest'ordine può essere stato determinato da una scelta tattica sbagliata di far confluire tutte le macchine che c'erano a disposizione nelle vicinanze su Via Fani, benché in fondo arrivando in Via Fani potessero fare solo confusione al punto in cui erano arrivate le cose.

FRATTASIO. Sì, son d'accordo con lei, c'era un problema di saturazione e un problema d'invio. Ripeto, non voglio "dare la croce" a nessuno, sono d'accordo sulle modalità di intervento delle volanti in questo caso. Lo dico sinceramente, ma era per una questione di carattere tecnico che non ha niente a che vedere in quel momento con il caos, la paura e le decisioni. Tenete conto che il dottor Tagliente non era neanche il dirigente di turno, che era il capitano Militello. Quindi, se era lui non era neanche all'altezza. Poi non sempre gli ufficiali erano all'altezza di assumere queste decisioni e si arrivava a mettere dei funzionari; comunque queste sono piccole beghe che deciderete voi.

PRESIDENTE. Invece la domanda dell'onorevole Corsini tendeva all'altro aspetto della sua dichiarazione, cioè che il comandante Leonardi non dipendesse dalla sala operativa...

FRATTASIO. Certo.

PRESIDENTE. ... e dipendesse invece direttamente dal Viminale.

FRATTASIO. Arriviamo subito a questo punto, signor Presidente. Eliminiamo dal brano le vistose difformità di cui ho detto; ci sono poi delle "chicche" interessanti sul dottore Esposito che poi se vogliamo farci due risate vi posso raccontare. Togliamo queste cose. Il Flamigni allora viene a casa mia in Friuli e il 28 rilascia un'intervista - io ho sempre cercato di evitare di coinvolgere in questa storia perché nei numerosi esposti-denuncia che ho fatto alla Procura ho sempre detto che era il Grimaldi a dire queste cose, anche se incominciava a starmi sullo stomaco per tutte queste ragioni - afferma che il maresciallo Leonardi - si parlava del discorso dell'itinerario A o B - era andato al telefono in sala operativa - perché per evitare intercettazioni, avendo i brigatisti le radio, ci chiamava per telefono - e aveva detto a Frattasio di andare sull'itinerario A e che erano in contatto via radio. Io, che nel frattempo, viste le mie modeste condizioni, ero riuscito a procurarmi 10-15 dei numerosi volumi - sono 120, signor Presidente - della commissione Moro, non perché mi diverte la cosa essendo una lettura estremamente noiosa, ma giusto perché c'erano alcuni spunti che mi interessava scoprire, mi sono allora ricordato, sto parlando del 28 maggio di quest'anno, che il Flamigni spunta anche con la quarta ipotesi: perché sono quattro le ipotesi che mi coinvolgono. Signor Presidente, guardi qui la sorpresa che abbiamo in questo volume sesto, da pagina 65 a pagina 79: udienza 7/11/80, dottor Zecca, dirigente dell'ispettorato del Viminale. Bisogna dire che a differenza di qualche altro componente della Commissione, quella serata l'onorevole senatore Flamigni era particolarmente vispo perché è intervenuto 26 volte. Cosa si è scoperto? Che nella sala della questura del Viminale non c'è stata un'inchiesta amministrativa per sapere se questa telefonata era stata fatta o no. A pagina 72 si evince che le scorte erano in contatto permanente con la sala operativa del Viminale via radio. C'è anche il brogliaccio delle comunicazioni radio in quell'occasione. Sempre per fortuna, anche per un piccolo aspetto della questione che lei ha accennato, onorevole, sempre nel famoso volume 29 - questo meraviglioso volume, che ho visto anche che è vicino alla sua stanza, Presidente - a pagina 91 veniva depositato il regolamento delle scorte e si legge che la richiesta dell'itinerario era rivolta alla sala operativa del Viminale. Adesso, signori miei, vorrei avere una risposta. Io sono molestato sin dal 1991, e poi ad un certo punto...

PRESIDENTE. Questo non è un problema di cui lei può far carico alla Commissione. Noi la ringraziamo delle risposte che ci sta dando e per il fatto che richiama la nostra attenzione su documenti di cui già siamo in possesso.

FRATTASIO. Posso lasciarvi questo materiale, signor Presidente?

PRESIDENTE. Certo, cosi ci aiuterà nell'individuazione dei passaggi in questione. Comunque abbiamo già acquisito a verbale le indicazioni corrispondenti. Vorrei però chiederle: perché lei in questa dichiarazione alla ADN-Kronos lancia questo grave sospetto che ci sia potuta essere una talpa?

FRATTASIO. Possiamo parlare in termini un po' tecnici in materia di pubblica sicurezza? Penso di sì, in quanto voi, come massima espressione del nostro potere politico, avete queste conoscenze. Noi abbiamo un continuo, sistematico trasferimento di attenzione nei confronti della sala operativa della questura di Roma, nella quale io, essendo un noto... "tutto", potevo aver dato queste disposizioni. Ad un certo punto, la persona che sa dovrebbe sapere anche che in realtà certe cose dipendevano dalla sala operativa del Viminale.

PRESIDENTE. Quindi è l'insistenza sulla sala della questura che le ingenera il sospetto che si volesse coprire la sala del Viminale?

FRATTASIO. Questa è l'intuizione investigativa corretta, signor Presidente.

PRESIDENTE. Semel abbas, semper abbas, quindi poliziotto una volta, poliziotto per tutta la vita.

FRATTASIO. Esatto, ma questa è l'intuizione, è una strada. Premettendo che è difficile fare il poliziotto (a parte che ora fanno soltanto i fermacarte), ho scritto all'epoca al questore pensando di dargli una mano; era vero che io non c'entravo nulla, ma mi dispiaceva rovinare la carriera a qualcuno. Ho allora posto l'interrogativo su qual era il punto centrale perché un'operazione militare potesse avere effetto spostando un obiettivo che controllava una zona libera.

PRESIDENTE. Qui torniamo sulla questione dell'autoradio?

FRATTASIO. Esatto. L'obiettivo nasceva dalla tempestività. Infatti, non ha senso spostare la macchina da Via Bitossi se il convoglio, che parte da Via Fani caricando il soggetto, è in zona e la vettura è ancora lì. Quindi, se si riteneva necessaria questa operazione, si doveva essere sicuri di questo. Avendo evidenziato questo fatto, la necessità della conoscenza tempestiva dell'itinerario è fondamentale. A questo punto una mente intelligente si rende conto che la questione dello spostamento della macchina non può durare a lungo a fronte di questa obiezione. Può durare soltanto nel caso in cui nella sala operativa sapevano anche l'itinerario. Quindi la necessità di spostare anche la conoscenza dell'itinerario e farli scoprire completamente nasce dal poter sostenere la tesi tecnica e tattica dello spostamento da Via Bitossi. D'altronde, non esistevano i telefonini: come avrebbe potuto sapere il funzionario di turno se spostare la macchina, se l'operazione non era iniziata? Se la spostava prima, veniva scoperto: se la spostava dopo, era inutile. Soltanto se lui sapeva già il percorso poteva, alla prima segnalazione del 113, spostare la macchina.

