Origini delle Religioni

Posts written by barionu

CAT_IMG Posted: 15/4/2024, 10:36 LA RISURREZIONE DI MITHRA - Cristianesimo




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Come detto, Mitra emerge da una roccia, non nasce da una donna vergine come Gesù. Qualcuno ha cercato di salvare il parallelo dichiarando che Mitra nasce dalla "roccia vergine", ma questo arbitrio linguistico è completamente privo di senso ed evidentemente fatto in cattiva fede. ........ BALLE, la nascita dalla roccia vergine ce la descrive Arnobio quando parla di Adgesti ,,,,, non importano le differenze " pratiche " , quello che conta è la presenza del " numen " ovvero la presenza del divino in una funzione soteriologica , quindi Giove che feconda Gea vergine tramite segone gigante , con Gea rimanente pregna , : il " numen " è l' individuazione del concetto del concetto del tempo infinito , l' immortalità , operato da una fonte inviolata , come la pioggia dorata da cui nasce Perseo , o il primo archetipo assoluto di Verginità generatrice , la Dea Kunti dei Miti Vedici , il mito viene quindi traslato in Cristo , dove il numen è identico ( non più un contatto in forma simbolica, ma pura astrazione coitante, coitum teleptatycum ... ) , e mutano le forme in quanto il Cristo è il primo mito dove l' antropizzazione assume forma dominante : la classe teocratica romana aveva bisogno di un simbolo concreto per esercitare il suo dominio , quI
indi Mithra non è più un Mito , ma un soter effettivo e tangibile , con il grande espediente di diventare " capro espiatorio " ( non più officiante come l' astratto Mithra ) e quindi la classe Teocratica ha una funzionalità prensile inventandosi la sua facoltà di interpetre : i Pater Patrum di Mithra si cambiano la casacca e diventano i Papi .... Jung , Simboli della Trasformazione , Psicologia e religione, Raffaele Pettazzoni , i Misteri , la Religione di Zarathustra , la Confessione dei peccati vol 2 .... .... .... zio ot

RISPONDIELIMINA

barionu17 gennaio 2019 alle ore 07:49
Quindi Cristo non è più un Mito , ma un soter effettivo e tangibile , con il grande espediente di diventare " capro espiatorio " ( non più officiante come l' astratto Mithra ) e quindi la classe Teocratica ha una funzionalità prensile inventandosi la sua facoltà di interpetre : i Pater Patrum di Mithra si cambiano la casacca e diventano i Papi . ...

RISPONDIELIMINA

Luis18 gennaio 2019 alle ore 12:56
@ Barionu, scusi, ma ci crede veramente a quello che ha scritto?

RISPONDI

barionu20 gennaio 2019 alle ore 02:45
Sono almeno 50 anni che studio il Cristo Storico ( sono un classe 53 ) e da circa 30 anni studio ebraico et aramaico con alcuni Rabbini madrelingua . So quello che dico . zio ot

ELIMINA

kimkiduk22 dicembre 2020 alle ore 06:31
Mi sa che ci crede sì, è questo il problema...


barionu20 gennaio 2019 alle ore 03:33
Dal momento che il mitraismo romano che ci è noto è contemporaneo al cristianesimo, non è possibile escludere che sia stato il cristianesimo ad influenzare il mitraismo, e non il contrario. ..... ..... ...... IL MITHRAISMO DESCRITTO DA GIUSTINO ( siamo intorno al 150 ev ) APPARTIENE ALL' ALTA TEOCRAZIA ROMANA .

Impossibile che i Patrizi e gli alti ranghi dell' esercito prendessero a modello delle forme che appartenevano

a un credo allora profondamente disprezzato e perseguitato .

RISPONDIELIMINA

kimkiduk22 dicembre 2020 alle ore 06:30
E infatti, come dimostra questo articolo, è molto più probabile che influenze non ce ne siano state nè da una parte nè dall'altra...



barionu19 gennaio 2021 alle ore 09:37
CERTO CHE CI CREDO , UL TERIORI DETTAGLI QUI https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=77551456

ELIMINA

barionu19 gennaio 2021 alle ore 09:39
PARDON volevo dire qui https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=78153190

ELIMINA

Marco Robertini30 gennaio 2021 alle ore 04:49
lettura molto interessante. Mi resta però la (non definitiva) convinzione che il cristianesimo si sia "romanizzato" assorbendo riti e figure simboliche già presenti o "concorrenti" spiritualmente nella popolazione di ceto medio-basso per legittimarsi ed affermarsi in un contesto ostile in quanto non riconoscendo la "sovranità teologica" dell'Imperatore il cristianesimo era già oggetto di persecuzioni o almeno di violento ostracismo. Tendo però a sostenere che, sociologicamente, le ragioni più profonde (contenute negli "ipsissima verba" del Cristo) resistettero ad ogni tentativo di sopraffazione o di mimetizzazione e che da questo si dà che il Cristianesimo è sopravvissuto e si è propagato mentre gli altri culti concorrenti si sono estinti.

RISPONDI

Unknown19 settembre 2021 alle ore 02:18
secondo me ,noi stiamo arrancando in cose che non sappiamo prive di ogni fondamento , arrivare a noi tramite scritti che non sappiamo nemmeno tradurre correttamente e con fonti e epoche al quanto incerte il fatto e´che il cristianesimo lo vediamo oggi cosa sia tramite la nostra amata chiesa che specula e nasconde molte cose scomode e imbarazzanti ,tipo adchivi segreti del vaticano , io dico perche´nascondere delle cose all´umanita´se il presunto Gesu´e´morto per salvarci , io rido al pensiero di tutti questi dotti che , leggono studiano su cose che sono messe la´a casaccio scritte da persone che probabilmente erano mantenute da gente che si spaccava la schiena.


Storia delle Idee25 ottobre 2021 alle ore 13:09
La questione è complessa ed inevitabilmente va molto al di là degli obiettivi che Storia Delle Idee si è posta, ci limitiamo a dire che i testi a noi pervenuti non pongono problemi di traduzione cruciali per le questioni di fede e per questioni di ricerca storica che non siano secondarie. Soprattutto non padroneggiamo i testi neotestamentari molto peggio di quanto facciamo con altre opere nella stessa lingua e più o meno coeve. Da escludere soprattutto che un significato problematico dei testi sia volutamente nascosto per comodità dalla Chiesa, la quale fonda esplicitamente la propria pretesa di autorità e la propria dottrina su un fondamento che non si riduce alla Bibbia.
L'Archivio Segreto Vaticano non ha nulla di "segreto" nel senso che suggerisci tu: "Secretum", com'è nella dicitura latina, ha una sfumatura di significato diversa, e difatti l'archivio, nei limiti del tecnicamente possibile, è a disposizione degli studiosi. Ad ogni modo non può contenere documenti relativi ai primissimi secoli della Chiesa. A proposito della Chiesa Primitiva: bisogna rendersi conto che i testi del Nuovo Testamento sono stati scritti e tramandati in un'epoca in cui il movimento cristiano era semiclandestino e soggetto a periodiche persecuzioni. I suoi pastori non guadagnavano nulla dalla propria missione, se non problemi, eppure nei primi tre secoli si consolidano già molte delle idee che i critici poco informati addebitano al desiderio del clero di acquisire e mantenere potere. Quando si immagina la Chiesa dei primi secoli come simile a quella medievale o moderna si sta facendo una retroproiezione priva di senso.





CAT_IMG Posted: 7/4/2024, 17:04 TESTIMONIUM FLAVIANUM - Cristianesimo
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Mythos
Rivista di Storia delle Religioni

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Una nota sul testo del Testimonium Flavianum (Antiquitates, XVIII, 63-64) a confronto con le versioni siriaca e araba: resurrezione o visione?
A Remark on the Testimonium Flavianum Text (Antiquitates, XVIII, 63-64) in comparison with the Syriac and Arabic versions: Resurrection or Vision?
Giuseppe Petrantoni
p. 89-101
https://doi.org/10.4000/mythos.311
Résumé | Index | Plan | Texte | Bibliographie | Notes | Citation | Auteur
RÉSUMÉS
ITALIANOENGLISH




























La lunga querelle riguardante il testo del Testimonium Flavianum non può dirsi ancora conclusa. La critica si divide sul problema dell’autenticità o meno di questa importante testimonianza sulle origini del Cristianesimo. In questo breve lavoro, dopo un’analisi storico-filologica condotta sul testo, si ipotizza che il medesimo possa aver risentito dell’opera di un interpolatore cristiano di II secolo. In particolar modo, l’uso di φαίνω, in comparazione con i verbi usati nelle versioni siriaca e araba, e i versi di Mc 16, 9-11, che sarebbero stati inseriti nel testo, sarebbero un’ulteriore prova che il Testimonium abbia risentito di una interpolazione cristiana in relazione alla ‘manifestazione’ di Gesù.


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ENTRÉES D’INDEX
Keywords: Testimonium Flavianum, Flavius Josephus, Origins of Christianity, Gospels, Resurrection, Vision
Parole chiave: Testimonium Flavianum, Flavio Giuseppe, origini del Cristianesimo, Vangeli, resurrezione, visione
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PLAN
Conclusioni
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TEXTE INTÉGRAL
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1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cf (...)
2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei (...)
1Il caso del cosiddetto Testimonium Flavianum può dirsi ancora oggi non chiuso. Il breve passaggio su Gesù di Nazaret, che appare in tutti i manoscritti esistenti nel diciottesimo libro dello storico giudeo romanizzato Flavio Giuseppe, Antiquitates iudaicae (XVIII, 63-64) scritto in greco nel 93-94 d.C. circa, è stato soggetto a dispute teologiche circa la sua autenticità, sin dal sedicesimo secolo. Le interpretazioni della critica divergono sensibilmente e possono essere raggruppate, in ultima analisi, in due filoni opposti: coloro che sostengono l’autenticità del passo e coloro che la negano in parte o in tutto, parlando esplicitamente di interpolazione/interpolazioni1. Il dibattito sull’autenticità del Testimonium nasce dalla presenza di alcuni passi difficili da conciliare con quanto si conosce della religiosità di Flavio Giuseppe. Generalmente, la maggioranza degli studiosi accetta parzialmente il Testimonium attribuendo ad interpolatori cristiani alcune affermazioni in esso contenute2. La querelle è stata poi ulteriormente alimentata dal confronto fra il textus receptus e alcune versioni più tarde in siriaco e in arabo, le quali tuttavia , nonostante i lodevoli sforzi dei commentatori, non sembrano al momento far progredire più di tanto la ricerca.

3 Van Voorst 2000, 91-92.
4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Bas (...)
5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettat (...)
6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” (...)
7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino (...)
8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.
2Il dibattito si basa principalmente da una parte sull’analisi testuale e sul confronto del passo in questione con altre opere di Flavio Giuseppe, mentre dall’altra parte tiene conto del contesto storico e culturale nonché della totale assenza di qualche riferimento al Testimonium nelle fonti antiche3, infatti sebbene non meno di undici autori cristiani facciano riferimento a Flavio Giuseppe prima di Eusebio di Cesarea nel 324 d.C., nessuno menziona il Testimonium4. Andando per ordine, prima di Eusebio, Origene, nella metà del III secolo, scrive che Flavio Giuseppe non ‘accetta’ Gesù come Messia5, di conseguenza tale dato farebbe propendere per la totale autenticità del passo, ma come sostiene Paul L. Maier, questa ipotesi è da ritenersi ‘senza speranza’6. Il Testimonium è stato riportato verbatim da Eusebio di Cesarea per scopi apologetici anti-pagani7. San Girolamo riporta una traduzione letterale del passaggio, ma al posto della frase “questi era il Cristo” - ὁ χριστὸς οὗτος ἦν - propone “questi era creduto essere il Cristo” – credebatur esse Christus 8- tale variante è indipendentemente supportata dalla versione in siriaco di Michele il Siro la quale contiene la medesima variante:

ܗܘܐ ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܙܚܙܐ ܐܥܬܘܗܝ

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale d (...)
“si pensava che egli fosse il Cristo”9;

10 Whealey 2016, 347.
l’esistenza di questi due testi paralleli implicherebbe il fatto che ci doveva essere stata una versione greca del Testimonium da cui hanno attinto sia Girolamo sia Michele il Siro poiché gli scrittori cristiani latini e siriaci non leggevano tra loro le loro opere ma solo la letteratura cristiana redatta in greco10.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte (...)
12 Whealey 2016, 348.
3A partire dal XVI secolo il dibattito sull’autenticità del Testimonium si fa più intenso tra gli studiosi ebrei, come Isaac Abravanel (1437-1508) e Menassah ben Israel (1604-1657), i quali rigettano la veridicità del testo in quanto manca nella versione del Sefer Yosippon11; mentre per i cristiani la supposizione che il testo sia stato falsificato comincia a diventare esplicita alla fine del secolo, durante il quale emergono figure come il luterano Lucas Osiander (1534-1604) anche se la sua teoria si poggia solo su presupposizioni a priori12.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey(...)
14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di (...)
4Già a metà del XVII secolo circolavano opinioni divergenti sul Testimonium, ma solo tra la seconda metà del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo la questione troverà un chiaro assestamento; ciò non avvenne per caso in quanto Protestanti come C. Arnold, D. Blondel, T. Faber, T. Ittig e S. Snell studiarono a fondo il testo e i loro argomenti a supporto dell’inautenticità risultarono talmente convincenti che gli studiosi, di qualunque religione o no, erano obbligati ad accettare le loro congetture. Solo nella metà del XIX secolo emerse un forte consenso riguardo al fatto che il Testimonium risulta essere parzialmente o totalmente interpolato13. La frase ‘incriminata’, “questi era il Cristo”, ha condotto, ad esempio, uno studioso riformato come Tanaquilius Faber (1615-1672) a pensare all’inautenticità del Testimonium per il fatto che Origene riporta che Flavio Giuseppe non crede in Gesù come Cristo. Dopo Faber, in epoca moderna, molti studiosi cominciano a credere a una possibile falsificazione del testo, prova ne sarebbe, di tale pensiero, il fatto che Niese, nella sua edizione critica delle Antiquitates, pone tra parentesi l’intero passo (di sotto esposto) pensando che sia totalmente interpolato; possibilmente la frase “questi era il Cristo” è stata, secondo alcuni, corrotta da un precedente “questi era ritenuto essere il Cristo”14.

