KAOS ED FLAMIGNI
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LE IDI DI MARZO
Una raccolta commentata degli articoli pubblicati da “Op” (prima agenzia in abbonamento, poi settimanale in edicola) sul conto di Aldo Moro negli anni dal 1974 al 1979. Indiscrezioni, allusioni, analisi, preveggenze, ammonimenti, rivelazioni: tutti gli scritti che Mino Pecorelli, fondatore-direttore di “Op”, dedicò al leader Dc prima della strage di via Fani, durante il sequestro e dopo la morte di Moro. Scritti percorsi dall’oltranzismo atlantico e segnati dall’anticomunismo piduista, nei quali si riverberavano le faide all’interno dei servizi segreti.
Nel gennaio del 1979 Pecorelli annunciò nuove rivelazioni sul delitto Moro: «Torneremo a parlare del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all’operazione, del prete contattato dalle Br, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse…». Ma restò un annuncio, perché il 20 marzo 1979 il direttore di “Op” venne assassinato.
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MORO: FLAMIGNI - NOVITA' POSSONO CHIARIRE MORTE PECORELLI
Roma, 15 ott. (Adnkronos) - ''Le novita' che stanno emergendo dal caso Moro, a cominciare da un possibile coinvolgimento della 'ndrangheta nella strage di via Fani, potrebbero far luce anche sulla morte di Mino Pecorelli''. Lo ha dichiarato all'Adnkronos l'ex senatore del Pci, Sergio Flamigni, autore di un libro sulla morte del Presidente della Dc, dal titolo ''La tela del ragno''.
''Il 16 gennaio del '79, poco prima di essere ucciso- ricorda Flamigni-
Pecorelli scrisse su Op un articolo dal titolo: 'Vergogna buffoni'.
In questo articolo minacciava di rivelare tutti i segreti del caso Moro.
Accennava a un giovane dal giubbotto azzurro visto in via Fani, alla scomparsa del rullino fotografico con le foto dell'attentato,
al garage compiacente che aveva ospitato le auto dell'operazione, al prete contattato dalle Br,
alla lettera di Paolo VI alle Br, al passo carrabile al centro di Roma,
che potrebbe identificarsi con Palazzo Orsini, dove forse Moro fu detenuto''.
Pecorelli concludeva l'articolo dicendo: ''Non diremo che il legionario si chiama De ed il macellaio Maurizio''. L'accenno al legionario ha fatto pensare a Giustino de Vuono, un passato nella Legione Straniera, calabrese, politicizzatosi in carcere ed implicato nel sequestro Saronio. Pecorelli, quindi, secondo Flamigni ''sapeva troppo sul caso Moro''. (segue)
(Rao/Gs/Adnkronos)
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Mino Pecorelli non chiamatelo faccendiere
Mino Pecorelli viene ucciso la sera del 20 marzo di quarant’anni fa. A Roma, da killer rimasti senza volto, per ordine di mandanti rimasti senza nome, per ragioni tuttora imperscrutabili.
di Valter Vecellio
MERCOLEDÌ 20 MARZO 2019
Per prima cosa un doveroso “mea culpa”. A chi scrive è accaduto di ricordare colleghi morti. Morti uccisi, “colpevoli” di fare il loro mestiere: raccogliere informazioni, farle conoscere. Uccisi a volte dai terroristi, due nomi per tutti: Carlo Casalegno e Walter Tobagi. Più spesso massacrati dalla criminalità organizzata. Lungo elenco: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Giuseppe Impastato, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Giuseppe Alfano. Poi i tanti uccisi fuori dal nostro Paese: un elenco ancora più lungo, e per tutti tre nomi: Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russo. Da qualche parte esisterà sicuramente l’elenco completo. Ma ogni volta – qui il mea culpa – c’è sempre un nome che “salta”. Quello di Mino Pecorelli. Viene ucciso la sera del 20 marzo di quarant’anni fa. A Roma, da killer rimasti senza volto, per ordine di mandanti rimasti senza nome, per ragioni tuttora imperscrutabili.
Un delitto che fa parte, a pieno titolo, dei misteri di questo paese: si può partire dalla strage a Portella della Ginestra e l’uccisione del bandito Salvatore Giuliano, e poi, via via, anno dopo anno: un enorme pozzo di San Patrizio dell’orrore e del terrore. Con una logica, un denominatore: sono delitti, stragi, che servono a uno o più Poteri, tecnicamente irresponsabili, scarsamente conoscibili, certamente transnazionali, per mantenere uno status quo, garantire un “governo”. Il governo della paura. Per tornare a Pecorelli. Una bussola la fornisce Fausto Cardella, il magistrato che con il collega Alessandro Cannevale istruisce il processo che vede imputati, quali mandanti del delitto Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, e organizzatori ed esecutori mafiosi ed elementi della Banda della Magliana. Un lungo iter giudiziario che si conclude con una piena assoluzione. Ma qui si vuole inquadrare la figura dell’ucciso, non l’esito processuale. Saccheggio un libro prezioso, Il Divo e il giornalista, Andreotti e l’omicidio di Pecorelli ( Morlacchi editore), costituito da documenti dell’epoca, atti giudiziari, verbali di testimonianze: con pazienza certosina vagliati da un giornalista che non ha perso una udienza del processo, Alvaro Fiorucci; e da Raffaele Guadagno, il funzionario del ministero che ha seguito le indagini.