PRESIDENTE. Questo però è il ragionamento che lei attribuisce a chi ha voluto depistare l'attenzione dalla sala del Viminale alla sala operativa della questura?

FRATTASIO. Esatto, signor Presidente.

PRESIDENTE. Io però mi domando: premesso che la macchina da Via Bitossi la fa spostare la sala operativa della questura, e che questo è potuto avvenire anche perché lei ci ha spiegato che il capitano Tagliente non era il responsabile e quindi nella confusione del momento poteva aver dato questo ordine sbagliato, perché lei poi lancia invece questo sospetto sul Viminale?

FRATTASIO. Dobbiamo partire dal presupposto che noi riteniamo che esiste una certezza preventiva da parte delle Brigate rosse, che in effetti ha un elemento oggettivo nel fatto che hanno bucato le gomme della macchina del fioraio; questo è un dato di fatto, perché se avevano bucato le gomme e non fossero passati il giorno dopo, avrebbero avuto dei problemi; pertanto questa certezza preventiva può nascere soltanto o dalla certezza dell'itinerario, o del fatto che, quando loro salgono in macchina, essendo in contatto con la sala operativa del Viminale, sanno bene dove dirigersi.

PRESIDENTE. Ci potrebbe essere un'altra spiegazione. Personalmente, nella scorsa legislatura mi fu imposta la scorta. In genere, quando cambiavano la scorta, perché ogni tanto gli uomini si alternavano, il primo giorno seguivano un certo itinerario, il secondo giorno ne seguivano un altro, dal terzo giorno facevano sempre lo stesso che era il più breve tra i due. Posso quindi dire che probabilmente non vi era la certezza, ma un'elevata probabilità che quel giorno sarebbero passati da Via Fani. A meno che lei non mi dice di avere la certezza che invece, per una scorta delicata come quella dell'onorevole Moro, i percorsi cambiavano quasi ogni giorno.

FRATTASIO. Questo è impossibile. Io sono stato in polizia pochi anni, ma devo dire, senza offesa per nessuno, che i poliziotti non hanno professionalità, né gliela vogliono fare avere. Il problema è serio. Per questo all'epoca c'erano i funzionari, perché quelli funzionavano.

PRESIDENTE. Ma l'itinerario veniva stabilito dal Viminale o veniva di volta in volta stabilito dalla scorta, per cui era più facile che ci fosse la persistenza di un'abitudine? Questo per altro farebbe il paio con le armi tenute nel bagagliaio.

FRATTASIO. La persistenza di un'abitudine è possibile. Non è che io voglia difendere a spada tratta la sala operativa della questura di Roma, perché ho conosciuto solo persone per bene, però effettivamente, se c'è qualcuno, quella mattina stava lì.

CORSINI. Prima di passare ad una serie di domande di merito, sono interessato a conoscere la personalità che viene audita. Lei, dottor Frattasio, si è dimesso dalla polizia il 24 aprile 1979 e poi è diventato notaio. Ora, è indubbio che gli studi per l'accesso alla professione di notaio sono estremamente impegnativi; posso dire che conosco molti laureati che si impegnano in vista di questa carriera ed impiegano molti anni per sostenere il concorso, e a volte non lo superano. Quando ha fatto il concorso lei?

FRATTASIO. La ringrazio della domanda perché persone che probabilmente le hanno suggerito questa domanda...

PRESIDENTE. Questo lei non lo può dire!

CORSINI. E’ una domanda che viene istintiva a tutti.

FRATTASIO. Comunque alcune persone mi hanno detto che sono roppo intelligente per essere un notaio. Quello che lei mi dice adesso mi ridimensiona dal punto di vista umano, ed io la ringrazio perché effettivamente ho sacrificato moltissimo. Certamente esiste un problema di strategie mentali, che è un'acquisizione culturale abbastanza diffusa tra persone intelligenti. Vi è anche un notevole sacrificio, nel non perdere tempo in cose futili, che tuttora mantengo. Nel momento in cui lei cita il momento in cui io ho dato le dimissioni e sono diventato notaio dimostra forse di non avere esattamente dimestichezza dei meccanismi. Io ho avuto la nomina a notaio non perché, avendo le borse di Moro, hanno pensato di mandarmi da qualche parte, ma perché a giugno avevo avuto la notizia di aver superato gli scritti. Poi ho superato gli orali, con grande sacrificio, rinunciando alle ferie e subendo un trasferimento incredibile dalla sala operativa all'ordine pubblico (I Distretto). Ciò nonostante mi sono classificato sufficientemente bene; certo l'orale non è stato all'altezza dello scritto. Dopo di che, una volta nominati i notai, noi , fino a quando non abbiamo l'assegnazione della sede, possiamo sostituire i colleghi. Quindi, ho dato le dimissioni perché un notaio romano si era fatto male e mi è stato chiesto di sostituirlo. Questa sostituzione - ecco l'intelligenza della sua domanda - ha permesso che fossi salvato dalla strage di Piazza Nicosia; avendo dato le dimissioni si è liberata la macchina di un autista; il dottor Corrias ha organizzato una specie di pattuglietta: ad un certo punto vi è stata la segnalazione di spari di Piazza Nicosia; il mio maresciallo ed il sottufficiale - non mi ricordo i nomi ma è un lapsus emotivo - sono morti. In questura si commentava: hai deciso di fare il notaio; hai fatto i soldi; io rispondevo: se non avessi fatto il notaio probabilmente a quest'ora sarei morto con i miei colleghi a Piazza Nicosia. Piazza Nicosia è diventata poi via Fani.

PRESIDENTE. Lei ha fatto pratica notarile da funzionario del Ministero?

FRATTASIO. E’ proibito. Ho fatto pratica notarile in precedenza a Roma; dopo averla terminata, ho provato due o tre volte gli esami prima di riuscire a superarli.

PRESIDENTE. Quando ha fatto la pratica notarile?

FRATTASIO. Dopo essermi laureato in legge ho fatto pratica notarile e poi sono entrato al Ministero dell'interno.

CORSINI. Quando ha vinto il concorso?

FRATTASIO. I risultati dello scritto sono stati resi noti nel giugno 1978.

PRESIDENTE. Utilizzando la pratica notarile, fatta anteriormente al servizio, provava gli esami scritti fino all'ammissione all'orale.

FRATTASIO. La prova scritta risale al 1977.

PRESIDENTE. Ha fatto le prove durante il servizio.

FRATTASIO. Bisogna dire che l'amministrazione era molto generosa perché mi concedeva cinque giorni di ferie.

CORSINI. Nella risposta che mi ha dato ha fatto riferimento ad un dato per me abbastanza interessante: risulta che nell'ottobre del 1978 fu trasferito al primo distretto a svolgere attività di ordine pubblico; cosa che per un funzionario di polizia può costituire una sorta di declassamento. Per quale motivo fu trasferito?