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al- (...)
16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.
5Nel 1971 S. Pines pubblica una monografia sulla cronaca medievale araba del X secolo, redatta da Agapio15, ponendola a confronto con la cronaca siriaca di Michele il Siro (vd. supra) poiché tutte e due le opere conservano una versione del Testimonium16. Il Testimonium di Agapio, a ben vedere, differisce dal textus receptus in greco, in particolar modo per la menzione:

فلعله هو المسيح

“e forse lui è il Cristo”,

17 Pines 1971, 33.
18 Whealey 2008, 587-588.
presentando, secondo Pines, pochi ‘tratti cristiani’ che, al contrario, contraddistinguono il testo greco17. La versione del Testimonium di Michele sembrerebbe invece molto più vicina a quella greca, ma anche in essa, come esplicitato prima, vi si legge “si pensava che egli fosse il Cristo”, linguisticamente più vicino al credebatur esse Christus di Girolamo, che la accosterebbe notevolmente al pensiero di Flavio Giuseppe, riguardo a Gesù e al suo status, rispetto al Testimonium di Agapius18.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fed (...)
6Per quanto attiene alle fonti adoperate dai due autori, Agapio sostiene che la propria Cronaca si basi su quella siriaca di Teofilo di Edessa, mentre Michele il Siro ammette di aver attinto direttamente dall’opera storica del patriarca di Antiochia Dionigi Tel Maḥrē per il periodo tra 582-843; lo stesso Dionigi riconosce di aver utilizzato Teofilo per la sua opera, quindi Teofilo sarebbe stato la fonte maggiore da cui hanno attinto Agapio e Michele per il periodo storico 582-780 circa, tanto che viene citato espressamente dai due autori riguardo le loro fonti per il periodo omayyade19.

20 Cfr. Pines 1971, 27.
21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.
7Secondo Pines il Testimonium di Michele sarebbe stato composto utilizzando parti della Historia Ecclesiastica di Eusebio e parti della versione Testimonium preso dalla fonte siriaca di Agapio20; invece è plausibile che i Testimonia di Agapio e Michele derivino da una stessa fonte comune siriaca che è stata riportata verbatim da Michele, mentre Agapio ha ritenuto opportuno ricorrere ad una parafrasi abbreviata, ma entrambi gli autori hanno estratto parti dalla Historia Ecclesiastica per coprire il periodo che va dalla Creazione al 780 d.C.21

8Per quanto concerne gli elementi in comune che i due testi condividono si segnalano il riconoscimento di Gesù come messia e la sua morte in croce.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurr (...)
23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.
9Come già annotato la versione siriaca riporta l’espressione “si pensava che egli fosse il Cristo”, mentre quella araba “e forse lui è il Cristo”. Occorre sottolineare che a quel tempo una consistente parte di autori medievali leggeva solo letteratura scritta in greco e probabilmente la fonte originaria dei due Testimonia sarebbe stata redatta in greco riportando nel punto in questione una frase simile a “si pensava che egli fosse il Cristo”; inoltre il participio singolare maschile siriaco di forma ethpe‘al ܡܣܬܒܪܐ “si pensa”22 identificherebbe una connotazione scettica e non usuale da parte di un vescovo cristiano medievale, come Michele, nei confronti dello status di Messia di Gesù. Se la fonte originaria greca riportava realmente una frase similare, con il verbo ἐνοµίζετο “si pensava” (come in Lc. 3, 23), allora ciò rafforzerebbe l’affermazione di Origene secondo la quale Flavio Giuseppe non credeva in Gesù come messia23.

24 Pines 1971, 31-32.
10Per quanto concerne la menzione della crocifissione e della morte di Gesù, si nota che i due testi fanno un riferimento più esplicito24, infatti Agapio riporta:

و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت

“Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte”,

11Michele invece scrive:

ܠܡܗܡ ܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܥܬ ܝܗܒܗ ܦܝܠܜܘܣ

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.
“Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì”25.

26 Pines 1971, 30.
12Non esiste un parallelo di tale aggiunzione in altre precedenti traduzioni greche o latine del Testimonium così come risulta inverosimile che ‘la condanna di Pilato’ facesse parte di un precedente Testimonium originario; inoltre non vi è ragione del perché un autore siriaco, tra il IV-V secolo e l’epoca di Michele, abbia inserito tale avvenimento dato che esso è già incluso nel textus receptus 26.

13L’intenzione è allora quella di rileggere il testo greco e condurre un’analisi filologica, confrontando il lessico ivi impiegato con quello dei testi in arabo e in siriaco. Astraendo da considerazioni più propriamente dottrinali o più semplicemente correlate con visioni religiose, potremmo forse aggiungere qualche dato ulteriore per comprendere la reale natura di questa controversa testimonianza.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.
14Il Testimonium di Flavio Giuseppe si presenta nel modo seguente27:

Γίνεται δὲ κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον Ἰησοῦς σοφὸς ἀνήρ, εἴγε ἄνδρα αὐτὸν λέγειν χρή: ἦν γὰρ παραδόξων ἔργων ποιητής, διδάσκαλος ἀνθρώπων τῶν ἡδονῇ τἀληθῆ δεχοµένων, καὶ πολλοὺς µὲν Ἰουδαίους, πολλοὺς δὲ καὶ τοῦ Ἑλληνικοῦ ἐπηγάγετο: ὁ χριστὸς οὗτος ἦν. καὶ αὐτὸν ἐνδείξει τῶν πρώτων ἀνδρῶν παρ᾽ ἡµῖν σταυρῷ ἐπιτετιµηκότος Πιλάτου οὐκ ἐπαύσαντο οἱ τὸ πρῶτον ἀγαπήσαντες: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν τῶν θείων προφητῶν ταῦτά τε καὶ ἄλλα µυρία περὶ αὐτοῦ θαυµάσια εἰρηκότων. εἰς ἔτι τε νῦν τῶν Χριστιανῶν ἀπὸ τοῦδε ὠνοµασµένον οὐκ ἐπέλιπε τὸ φῦλον.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, (...)
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce.
Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani28.

29 Pines 1971, 14.
15Testo arabo di Agapio29:

و كذالك يوسيفوس العير اني فلنه قال فيميامره التي كتبها عل تدبير اليهود: انه كان هذا الز مان رخل حكيم يقال له ايسو ع و كانت له سيرة حسنة و حلم انه فاضل و انه تتلمذ له كثير من الناس من اليهود و ساتر الشعوب و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت و الذين تتلمذو ا له لم يتركو ا تلمذته و ذكرو ا انه ظهر لهم نعد ثلثة ايام من طلبه و انه عاش فلعله هو المنسيح الذي قالت عنه الانبياء الاعاجيبب

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” (...)
Così Giuseppe l’ebreo disse, nei suoi trattati, di aver scritto sull’amministrazione dei Giudei: a quel tempo c’era un uomo saggio chiamato Gesù. E la sua condotta era buona ed era conosciuto come un uomo virtuoso. Molte persone tra gli ebrei e tra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte. E coloro i quali divennero i suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Loro ricordarono30 che Egli apparve a loro tre giorni dopo dalla sua crocifissione ed era vivente; e forse Egli è il Cristo di cui i profeti riportarono i prodigi.

31 Whealey 2008, 589.
16Testo siriaco di Michele il Siro31:

ܕܒܗܠܝܢ ܙܒܙܐ ܐܝܬ ܗܘܐ ܓܒܪܐ ܚܕ ܚܟܝܡܐ ܕܫܡܗ ܝܫܘܥ . ܐܢ ܘܠܐ ܠܢ ܕܓܒܪܐ ܢܩܪܝܘܗܝ
ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ ܓܝܪ ܣܥܘܪܐ ܕܥܒܕܐܵ ܫܒܝܵܚܐ ܘܡܠܦܢܐ ܕܫܪܪܐ . ܘܠܣܓܝܵܐܐ ܡܢ ܝܘܕܝܵܐ ܘܡܢ ܥܡܡܵܐ
ܬܠܡܕܘ . ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܝܚܐ ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ . ܘܠܘ ܐܝܟ ܣܗܕܘܬܐ ܕܪܝܫܢܘܗܝ ܕܥܡܐ ܡܛܠܗܕܐ . ܝܗܒܗ
ܦܝܠܛܘܣ ܠܡܣܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܝܬ ܘܗܢ ܘܢ ܕܝܢ ܕ ܐܚܒܘܗܝ ܠܐ ܫܠܝܘ ܡܢ ܚܘܒܗ . ܐܬܚܙܝ ܠܗܘܢ ܡܢ
ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ . ܢܒܝܵܐ ܓܝܪ ܕܐܠܗܐ ܘܕܐܝܟ ܗܠܝܢ ܐܡܪܘ ܥܠܘܗܝ ܬܡܝܗܵܬܐ . ܘܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ
ܠܐ ܡܓܪܕܐ ܥܡܐ ܕܟܪܣܛܝܢܐ ܕܡܢܗ ܘܥܕܡܐ ܐܫܬܡܗ.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act (...)
In quei tempi c’era un uomo saggio chiamato Gesù. Se è corretto per noi chiamarlo uomo. Poiché egli era colui il quale compieva32 opere gloriose ed era il maestro della verità. Molti tra i Giudei e tra le nazioni divennero suoi discepoli. Si pensava che egli fosse il Messia. Ma non secondo la testimonianza del capo della (nostra) nazione. Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì. E coloro i quali lo hanno amato non hanno smesso di amarlo. Apparve a loro dopo tre giorni vivente. Di certo i profeti di Dio parlarono di lui di cose meravigliose. E fino a (quel) giorno non fu assente il popolo dei Cristiani che fu nominato dopo di lui.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Gramma (...)
17Linguisticamente parlando il senso del passo greco è abbastanza chiaro e riflette lo stile di Flavio Giuseppe33. Dopo una breve introduzione nella quale si parla della straordinaria importanza della figura di Gesù, si passa direttamente al fatto principale riguardante la vita di costui: la crocifissione, la morte e la resurrezione.

18Proprio il dato storico riferibile alla resurrezione è in questa sede il punto sul quale sarà focalizzata maggiore attenzione. La pericope in questione è la seguente: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν “nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo”.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.
35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col (...)
36 LSJ, 749-750.
19Si tratta di una sintetica espressione che per la sua struttura ha suscitato non poche perplessità34. L’impiego del verbo ἔχω “io ho” sembra alquanto curioso. Per quale motivo impiegare questa espressione per indicare la resurrezione nel terzo giorno? Si è voluto vedere in questa costruzione una eco del testo evangelico di Luca (24: 18-27)35 nel quale, in riferimento alla resurrezione, si dice esplicitamente: τρίτην ταύτην ἡµέραν ἄγει “sono passati tre giorni”. Alcuni studiosi hanno sottolineato come l’uso del verbo ἔχω nel Testimonium Flavianum sia ambiguo, ovvero non renda un significato appropriato per quanto si voleva dire. In effetti, si tratta di un usus scribendi particolare, ma non incomprensibile; è ovvio che il verbo ha qui il valore intransitivo, con il significato di “trovarsi, esserci”36, e che quindi il senso della frase sia semplicemente quello di indicare che il Cristo “era davvero vivente nel terzo giorno” e non rappresentava una semplice visione. Da un confronto con i testi arabo e siriaco si nota che Gesù fosse già risorto dopo tre giorni, infatti in Agapio leggiamo: و انه عاش “ed egli è vivente” in cui عاش rappresenta il participio attivo del verbo “vivere”, quindi “vivente”; mentre in Michele: ܚܝ ܟܕ “mentre è vivente”, anche qui con il participio attivo del verbo “vivere”, ma rafforzato dalla particella ܟܕ “mentre”.

20Astraendo dunque da questa presunta difficoltà lessicale, parrebbe più opportuno soffermare l’attenzione sull’uso del verbo φαίνω, qui nella forma dell’aoristo II intransitivo.

21Il significato è chiaro: Gesù apparve di nuovo vivente nel terzo giorno.

22Un primo confronto può essere condotto con le versioni siriache ed araba del Testimonium. Nella versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio (1.11.8) leggiamo:

ܓܝܪ ܡܢ ܒܬܪ ܬܠܬܐ ܝܘܡܵܝܢ ܬܘܒ ܟܕ ܚܙ ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ

“…infatti apparve a loro dopo tre giorni di nuovo vivente”;

parallelamente nella cronaca di Michele il Siro (4.91) troviamo un’espressione quasi identica alla precedente:

ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ ܡܢ ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ

“ … apparve a loro dopo tre giorni vivente”.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come pri (...)
38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.
39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il gr (...)
40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.
41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158
42 Cfr. DNWSI, 357-361.
23Notiamo subito che, a fronte di una sostanziale convergenza con il testo greco, è proprio la forma verbale che indica la presenza improvvisa del Cristo in mezzo ai viventi che assume un valore affatto differente. Se in greco possiamo leggere ἐφάνη, in siriaco troviamo la forma ’ethpa‘el del verbo ḥzy “vedere”37. Però, la presenza in siriaco della particella ܠ “a, verso, per” dopo il verbo in questione tende a mutare il significato originario di “fu visto” con “apparve a”38, dunque “apparve a loro” sottintendendo che “fu visto da loro” come una visione39. L’apparizione improvvisa invece viene indicata in siriaco dalla radice blq40. Da un confronto con altre lingue semitiche come l’ebraico, in quest’ultima ḥazah significa proprio “vedere, osservare, percepire”, verbo talvolta adoperato anche per identificare la reale esperienza di una presenza divina come in Es 24, 11 e Gb 19, 26, da cui ḥazōn “visione”41; la radice *ḥzy trova un riscontro, con lo stesso significato originario e primario di “vedere”, anche nelle altre varietà di aramaico42.

24Sulla base di ciò, tale differenza potrebbe sembrare insignificante, ma, ad uno sguardo più attento, non sfuggirà che una cosa è affermare che il Cristo “apparve”, altra è dire che lo stesso “fu visto” dai suoi discepoli, poiché l’esperienza sensoriale è assolutamente differente. Nel primo caso l’agente, il Cristo, sembra incarnare una visione, è il medesimo che si presenta al cospetto altrui; nel secondo, invece, tutto il significato verbale è spostato sui discepoli che hanno l’esperienza materiale di vedere, verificare, la presenza del Cristo tra loro poiché si è manifestato come apparizione, visione. Non è escluso dunque che la traduzione siriaca abbia cercato di sanare, in itinere, quella che poteva apparire ad un cristiano un’aporia, ovvero ridefinire l’esperienza che i discepoli avevano fatto di fronte al Cristo risorto: era vivente, lo videro, lo sperimentarono!

25Tutt’altro se si trattava di un’apparizione: in ultima analisi, colui che era apparso, allo stesso modo poteva scomparire. La sensazione dell’ ‘apparire’ è molto più sfumata e ha un significato meno concreto di quella del ‘vedere’.