Scrive Cardella, nella prefazione: «… a cadavere ancora caldo, si capisce che il caso è difficile, troppi i soggetti, i centri di potere, di affari e di affarismi che il giornalista aveva infastidito. Negli ultimi tempi si era dedicato con insistenza all’affaire Moro, il dramma che aveva sconvolto la vita politica del Paese, fonte inesauribile di sospetti, allusioni, dietrologie. Però bisogna riconoscere che la lettura della collezione di “OP” ( la rivista di cui Pecorelli era direttore, ndr) rafforza il convincimento che Pecorelli, grazie ai suoi collegamenti con apparati dei servizi di sicurezza, alla conoscenza e frequentazione con alti funzionari dello Stato ( molti dei quali affiliati alla loggia massonica di Licio Gelli), utilizzasse le colonne del suo settimanale per lanciare ambigui messaggi, lasciando intendere di essere a conoscenza di inquietanti retroscena o accreditandosi dinanzi ai lettori, forse a qualcuno in particolare, quale depositario di riservatissime informazioni…». Èl’” affaire” Moro la “chiave” per capire le ragioni del delitto? La domanda non ha risposta certa. Pecorelli si è occupato di una quantità di altre “brutte” storie, i suoi articoli, spesso cifrati, ma al tempo stesso comprensibilissimi, hanno pestato tanti piedi; troppi.
Eccoci, dunque, alla sera del 20 marzo. Via Orazio, signorile quartiere Prati, a Roma; le 20.35 circa; quattro colpi di pistola uccidono Pecorelli. Quattro i bossoli per terra. Di proiettili particolari: gli stessi scoperti negli scantinati del Ministero della Sanità, un lotto nella disponibilità della Banda della Magliana. Come s’è detto, tutti gli imputati sono assolti. Ma il processo che si celebra a Perugia, e l’accurato lavoro di Fiorucci e Guadagno, sono ugualmente importanti: aprono uno squarcio sugli anni più bui, inquietanti e insanguinati del nostro paese. Pecorelli, tra gli addetti ai lavori, è personaggio conosciuto. La sua rivista avidamente letta e decrittata nei “circoli” del potere. Negli atti processuali è così descritto: «… uno spregiudicato e scanzonato avventuriero della notizia. Le sue allusioni più o meno decifrabili, la sua ironia, il suo sarcasmo talvolta incisivo ed elegante, talvolta greve e becero, disegnano la traccia di una personalità complessa ma, tutto sommato, ben delineabile. La traccia di una passione civile affermata con troppo chiari accenti di sincerità per non essere autentica, anche se posta al servizio di valori e di scelte discutibili… E poi, il gusto di infastidire i potenti, di svelarne le meschinità piccole e grandi, di incrinarne la facciata impeccabilmente virtuosa… Soprattutto una personalità ingovernabile».
C’è chi dipinge Pecorelli come un ricattatore. Di sicuro non lascia ricchezze, proprietà. Probabilmente cerca finanziamenti per la sua rivista di cui è anche editore; certamente pubblica documenti e “materiali” su “ordinazione”. Un do ut des che ben conosce, e anche pratica, chi per mestiere frequenta aule di tribunale e palazzi del potere.
Dispone di ottimi contatti; entra in possesso di tanti materiali scottanti, e li pubblica. Non è persona “comoda”. E a forza di “scomodare”, finisce come è finito. Il lavoro di Fiorucci e Guadagno ricostruisce la sconcertante successione di episodi e fatti nei quali è facile smarrirsi. Fiorucci e Guadagno li “ordinano”, e ogni “capitolo” parla: il memoriale di Moro scomparso; lo scandalo Italcasse; le banche e gli “affari” di Michele Sindona; la truffa dei petroli… Vicende che vedono Pecorelli e la sua OP protagonista: si pubblicano indicibili verità, che tanti hanno interesse a tenere nascoste. E non è un caso se le tante interrogazioni parlamentari presentate da Marco Pannella e dagli altri deputati radicali giacciono senza risposta. Pecorelli e il suo delitto, spiegano i due autori, sono parte integrante di «un melting- pot che ribolle per più di un ventennio. C’è tutto questo nella sintesi dei processi per l’omicidio di un giornalista scomodo». Chi non ha vocazione dietrologica non può che restare sconcertato di fronte a una tale quantità di “coincidenze”. Non saranno prove; ma sollevano inquietanti dubbi. Alla rifusa: dei colpi di pistola Gevelot dello stesso tipo di quelli dell’arsenale della Banda della Magliana, s’è detto. Alla Banda appartiene Tony Chichiarelli: confeziona il falso comunicato delle Brigate Rosse: quello che indica nel Lago della Duchessa il luogo dove si trova il corpo di Moro ucciso. Chicchiarelli abbandona su un taxi oggetti che rimandano al caso Moro, e “schede” su personaggi in vista.