FRATTASIO. Non lo so ma le dico ancora di più: non sono stato neanche ricevuto dal mio dirigente; si sono permessi di trasferirmi con un ordine interno; questo è stato uno dei motivi fondamentali che mi ha spinto di studiare tanto per superare gli orali del concorso ed andarmene; era un fatto inammissibile tutto ciò per un funzionario che aveva sempre avuto il massimo dei punteggi e di giovane età.

PRESIDENTE. Era forse mal visto per la sua ambizione di lasciare il servizio per diventare notaio?

FRATTASIO. L'hanno saputo all'ultimo momento: si diceva che vi erano degli scontri; è inutile che si fa finta di niente: con Esposito non andavo affatto d'accordo. Questa è la verità; non potevamo vederci.

CORSINI. Torneremo sulla figura di Antonio Esposito perché lei ha già dichiarato che non vi potevate vedere o meglio ha dichiarato che Esposito aveva animosità nei suoi confronti mentre lei lo considerava sostanzialmente un amico. Posso leggerle brani in cui lei dichiara ciò. Questo non è un grande problema perché a me interessa la questione di Esposito. Per inquadrare la sua persona, lei ha avuto parecchie archiviazioni ed inchieste per traffico d'armi. Ne ha ancora di aperte?

FRATTASIO. Non mi sembra.

CORSINI. Ha avuto recentemente perquisizioni su mandati nel suo studio?

FRATTASIO. No. Posso spiegare questi mandati: il siluro parte il 7 dicembre 1991; (rapporto Digos di Udine; ispettore Bomben): costui recupera una informativa dell'Ucigos di Gorizia; inchiesta durata due anni, alla fine della quale non risultano tracce di reato. La ragioniera Motta, divenuta vice questore, dice a Bomben di fare indagini: dichiarano che ero capo della scorta dell'onorevole Moro e ricordano il mio ingresso e la mia uscita dall'amministrazione (giorno, mese ed anno). Nel processo il giudice chiede la fonte della notizia secondo cui Frattasio era a capo della scorta di Moro; viene detto che la fonte era un certo Tanzilli, un ispettore che a sua volta l'aveva saputo da me. Lei può immaginare che io abbia detto a questo maresciallo che ero capo scorta di Moro rendendogli noto il giorno, il mese e l'anno della mia entrata ed uscita dell'amministrazione?

PRESIDENTE. Per quale motivo essere stato capo della scorta di Moro - notizia non vera - la indiziava come possibile trafficante di armi?

FRATTASIO. Dopo quanto ho detto si racconta di un mio colloquio nel 1989 con una certa Franca Fink sull'argomento di Star Trek; in base a ciò, segue l'indagine sul traffico d'armi.

CORSINI. A dire il vero, dalla registrazione della telefonata da lei intrapresa con questa signora si parlava anche di altro.

FRATTASIO. Certamente: stiamo parlando di traffico d'armi ora connessa alla perquisizione.

PRESIDENTE. Per poter registrare una sua telefonata deve esserci un provvedimento dell'autorità giudiziaria che non poteva nascere dal semplice fatto che era capo della scorta di Moro perché tale motivazione mi sembrerebbe un po' forzata.

FRATTASIO. Per questo parlo di doppio binario: il capo della scorta di Moro parla di Star Trek; si pensa quindi al traffico d'armi; decidono quindi di mettermi sotto intercettazione: il 6 marzo il magistrato mi mette sotto intercettazione; il 6 giugno autorizza la perquisizione per riciclaggio di denaro sporco. Perché? Io tengo anche la cassa cambiali, signor Presidente: alcune cooperative avevano cambiali in sofferenza; avendo dei crediti verso la regione decidono di cedere i crediti della regione ad una finanziaria e con i soldi recuperati di pagare le cambiali; concordo con loro su questo fatto avvertendoli di fare attenzione perché gli assegni devono essere intestati alle cooperative: poiché però l'intenzione è di pagarli a noi questi assegni devono essere frazionati per cifre inferiori a 20 milioni per essere trasferibili; capisco che la legge era in vigore soltanto da un anno e la Digos di Udine avrebbe potuto avere problemi di aggiornamento legislativo; comunque le mie dichiarazioni furono interpretate come il tentativo di evitare la trasmissione alla Banca d'Italia dell'importo; si pensa quindi al riciclaggio di denaro sporco; di conseguenza, mi sequestrano le bollette dei pagamenti. Questa vicenda concernente il mio traffico d'armi, di bollette e cambiali è stata ampiamente archiviata.

CORSINI. In un processo per diffamazione tenutosi davanti al tribunale di Udine Antonio Esposito ha dichiarato di aver lasciato il servizio al Cot nel febbraio 1977. Nell'udienza del 7 luglio 1985 lei invece ha dichiarato di essere stato trasferito a causa dell'Esposito nell'ottobre 1978; evidentemente vi è una contraddizione nella dichiarazione di Esposito che dice di essere rimasto in quella sede fino al mese di febbraio 1977 quando poi diventa responsabile del suo trasferimento nell'ottobre del 1978.

FRATTASIO. No, non è così, perché io ritenevo che l'Esposito volesse rientrare nella sala operativa, e per fare questo doveva liberarsi della dirigenza di turno, e quindi scaricare me e rientrare lui.

CORSINI. A me non interessa il problema suo. A me interessa che lei mi testimoni e mi dica a sua memoria il dottore Esposito fino a quando è stato in servizio. E’ stato in servizio fino al febbraio del '77, o anche fino alla tarda primavera - inizio estate del 78?

PRESIDENTE. L'impressione che ho avuto fino adesso è che stasera stiamo facendo due audizioni che muovevano da due dichiarazioni fatte alla stampa, che sembravano voler riferire fatti di cui si era a conoscenza. Sia nella precedente audizione che in questa sembra emergere che si fanno dichiarazioni alla stampa perché si formulano ipotesi.

CORSINI. Esattamente, però la questione di Esposito è abbastanza interessante per almeno tre ragioni. La prima perché Esposito è un iscritto alla P2, la seconda perché c'è nella perquisizione che viene fatta mi pare in via Giulio Cesare il ritrovamento di un biglietto di Morucci che annota nome, cognome e numero di telefono di Esposito, e questo è abbastanza interessante. Ma c'è un terzo punto che invece riguarda direttamente il dottor Frattasio e che è interessante, a mio avviso. Io non faccio nessuna illazione, faccio semplicemente delle domande per avere dei chiarimenti. Esposito testimonia l'impostazione dei turni della cinquina, e c'è difatti un brogliaccio delle novità, di cui ho visto le fotocopie, dal quale emerge la presenza del dottor Frattasio nella sala dalle 23,30 alle 7 del 18. Se noi prendiamo per buona questa affermazione, che evidentemente va documentata e provata, dalla ricostruzione a ritroso, studiando il meccanismo dei turni, qualcuno ha voluto ipotizzare che in realtà (questo a partire dalle dichiarazioni di Esposito e dalla strutturazione dei turni), contrariamente a quello che il dottor Frattasio ha dichiarato prima, egli avrebbe fatto il turno dalle 7 alle 14 del giorno 16, cioè del giorno nel quale la mattina alle 9,05 si verifica l'attentato. Questa ricostruzione di Esposito, secondo lei, è fondata oppure no?