26Arriviamo dunque all’ultima versione del Testimonium che fornisce Agapio in lingua araba: وذكروا انه ظهر لهم بعد ثلثة ايام من صلبه وانه عاش “… e ricordarono che Egli apparve a loro dopo tre giorni dalla sua crocifissione ed era vivente”

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto (...)
44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice origina (...)
45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.
27In questo caso, trattandosi di una versione riassunta, l’autore tende a mantenere il verbo originale, impiega, infatti, il verbo arabo ẓahara “apparire, mostrare/mostrarsi”43. Qui troviamo in arabo un verbo che originariamente aveva il significato di “brillare, portare alla luce”, quindi “mostrare”44 esattamente come indica φαίνω “recare alla luce, portare alla luce, mostrare, splendere, brillare, apparire, comparire”45

28È presumibile che l’uso del verbo φαίνω debba dunque mantenersi nell’accezione usuale per l’aoristo intransitivo. Si tratta allora di un dato forse da non sottovalutare, specialmente se confrontato con gli analoghi racconti presenti nella letteratura coeva o di poco anteriore all’età di Flavio Giuseppe.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.
47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 1 (...)
29Da una ricognizione su tutte le fonti evangeliche, canoniche e apocrife, e sul corpus paolino46 non esiste un’espressione simile riferita all’esperienza che i discepoli e gli altri fecero del Cristo risorto. I verbi usati sono altri, infatti, Gesù ‘si rende noto’, ‘giunge’ o ‘viene visto’47, forse proprio per il fatto che si voleva assolutamente evitare ogni confusione tra il Cristo vivente e risorto e le immagini di visioni presenti nell’Antico Testamento o nella letteratura pagana. Del resto l’uso di φαίνω con il significato di apparire in visioni è ben testimoniato nei Vangeli (Mt 1: 20; 2: 13) e quindi, se gli autori avessero voluto impiegarlo in relazione al Cristo avrebbero potuto; ma non l’hanno fatto, proprio perché tale verbo racchiude un significato improprio per quanto rappresentato dal loro maestro che, vivente, dimostrava la veridicità della loro fede.

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-1 (...)
49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro (...)
50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.
51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 1 (...)
30Probabilmente qui l’introduzione, nella fede cristiana, dell’epifania ha giocato un ruolo nella costruzione letteraria del passo. Il termine epifania, dal greco ἐπιφαίνω “mi rendo manifesto”, indicava nel mondo greco antico la ‘manifestazione’, l’ ‘apparizione’ delle divinità per poi assumere nel cristianesimo il significato della manifestazione di Gesù ai popoli di tutto il mondo. Il concetto cristiano di epifania era già insito nella missione divulgativa dell’apostolo Paolo; la nozione ha subito un’evoluzione trasformandosi nella ‘manifestazione’ divina evangelica, ossia Paolo, da inviato, proclamava che Gesù era εἰκὼν τοῦ θεοῦ “immagine di Dio”, mettendo in moto forme di mediazione della presenza divina che nei primi Cristiani si fondavano sui viaggi apostolici e sui testi e in queste due forme si annunciava il luogo dove poter ‘incontrare’ la presenza divina48. La prima celebrazione, il 6 gennaio49, è avvenuta nel tardo II secolo allorché le prime comunità cristiane di Alessandria di Egitto celebrarono la Natività di Gesù Cristo, e con essa anche l’Epifania come la ‘manifestazione del Signore al mondo’. Fino all’introduzione nei primi anni del IV secolo, da parte della Chiesa di Roma, del 25 dicembre come festa della Nascita di Gesù, la stessa veniva celebrata insieme al Battesimo50. Inoltre, la parola epifania non compare mai nei Vangeli (tranne che sotto forma di verbo in Lc 1, 79), ma in altri documenti del Nuovo Testamento51. Non si esclude che l’uso di φαίνω nel Testimonium abbia risentito dell’influenza del concetto di epifania ormai radicato nell’interpolatore cristiano che avrebbe messo mano al Testimonium poiché un ebreo come Flavio Giuseppe non avrebbe mai potuto concepire la ‘manifestazione’ di Gesù come ‘apparizione’ divina.

31Tornando al testo, si è detto che una tale forma verbale non è mai impiegata in racconti sulla resurrezione; ma in realtà un esempio ci sarebbe, ma fa parte dei versetti dell’ultimo capitolo del Vangelo di Marco, oggi unanimamente ritenuti un’aggiunta posteriore non originale.

Nello specifico a 16: 9 leggiamo:
[[Ἀναστὰς δὲ πρωῒ πρώτῃ σαββάτου ἐφάνη (corsivo e grassetto mio) πρῶτον Μαρίᾳ τῇ Μαγδαληνῇ, παρ’ ἧς ἐκβεβλήκει ἑπτὰ δαιµόνια.

“Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, (...)
32L’uso verbale è identico: il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala. Una simile espressione non solo somiglia molto a quella del Testimonium, ma sembra realmente un’aggiunta fatta in un secondo momento per completare un testo che si riteneva mancante del dettaglio principale, quello caratterizzante la fede dei Cristiani52. Tale aggiunta, tuttavia, pare anche più superficiale, meno ragionata rispetto alla comprensione profonda dell’evento storico che riguardava la resurrezione del Cristo.

33Poiché ovviamente è da ritenere che una simile appendice sia stata inserita in ambito cristiano, pur se in maniera cursoria e probabilmente ricollegabile alla tradizione orale, potremmo avanzare un’ipotesi di lavoro riguardo al passaggio del Testimonium che abbiamo analizzato.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.
34La critica data i versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco ad un periodo che può essere collocato tra il primo quarto e la metà del II secolo53, ovvero dopo la pubblicazione delle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe.

35Il Vangelo di Marco era tra i più letti e utilizzati in ambito siro-palestinese almeno fino al VI secolo; potremmo allora ipotizzare che, traendo spunto dal versetto 9 del capitolo 16, un interpolatore cristiano abbia inserito nell’opera di Flavio Giuseppe il passo in questione?

Conclusioni
54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifa (...)
36Tornando alla problematica suscitata sulla totale o meno falsificazione del Testimonium di Flavio Giuseppe, il passaggio è stato inizialmente citato verbatim da Eusebio che lo ha utilizzato per i suoi propositi apologetici anti-pagani. Il testo è tutt’ora oggetto di critica ed è stato etichettato come ‘interpolato’ sin dal XVI secolo, focalizzando l’attenzione principalmente sul fatto che l’espressione “questi era il Cristo” non poteva essere originale nel textus receptus e comunque non poteva essere stata concepita da un non cristiano come Flavio Giuseppe; inoltre il ritrovamento di una traduzione siriaca contenente l’espressione utilizzata da Girolamo “si pensava che egli fosse il Messia” (“credebatur esse Christus”) nonché di un altro testo semitico, quello arabo di Agapio, in cui si trova la frase “forse egli è il Messia”, ha alimentato l’ipotesi secondo la quale ci doveva essere stato un precedente e originale testo greco che contenesse un’espressione similare sullo status di Messia di Gesù e di conseguenza che il Testimonium di Flavio Giuseppe è stato interpolato, anche se parzialmente, da un cristiano che è ‘intervenuto’ in quelle parti fondamentali del credo cristiano, ossia morte e resurrezione di Gesù. Un altro dato a supporto della falsificazione del testo emerge se si analizza l’uso e il significato di φαίνω, anche in comparazione con le successive versioni siriache e araba, nel Testimonium. Sembrerebbe evidente che la nozione di epifania abbia realmente creato le condizioni per utilizzare φαίνω in relazione alla manifestazione di Gesù come divinità e si sa che l’epifania non poteva di certo essere una concezione veritiera per un giudeo come Flavio Giuseppe54. I versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco sarebbero ancora una volta la prova che un interpolatore cristiano abbia voluto inserire nel textus receptus una concezione della manifestazione di Gesù, utilizzando proprio Marco, e rendere ancora di più ‘cristiano’ il Testimonium. La questione secondo la quale nelle versioni siriache e araba si utilizzano verbi che hanno il significato principale di ‘vedere’, ‘rendersi visibile’, ‘mostrarsi’ per tradurre φαίνω potrebbe essere spiegata col fatto che nei Vangeli Gesù non viene descritto come colui che ‘appare’, nel senso specifico di φαίνω, ma sostanzialmente egli ‘giunge’, ‘viene visto’, ‘si mostra’. Pertanto si tratta di resurrezione o di visione del Cristo? L’interpolatore cristiano ha voluto quindi inserire un dato significativo: Gesù è già risorto ed è stato visto, si è mostrato ai suoi discepoli; così facendo l’interpolatore avrebbe narrato l’evento in parallelo a quanto descritto nei Vangeli, ma avrebbe preso spunto dagli ultimi versetti di Marco per inserire il verbo ‘necessario’ alla ‘visione’ di Cristo, ossia φαίνω che sottolinea la definitiva e necessaria ‘apparizione’ di Cristo.

55 Olson 1999.
56 Baras 1987, 340.
57 Van Voorst 2000, 97.
37Stando a tali riflessioni, ci si chiede pertanto quando sia avvenuta questa interpolazione. Secondo K. Olson il Testimonium sarebbe stato falsificato interamente da Eusebio55, mentre per Z. Baras il Testimonium sarebbe stato manomesso prima di Eusebio; secondo questi Origene vide il Testimonium originale, che non riportava quotazioni negative su Gesù, e l’interpolazione sarebbe quindi avvenuta in un arco di tempo che va da Origene a Eusebio56 (II-III secolo ?). Della stessa opinione è E. Van Voorst57.

38Forse l’uso di una forma verbale è troppo poco per ipotizzare la reale genesi di un passo così tormentato e discusso come il Testimonium, ma è comunque non improprio tenere conto anche di questa difficoltà ermeneutica che, trovando sostegno in altri elementi, storici o filologici, potrebbe in ultima analisi porre un altro piccolo tassello sulla via dell’interpretazione e della comprensione di quanto troviamo nelle Antichità Giudaiche.

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BIBLIOGRAPHIE
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NOTES
1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cfr. Bell 1976, 16-22; Meier 1990, 76-103; Olson 1999, 305-322; Bardet 2002; Whealey 2003 e Whealey 2016 con ricca bibliografia; Bermejo-Rubio 2014; Dettwiler 2017.

2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei quali mette in dubbio la totale o parziale autenticità del Testimonium (vd. Feldman-Hata 1989, 430 e Feldman 2011, 11-30).

3 Van Voorst 2000, 91-92.

4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Basilio Magno, Cirillo di Alessandria, Sant’Ambrogio o Tommaso d’Aquino, non citano il Testimonium preferendo utilizzare altre opere di Flavio Giuseppe.

5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettato come Cristo”; cfr. anche XIII, 55, nonchè Contra Celsum 1, 47 e 2, 13.

6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” andrebbe contro l’ideologia di Flavio Giuseppe e probabilmente tale menzione è dovuta ad un’interpolazione cristiana, perché nessun ebreo avrebbe mai sostenuto che Gesù fosse il Messia.

7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino e in siriaco e adoperata da autori tardo-antichi e medievali che citano il Testimonium traendolo direttamente dalla Storia ecclesiastica di Eusebio.

8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale del Testimonium si trova nella sua Cronaca IV, 91. La sua opera è stata editata da Jean-Baptiste Chabot (ed.), Chronique de Michel le Syrien, Patriarche Jacobite d’Antiche (1166-1199). Éditée pour la première fois et traduite en français I-IV. Paris,1899; 1901; 1905; 1910 con ristampe del 1963 e del 2010.

10 Whealey 2016, 347.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte in latino e del De excidio Hierosolymitanae urbis dello Pseudo-Egesippo.

12 Whealey 2016, 348.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey 2016. Tra le varie teorie vi è anche quella relativa all’ipotetica neutralità, del testo originario, nei confronti del Cristo. Della Vorlage del Testimonium intesa come un ‘Neutral Text’ se ne è occupato Bermejo-Rubio il quale ha indagato le differenti ipotesi relative alla natura del testo (Bermejo-Rubio 2014, 331-336) ritenendo che la supposizione di un testo originario neutrale non è convincente e che: «the original text must have been at least implicity negative» (vd. conclusioni a pp. 363-356).

14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo”. Nella narrazione, l’episodio di Gesù è inserito in una serie di mali che condussero poi la nazione alla perniciosa ribellione contro Roma. Successivamente al passo relativo al Testimonium, Flavio Giuseppe cita un altro episodio negativo definendolo “un altro orribile evento” (Antiquitates XVIII, 65); ci si chiede se per lui originariamente la storia di Gesù era un deinon. Secondo alcuni studiosi la seconda menzione di Gesù rappresenterebbe un dato a favore del ‘Neutral Text’ del Testimonium anche se per Bermejo-Rubio tale ipotesi è poco convincente poiché il secondo riferimento a Gesù è considerato en passant in quanto il ‘focus’ del discorso è Giacomo (Bermejo-Rubio 2014, 336-337).

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al-‘Unwān di cui le due edizioni principali sono quelle di Alexander Vasiliev (ed.), Kitab al-’Unvan/Histoire Universelle, écrite par Agapius (Maḥboub) de Membidj, Patrologia Orientalis, N. 5 (1910), 7 (1911), 8 (1912), 11 (1915) e di Louis Cheikho (ed.), Agapius Episcopus Mabbugensis. Historia Universalis, CSCO 65, 1912.

16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.

17 Pines 1971, 33.

18 Whealey 2008, 587-588.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fedelmente Agapio e Michele per quanto concerne il I secolo e non include il Testimonium; ciò indicherebbe che Agapio e Michele avrebbero attinto da una precedente cronaca, per il I secolo, la quale è stata aggiunta alla versione di Agapio della cronaca di Teofilo di Edessa e alla versione di Michele della cronaca di Dionigi, ma non alla versione della Cronaca del 1234 della cronaca di Dionigi. Cfr. Whealey 2008, 576-577, nonché Conterno 2014, 22-23.

20 Cfr. Pines 1971, 27.

21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurre, riflettere”, “to expect; to reason”, quindi “pensare, capire”, mentre in forma ethpe‘al, in siriaco, “essere considerato, ritenuto essere”, “to be considered” (cfr. DNWSI, 775; Sokoloff 2009, 964-965).

23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.

24 Pines 1971, 31-32.

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.

26 Pines 1971, 30.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, è fornita da Simonetti 2002, 412-413: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli he tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani”.

29 Pines 1971, 14.

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” un avvenimento.

31 Whealey 2008, 589.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act”, anche se in generale nelle varietà di aramaico assume come primo significato quello di “visitare”, “agire”. Cfr. DNWSI, 796.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Grammar), 819-820 (26.4: Josephus’ Language and Style) e 817 (26.3: Josephus’ Statements about this Knowledge of Greek). Per un aggiornamento successive vd. ancora Feldman 1986.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.

