Origini delle Religioni

LA MAZZA DA HOCKEY

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barionu
CAT_IMG Posted on 20/1/2020, 12:04 by: barionu
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La “febbre del cobalto” in Congo tra sfruttamento minorile e diritti umani violati


Le più importanti aziende tecnologiche non stanno facendo ancora abbastanza per combattere sfruttamento minorile e violazioni dei diritti umani nelle estrazioni di cobalto. Ma qualcosa sta cambiando: nel rapporto “Time to recharge” Apple è la migliore, molto male i produttori di auto elettriche.


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Il motore della tecnologia moderna è un'invenzione tutta italiana ed è la pila (inventata da Alessandro Volta nel 1799) o meglio, la batteria. Tutti i dispositivi elettronici più diffusi fanno delle batterie al litio il cuore del proprio sistema, ma se da un lato la pila è un orgoglio tutto italiano, dall'altro è anche la causa dello sfruttamento di migliaia di persone tra uomini, donne e bambini. Il motivo? L'estrazione del cobalto, un materiale essenziale di cui la Repubblica Democratica del Congo è ricca, che in quelle zone viene estratto a mani nude o con arnesi rudimentali per oltre 12 ore al giorno.

A mettere in risalto il costo "umano" della tecnologia è nuovamente Amnesty International, che a due anni dalla prima inchiesta a sollevare l'attenzione mediatica sulla drammatica realtà in uno dei Paesi più poveri del pianeta, in un nuovo report ha analizzato in ogni dettaglio l'intera catena di estrazione del cobalto e ha messo sotto la lente d'ingrandimento una serie di grandi aziende come Apple, BMW, Tesla, Samsung e Microsoft per valutarne i miglioramenti ottenuti.

A due anni di distanza, alcune aziende più ricche del mondo accampano ancora scuse perché non hanno indagato sulla propria catena di fornitori. Quelle che lo hanno fatto, invece, non rendono note le violazioni e i rischi per i diritti umani che hanno riscontrato. Se le aziende non sanno da dove viene il cobalto, figuriamoci i loro clienti” – Seema Joshi

L'elemento più prezioso è nelle mani di una sola azienda


Praticamente tutto il cobalto raccolto in Congo è nelle mani di un'azienda cinese, la Huayou Cobalt. Questo colosso gestisce centinaia di impianti minerari di Cobalto in Congo e – guarda caso – è stata la prima a finire nel mirino di Amnesty International: è ormai chiaro che rappresenta il collegamento tra le miniere e le aziende.



Andando contro pregiudizi e congetture, nel suo rapporto Amnesty ha evidenziato come la Huayou Cobalt si sia realmente impegnata negli ultimi due anni ad adeguarsi agli standard internazionali per il rispetto dei diritti umani ed abbia iniziato ad applicare una serie costanti verifiche su tutta la catena di estrazione e di distribuzione. Ma non è tutto oro (anzi, cobalto) quel che luccica: se da un lato il colosso cinese ha iniziato ad adottare una politica a tolleranza zero nei confronti dello sfruttamento minorile, dall'altro ha assolutamente messo in chiaro che non ha intenzione di cedere sui minatori artigianali. Le motivazioni di questa decisione non sono però del tutto sbagliate: la la Huayou teme che l'abolizione di questa pratica (estremamente pericolosa) possa avere un impatto negativo sulla già disastrata economia della regione.



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https://www.amnesty.it/appelli/ferma-lavor...alto-del-congo/
 
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