FRATTASIO. No, è sbagliata. Adesso le dico esattamente quali sono i turni del 113; tra l'altro questa è la querela denuncia che ho presentato alla pretura di Udine il 5 dicembre 1997 contro Grimaldi e soci. I turni sono questi, da quello che è ormai il dato definito, parlo del mio turno: giorno 15, 19-23,30; giorno 16, 14-19; giorno 17, 7-14; giorni 17 e 18, 23,30-7. Il mio è il secondo turno della sala operativa all'epoca, diretta dal dottor commissario Antonio Frattasio.

CORSINI. Lei evidentemente conosce Mario Zaccolo: che rapporti ha avuto lei con Zaccolo?

FRATTASIO. Pessimi.

CORSINI. In relazione a quali attività, a quali problemi, alla gestione di quali affari?

FRATTASIO. Il punto centrale è questo. Nel 1987-88, siccome questi andava dicendo che faceva affari con me, gli ho detto : caro Zaccolo, tu qui non ti fai più vedere. Punto e a capo. Qualche anno dopo so che è stato coinvolto in un traffico d'armi, però è a piede libero, si reca ogni tanto a Milano, alla stazione, così mi dicono i paesani, torna con qualche centinaia di migliaia di lire e così campa.

PRESIDENTE. Se torna con qualche centinaio di migliaia di lire, non va al di là dei fucili ad aria compressa.

FRATTASIO. Ma forse va a chiacchiere; perché lui si vanta di amicizie, si vanta di essere amico di Di Pietro.

CORSINI. Però lei ha avuto contatti con Zaccolo anche quando Zaccolo era in Sudafrica? Perché c'è un certo Rossi, che era in albergo a Johannesburg con Zaccolo, che testimonia di una sua telefonata a Zaccolo. Lei ha contatti con il Partito conservatore sudafricano?

FRATTASI0. Assolutamente no.






 
Top
CAT_IMG Posted on 25/2/2022, 12:30
Avatar

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

Group:
Administrator
Posts:
8,427
Location:
Gotham

Status:






---------------------------------






ORSINI. Questo giornale mi ha suscitato quasi un colpo; io non sapevo di queste attribuzioni che le venivano in qualche misura assegnate. Leggo da "Il Friuli" del 7 luglio 1998 che "un certo Mario Zaccolo, definito uomo di fiducia del notaio udinese, avrebbe detto che le borse di Moro scomparse in via Fani erano finite proprio ad Udine".

FRATTASIO. Vorrei leggere qualche cosa che ha detto Zaccolo di me. Ha detto che lo facevo concorrenza con Anghessa, con i soldi organizzavo esperimenti atomici a Manzano; io ho 10.000 uomini, ho scatenato la guerra di Jugoslavia. Io le devo raccontare queste cose, io sono un agente dei servizi, la criptografia, il mercurio rosso... ho 5.000 uomini, li ho ereditati da mio padre... vuole altre cose da me?

PRESIDENTE. Quello che emerge è che lei ha qualche conoscenza sbagliata.

FRATTASIO. Quando me ne sono accorto è stato troppo tardi; che ci devo fare? Mi devono dire che sono coinvolto nel caso Moro perché ho avuto amico Zaccolo? Forse proprio per questo vogliono mettermi nel caso Moro, perché conosco Zaccolo probabilmente. E lì hanno sbagliato, secondo me.

CORSINI. Lei ha avuto ancora contatti, rapporti, conoscenza col generale Delfino?

FRATTASIO. Buona questa! Bisogna dire che è tempestiva questa cosa, è forte!

CORSINI. Guardi che le ho solo fatto una domanda.

PRESIDENTE. Risponda, notaio.

FRATTASIO. Presidente, qui bisogna anche superare il ridicolo. Sempre nel famoso ricorso in appello, il senatore Spetic, ex PCI, e Grimaldi, tramite il Bernot, mi fanno questo ricorso in appello. Lui presenta una relazione della volante 1, e tra l'altro, avendo io chiesto al questore di darmene una copia, lui dice che è proibito. In questa relazione si dice che "venivano identificati i partecipanti ad un incontro svolto per caso in una via della stazione di Udine, con Conti Nevio, Gennari Giambattista e Grob Leo. Frattasio conosce Gennari. Gennari incontra per strada Grob. Grob è coinvolto marginalmente con la DIA di Catania e ha come riferimento nei rapporti istituzionali Walter Beneforti. Walter Beneforti, già ex commissario di PS, è in contatto col generale Francesco Delfino. Il pentito Saverio Morabito ha dichiarato che Antonio Nirta, detto "due narici", sarebbe stato infiltrato dal generale Delfino nel commando che sterminò la scorta di via Fani. Dunque, Frattasio è coinvolto nel caso Moro".

CORSINI. Nel corso delle conversazioni che lei ha avuto con Zaccolo, le è mai capitato di sentire da lui qualche indicazione in ordine al fatto che Zaccolo ha sostenuto in passato che Moro in realtà sarebbe stato tenuto prigioniero a Magliano Sabina, in un'azienda di proprietà di un certo conte Marchetti?

FRATTASIO. No. Come ripeto, Zaccolo l'ho buttato fuori a calci dallo studio nel 1988. Devo dire però che la fonte di questo Zaccolo è un morto, noto personaggio romano che conosceva attori, attrici, banche, eccetera, vale a dire il tenutario di un'autorimessa. Questa è la fonte di Zaccolo.

CORSINI. Quest'affermazione è interessante perché non soltanto un personaggio come Zaccolo che ha le caratteristiche che lei ci illustra, ma anche l'onorevole Cazora ha avuto modo di dichiarare che dopo il falso comunicato del lago della Duchessa Moro sarebbe stato spostato da Viscovio (che è appunto in località Magliano Sabina) in una zona della Magliana. In proposito mi interesserebbe capire se lei ha qualche informazione.

FRATTASIO. Questa sua dichiarazione secondo me è molto intelligente e "fa fuochino". Lo Zaccolo, che praticamente è fallito dal 1982, che è stato coinvolto nel traffico di missili ed è a piede libero, se ha delle idee può averle avute perché qualcuno gliele avrà dette; sarebbe molto più interessante sapere chi ha detto allo Zaccolo che quelli stavano a Magliano Sabina. Consideri che la prima intervista fatta dal Grimaldi allo Zaccolo fu fatta esattamente il 23 gennaio 1993 e fu indicata per registrazione come la n. 2, perché la n. 1, quella fatta dopo, ebbe luogo a mio giudizio dopo la pubblicazione del libro. In questa prima registrazione non solo lo Zaccolo si inventa Magliano Sabina, ma butta là un discorso relativo a Signorelli, che poi non ritorna più. Nella seconda intervista, del 9 luglio 1993, in cui dice di me peste e corna, ad un certo punto mi coinvolge nel caso Moro, cosa che non è avvenuta nella prima intervista, quando il Grimaldi si fa accompagnare, signori miei, da un poliziotto della Digos; per uno che è un sospetto trafficante d'armi c'è un poliziotto della Digos che va a fargli fare l'intervista a Grimaldi.