35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col Testimonium di Flavio Giuseppe e tali occorrenze proverebbero che si possa essere trattato di un caso di coincidenza, ovvero che il Testimonium possa aver subito un’interpolazione cristiana sulla base di Luca o, come ultima ipotesi, che sia Flavio Giuseppe che Luca abbiano basato le loro descrizioni su affermazioni giudeo-cristiane che circolavano tra l’80-90 d.C. Per un’analisi sulla questione vd. Goldberg 1995.

36 LSJ, 749-750.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come primo significato “fu visto”.

38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.

39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il greco εἶδος in 2Cor 5, 7.

40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.

41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158

42 Cfr. DNWSI, 357-361.

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto”, “apparire, manifestarsi, mostrarsi” (Traini 1999, 874 e Lane 1863, 1926 e sgg.).

44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice originaria *ṣhr significherebbe “far luce, illuminare” vd. Klein 1987, 542.

45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.

47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 16, 12 nell’apparizione a due discepoli: ἐφανερώθη ἐν ἑτέρᾳ µορφῇ “e si rese manifesto sotto altra forma” (dal verbo φανερόω “render noto, chiaro, visibile, manifesto”); Lc 24, 15 Gesù si avvicina e non appare ai discepoli di Emmaus: καὶ αὐτὸς Ἰησοῦς ἐγγίσας συνεπορεύετο αὐτοῖς “ e lo stesso Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro”; Lc 24, 31: ἐπέγνωσαν αὐτόν “lo riconobbero”; Lc 24, 36 apparizione agli apostoli: αὐτὸς ἔστη ἐν µέσῳ αὐτῶν “Egli stette in mezzo a loro”; in Gv 20, 14 Maria Maddalena vede Gesù: καὶ θεωρεῖ τὸν Ἰησοῦν ἑστῶτα “e vede Gesù che stava lì”; in Gv 20, 19 Gesù non apparve ai discepoli, ma giunse in mezzo a loro: ἦλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἔστη εἰς τὸ µέσον “venne Gesù, stette in mezzo a loro”; in Gv 21, 1 nella terza apparizione ai discepoli: ἐφανέρωσεν ἑαυτὸν πάλιν ὁ Ἰησοῦς “Gesù si manifestò di nuovo”; in At 1, 3: οἷς καὶ παρέστησεν ἑαυτὸν ζῶντα “è a questi stessi apostoli che si era mostrato vivo”; ὀπτανόµενος αὐτοῖς “era apparso loro”(< παρίστηµι “mi colloco, mi presento, sono presente” e ὀπτάνοµαι “appaio, mi mostro”); 26, 16: ὤφθην σοι “ti sono apparso”, ma cfr. l’uso dell’aoristo passivo in Thayer 1889, p. 452, 5 “I was seen, showed myself, appeared”; in 1Cor 15, 5, 6, 7, 8: ὤφθη “fu visto” (aoristo di ὁράω “vedere, percepire, conoscere”).

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-191.

49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro 6 gennaio.

50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.

51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 13 indica la manifestazione di Cristo nella carne. In At 2, 20 compare l’aggettivo ἐπιφανὴς “splendido, glorioso”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, 497-508; Schröter 2010, 272-295.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.

54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifania, parafrasando celebri episodi del Vecchio Testamento.

55 Olson 1999.

56 Baras 1987, 340.

57 Van Voorst 2000, 97.

CAT_IMG Posted: 7/4/2024, 11:15 TESTIMONIUM FLAVIANUM - Cristianesimo











cip di richiamo

https://letterepaoline.net/2009/01/23/il-t...nium-flavianum/






Tra le più antiche fonti non cristiane sull’esistenza storica di Gesù (elencate brevemente qui), figurano due passaggi dalle Antichità giudaiche dello storico ebreo Giuseppe Flavio (Gerusalemme, circa 37 d.C. – Roma, circa 100 d.C.).

L’opera, composta durante l’ultimo decennio del I secolo, accenna rapidamente alla figura di Gesù in due occasioni: nel libro XX (9,1), laddove riferisce della condanna a morte di Giacomo il minore, ordita nell’anno 63 dal sommo sacerdote Anano (sadduceo, poi destituito su pressione dei farisei); e poco prima, più estesamente, al libro XVIII (3,3, §§ 63-64). Quest’ultimo brano è noto come Testimonium flavianum: è anche alla sua importanza che si deve l’abbondante trasmissione del testo di Giuseppe Flavio, in epoca antica e medievale (assieme ad altre opere dello storico: la Guerra giudaica, suo capolavoro indiscusso, l’interessantissima autobiografia, e il libretto apologetico Contro Apione, giuntoci in forma frammentaria).

Attorno ad esso, soprattutto a partire dai dubbi espressi dall’umanista francese Joseph Scaliger (XVI sec.), la critica si è concentrata in vari modi, negando o contestando l’autenticità del passo, e producendo in tal modo una bibliografia sterminata (da ultimo, si veda il contributo di A. Whealey, Josephus on Jesus. The Testimonium Flavianum Controversy from Late Antiquity to Modern Times, New York 2003). Prima di parlarne brevemente, leggiamo dunque il brano, nella recente traduzione di Manlio Simonetti:

Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli che tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani (Flavio Giuseppe, Storia dei Giudei da Alessandro Magno a Nerone. “Antichità Giudaiche”, libri XII-XX, Milano 2002, pp. 412-413).

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Su Giuseppe Flavio, come si è detto, abbiamo parecchie informazioni di prima mano. Nell’autobiografia, ad esempio, egli stesso si qualifica come rampollo di un’antica e nobile famiglia sacerdotale. Da giovane, sempre per sua ammissione, frequentò le principali sette giudaiche dell’epoca (farisei, sadducei, esseni), e dopo un breve periodo nel deserto, al seguito di un misterioso personaggio di nome Banno, optò per l’ingresso ufficiale nel movimento farisaico, cui rimase legato fino alla morte.

Sempre in gioventù, gli venne affidato un delicatissimo incarico: quello di difendere presso la corte imperiale romana, con una spedizione ad hoc, alcuni membri di famiglie sacerdotali probabilmente accusati di sedizione. La missione andò a buon fine, e gli consentì di entrare nelle grazie di Poppea, seconda moglie di Nerone, per intercessione di un mimo di origine ebraica molto apprezzato dall’imperatrice. Tornato in patria, l’ondivago Giuseppe si ritrovò coinvolto nella sanguinosa insurrezione antiromana del 66, tra le fila dei Giudei, in qualità di comandante (valoroso condottiero, secondo il resoconto da lui stesso offerto nella Guerra giudaica, e prudente mediatore di pace, secondo l’autobiografia). Al termine di un rovinoso assedio dei romani nei pressi del villaggio galilaico di Jotapata, forse grazie a un abile escamotage, riuscì infine a scampare a un suicidio di massa approntato dalle sue truppe.

Quel gesto, oltre ogni possibile previsione, rappresentò per lui l’inizio della gloria. Passando definitivamente dalla parte dei Romani, Giuseppe si assicurò infatti il favore degli ex avversari, presentandosi come “profeta giudeo”, e preconizzando nientemeno che l’elezione a imperatore dell’allora generale Vespasiano, visto come il messia liberatore atteso dal popolo ebraico (la profezia è nota anche grazie ad autori pagani, quali Svetonio e Dione Cassio). Non si pensi, però, a un improvvisato e momentaneo voltafaccia. Vespasiano, divenuto imperatore in capo a due anni, concederà a Giuseppe tutti gli onori del caso, permettendogli di porre mano, con una serie di opere indirizzate prevalentemente a un pubblico non ebraico, a un grandioso tentativo di giustificazione storica, politica e persino teologica del clamoroso rovesciamento nelle vicende del popolo d’Israele.

Come intuito da Adolf von Harnack e da Jacob Taubes, il neoromano Giuseppe si convince infatti che «la caduta di Gerusalemme testimoni e riveli all’ebraismo che il mondo è teatro di una sua più grande vittoria (…), che il suo Dio, abbandonato dalla santità di Gerusalemme, conquisterà il mondo e che la sua legge sottometterà l’Imperium romanum». Giuseppe spera «che la legge divina del popolo ebraico conquisti il dominio sul mondo e che la teocrazia dello stato ebraico si estenda a teocrazia mondiale (…). Nella teocrazia dell’ebraismo si realizza l’ideale di Platone e di tutte le utopie greche sullo stato migliore» (J. Taubes, Escatologia occidentale, trad. it. Milano 1997, p. 88). Ciò darà a luogo a una curiosa eterogenesi dei fini, perché il prodotto della propaganda dello storico ebreo, come di quella di un suo (diversissimo) contemporaneo, Filone Alessandrino, contribuiranno invece a lavorare «l’Impero romano come un campo da coltivare, rendendolo fertile per la semina cristiano-orientale»: vale a dire per un’operazione di segno opposto, anche se di uguale matrice ebraica.

Si capisce allora come il Testimonium flavianum, nella forma in cui ci è giunto, non possa provenire integralmente dalla penna di Giuseppe, ma sia il probabile risultato di una controversa storia testuale, nella quale copisti cristiani intervennero a correggere il testo. Tali copisti, tuttavia, non avrebbero potuto creare di sana pianta il passaggio, né alterarlo completamente. L’antico scrittore, di certo, non nutriva alcun particolare interesse nei confronti dei seguaci di Cristo: ma non poteva nemmeno ignorarne l’esistenza (come non ignorò l’esistenza di un altro protagonista delle origini: Giovanni Battista). Anche la critica più radicale, inoltre, è costretta ad ammettere che lo stile del passo risulta compatibilissimo con la mano di Giuseppe.

Fino a che punto, dunque, i copisti successivi aggiustarono le cose? I tentativi di restituzione dell’originale non sono mancati, anche a partire dall’esame accurato delle varianti presenti nella tradizione manoscritta. Una versione araba del passo, scoperta nel 1971, proviene ad esempio da un autore siriaco del X secolo, il vescovo Agapio di Hierapolis:

Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie” (la traduzione è presa da J. Maier, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, trad. it. Brescia 1994, p. 65).

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Le differenze nei vari passaggi, in questo caso, si possono spiegare supponendo una citazione a memoria (secondo una prassi non inusuale): nulla, ad ogni modo, ci assicura che questa fosse la versione originaria. Una possibile ricostruzione del brano, a un di presso, potrebbe essere allora la seguente (i passaggi non dovuti a Giuseppe Flavio sono espunti tra parentesi quadre; i passaggi ricostruiti per via congetturale sono posti fra gli indicatori; la traduzione dal greco è di chi scrive):

A quel tempo, visse un uomo sapiente (in gr.: sophòs anēr), se è appropriato chiamarlo uomo. Perché operò prodigi, fu maestro di uomini che accolsero con piacere < l’empietà? >, e condusse sulla propria strada numerosi Giudei (polloùs Ioudaìous), ma anche molti Gentili (polloùs toû ellēnikoû): [ i quali dicevano che ] era il Cristo. E quando su accusa dei nostri notabili venne fatto crocifiggere da Pilato, quanti dal principio lo avevano amato non smisero di amarlo: [ essi sostenevano infatti che ] apparve loro nel terzo giorno, vivente, e i profeti avevano predetto questa e diecimila altre cose incredibili (thaumásia) su di lui. Ancora oggi sussiste la stirpe dei cristiani, che da lui ha preso il nome.

Il brano, così restituito, risulterebbe assai vicino alla versione riferitaci dalla maggior parte dei manoscritti, e supporrebbe pochissimi interventi: due espunzioni (“i quali dicevano che”; “essi sostenevano che”) e una sola alterazione (l’attuale “verità”, in luogo forse di un originario “empietà”). Ci troveremmo di fronte ad affermazioni che un cristiano non avrebbe mai potuto compilare, in questi termini: oltretutto con l’ammissione esplicita che quanto viene riferito deriva da affermazioni dei discepoli di Gesù (nondimeno, vi sono studiosi come Étienne Nodet che spiegano diversamente le presunte interpolazioni cristiane, e giungono ad ammettere la sostanziale autenticità del passo trasmesso).

Cosa possiamo ricavare da questo brano? Le informazioni, anche nella supposta versione “corretta”, sono di primaria importanza, al di là del riferimento alla crocifissione di Gesù e alla fede dei seguaci nella sua risurrezione. Innanzitutto, Gesù è indicato come un sophòs anēr, un “saggio”, un “sapiente”: non fu un profeta, non fu un taumaturgo, non fu un “rabbi” nel senso posteriore del termine (all’epoca di Gesù, il titolo era puramente onorifico), non fu nemmeno un agitatore politico, e non appartenne a nessuno dei movimenti giudaici menzionati da Giuseppe (farisei, esseni, sadducei; gli “zeloti”, per Giuseppe, si organizzarono come movimento autonomo durante la guerra giudaica, quindi dopo la morte di Gesù; prima il termine aveva un altro significato).

La valutazione di Giuseppe è simile a quella dello scrittore greco Luciano di Samosata (II secolo), che in un suo caustico pamphlet, dedicato a un predicatore itinerante del suo tempo, un certo Peregrino, menziona la frequentazione sporadica da parte di questi di un gruppo di “cristiani”, descritti come «adoratori di un sofista crocifisso». Anche altre fonti non cristiane, di poco precedenti, parlano di Gesù come di un saggio o di un sapiente (vedi la lettera di Mara Bar Serapion, databile alla seconda metà del I secolo), messo a morte dal suo stesso popolo.

Le ulteriori informazioni fornite da Giuseppe, poi, concordano col quadro che si desume dalle successive fonti rabbiniche. In un brano del Talmud babilonese (trattato Sanhedrin, § 43), si dice infatti che «alla sera della Parasceve si appese Jeshu ha-notzrì (il nazareno, ovvero cristiano)», con una triplice imputazione: «ha praticato la magia e ha sobillato (hissit) Israele [all’idolatria] e l’ha traviato (hiddiah) il popolo». L’accusa corrisponderebbe a quanto scritto nelle Antichità giudaiche, per cui Gesù si sarebbe distinto come operatore di prodigi (donde l’accusa di magia, riferita anche dalle fonti evangeliche), come predicatore di empietà o di idolatria (donde l’accusa, riferita sempre nei vangeli, di avere bestemmiato e di essersi proclamato “Figlio di Dio” e “Figlio dell’uomo”, entrambi titoli sovrumani), e come traditore di Israele.