Su una, un appunto relativo all’eliminazione di Pecorelli. C’è anche una nota dove si legge che l’operazione era stata rinviata, perché Pecorelli si è incontrato con un alto ufficiale dei Carabinieri. E’ Antonio Varisco, che dopo la morte di Pecorelli decide di abbandonare l’Arma. Qualche mese prima del congedo anche Varisco cade vittima Carlo Alberto Dalla Chiesa? Poche settimane prima di essere ucciso, scrive: «Torneremo a parlare del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all’operazione, del prete contattato dalle BR, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse…». Che valore dare a questo passaggio? Pecorelli non fa in tempo a “tornarci su”. E anche il già citato Chicchiarelli: è vittima di un presunto regolamento di conti nel 1984… Ci si può fermare qui, ma impegnandosi un po’ qualche altra “ammazzatina” la si troverà senz’altro.
L’unica cosa certa è che non si sono individuati né mandanti, né esecutori. Perfino il possibile movente, sfugge. Chi ha ordinato: “Va’ e uccidi”, non ha nome; chi materialmente l’ha fatto, non ha volto. In uno dei suoi ultimi articoli Pecorelli scrive: «I nostri lettori e coloro che ci stimano saprebbero riconoscere immediatamente la mano che ha armato chi vorrà torcerci anche un solo capello».
Non è andata così. “Se fosse u film…”, è l’incipit del libro di Fiorucci e Guadagno.
No, non è un soggetto alla Quentin Tarantino.
E’ una storia vera.
Tags: andreottiArmaChicchiarelliFanimino pecorelliomicidioop
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MINO PECORELLI E I MISTERI DI VIA FANI (PARTE PRIMA)
di Edgardo Fiorini21 luglio 2017
Mino Pecorelli e i misteri di via Fani (parte prima)
L’ultimo numero del settimanale Op, acronimo di Osservatore Politico, è uscito il 20 marzo 1979, stesso giorno in cui il suo direttore fu assassinato con quattro colpi di pistola in via Orazio, nel quartiere Prati in Roma. Si chiamava Carmine Pecorelli, detto Mino. I suoi assassini, ad oggi rimasti ignoti, forse un giorno furono anche processati ma infine tutti assolti perché tra loro ce n’era almeno uno che proprio non poteva essere processato. Cose che sappiamo succedere in Italia, ma che allora succedevano un po’ troppo spesso in quei porti delle nebbie che erano i tribunali. Ma di fronte all’impossibilità del giudizio, la grande eredità che resta ai cittadini di oggi, sono gli articoli pubblicati da quell’agenzia, che poi divenne settimanale, nell’arco di ben 10 anni, gli anni Settanta. Tutti scritti da Pecorelli di suo pugno, in cui un attento lettore può agevolmente ripercorrere i più grandi scandali della recente storia italiana. Perché lui attingeva informazioni direttamente dai Servizi segreti, o meglio dalla loro faida sotterranea. Famose quelle tra generali come Viola e De Lorenzo e poi tra Maletti e Miceli. Quest’ultimo è miracolosamente ancora vivo, forse perché nel momento decisivo pensò bene di riparare in Sud Africa.
Con una forma classicista e uno stile sibillino, Pecorelli era maestro in indiscrezioni, allusioni, analisi, preveggenze e ammonimenti. Di enorme interesse per le nuove generazioni restano le rivelazioni che fece sul caso di Aldo Moro, ritrovato cadavere in via Caetani una quarantina d’anni fa. E su cui ancora oggi una Commissione parlamentare sta lavorando, iniziando finalmente a poter considerare qualche prova. Si perché tutto è stato abilmente insabbiato da quel segreto di stato che purtroppo nel nostro paese ha sempre coperto essenzialmente le malefatte dei politici.
Fin dai tempi di Mondo d’Oggi, il giornale in cui l’avvocato Pecorelli nel 1967 iniziò a fare il giornalista con il ruolo di editore, Mino rivelava trame di golpe che prevedevano l’eliminazione fisica di Moro! E poi dal 1974 su Op si ricomincia a parlare costantemente di “Moro deve morire” e “Moro-bondo”.
Insomma ben più di una preveggenza, fino al gennaio del 1979, a ben nove mesi dalla morte di Moro, in cui su Op leggiamo l’enigma finale: “Torneremo a parlare del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all’operazione, del prete contattato dalle Br, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse...”.
Ma restò un annuncio, perché qualche settimana dopo il sicario passo sotto la sua redazione. Anzi probabilmente stava già lì da giorni a studiare, infatti pare avesse preso casa, naturalmente per conto dei servizi, proprio in un appartamento da cui si inquadrava bene il portone di via Tacito 50... L’unica certezza resta l’importanza del lavoro giornalistico fatto da Pecorelli nel nome della verità, definitivamente confermato, oltre che dalle migliaia di pagine delle sentenze, anche dal fatto che la Commissione Moro oggi sia ripartita proprio dalle sue parole.
Edited by barionu - 18/3/2022, 08:57