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Frattasio...

FRATTASIO, Lei avrà una pessima idea di me, signor Presidente.

PRESIDENTE. No, notaio, è che rivivo un copione già visto. Mi sembra che spessissimo in tutte queste vicende vi siano delle guerre personali che si trascinano negli anni, dove persone che vengono dal loro punto di vista raggiunte da sospetti ingiusti non si limitano a dimostrare l'inconsistenza di questi sospetti, ma a loro volta ne rilanciano degli altri.

FRATTASIO. Io non ho rilanciato nessun sospetto.

PRESIDENTE. Eccome; lei ha fatto delle dichiarazioni gravissime. Lei ha affermato che al Viminale c'era una talpa; ha lanciato un sospetto che forse al timone della sala operativa c'era il capitano Tagliente e che forse è stato lui a dare l'ordine di spostare le macchine; lei lancia dei sospetti gravissimi.

FRATTASIO. I sospetti gravissimi sono nelle cose, perché non credo che un rappresentante come Flamigni che fin dall'inizio sa che io non sono nella sala operativa vada a dire che io sono nella sala operativa; se volete così, lei mi dice che vede una rappresentazione. Io non vedo questa grande rappresentazione nuova; se stiamo cercando intelligenze, se cerchiamo dei generali, allora cerchiamo dei generali.

CORSINI. La sua dichiarazione rilevante ripresa dalla stampa circa la cosiddetta "talpa del Viminale" è del 17 giugno 1998. Lei aveva già rilasciato questa dichiarazione oppure ha aspettato vent'anni a farla?

FRATTASIO. No. Ripeto, ho fatto la dichiarazione quando, avendo sollevato il Flamigni la quarta ipotesi...

CORSINI. Quindi l'ha fatta nel 1991.

FRATTASIO. Altro che 1991: l'ho fatta adesso la scoperta. Adesso vado a rileggermi l'intervista del Flamigni, oltre al discorso di chi aveva spostato la macchina vedo che aggiunge una quarta ipotesi, che l'itinerario era fornito dalla sala operativa.

PRESIDENTE. Quindi l'essere stato oggetto di un sospetto ingiusto l'ha portata a dire che tutto questo legittima sospetti diversi.

CORSINI. Ma a prescindere da questo, la cosa che voglio capire è la seguente: come mai il dottor Frattasio ha aspettato, per formulare i suoi sospetti circa la talpa al Viminale, la pubblicazione del volume di Flamigni? Siccome del caso Moro stiamo discutendo da vent'anni, se il dottor Frattasio era a conoscenza di questa notizia, come mai ha aspettato la pubblicazione del libro di Flamigni, ha dovuto cioè subire la provocazione di Flamigni per esprimere questa sua convinzione?

FRATTASIO. Ma che sta dicendo?

PRESIDENTE. Dottor Frattasio, siamo in una Commissione parlamentare e lei è un notaio; non riusciamo a mantenere quest'audizione in un tono parlamentare.

FRATTASIO. Mi scuso, signor Presidente. Io penso di avere in questi anni studiato un po' d'intelligenza artificiale ed un po' di logica, e cerco di rappresentarmi gli eventi, tenendo conto del fatto che sono di fronte ad una delle più grandi assise del mio paese. Io ho giurato fedeltà sette volte a questa Repubblica e adesso mi si dice che ho aspettato vent'anni. Per dire che cosa? Che ho scoperto otto giorni fa che c'era questo documento, che Flamigni lo aveva sotto il naso da vent'anni e viene a raccontare a me che ho dato io l'ordine di spostare le macchine?

CORSINI. Ma io non sto dicendo questo, non la sto accusando di niente. Le sto domandando...

PRESIDENTE. La sua spiegazione però è chiara. Il notaio dice che questa insistenza nel formulare a suo carico sospetti ingiusti ha ingenerato in lui il sospetto che si voglia coprire qualche cosa. Questo è il senso della sua dichiarazione.

CORSINI. Qualcosa di più di un sospetto; mi pare una dichiarazione. Questa sera...

PRESIDENTE. E’ stata lanciata un'accusa grave.

CORSINI. Però - è l'ultima osservazione che le rivolgo perché non voglio approfittare della sua pazienza - al processo a Udine del 7 luglio 1995, il processo n. 225/94, lei ha dichiarato di non aver mai saputo da chi dipendesse il servizio scorte, mentre successivamente ha affermato che in realtà veniva organizzato dal Viminale.

FRATTASIO. E’ esatto.

CORSINI. Ma allora come mai prima dice che non lo ha mai saputo e adesso invece afferma di sapere che è organizzato dal Viminale?

FRATTASIO. Ma questa è la sostanza con la quale il signor Grimaldi attraverso l'Ansa ha detto che mi denuncerà per falso, perché io il 7 luglio 1995, dovendo pensare soltanto che ero capo della scorta di Moro, il Bernot mi dice: ma lei sapeva da chi dipendeva l'affare Moro, la scorta, eccetera? No, non lo sapevo, né mi interessava saperlo dopo diciannove anni.

PRESIDENTE. E allora com'è che adesso sa che dipendevano Viminale?

FRATTASIO. Ma perché l'ho letto nei vostri libri!

CORSINI. Questi libri non sono nostri, io non li ho scritti; ne ho scritti altri. Voglio capire questo problema, perché è un problema serio.

PRESIDENTE. La risposta è che per poter dimostrare la falsità dei sospetti di Flamigni, il dottor Frattasio ha studiato le carte della Commissione Moro e ha scoperto che da quelle carte risultava che il servizio scorte, che Leonardi dipendeva direttamente dal Viminale.

CORSINI. Io ho fatto una piccola ricerca personale con un tecnico, il quale mi spiegava - però non so che affidabilità abbia, io non sono un tecnico di queste cose mentre vedo che lei è molto competente - che la sala del Viminale in realtà era una sorta di sala cieca e sorda, perché non era in grado di fornire percorsi alternativi a quello prefissato, contrariamente al centro operativo delle telecomunicazioni della questura che aveva la possibilità tecnica di dare queste indicazioni. La sala del Viminale è una sala che non ha modo di conoscere se è in corso una manifestazione, se vi sono incidenti e quindi può in qualche misura suggerire percorsi alternativi. Lei è d'accordo con questa spiegazione oppure no?

FRATTASIO. Non lo so: so solo di questa storia da quello che ho ricavato qui, il resto non mi interessava e non lo so, continuo a non sapere niente come non lo sapevo nel 1995; so solo questo.