Riguardo a quest’ultimo punto, la notazione di Giuseppe è particolarmente interessante, dato ch’egli sottolinea come Gesù «condusse sulla propria strada numerosi Giudei, e anche molti Gentili». Il vocabolo Ioudaios, all’epoca in cui scrive lo storico ebreo, ha un senso eminentemente etnico-culturale, non religioso (come in Paolo, che per indicare l’appartenenza religiosa utilizza ebraios). Ugualmente, l’espressione (hoi) toû ellēnikoû ha valore etnico-culturale: non può indicare ebrei di lingua greca, da contrapporre ad ebrei di area palestinese. Significa “quelli di stirpe greca”, vale a dire i non Ioudaioi, i non Giudei. Particolare importante, perché Giuseppe potrebbe attestare in tal modo il fatto che Gesù avrebbe avuto anche non ebrei fra i suoi discepoli, o quantomeno fra i suoi primi seguaci: un elemento in più, questo, per sostenere che l’apertura del primissimo gruppo dei discepoli agli esterni della “casa d’Israele” non fu il prodotto di una serie di contingenze storiche o di “tradimenti” (come quello che secondo taluni sarebbe stato operato da Paolo), ma trasse forse la sua linfa dalla predicazione originaria del Maestro.







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A

ITALIANOENGLISH
La lunga querelle riguardante il testo del Testimonium Flavianum non può dirsi ancora conclusa. La critica si divide sul problema dell’autenticità o meno di questa importante testimonianza sulle origini del Cristianesimo. In questo breve lavoro, dopo un’analisi storico-filologica condotta sul testo, si ipotizza che il medesimo possa aver risentito dell’opera di un interpolatore cristiano di II secolo. In particolar modo, l’uso di φαίνω, in comparazione con i verbi usati nelle versioni siriaca e araba, e i versi di Mc 16, 9-11, che sarebbero stati inseriti nel testo, sarebbero un’ulteriore prova che il Testimonium abbia risentito di una interpolazione cristiana in relazione alla ‘manifestazione’ di Gesù.



Conclusioni
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TEXTE INTÉGRAL
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1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cf (...)
2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei (...)
1Il caso del cosiddetto Testimonium Flavianum può dirsi ancora oggi non chiuso. Il breve passaggio su Gesù di Nazaret, che appare in tutti i manoscritti esistenti nel diciottesimo libro dello storico giudeo romanizzato Flavio Giuseppe, Antiquitates iudaicae (XVIII, 63-64) scritto in greco nel 93-94 d.C. circa, è stato soggetto a dispute teologiche circa la sua autenticità, sin dal sedicesimo secolo. Le interpretazioni della critica divergono sensibilmente e possono essere raggruppate, in ultima analisi, in due filoni opposti: coloro che sostengono l’autenticità del passo e coloro che la negano in parte o in tutto, parlando esplicitamente di interpolazione/interpolazioni1. Il dibattito sull’autenticità del Testimonium nasce dalla presenza di alcuni passi difficili da conciliare con quanto si conosce della religiosità di Flavio Giuseppe. Generalmente, la maggioranza degli studiosi accetta parzialmente il Testimonium attribuendo ad interpolatori cristiani alcune affermazioni in esso contenute2. La querelle è stata poi ulteriormente alimentata dal confronto fra il textus receptus e alcune versioni più tarde in siriaco e in arabo, le quali tuttavia , nonostante i lodevoli sforzi dei commentatori, non sembrano al momento far progredire più di tanto la ricerca.

3 Van Voorst 2000, 91-92.
4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Bas (...)
5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettat (...)
6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” (...)
7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino (...)
8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.
2Il dibattito si basa principalmente da una parte sull’analisi testuale e sul confronto del passo in questione con altre opere di Flavio Giuseppe, mentre dall’altra parte tiene conto del contesto storico e culturale nonché della totale assenza di qualche riferimento al Testimonium nelle fonti antiche3, infatti sebbene non meno di undici autori cristiani facciano riferimento a Flavio Giuseppe prima di Eusebio di Cesarea nel 324 d.C., nessuno menziona il Testimonium4. Andando per ordine, prima di Eusebio, Origene, nella metà del III secolo, scrive che Flavio Giuseppe non ‘accetta’ Gesù come Messia5, di conseguenza tale dato farebbe propendere per la totale autenticità del passo, ma come sostiene Paul L. Maier, questa ipotesi è da ritenersi ‘senza speranza’6. Il Testimonium è stato riportato verbatim da Eusebio di Cesarea per scopi apologetici anti-pagani7. San Girolamo riporta una traduzione letterale del passaggio, ma al posto della frase “questi era il Cristo” - ὁ χριστὸς οὗτος ἦν - propone “questi era creduto essere il Cristo” – credebatur esse Christus 8- tale variante è indipendentemente supportata dalla versione in siriaco di Michele il Siro la quale contiene la medesima variante:

ܗܘܐ ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܙܚܙܐ ܐܥܬܘܗܝ

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale d (...)
“si pensava che egli fosse il Cristo”9;

10 Whealey 2016, 347.
l’esistenza di questi due testi paralleli implicherebbe il fatto che ci doveva essere stata una versione greca del Testimonium da cui hanno attinto sia Girolamo sia Michele il Siro poiché gli scrittori cristiani latini e siriaci non leggevano tra loro le loro opere ma solo la letteratura cristiana redatta in greco10.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte (...)
12 Whealey 2016, 348.
3A partire dal XVI secolo il dibattito sull’autenticità del Testimonium si fa più intenso tra gli studiosi ebrei, come Isaac Abravanel (1437-1508) e Menassah ben Israel (1604-1657), i quali rigettano la veridicità del testo in quanto manca nella versione del Sefer Yosippon11; mentre per i cristiani la supposizione che il testo sia stato falsificato comincia a diventare esplicita alla fine del secolo, durante il quale emergono figure come il luterano Lucas Osiander (1534-1604) anche se la sua teoria si poggia solo su presupposizioni a priori12.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey(...)
14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di (...)
4Già a metà del XVII secolo circolavano opinioni divergenti sul Testimonium, ma solo tra la seconda metà del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo la questione troverà un chiaro assestamento; ciò non avvenne per caso in quanto Protestanti come C. Arnold, D. Blondel, T. Faber, T. Ittig e S. Snell studiarono a fondo il testo e i loro argomenti a supporto dell’inautenticità risultarono talmente convincenti che gli studiosi, di qualunque religione o no, erano obbligati ad accettare le loro congetture. Solo nella metà del XIX secolo emerse un forte consenso riguardo al fatto che il Testimonium risulta essere parzialmente o totalmente interpolato13. La frase ‘incriminata’, “questi era il Cristo”, ha condotto, ad esempio, uno studioso riformato come Tanaquilius Faber (1615-1672) a pensare all’inautenticità del Testimonium per il fatto che Origene riporta che Flavio Giuseppe non crede in Gesù come Cristo. Dopo Faber, in epoca moderna, molti studiosi cominciano a credere a una possibile falsificazione del testo, prova ne sarebbe, di tale pensiero, il fatto che Niese, nella sua edizione critica delle Antiquitates, pone tra parentesi l’intero passo (di sotto esposto) pensando che sia totalmente interpolato; possibilmente la frase “questi era il Cristo” è stata, secondo alcuni, corrotta da un precedente “questi era ritenuto essere il Cristo”14.

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al- (...)
16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.
5Nel 1971 S. Pines pubblica una monografia sulla cronaca medievale araba del X secolo, redatta da Agapio15, ponendola a confronto con la cronaca siriaca di Michele il Siro (vd. supra) poiché tutte e due le opere conservano una versione del Testimonium16. Il Testimonium di Agapio, a ben vedere, differisce dal textus receptus in greco, in particolar modo per la menzione:

فلعله هو المسيح

“e forse lui è il Cristo”,

17 Pines 1971, 33.
18 Whealey 2008, 587-588.
presentando, secondo Pines, pochi ‘tratti cristiani’ che, al contrario, contraddistinguono il testo greco17. La versione del Testimonium di Michele sembrerebbe invece molto più vicina a quella greca, ma anche in essa, come esplicitato prima, vi si legge “si pensava che egli fosse il Cristo”, linguisticamente più vicino al credebatur esse Christus di Girolamo, che la accosterebbe notevolmente al pensiero di Flavio Giuseppe, riguardo a Gesù e al suo status, rispetto al Testimonium di Agapius18.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fed (...)
6Per quanto attiene alle fonti adoperate dai due autori, Agapio sostiene che la propria Cronaca si basi su quella siriaca di Teofilo di Edessa, mentre Michele il Siro ammette di aver attinto direttamente dall’opera storica del patriarca di Antiochia Dionigi Tel Maḥrē per il periodo tra 582-843; lo stesso Dionigi riconosce di aver utilizzato Teofilo per la sua opera, quindi Teofilo sarebbe stato la fonte maggiore da cui hanno attinto Agapio e Michele per il periodo storico 582-780 circa, tanto che viene citato espressamente dai due autori riguardo le loro fonti per il periodo omayyade19.

20 Cfr. Pines 1971, 27.
21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.
7Secondo Pines il Testimonium di Michele sarebbe stato composto utilizzando parti della Historia Ecclesiastica di Eusebio e parti della versione Testimonium preso dalla fonte siriaca di Agapio20; invece è plausibile che i Testimonia di Agapio e Michele derivino da una stessa fonte comune siriaca che è stata riportata verbatim da Michele, mentre Agapio ha ritenuto opportuno ricorrere ad una parafrasi abbreviata, ma entrambi gli autori hanno estratto parti dalla Historia Ecclesiastica per coprire il periodo che va dalla Creazione al 780 d.C.21

8Per quanto concerne gli elementi in comune che i due testi condividono si segnalano il riconoscimento di Gesù come messia e la sua morte in croce.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurr (...)
23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.
9Come già annotato la versione siriaca riporta l’espressione “si pensava che egli fosse il Cristo”, mentre quella araba “e forse lui è il Cristo”. Occorre sottolineare che a quel tempo una consistente parte di autori medievali leggeva solo letteratura scritta in greco e probabilmente la fonte originaria dei due Testimonia sarebbe stata redatta in greco riportando nel punto in questione una frase simile a “si pensava che egli fosse il Cristo”; inoltre il participio singolare maschile siriaco di forma ethpe‘al ܡܣܬܒܪܐ “si pensa”22 identificherebbe una connotazione scettica e non usuale da parte di un vescovo cristiano medievale, come Michele, nei confronti dello status di Messia di Gesù. Se la fonte originaria greca riportava realmente una frase similare, con il verbo ἐνοµίζετο “si pensava” (come in Lc. 3, 23), allora ciò rafforzerebbe l’affermazione di Origene secondo la quale Flavio Giuseppe non credeva in Gesù come messia23.

24 Pines 1971, 31-32.
10Per quanto concerne la menzione della crocifissione e della morte di Gesù, si nota che i due testi fanno un riferimento più esplicito24, infatti Agapio riporta:

و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت

“Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte”,

11Michele invece scrive:

ܠܡܗܡ ܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܥܬ ܝܗܒܗ ܦܝܠܜܘܣ

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.
“Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì”25.

26 Pines 1971, 30.
12Non esiste un parallelo di tale aggiunzione in altre precedenti traduzioni greche o latine del Testimonium così come risulta inverosimile che ‘la condanna di Pilato’ facesse parte di un precedente Testimonium originario; inoltre non vi è ragione del perché un autore siriaco, tra il IV-V secolo e l’epoca di Michele, abbia inserito tale avvenimento dato che esso è già incluso nel textus receptus 26.

13L’intenzione è allora quella di rileggere il testo greco e condurre un’analisi filologica, confrontando il lessico ivi impiegato con quello dei testi in arabo e in siriaco. Astraendo da considerazioni più propriamente dottrinali o più semplicemente correlate con visioni religiose, potremmo forse aggiungere qualche dato ulteriore per comprendere la reale natura di questa controversa testimonianza.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.
14Il Testimonium di Flavio Giuseppe si presenta nel modo seguente27:

Γίνεται δὲ κατὰ τοῦτον τὸν χρόνον Ἰησοῦς σοφὸς ἀνήρ, εἴγε ἄνδρα αὐτὸν λέγειν χρή: ἦν γὰρ παραδόξων ἔργων ποιητής, διδάσκαλος ἀνθρώπων τῶν ἡδονῇ τἀληθῆ δεχοµένων, καὶ πολλοὺς µὲν Ἰουδαίους, πολλοὺς δὲ καὶ τοῦ Ἑλληνικοῦ ἐπηγάγετο: ὁ χριστὸς οὗτος ἦν. καὶ αὐτὸν ἐνδείξει τῶν πρώτων ἀνδρῶν παρ᾽ ἡµῖν σταυρῷ ἐπιτετιµηκότος Πιλάτου οὐκ ἐπαύσαντο οἱ τὸ πρῶτον ἀγαπήσαντες: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν τῶν θείων προφητῶν ταῦτά τε καὶ ἄλλα µυρία περὶ αὐτοῦ θαυµάσια εἰρηκότων. εἰς ἔτι τε νῦν τῶν Χριστιανῶν ἀπὸ τοῦδε ὠνοµασµένον οὐκ ἐπέλιπε τὸ φῦλον.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, (...)
Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce.
Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani28.

29 Pines 1971, 14.
15Testo arabo di Agapio29:

و كذالك يوسيفوس العير اني فلنه قال فيميامره التي كتبها عل تدبير اليهود: انه كان هذا الز مان رخل حكيم يقال له ايسو ع و كانت له سيرة حسنة و حلم انه فاضل و انه تتلمذ له كثير من الناس من اليهود و ساتر الشعوب و كان فيلاطس قضى عليه بالصلب و الموت و الذين تتلمذو ا له لم يتركو ا تلمذته و ذكرو ا انه ظهر لهم نعد ثلثة ايام من طلبه و انه عاش فلعله هو المنسيح الذي قالت عنه الانبياء الاعاجيبب

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” (...)
Così Giuseppe l’ebreo disse, nei suoi trattati, di aver scritto sull’amministrazione dei Giudei: a quel tempo c’era un uomo saggio chiamato Gesù. E la sua condotta era buona ed era conosciuto come un uomo virtuoso. Molte persone tra gli ebrei e tra le altre nazioni divennero suoi discepoli. Pilato lo ebbe condannato alla croce e alla morte. E coloro i quali divennero i suoi discepoli non abbandonarono il suo discepolato. Loro ricordarono30 che Egli apparve a loro tre giorni dopo dalla sua crocifissione ed era vivente; e forse Egli è il Cristo di cui i profeti riportarono i prodigi.