CORSINI. Ma se queste mie supposizioni, ripeto, confermate dal supporto di un tecnico, fossero fondate, allora bisogna tornare al centro operativo delle telecomunicazioni, non si può fissare l'attenzione sulla sala del Viminale che non è in grado di dare percorsi alternativi, e del resto...

FRATTASIO. Chi lo dice?

PRESIDENTE. Il tecnico che ha consultato l'onorevole Corsini.

FRATTASIO. Se c'è una talpa lì, è chiaro che questi dicano che non c'è niente. Bisogna andare lì a vedere.

CORSINI. Ma chi le dice che io ho consultato un tecnico del Viminale?

FRATTASIO. Lo ha detto il presidente Pellegrino.

CORSINI. Lo ha detto il Presidente, ma ha fatto un'illazione. Va bene, la ringrazio.

PRESIDENTE. Dottor Frattasio, in questa dichiarazione ADN-Kronos c'era una parte finale che non le avevo letto. "Non solo: Frattasio era nel gruppo di assalto di volontari che avrebbero dovuto fare irruzione nell'ambasciata cecoslovacca di Roma, che una segnalazione indicava come sede della prigione di Moro". Poi il giornalista apre le virgolette: "ci dissero che ci sarebbe stato un enorme volume di fuoco e che ci sarebbero state molte perdite; dieci incursori della marina ci avrebbero coperto le spalle. All'ultimo momento tutto si fermò perché dissero che Moro non era lì. Capii allora che la sua sorte era segnata". Lei conferma anche questa dichiarazione?

FRATTASIO. Sì, tutto, tranne che gli incursori dovevano essere almeno una trentina.

PRESIDENTE. Perché noi sapevamo che era stato allertato il Comsubim, ma per un'operazione sulla posta, non per un'operazione all'Ambasciata cecoslovacca.

FRATTASIO. A noi dissero: guardate che dobbiamo andare ad assaltare l'Ambasciata cecoslovacca; niente giubotti antiproiettile perché dobbiamo fare in fretta. Sarete protetti con le armi tese dagli incursori, quindi avrete la copertura del tiro teso, dentro niente tiro teso, quindi pistole quelle che avete; se riuscite ad arrivare dove volete arrivare, bene, altrimenti daremo la pensione alle vedove.

PRESIDENTE. E non era una maniera un po' artigianale di preparare un assalto ad una Ambasciata?

FRATTASIO. Molto artigianale, signor Presidente. Non avevamo le planimetrie, non sapevamo dove erano disposte le persone, non si sapeva niente: era un massacro.

PRESIDENTE. Ma perché non utilizzare reparti scelti per un'operazione del genere, invece di poliziotti senza nemmeno giubotti antiproiettile?

FRATTASIO. Perché i poliziotti sono poliziotti, i funzionari sono funzionari. Giustamente spettava a noi funzionari dover entrare, perché se si deve morire, deve morire il funzionario, non può morire il poliziotto che è pure ignorante. La scelta del funzionario era giusta.

MANCA. Quanti anni è stato in polizia?

FRATTASIO. Quattro o cinque anni: dall'aprile del 1974 al 1979.

MANCA. Come funzionario lei in questi anni ha mai avuto modo di gestire personalmente gli itinerari di scorte, magari di suoi dipendenti?

FRATTASIO. Assolutamente no.

CORSINI. Ma un funzionario che opera alla centrale operativa perché dovrebbe essere coinvolto in un assalto? Lei ha fatto dei corsi particolari, ha un'esperienza professionale? A me non chiederebbero mai di partecipare ad un assalto perché farei ridere i polli.

FRATTASIO. Ma vede, il problema non è di saper sparare, spara la mente prima di tutto.

CORSINI. Chi ha dato quest'ordine?

FRATTASIO. Non era un ordine. Ci fu una richiesta di volontari.

PRESIDENTE. Sì, ma da chi proveniva?

FRATTASIO. So che proveniva dal massimo vertice, perché c'erano un po' tutti i dirigenti dei Servizi, della Digos, della Mobile.

CORSINI. Ma fu tenuta una riunione per programmare questa iniziativa?

FRATTASIO. Sì, ci venne detto: guardate, abbiamo bisogno di dieci funzionari per fare questa operazione.

CORSINI. Mi sembra molto strano, perché un assalto del genere dovrebbe essere condotto suppongo da corpi speciali, da persone attrezzate che hanno una preparazione, che hanno un addestramento...

FRATTASIO. Sì, forse nei film americani. Da noi a quell'epoca non c'era niente.

CORSINI. Non nei film americani, ma nelle azioni dalla polizia italiana.

FRATTASIO. La polizia italiana?

PRESIDENTE. A via Gradoli mandarono l'Esercito, perché all'Ambasciata cecoslovacca i funzionari di polizia?

CORSINI. Lei ha presente gli altri nomi delle persone che erano disponibili con lei?

FRATTASIO. Assolutamente no. E’ un ricordo molto vago, che ho in parte anche rimosso perché, diciamo la verità, avevamo tutti un po' paura.

CORSINI. Ritengo abbastanza incredibile che si faccia una riunione nella quale si sparge la voce se sono disponibili dei volontari a compiere un'azione del genere. Vuol dire che lei aveva altri contatti, aveva già una sua fisionomia riconoscibile, che era una persona molto affidabile anche sotto questo profilo.

PRESIDENTE. Che era un commissario scelto, diciamo.

CORSINI. Perché se io mi offro volontario, non mi prendono sicuramente. Nel suo caso invece...

FRATTASIO. Che fortuna essere parlamentare, vede!

PRESIDENTE. No, la domanda ha un senso. Come ho detto prima, sembra una cosa di una tale artigianalità da essere inverosimile anche nell'atmosfera del tempo.

FRATTASIO. Va bene sarà inverosimile, che posso dire di più? Che poi mi era sfuggito: quando la dottoressa ha detto: ma lei del caso Moro? Guardi - ho risposto - io dell'onorevole Moro non ne so niente, non ho mai fatto niente, l'unica volta è stata quella; e sembra che ho scoperto l'America. Poi può darsi che non fosse dell'Ambasciata e a noi ci avevano detto invece l'Ambasciata, ma può darsi anche che fosse stato il Gabinetto della Questura, che ne so io?

CORSINI. Però trovo una contraddizione nelle sue risposte, perché noto che lei ha una memoria molto efficace per quanto riguarda una serie di problemi, in questo caso mi sembra strano che lei non ricordi il nome dei funzionari, dei dirigenti, che le hanno chiesto questa disponibilità.

FRATTASIO. Guardi che per riuscire ad avere degli squarci di memoria su questi eventi ho fatto una fatica incredibile e ho preso anche delle medicine, non dica sciocchezze.

CORSINI. Non dico sciocchezze, faccio supposizioni.

PRESIDENTE. Notaio!

FRATTASIO. Sono passati diciannove anni, sto prendendo anche dei medicinali per cercare di ricordarmi squarci di cose che oltretutto sinceramente neanche mi interessavano.