31 Whealey 2008, 589.
16Testo siriaco di Michele il Siro31:

ܕܒܗܠܝܢ ܙܒܙܐ ܐܝܬ ܗܘܐ ܓܒܪܐ ܚܕ ܚܟܝܡܐ ܕܫܡܗ ܝܫܘܥ . ܐܢ ܘܠܐ ܠܢ ܕܓܒܪܐ ܢܩܪܝܘܗܝ
ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ ܓܝܪ ܣܥܘܪܐ ܕܥܒܕܐܵ ܫܒܝܵܚܐ ܘܡܠܦܢܐ ܕܫܪܪܐ . ܘܠܣܓܝܵܐܐ ܡܢ ܝܘܕܝܵܐ ܘܡܢ ܥܡܡܵܐ
ܬܠܡܕܘ . ܡܣܬܒܪܐ ܕܡܫܝܚܐ ܐܝܬܘܗܝ ܗܘܐ . ܘܠܘ ܐܝܟ ܣܗܕܘܬܐ ܕܪܝܫܢܘܗܝ ܕܥܡܐ ܡܛܠܗܕܐ . ܝܗܒܗ
ܦܝܠܛܘܣ ܠܡܣܒܪܫܐ ܕܨܠܝܒܐ ܘܡܝܬ ܘܗܢ ܘܢ ܕܝܢ ܕ ܐܚܒܘܗܝ ܠܐ ܫܠܝܘ ܡܢ ܚܘܒܗ . ܐܬܚܙܝ ܠܗܘܢ ܡܢ
ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ . ܢܒܝܵܐ ܓܝܪ ܕܐܠܗܐ ܘܕܐܝܟ ܗܠܝܢ ܐܡܪܘ ܥܠܘܗܝ ܬܡܝܗܵܬܐ . ܘܥܕܡܐ ܠܝܘܡܢܐ
ܠܐ ܡܓܪܕܐ ܥܡܐ ܕܟܪܣܛܝܢܐ ܕܡܢܗ ܘܥܕܡܐ ܐܫܬܡܗ.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act (...)
In quei tempi c’era un uomo saggio chiamato Gesù. Se è corretto per noi chiamarlo uomo. Poiché egli era colui il quale compieva32 opere gloriose ed era il maestro della verità. Molti tra i Giudei e tra le nazioni divennero suoi discepoli. Si pensava che egli fosse il Messia. Ma non secondo la testimonianza del capo della (nostra) nazione. Pilato lo ebbe condannato alla croce ed egli morì. E coloro i quali lo hanno amato non hanno smesso di amarlo. Apparve a loro dopo tre giorni vivente. Di certo i profeti di Dio parlarono di lui di cose meravigliose. E fino a (quel) giorno non fu assente il popolo dei Cristiani che fu nominato dopo di lui.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Gramma (...)
17Linguisticamente parlando il senso del passo greco è abbastanza chiaro e riflette lo stile di Flavio Giuseppe33. Dopo una breve introduzione nella quale si parla della straordinaria importanza della figura di Gesù, si passa direttamente al fatto principale riguardante la vita di costui: la crocifissione, la morte e la resurrezione.

18Proprio il dato storico riferibile alla resurrezione è in questa sede il punto sul quale sarà focalizzata maggiore attenzione. La pericope in questione è la seguente: ἐφάνη γὰρ αὐτοῖς τρίτην ἔχων ἡµέραν πάλιν ζῶν “nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo”.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.
35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col (...)
36 LSJ, 749-750.
19Si tratta di una sintetica espressione che per la sua struttura ha suscitato non poche perplessità34. L’impiego del verbo ἔχω “io ho” sembra alquanto curioso. Per quale motivo impiegare questa espressione per indicare la resurrezione nel terzo giorno? Si è voluto vedere in questa costruzione una eco del testo evangelico di Luca (24: 18-27)35 nel quale, in riferimento alla resurrezione, si dice esplicitamente: τρίτην ταύτην ἡµέραν ἄγει “sono passati tre giorni”. Alcuni studiosi hanno sottolineato come l’uso del verbo ἔχω nel Testimonium Flavianum sia ambiguo, ovvero non renda un significato appropriato per quanto si voleva dire. In effetti, si tratta di un usus scribendi particolare, ma non incomprensibile; è ovvio che il verbo ha qui il valore intransitivo, con il significato di “trovarsi, esserci”36, e che quindi il senso della frase sia semplicemente quello di indicare che il Cristo “era davvero vivente nel terzo giorno” e non rappresentava una semplice visione. Da un confronto con i testi arabo e siriaco si nota che Gesù fosse già risorto dopo tre giorni, infatti in Agapio leggiamo: و انه عاش “ed egli è vivente” in cui عاش rappresenta il participio attivo del verbo “vivere”, quindi “vivente”; mentre in Michele: ܚܝ ܟܕ “mentre è vivente”, anche qui con il participio attivo del verbo “vivere”, ma rafforzato dalla particella ܟܕ “mentre”.

20Astraendo dunque da questa presunta difficoltà lessicale, parrebbe più opportuno soffermare l’attenzione sull’uso del verbo φαίνω, qui nella forma dell’aoristo II intransitivo.

21Il significato è chiaro: Gesù apparve di nuovo vivente nel terzo giorno.

22Un primo confronto può essere condotto con le versioni siriache ed araba del Testimonium. Nella versione siriaca della Historia Ecclesiastica di Eusebio (1.11.8) leggiamo:

ܓܝܪ ܡܢ ܒܬܪ ܬܠܬܐ ܝܘܡܵܝܢ ܬܘܒ ܟܕ ܚܙ ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ

“…infatti apparve a loro dopo tre giorni di nuovo vivente”;

parallelamente nella cronaca di Michele il Siro (4.91) troviamo un’espressione quasi identica alla precedente:

ܐܬܚܙܝ ܠܗܢ ܡܢ ܒܬܪ ܓ ܝܘܡܵܝܢ ܟܕ ܚܝ

“ … apparve a loro dopo tre giorni vivente”.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come pri (...)
38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.
39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il gr (...)
40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.
41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158
42 Cfr. DNWSI, 357-361.
23Notiamo subito che, a fronte di una sostanziale convergenza con il testo greco, è proprio la forma verbale che indica la presenza improvvisa del Cristo in mezzo ai viventi che assume un valore affatto differente. Se in greco possiamo leggere ἐφάνη, in siriaco troviamo la forma ’ethpa‘el del verbo ḥzy “vedere”37. Però, la presenza in siriaco della particella ܠ “a, verso, per” dopo il verbo in questione tende a mutare il significato originario di “fu visto” con “apparve a”38, dunque “apparve a loro” sottintendendo che “fu visto da loro” come una visione39. L’apparizione improvvisa invece viene indicata in siriaco dalla radice blq40. Da un confronto con altre lingue semitiche come l’ebraico, in quest’ultima ḥazah significa proprio “vedere, osservare, percepire”, verbo talvolta adoperato anche per identificare la reale esperienza di una presenza divina come in Es 24, 11 e Gb 19, 26, da cui ḥazōn “visione”41; la radice *ḥzy trova un riscontro, con lo stesso significato originario e primario di “vedere”, anche nelle altre varietà di aramaico42.

24Sulla base di ciò, tale differenza potrebbe sembrare insignificante, ma, ad uno sguardo più attento, non sfuggirà che una cosa è affermare che il Cristo “apparve”, altra è dire che lo stesso “fu visto” dai suoi discepoli, poiché l’esperienza sensoriale è assolutamente differente. Nel primo caso l’agente, il Cristo, sembra incarnare una visione, è il medesimo che si presenta al cospetto altrui; nel secondo, invece, tutto il significato verbale è spostato sui discepoli che hanno l’esperienza materiale di vedere, verificare, la presenza del Cristo tra loro poiché si è manifestato come apparizione, visione. Non è escluso dunque che la traduzione siriaca abbia cercato di sanare, in itinere, quella che poteva apparire ad un cristiano un’aporia, ovvero ridefinire l’esperienza che i discepoli avevano fatto di fronte al Cristo risorto: era vivente, lo videro, lo sperimentarono!

25Tutt’altro se si trattava di un’apparizione: in ultima analisi, colui che era apparso, allo stesso modo poteva scomparire. La sensazione dell’ ‘apparire’ è molto più sfumata e ha un significato meno concreto di quella del ‘vedere’.

26Arriviamo dunque all’ultima versione del Testimonium che fornisce Agapio in lingua araba: وذكروا انه ظهر لهم بعد ثلثة ايام من صلبه وانه عاش “… e ricordarono che Egli apparve a loro dopo tre giorni dalla sua crocifissione ed era vivente”

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto (...)
44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice origina (...)
45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.
27In questo caso, trattandosi di una versione riassunta, l’autore tende a mantenere il verbo originale, impiega, infatti, il verbo arabo ẓahara “apparire, mostrare/mostrarsi”43. Qui troviamo in arabo un verbo che originariamente aveva il significato di “brillare, portare alla luce”, quindi “mostrare”44 esattamente come indica φαίνω “recare alla luce, portare alla luce, mostrare, splendere, brillare, apparire, comparire”45

28È presumibile che l’uso del verbo φαίνω debba dunque mantenersi nell’accezione usuale per l’aoristo intransitivo. Si tratta allora di un dato forse da non sottovalutare, specialmente se confrontato con gli analoghi racconti presenti nella letteratura coeva o di poco anteriore all’età di Flavio Giuseppe.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.
47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 1 (...)
29Da una ricognizione su tutte le fonti evangeliche, canoniche e apocrife, e sul corpus paolino46 non esiste un’espressione simile riferita all’esperienza che i discepoli e gli altri fecero del Cristo risorto. I verbi usati sono altri, infatti, Gesù ‘si rende noto’, ‘giunge’ o ‘viene visto’47, forse proprio per il fatto che si voleva assolutamente evitare ogni confusione tra il Cristo vivente e risorto e le immagini di visioni presenti nell’Antico Testamento o nella letteratura pagana. Del resto l’uso di φαίνω con il significato di apparire in visioni è ben testimoniato nei Vangeli (Mt 1: 20; 2: 13) e quindi, se gli autori avessero voluto impiegarlo in relazione al Cristo avrebbero potuto; ma non l’hanno fatto, proprio perché tale verbo racchiude un significato improprio per quanto rappresentato dal loro maestro che, vivente, dimostrava la veridicità della loro fede.

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-1 (...)
49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro (...)
50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.
51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 1 (...)
30Probabilmente qui l’introduzione, nella fede cristiana, dell’epifania ha giocato un ruolo nella costruzione letteraria del passo. Il termine epifania, dal greco ἐπιφαίνω “mi rendo manifesto”, indicava nel mondo greco antico la ‘manifestazione’, l’ ‘apparizione’ delle divinità per poi assumere nel cristianesimo il significato della manifestazione di Gesù ai popoli di tutto il mondo. Il concetto cristiano di epifania era già insito nella missione divulgativa dell’apostolo Paolo; la nozione ha subito un’evoluzione trasformandosi nella ‘manifestazione’ divina evangelica, ossia Paolo, da inviato, proclamava che Gesù era εἰκὼν τοῦ θεοῦ “immagine di Dio”, mettendo in moto forme di mediazione della presenza divina che nei primi Cristiani si fondavano sui viaggi apostolici e sui testi e in queste due forme si annunciava il luogo dove poter ‘incontrare’ la presenza divina48. La prima celebrazione, il 6 gennaio49, è avvenuta nel tardo II secolo allorché le prime comunità cristiane di Alessandria di Egitto celebrarono la Natività di Gesù Cristo, e con essa anche l’Epifania come la ‘manifestazione del Signore al mondo’. Fino all’introduzione nei primi anni del IV secolo, da parte della Chiesa di Roma, del 25 dicembre come festa della Nascita di Gesù, la stessa veniva celebrata insieme al Battesimo50. Inoltre, la parola epifania non compare mai nei Vangeli (tranne che sotto forma di verbo in Lc 1, 79), ma in altri documenti del Nuovo Testamento51. Non si esclude che l’uso di φαίνω nel Testimonium abbia risentito dell’influenza del concetto di epifania ormai radicato nell’interpolatore cristiano che avrebbe messo mano al Testimonium poiché un ebreo come Flavio Giuseppe non avrebbe mai potuto concepire la ‘manifestazione’ di Gesù come ‘apparizione’ divina.

31Tornando al testo, si è detto che una tale forma verbale non è mai impiegata in racconti sulla resurrezione; ma in realtà un esempio ci sarebbe, ma fa parte dei versetti dell’ultimo capitolo del Vangelo di Marco, oggi unanimamente ritenuti un’aggiunta posteriore non originale.

Nello specifico a 16: 9 leggiamo:
[[Ἀναστὰς δὲ πρωῒ πρώτῃ σαββάτου ἐφάνη (corsivo e grassetto mio) πρῶτον Μαρίᾳ τῇ Μαγδαληνῇ, παρ’ ἧς ἐκβεβλήκει ἑπτὰ δαιµόνια.

“Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, (...)
32L’uso verbale è identico: il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala. Una simile espressione non solo somiglia molto a quella del Testimonium, ma sembra realmente un’aggiunta fatta in un secondo momento per completare un testo che si riteneva mancante del dettaglio principale, quello caratterizzante la fede dei Cristiani52. Tale aggiunta, tuttavia, pare anche più superficiale, meno ragionata rispetto alla comprensione profonda dell’evento storico che riguardava la resurrezione del Cristo.

33Poiché ovviamente è da ritenere che una simile appendice sia stata inserita in ambito cristiano, pur se in maniera cursoria e probabilmente ricollegabile alla tradizione orale, potremmo avanzare un’ipotesi di lavoro riguardo al passaggio del Testimonium che abbiamo analizzato.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.
34La critica data i versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco ad un periodo che può essere collocato tra il primo quarto e la metà del II secolo53, ovvero dopo la pubblicazione delle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe.

35Il Vangelo di Marco era tra i più letti e utilizzati in ambito siro-palestinese almeno fino al VI secolo; potremmo allora ipotizzare che, traendo spunto dal versetto 9 del capitolo 16, un interpolatore cristiano abbia inserito nell’opera di Flavio Giuseppe il passo in questione?