CORSINI. Quindi vuol dire che questo non è un fatto eccezionale ma lei lo rubrica sotto una normale possibile attività che lei poteva svolgere. Perché, se fosse un fatto eccezionale, si ricorderebbe chi gli ha dato queste disposizioni?

FRATTASIO. Verissimo. Le dico che le disposizioni arrivavano dal massimo livello. Da quello che ho capito, c'era il contatto diretto tra il questore e Cossiga.

CORSINI. Cossiga? Questo è interessante.

PRESIDENTE. Bè, un assalto ad un'Ambasciata deve avvenire almeno a livello di Ministro dell'interno.

CORSINI. Non mi meraviglio affatto, dico che è molto interessante.

PRESIDENTE. Si violano non so quante norme di Trattati internazionali per assaltare un'Ambasciata.

MANCA. Quindi, lei è stato quattro o cinque anni in polizia e non ha mai gestito itinerari, non sa nemmeno come dei poliziotti che erano alle sue dipendenze, incaricati di fare la scorta, si dovevano comportare per cambiare itinerario?

FRATTASIO. Assolutamente no.

MANCA. Lei ritiene che un itinerario fa parte di un foglietto che viene dato di volta in volta alla scorta, oppure si dice al caposcorta: cambia itinerario perché è giusto che non si sappia, e che l'itinerario si cambia anche in funzione della volontà di colui che viene scortato? Lei ritiene che sia giusta questa versione, o no?

FRATTASIO. Sì. Tenga conto però che le uniche scorte che si facevano alla sala operativa, per cui forse qualcuno ha preso qualche cantonata leggendo i brogliacci, erano quelle ai furgoni postali. Qualcuno ha preso questa cantonata: leggendo nel brogliaccio la voce "scorte", ha pensato che fossero le scorte dei politici mentre erano quelle dei furgoni postali.

MANCA. Quindi, non si offende se dico che lei brancola nel buio?

FRATTASIO. Assolutamente no.

MANCA. Però, per un funzionario della polizia, brancolare nel buio in questo modo non è che sia molto...

FRATTASIO. No, perché non era il mio settore.

MANCA. Risulta che lei ha fatto riferimento ad una "intelligenza" che suggerì, magari tramite un canale internazionale, di colpire Moro. Conferma questo?

FRATTASIO Sì, lo confermo.

MANCA. A chi si riferisce? Ha qualche idea o qualche informazione da darci a questo proposito?

FRATTASIO. Il problema è questo: certamente, se sviluppiamo l'ipotesi di concentrare l'attenzione sulla sala operativa della Questura di Roma, in cui io certamente non ero di turno quella mattina, e gli si attribuiscono funzioni della sala operativa del Viminale, prende corpo l'ipotesi investigativa della signora Eleonora Moro circa una certezza preventiva e a questo punto, colui il quale si assume la responsabilità di deviare l'interesse da un posto ad un altro, evidentemente un motivo ce l'avrà, che io non ho.

PRESIDENTE. Resto però meravigliato che, su vicende così gravi, si vada alla stampa e si faccia un ipotesi. Perché a questo punto tutti i cittadini italiani potrebbero mettersi a fare ipotesi, a dire la loro. Se ci fosse una maggiore prudenza nei contatti con i mezzi di informazione, forse questa audizione non l'avremmo fatta. Personalmente l'ho ritenuta inutile fino ad ora.

MANCA. Sono d'accordo anch'io con il Presidente, ma per altre vicende, non per quella di Moro. Invece, purtroppo, dobbiamo registrare che ci sono migliaia di persone in Italia che hanno tanta di quella fantasia, che dichiarano cose non vere sui giornali...

PRESIDENTE. Non abbiamo altri fronti aperti questa sera.

MANCA. Torno alla vicenda dell'irruzione nell'ambasciata cecoslovacca. Chi pilotò l'operazione?

FRATTASIO. C'era tutta la dirigenza, vale a dire la Digos, la squadra mobile e poi c'era la sala operativa.

FRAGALA’. E c'era il questore.

FRATTASIO. Sicuro.

MANCA. Si è mai chiesto da dove venisse la soffiata, cioè la notizia che Moro fosse prigioniero lì?

FRATTASIO. Non ci fu rivelato.

MANCA. Ma perché non se ne fece più nulla?

FRATTASIO. Perché ci dissero che avevano avuto assicurazioni l'onorevole Moro non era lì.

PRESIDENTE. Perché da questo lei dedusse che Moro non sarebbe più stato salvato?

FRATTASIO. Perché ritenni che la notizia dell'attacco all'ambasciata sarebbe trapelata e che quindi c'era la necessità di chiudere rapidamente i conti con Moro.

FRAGALA’. Vorrei sapere se fu personalmente il questore De Francesco a chiedere volontari per questa incursione nell'ambasciata cecoslovacca.

FRATTASIO. De Francesco aveva un carattere un po' complicato ma era certamente una persona che aveva il massimo di autorità e quindi non si muoveva niente senza che lui avesse voce in capitolo. Era pertanto lui che aveva dato il via a questa ricerca.

FRAGALA’. E questa riunione si tenne soltanto tra funzionari della questura di Roma?

FRATTASIO. Sì.

FRAGALA’. Solo funzionari dovevano partecipare a questo assalto?

FRATTASIO. Sì.

FRAGALA’. Ma le dissero che era il posto dove poteva essere tenuto prigioniero Moro o dove potevate trovare documenti utili a rintracciarlo?

FRATTASIO. Ci dissero che avremmo trovato o Moro o documenti che ci potevano indirizzare alla prigione di Moro.

FRAGALA’. A lei personalmente non apparve una iniziativa disperata, azzardata quella di mandare funzionari di polizia ad assaltare con le armi da fuoco in pugno una ambasciata straniera?

FRATTASIO. Era un'azione quasi suicida. Lo sapevamo.

FRAGALA’. Ma se aveva questa consapevolezza perché accettò di far parte di questo commando?

FRATTASIO. In quel momento accettai un po' per spirito di corpo un po' per interrompere il clima che si stava instaurando. In Italia dovevamo dare un monito nei confronti del terrorismo.

FRAGALA’. Dalle tante audizioni di questa Commissione e dalle parole del procuratore generale della corte di appello di Roma di allora, dottor Pascalino, alla Commissione Moro quando è stato audito si ricava la netta, chiara sensazione che lo Stato si presentò all'appuntamento di via Fani con il suo apparato investigativo praticamente disarmato, con un abbassamento delle guardia assolutamente allarmante in termini di contrasto al terrorismo rosso. Il dottor Pascalino ha dichiarato alla Commissione che durante il sequestro lo Stato invece di scegliere la strada investigativa e dell'intelligence per arrivare a liberare Moro, scelse di mostrare i muscoli con le parate, naturalmente senza alcun effetto. Lei era un funzionario di polizia ed un operatore - a questo punto possiamo dirlo - di prima linea in quella situazione: ci può dare qualche informazione sui motivi per i quali secondo lei lo Stato arrivò a quell'appuntamento in una condizione di disarmo totale?