Conclusioni
54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifa (...)
36Tornando alla problematica suscitata sulla totale o meno falsificazione del Testimonium di Flavio Giuseppe, il passaggio è stato inizialmente citato verbatim da Eusebio che lo ha utilizzato per i suoi propositi apologetici anti-pagani. Il testo è tutt’ora oggetto di critica ed è stato etichettato come ‘interpolato’ sin dal XVI secolo, focalizzando l’attenzione principalmente sul fatto che l’espressione “questi era il Cristo” non poteva essere originale nel textus receptus e comunque non poteva essere stata concepita da un non cristiano come Flavio Giuseppe; inoltre il ritrovamento di una traduzione siriaca contenente l’espressione utilizzata da Girolamo “si pensava che egli fosse il Messia” (“credebatur esse Christus”) nonché di un altro testo semitico, quello arabo di Agapio, in cui si trova la frase “forse egli è il Messia”, ha alimentato l’ipotesi secondo la quale ci doveva essere stato un precedente e originale testo greco che contenesse un’espressione similare sullo status di Messia di Gesù e di conseguenza che il Testimonium di Flavio Giuseppe è stato interpolato, anche se parzialmente, da un cristiano che è ‘intervenuto’ in quelle parti fondamentali del credo cristiano, ossia morte e resurrezione di Gesù. Un altro dato a supporto della falsificazione del testo emerge se si analizza l’uso e il significato di φαίνω, anche in comparazione con le successive versioni siriache e araba, nel Testimonium. Sembrerebbe evidente che la nozione di epifania abbia realmente creato le condizioni per utilizzare φαίνω in relazione alla manifestazione di Gesù come divinità e si sa che l’epifania non poteva di certo essere una concezione veritiera per un giudeo come Flavio Giuseppe54. I versetti 9-11 del capitolo 16 di Marco sarebbero ancora una volta la prova che un interpolatore cristiano abbia voluto inserire nel textus receptus una concezione della manifestazione di Gesù, utilizzando proprio Marco, e rendere ancora di più ‘cristiano’ il Testimonium. La questione secondo la quale nelle versioni siriache e araba si utilizzano verbi che hanno il significato principale di ‘vedere’, ‘rendersi visibile’, ‘mostrarsi’ per tradurre φαίνω potrebbe essere spiegata col fatto che nei Vangeli Gesù non viene descritto come colui che ‘appare’, nel senso specifico di φαίνω, ma sostanzialmente egli ‘giunge’, ‘viene visto’, ‘si mostra’. Pertanto si tratta di resurrezione o di visione del Cristo? L’interpolatore cristiano ha voluto quindi inserire un dato significativo: Gesù è già risorto ed è stato visto, si è mostrato ai suoi discepoli; così facendo l’interpolatore avrebbe narrato l’evento in parallelo a quanto descritto nei Vangeli, ma avrebbe preso spunto dagli ultimi versetti di Marco per inserire il verbo ‘necessario’ alla ‘visione’ di Cristo, ossia φαίνω che sottolinea la definitiva e necessaria ‘apparizione’ di Cristo.

55 Olson 1999.
56 Baras 1987, 340.
57 Van Voorst 2000, 97.
37Stando a tali riflessioni, ci si chiede pertanto quando sia avvenuta questa interpolazione. Secondo K. Olson il Testimonium sarebbe stato falsificato interamente da Eusebio55, mentre per Z. Baras il Testimonium sarebbe stato manomesso prima di Eusebio; secondo questi Origene vide il Testimonium originale, che non riportava quotazioni negative su Gesù, e l’interpolazione sarebbe quindi avvenuta in un arco di tempo che va da Origene a Eusebio56 (II-III secolo ?). Della stessa opinione è E. Van Voorst57.

38Forse l’uso di una forma verbale è troppo poco per ipotizzare la reale genesi di un passo così tormentato e discusso come il Testimonium, ma è comunque non improprio tenere conto anche di questa difficoltà ermeneutica che, trovando sostegno in altri elementi, storici o filologici, potrebbe in ultima analisi porre un altro piccolo tassello sulla via dell’interpretazione e della comprensione di quanto troviamo nelle Antichità Giudaiche.

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BIBLIOGRAPHIE
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NOTES
1 Per una bibliografia riguardante le questioni sollevate dalle numerose interpretazioni del passo cfr. Bell 1976, 16-22; Meier 1990, 76-103; Olson 1999, 305-322; Bardet 2002; Whealey 2003 e Whealey 2016 con ricca bibliografia; Bermejo-Rubio 2014; Dettwiler 2017.

2 Ad esempio, L. Feldman ha pubblicato tra il 1937 e il 1980 almeno 87 articoli nella maggioranza dei quali mette in dubbio la totale o parziale autenticità del Testimonium (vd. Feldman-Hata 1989, 430 e Feldman 2011, 11-30).

3 Van Voorst 2000, 91-92.

4 Feldman-Hata 1987, 57. Alcuni padri della chiesa contemporanei o successivi a Eusebio, come San Basilio Magno, Cirillo di Alessandria, Sant’Ambrogio o Tommaso d’Aquino, non citano il Testimonium preferendo utilizzare altre opere di Flavio Giuseppe.

5 Comment. in Matt. X, 17: “…ὅτι, τὸν Ἰησοῦν οὐ καταδεξάµενος εἶναι Χριστὸν” “che Gesù non è accettato come Cristo”; cfr. anche XIII, 55, nonchè Contra Celsum 1, 47 e 2, 13.

6 Maier 2007, 336-337. Il fatto che nel Testimonium sia presente l’espressione “Questi era il Cristo” andrebbe contro l’ideologia di Flavio Giuseppe e probabilmente tale menzione è dovuta ad un’interpolazione cristiana, perché nessun ebreo avrebbe mai sostenuto che Gesù fosse il Messia.

7 In Ecc. Hist. I, 11. 7. L’opera, scritta in greco, a partire dal V secolo viene tradotta in latino e in siriaco e adoperata da autori tardo-antichi e medievali che citano il Testimonium traendolo direttamente dalla Storia ecclesiastica di Eusebio.

8 Il Testimonium di Girolamo è in De viris illustribus, 13, opera redatta circa nel 392.

9 Michele il Siro (1126-1199) fu il patriarca monofisita di Antiochia e la sua traduzione letterale del Testimonium si trova nella sua Cronaca IV, 91. La sua opera è stata editata da Jean-Baptiste Chabot (ed.), Chronique de Michel le Syrien, Patriarche Jacobite d’Antiche (1166-1199). Éditée pour la première fois et traduite en français I-IV. Paris,1899; 1901; 1905; 1910 con ristampe del 1963 e del 2010.

10 Whealey 2016, 347.

11 Si tratta di una versione ebraica, del X secolo, dei primi sedici libri delle Antiquitates tradotte in latino e del De excidio Hierosolymitanae urbis dello Pseudo-Egesippo.

12 Whealey 2016, 348.

13 Per una rassegna cronologica sulle controversie cfr. Whealey 2003, 73-119 e 121-168, nonché Whealey 2016. Tra le varie teorie vi è anche quella relativa all’ipotetica neutralità, del testo originario, nei confronti del Cristo. Della Vorlage del Testimonium intesa come un ‘Neutral Text’ se ne è occupato Bermejo-Rubio il quale ha indagato le differenti ipotesi relative alla natura del testo (Bermejo-Rubio 2014, 331-336) ritenendo che la supposizione di un testo originario neutrale non è convincente e che: «the original text must have been at least implicity negative» (vd. conclusioni a pp. 363-356).

14 Whealey 2016, 349. Flavio Giuseppe, in Antiquitates XX, 200, menziona Giacomo come il “fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo”. Nella narrazione, l’episodio di Gesù è inserito in una serie di mali che condussero poi la nazione alla perniciosa ribellione contro Roma. Successivamente al passo relativo al Testimonium, Flavio Giuseppe cita un altro episodio negativo definendolo “un altro orribile evento” (Antiquitates XVIII, 65); ci si chiede se per lui originariamente la storia di Gesù era un deinon. Secondo alcuni studiosi la seconda menzione di Gesù rappresenterebbe un dato a favore del ‘Neutral Text’ del Testimonium anche se per Bermejo-Rubio tale ipotesi è poco convincente poiché il secondo riferimento a Gesù è considerato en passant in quanto il ‘focus’ del discorso è Giacomo (Bermejo-Rubio 2014, 336-337).

15 Vescovo melchita di Ierapoli Bambice (in arabo Bambiğ) in Siria. La sua opera si intitola Kitāb al-‘Unwān di cui le due edizioni principali sono quelle di Alexander Vasiliev (ed.), Kitab al-’Unvan/Histoire Universelle, écrite par Agapius (Maḥboub) de Membidj, Patrologia Orientalis, N. 5 (1910), 7 (1911), 8 (1912), 11 (1915) e di Louis Cheikho (ed.), Agapius Episcopus Mabbugensis. Historia Universalis, CSCO 65, 1912.

16 Per la versione araba Pines 1971, mentre per il confronto tra i due testi Whealey 2008.

17 Pines 1971, 33.

18 Whealey 2008, 587-588.

19 Un’altra cronaca siriaca, Cronaca del 1234, avrebbe utilizzato l’opera di Dionigi, ma non segue fedelmente Agapio e Michele per quanto concerne il I secolo e non include il Testimonium; ciò indicherebbe che Agapio e Michele avrebbero attinto da una precedente cronaca, per il I secolo, la quale è stata aggiunta alla versione di Agapio della cronaca di Teofilo di Edessa e alla versione di Michele della cronaca di Dionigi, ma non alla versione della Cronaca del 1234 della cronaca di Dionigi. Cfr. Whealey 2008, 576-577, nonché Conterno 2014, 22-23.

20 Cfr. Pines 1971, 27.

21 Whealey 2008, 578 e 2016, 351.

22 La radice sbr nelle diverse varietà di aramaico, nella forma base, assume il significato di “dedurre, riflettere”, “to expect; to reason”, quindi “pensare, capire”, mentre in forma ethpe‘al, in siriaco, “essere considerato, ritenuto essere”, “to be considered” (cfr. DNWSI, 775; Sokoloff 2009, 964-965).

23 Whealey 2008, 581 e 2016, 352.

24 Pines 1971, 31-32.

25 Letteralmente il passo siriaco riporta “Pilato ha posto sulla testa la croce”.

26 Pines 1971, 30.

27 B. Niese (ed.), Flavii Iosephi opera. Berlin, 1890.

28 Traduzione italiana di Moraldi 2006, 1116-1117. Un’altra traduzione, da prendere in considerazione, è fornita da Simonetti 2002, 412-413: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli he tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani”.

29 Pines 1971, 14.

30 Il verbo ذكر significa principalmente “ricordare”, “tenere a mente, ricordarsi”, quindi “riportare” un avvenimento.

31 Whealey 2008, 589.

32 Il termine ܣܥܘܪܐ significa “colui che fa, che opera” dalla radice s‘r “to perform an action, to act”, anche se in generale nelle varietà di aramaico assume come primo significato quello di “visitare”, “agire”. Cfr. DNWSI, 796.

33 Sul greco di Flavio Giuseppe cfr. in particolar modo Feldman 1984, 830-831 (26.10: Josephus’ Grammar), 819-820 (26.4: Josephus’ Language and Style) e 817 (26.3: Josephus’ Statements about this Knowledge of Greek). Per un aggiornamento successive vd. ancora Feldman 1986.

34 Sulle anomalie narrative del Testimonium vd. Hopper 2014, 151 e sgg.

35 In particolar modo, nel Vangelo di Luca, l’episodio di Emmaus manifesta particolari coincidenze col Testimonium di Flavio Giuseppe e tali occorrenze proverebbero che si possa essere trattato di un caso di coincidenza, ovvero che il Testimonium possa aver subito un’interpolazione cristiana sulla base di Luca o, come ultima ipotesi, che sia Flavio Giuseppe che Luca abbiano basato le loro descrizioni su affermazioni giudeo-cristiane che circolavano tra l’80-90 d.C. Per un’analisi sulla questione vd. Goldberg 1995.

36 LSJ, 749-750.

37 Sokoloff 2009, 438. La forma ’ethpa‘el rende il passivo, dunque il verbo andrebbe tradotto come primo significato “fu visto”.

38 Cfr. exempli gratia Es 3, 2 e 1Re 18, 1 in Peshiṭtā.

39 Dalla stessa radice ḥzy in siriaco si ricava il sostantivo ḥzayā “vista, visione” che traduce il greco εἶδος in 2Cor 5, 7.

40 Sokoloff 2009, 160-161. La radice significa “apparire, alzarsi oltre, alzarsi al di sopra di”.

41 MDGes, 333-334 e KAHAL, 157-158

42 Cfr. DNWSI, 357-361.

43 La radice araba in forma base può significare: “essere o diventare visibile, percepibile, manifesto”, “apparire, manifestarsi, mostrarsi” (Traini 1999, 874 e Lane 1863, 1926 e sgg.).

44 Se si pone in confronto con l’ebraico ṣohar “essere brillante, luminoso, chiaro”, la radice originaria *ṣhr significherebbe “far luce, illuminare” vd. Klein 1987, 542.

45 Sui vari significati ed accezioni del verbo φαίνω cfr. LSJ, 1912-1913.

46 Sull’uso di φαίνω nelle fonti vd. Rusconi 2013, 405 nonché Thayer 1889, 647-648.

47 In Mt 28, 17 apparizione agli undici discepoli in Galilea: καὶ ἰδόντες αὐτὸν “e lo videro”; in Mc 16, 12 nell’apparizione a due discepoli: ἐφανερώθη ἐν ἑτέρᾳ µορφῇ “e si rese manifesto sotto altra forma” (dal verbo φανερόω “render noto, chiaro, visibile, manifesto”); Lc 24, 15 Gesù si avvicina e non appare ai discepoli di Emmaus: καὶ αὐτὸς Ἰησοῦς ἐγγίσας συνεπορεύετο αὐτοῖς “ e lo stesso Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro”; Lc 24, 31: ἐπέγνωσαν αὐτόν “lo riconobbero”; Lc 24, 36 apparizione agli apostoli: αὐτὸς ἔστη ἐν µέσῳ αὐτῶν “Egli stette in mezzo a loro”; in Gv 20, 14 Maria Maddalena vede Gesù: καὶ θεωρεῖ τὸν Ἰησοῦν ἑστῶτα “e vede Gesù che stava lì”; in Gv 20, 19 Gesù non apparve ai discepoli, ma giunse in mezzo a loro: ἦλθεν ὁ Ἰησοῦς καὶ ἔστη εἰς τὸ µέσον “venne Gesù, stette in mezzo a loro”; in Gv 21, 1 nella terza apparizione ai discepoli: ἐφανέρωσεν ἑαυτὸν πάλιν ὁ Ἰησοῦς “Gesù si manifestò di nuovo”; in At 1, 3: οἷς καὶ παρέστησεν ἑαυτὸν ζῶντα “è a questi stessi apostoli che si era mostrato vivo”; ὀπτανόµενος αὐτοῖς “era apparso loro”(< παρίστηµι “mi colloco, mi presento, sono presente” e ὀπτάνοµαι “appaio, mi mostro”); 26, 16: ὤφθην σοι “ti sono apparso”, ma cfr. l’uso dell’aoristo passivo in Thayer 1889, p. 452, 5 “I was seen, showed myself, appeared”; in 1Cor 15, 5, 6, 7, 8: ὤφθη “fu visto” (aoristo di ὁράω “vedere, percepire, conoscere”).