FRATTASIO. Le risponderò molto semplicemente, facendo sempre un discorso terra terra. Se uno riusciva a catturare un terrorista di destra, riceveva premi e faceva carriera; se uno arrestava un terrorista di sinistra veniva completamente abbandonato.

CORSINI. A vedere le inchieste di alcuni magistrati veneti non sembrerebbe così.

FRATTASIO. Parlo di Roma. Se uno prendeva un terrorista di destra aveva i premi e faceva carriera; dalla cattura di un terrorista di sinistra derivavano solo guai.

PRESIDENTE. Ma ne prendevate molti; mentre Delle Chiaie probabilmente fu allertato una volta che venne clandestinamente in Italia e mentre stava per essere catturato riuscì a scappare.

FRAGALA’. Però prendevano Signorelli e lo mandavano in galera ingiustamente, prima di fargli il processo e giungere alla fine all'assoluzione.

PRESIDENTE. Anche il "teorema Calogero" portò la cattura di intelligenze che poi non si rivelarono tali.

FRATTASIO. Quando Berlinguer disse basta, potemmo cominciare a muoverci. E per questo che ho grande stima di lui.

FRAGALA’. Cosa significa quest'affermazione?

FRATTASIO. Da quel momento avemmo anche...

FRAGALA’. ...l'autorizzazione ad indagare a sinistra?

FRATTASIO. Non solo, anche una maggiore considerazione. Questo avvenne dopo che Berlinguer disse basta e quindi sono personalmente grato a Berlinguer.

FRAGALA’. Lei è parente del generale Frattasio?

FRATTASIO. Era mio padre. E’ stato l'unico ufficiale generale iscritto al Partito comunista italiano. Dopo le dimissioni, intorno al 1976-1977, si iscrisse al partito e visse un periodo di grande entusiasmo, come tutti i neofiti. Frequentava la federazione di Casal Palocco. Quando sentì che stava per morire mi chiese due cose: di non iscrivermi alla massoneria e di non far del male ai comunisti. Morì di infarto, povero e solo: mi manca. Fu eroe di Nicolaijevka. Nel '43 riuscì a tenere il reparto unito e a non farlo scappare. Liberò Cormons Gorizia dai titini che "infoibavano". Poi arrivarono le SS e gli chiesero di collaborare, ma lui non accettò. E’ stato l'unico ufficiale italiano cui i tedeschi hanno concesso l'onore delle armi. Venne deportato, fuggì e divenne partigiano in Friuli.

FRAGALA’. Io le ho chiesto se era un parente e veniamo a scoprire che è addirittura il figlio.

Lei è a conoscenza della fibrillazione o addirittura della rivoluzione interna agli alti gradi della Guardia di finanza proprio a seguito del sequestro e dell'uccisione dell'onorevole Moro?

FRATTASIO. Sì perché la mia famiglia ha una tradizione nella Guardia di finanza. Mio nonno è stato maggiore ed è stato l'unico comandante della Guardia di finanza capo di una brigata partigiana che ha combattuto all'estero, in Kosovo.

FRAGALA’. Dove ha combattuto all'estero?

FRATTASIO. Nel Kosovo; fu l'unica divisione Garibaldi all'estero. Venne decorato, però gli dissero che non poteva accettare gli aumenti di carriera e fu relegato nel sud. Sono piccole questioni di famiglia.

Subito dopo il sequestro Moro, siamo sempre nell'ambito della storia della finanza, coloro i quali erano stimati dall'onorevole Andreotti, rispetto a quelli che erano stimati dall'onorevole Moro, decisero di tentare la scalata. C'era da una parte Lo Prete, dall'altra, mi sembra, Oliva. Nella lotta che c'è stata si è verificato un caso interessantissimo, perché mentre mio nonno, Antonio secondo - io sono Antonio quarto - combatteva con onore e gloria, dopo aver combattuto la prima guerra mondiale - fu l'ufficiale della Guardia di finanza più decorato in Italia - nel 1944, nella stessa pagina dell'Unità in cui si riportavano i combattimenti nel Kosovo fu indicato un tenente di cui non vorrei dire il nome che qui a Roma fucilava i partigiani e mi sembra abbia fucilato anche un prete.

FRAGALA’. E chi era questo tenente?

FRATTASIO. Non mi faccia dire il nome.

FRAGALA’. Ma era un tenente della Guardia di finanza?

FRATTASIO. Sì. Mi sembra che questa persona sia diventata vice comandante della Guardia di finanza subito dopo il caso Moro, per quello dico che la nostra storia è fatta così: di servitori dello Stato che devono subire in pace e in guerra gli oltraggi dei camaleonti.

FRAGALA’. Mi scusi, dottore, questo è un aspetto interessante. Questa domanda l'avevo fatta prima all'onorevole Giovine e la farà, spero, anche ad altri audiendi di questa Commissione. Io desidero verificare, e per questo ho chiesto se era parente del generale, se lo scontro interno che si verificò nella Guardia di finanza quando Moro uscì di scena e quindi le persone che gli erano vicine caddero in disgrazia, fu il frutto di un'operazione politica, come anche l'inchiesta giudiziaria, e se va a confermare tutta una serie di articoli criptici che scrisse Pecorelli proprio in quel periodo.

PRESIDENTE. E cosa ci fa capire questo del problema dell'onorevole Moro?

FRAGALA’. Ci fa capire che l'onorevole Moro, proprio per una serie di contatti e una serie di finanziamenti che riceveva la sua corrente da parte di settori dell'imprenditoria petrolifera attraverso Freato eccetera eccetera, per caso aveva anche altro tipo di nemici politici e personali che determinarono nei suoi confronti un certo atteggiamento dello Stato fino a farlo abbandonare a se stesso. Questo è un tema che desidero verificare, naturalmente attraverso chi queste cose può sapere o sa.

FRATTASIO. Confermo ciò che lei dice. Per quello che so nella nostra famiglia per gli ufficiali della Guardia di finanza durante il sequestro Moro è avvenuta una richiesta di regolamento, perché mi sembra che Lo Prete, pur essendo leggermente più giovane avesse scavalcato in graduatoria Oliva. Ci fu un'immediata operazione che tese a far giungere presso un certo magistrato Vaudano tutta una serie di dossier. Molti di questi ufficiali furono addirittura incarcerati presso questi contrabbandieri che approfittavano di loro in modo non naturale. Quindi, raccontavano un po' tutto.

PRESIDENTE. La ringrazio, penso che possiamo concludere qui la sua audizione.

La seduta termina alle ore 23,50.


https://www.parlamento.it/parlam/bicam/ter...ci/steno38b.htm



 
Top
CAT_IMG Posted on 21/4/2024, 19:17
Avatar

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=18168

Group:
Administrator
Posts:
8,427
Location:
Gotham

Status:


cip
 
Top
4 replies since 24/2/2022, 20:36   63 views
  Share