48 Per una disamina approfondita dell’evoluzione epifanica vd. Mitchell 2004, in particolare pp. 186-191.

49 il 15º giorno del mese di Tybi dell’antico calendario alessandrino, che corrisponderebbe al nostro 6 gennaio.

50 Sul significato e la storia dell’Epifania vd. Kyrtatas 2004.

51 In 2Ts 2, 8 indica la manifestazione legata alla parusia di Gesù; 1Tm 6, 14; in 2Tm 1, 10 e Tt 2, 13 indica la manifestazione di Cristo nella carne. In At 2, 20 compare l’aggettivo ἐπιφανὴς “splendido, glorioso”.

52 Sull’aggiunta al vangelo di Marco cfr. Metzger 1971, 122-126; Metzger 1987, 269-270; Edwards 2002, 497-508; Schröter 2010, 272-295.

53 Aland-Aland 1987, 69, 227.

54 È anche pur vero che Flavio Giuseppe, nei primi 11 libri delle Antiquitates, cita più volte l’Epifania, parafrasando celebri episodi del Vecchio Testamento.

55 Olson 1999.

56 Baras 1987, 340.

57 Van Voorst 2000, 97.





Edited by barionu - 7/4/2024, 18:01
CAT_IMG Posted: 7/4/2024, 07:50 IL CASO MORO LA PISTA FENZI GENOVA VIA FRACCHIA - ZIO OT DICE LA SUA
















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«Fronte del porto», il libro di Luzzato sulla colonna genovese della BR
di Paolo Persichetti *


Bisogna riconoscere grande coraggio a Sergio Luzzato per aver provato a ricostruire la storia della colonna genovese delle Brigate rosse fin dalla copertina che ha scelto per il suo volume, Dolore e furore, una storia delle Brigate rosse, appena uscito per Einaudi, titolo suggerito da una sferzante critica indirizzatagli da Rossana Rossanda nel 2010.

L’immagine, molto bella, ripresa da una elaborazione grafica di una foto di Viktor Bulla, è stata realizzata da Carlo Rocchi, uno pseudonimo dietro al quale si celava Livio Baistrocchi, ex di Potere operaio, artista di formazione, divenuto uno dei brigatisti più importanti della colonna genovese, latitante da oltre 40 anni.

La «Legera»
Uno dei maggiori meriti di Luzzato è l’imponente mole documentale raccolta, una ricchezza che fornisce al lettore e allo studioso infiniti spunti e poi la dovizia descrittiva che lo ha portato a immergere – com’è giusto che sia – quella vicenda in una ancora più grande: la storia della città di Genova tra gli anni 60 e 70.

Una impresa di oltre 700 pagine da cui è scaturito un affresco vivido di biografie, percorsi, colori, idee, immagini, situazioni, storie che sono al tempo stesso ritratto sociologico, culturale, politico, etnografico di Zena.

Le duecento pagine iniziali sono senza dubbio, insieme al taglio letterario della prosa e all’intreccio dei percorsi biografici, la parte più riuscita del libro.

Dal porto, cuore pulsante, alle sue fabbriche, a Balbi, l’università con i suoi intellettuali ultraradicali; dai marginali della Garaventa, nave di correzione minorile, alla nuova classe operaia che anche a Genova, come negli altri poli del triangolo industriale, si era popolata di giovani migranti meridionali insofferenti alla disciplina del partito e del sindacato che spesso si sovrapponeva a quella dell’impresa, fino a raccontarci del conflitto sulla «Legera».

Uno scontro di culture, una distanza antropologica che aveva messo contro le vecchie maestranze super professionalizzate, impregnate di ideologia del lavoro, di «doverismo morale» e fedeltà al Pci e i nuovi arrivati che non volevano sentir parlare di etica del lavoro e mal sopportavano il controllo politico, morale e professionale dei primi.

Nuove leve operaie insofferenti alla presenza opprimente dell’attivista sindacale: «che se non lavori come lui desidera, va dal capo e dice che sei una ‘legera’ e gli chiede di prendere provvedimenti, che se vai sottomutua o se sei un estremista comincia ad odiarti e a farti dispetti. La possibilità di organizzare gli operai estremisti e leggere è dunque sistematicamente spezzata dalla presenza capillare degli operai super professionalizzati».

Luzzato non si ferma qui, ci descrive la presenza della chiesa reazionaria e anticonciliare del cardinale Siri e il suo contraltare: i preti di strada come don Gallo, allontanato dalla Garaventa perché inviso per la sua pedagogia radicale, la comunità del Molo, circoli come il clan della Tortilla che furono incredibili crogioli, le idee dei basagliani che si facevano strada, gli intellettuali non più organici come l’avvocato Edoardo Arnaldi, Sergio Adamoli – medico chirurgo al san Martino, che tanti brigatisti ha rappezzato – figlio di Gelasio sindaco partigiano della città nel primo dopoguerra, membro del Pci al pari di Giovanni Nobile, segretario della federazione che vide la figlia Anna tra gli effettivi della colonna genovese.

Gianfranco Faina l’enfant prodige della Fgci genovese che rigetta la carriera già pronta nel Pci per costruire la sua via alla rivoluzione sulle tracce di un comunismo libertario, dietro di lui molto più defilato Enrico Fenzi, il suo amico Andrea Canevaro che intreccia la sua biografia con quella di Giovanni Senzani, di cui Luzzato segue ostinatamente le orme genovesi antidatandone erroneamente l’ingresso nelle Br.

Lungo questo tragitto, l’autore incrocia di nuovo Guido Rossa a cui aveva già dedicato una monografia, per rivelarne senza reticenze il lavoro informativo condotto in fabbrica per conto di un apparato riservato di controllo e contrasto della lotta armata messo in piedi dal Pci.

Chi era Dura?
Luzzato racconta al lettore con un’apprezzabile trasparenza l’origine della sua curiosità per gli anni genovesi della lotta armata, quando nel 1985, giovane ricercatore, scorgeva chini sui tavoli dell’allora biblioteca nazionale Richelieu di Parigi alcuni fuoriusciti italiani degli anni ’70.

Raffrontare le loro biografie di sconfitti con quelle dei rivoluzionari francesi fuggiti a Bruxelles l’intrigava, si domandava se anch’essi fossero «assediati dalla loro propria memoria», se «continuamente riabitassero il passato degli anni di piombo, per difendersi dal presente nel presente», per scoprire come i loro predecessori parigini: «quanto la posterità fatichi a essere imparziale».

L’altro interrogativo dell’autore riguardava la figura di Riccardo Dura, narrato da sempre come un «fantasma». Chi era veramente? Da dove veniva?

Il volume parte dall’unica traccia istituzionale conosciuta sul giovane: il fascicolo psichiatrico che racconta i suoi due internamenti nel manicomio di Genova Quarto e poi gli anni nella Garaventa, la nave correzione per minorenni in difficoltà.

Le perizie mediche ritrovate e le interviste con i dottori che lo visitarono rendono giustizia della leggenda nera costruita dai criminologi del tribunale e da alcuni pentiti dopo la sua esecuzione a freddo del marzo 1980.

Adolescente in difficoltà, in conflitto con una madre possessiva ma al tempo stesso anaffettiva, il ragazzo non aveva sopportato la separazione con il padre. Gli scontri in casa erano sempre più accesi e il genitore non trovava di meglio che chiamare i carabinieri col risultato di farlo internare. Inizia così, in una società dove ancora non si era affermata la rivoluzione basagliana, l’infelice tragitto di questo adolescente con il mondo contro.

Il racconto di Luzzato in questa prima parte è empatico, tifa palesemente per il ragazzo che studia anche con profitto, sperando che alla fine riesca a venirne fuori. E Riccardo ce la fa, uscito dalla Garaventa ormai diciottenne recide ogni legame materno e si imbarca come marittimo nella scala più bassa dei lavori del mare: mozzo o ragazzo da camera.

La colonna genovese è davvero nata tra gli universitari di Balbi?
Sorge qui il primo problema storiografico posto dal libro di Luzzato: non riuscendo a trovare tracce significative di Dura al porto, salvo alcuni rollini con i suoi numerosi imbarchi, l’autore ricostruisce una genealogia della colonna genovese seguendo biografie intellettuali che invece hanno lasciato dietro di sé molta documentazione e anche auto-narrazioni.

Dura riappare solo nel racconto di Andrea Marcenaro che l’accoglie in Lotta continua tra l’agosto del 72 e il settembre del 1973, quando preferisce andarsene perché non condivideva la distanza mostrata verso il gruppo XXII ottobre.

Senza considerare Dura e senza le fabbriche inevitabilmente l’università di Balbi si ritrova al centro della trama della futura colonna con le figure intellettuali di Faina e Fenzi, il primo importante, il secondo semplice gregario, e più in là Senzani che, contrariamente a quanto tenta di dimostrare Luzzato, entrerà nelle Br solo nel 1979, a Roma, quando prenderà la responsabilità del Fronte carceri, oppure Adamoli e Arnaldi, certamente con un ruolo più significativo nello sviluppo della colonna.

Un récit che ricalca la teoria dei «cattivi maestri», del ruolo nefasto degli intellettuali, del loro veleno ideologico senza il quale tutto non sarebbe potuto nascere, tanto caro al generale Dalla Chiesa.

Per Luzzato, se la storia delle Br era stata fatta, come gli aveva scritto Rossanda nella critica mossagli anni prima, «da persone un po’ qualsiasi», operai, tecnici, studenti, giovani delle periferie, a Genova le cose sarebbero andate diversamente: «intorno a un chirurgo come Sergio Adamoli, a uno storico come Gianfranco Faina, a un filologo come Enrico Fenzi, le parole sono diventate pietre».

All’Ansaldo qualcuno già guardava alle Br
Il volume ruota attorno a questa convinzione, nonostante Luzzato stesso dissemini alcuni indizi che mettono in dubbio la sua tesi: nel dicembre del 1973 nello stabilimento di Sampierdarena dell’Ansaldo Meccanico Nucleare viene distribuito un volantino identico a quello diffuso a Torino per il sequestro del capo del personale Fiat Amerio rapito dalle Br, salvo differire nel titolo: «Oggi Amerio, domani Casabona».

Effettivamente Vincenzo Casabona, capo del personale dell’Ansaldo verrà rapito dalla colonna genovese delle Brigate rosse il 23 ottobre del 1975. Chi aveva diffuso quel volantino aveva già dei contatti con le Brigate rosse.

Nel 2012, Augusto Viel della XXII ottobre racconta, nel libro di Donatella Alfonso, di aver conosciuto Riccardo Dura nel 1967, quando questi era ancora diciassettenne, insieme a Giuliano Naria, in un circolo marxista-leninista di Pegli, davanti a Porto, fondato dal partigiano Agostino Marchelli. Dopo il suo arresto Dura era sempre andato a trovare la madre, sfidando i controlli e quando fu massacrato questa lo pianse come un figlio.

La versione di Moretti: «No, le Br genovesi sono nate al Porto e all’Ansaldo»
Lo storico Davide Serafino, nel suo saggio del 2016 sulla colonna genovese, ha spiegato come Dura avesse seguito da vicino l’intera vicenda della cosiddetta XXII ottobre, che poi altro non era che il Gap genovese del gruppo Feltrinelli, e ricorda che Naria, dopo l’esperienza in Lotta continua, fece uscire con il collettivo operaio dell’Ansaldo un foglio che appoggiava il sequestro Sossi.

A queste testimonianze preesistenti, che Luzzato incomprensibilmente sorvola, si aggiunge la versione di Mario Moretti, da me raccolta nel corso dei diversi colloqui che ho avuto con lui nell’ultimo decennio: a chiamarlo a Genova furono Giuliano Naria, che aveva una sua rete all’Ansaldo, e Riccardo Dura dal porto. D’altronde i vasi erano comunicanti, come abbiamo visto i due già si conoscevano.

Un copione consolidato che già si era svolto a Torino e poi si ripeterà a Roma con i militanti di alcune strutture politiche delle periferie, a Napoli con Bagnoli.

La Brigate rosse sono arrivate a Balbi solo in un secondo momento – precisa Moretti – per incontrare Faina e il suo gruppo, a cui Dura si era legato. Entrarono così anche Fulvia Miglietta e Livio Baistrocchi.

Figura incontornabile nella scena politica rivoluzionaria genovese, Faina non fu mai veramente integrato nella colonna, «non per ragioni ideologiche» ma per questioni pratiche: l’emergere di riserve e lamentele interne alla nascente colonna legate alla sua inadattabilità alla guerriglia urbana che ne provocarono l’esclusione, con suo grande rammarico e dolore.

Determinante fu poi l’arrivo di Rocco Micaletto che con la sua esperienza strutturò la colonna mentre Moretti, chiamato nella Capitale, si spostò per costruire la colonna romana. Ma c’è un fatto che Moretti sottolinea con forza: «se le Br a Genova catturano per poche ore, processano e poi lasciano libero il Capo del Personale della fabbrica Ansaldo Meccanico Nucleare, come si può pensare che una cosa del genere sia stata possibile se non perché sei già lì, radicato nelle vertenze tra operai e padroni di quella fabbrica, perché ci vivi e lavori gran parte della tua vita, mica perché l’hai letto sui giornali.

Guarda caso Giuliano Naria è un operaio dell’Ansaldo. Non è forse questo un buon punto di partenza per fare “storia” sulla genesi della colonna genovese delle Brigate Rosse? Tutti dimenticano che questi compagni erano dei ragazzi di ‘movimento’, che si erano formati in pochi mesi nel grande e vario movimento rivoluzionario di quegli anni».

Giovani operai molto lontani dall’idea di ‘dolore e furore’ indicata nel titolo. Al pari di Giuliano Naria che venne espulso da Lotta continua perché fumava hascisc, anche Riccardo Dura fumava come tutti gli uomini di mare. Prima di entrare in clandestinità con le Br – racconta sempre Moretti – fece una chiusa di tre giorni fumando hashish in continuazione. Una specie di addio al celibato.

Naria probabilmente non smise mai, Moretti ricorda la sua visione orgiastica della rivoluzione dove il proletariato avrebbe dovuto assumere i vizi della borghesia abolendone solo le virtù. Schizzi di vite che sgretolano il cliché costruito attorno all’unica colonna che aveva arruolato un anarchico ma è stata dipinta come «stalinista, cubo d’acciaio, fantasma senza radici».

Chiaroscuri

Nella seconda parte del volume Luzzato scrive pagine che sconcertano il lettore, inspiegabili scivoloni metodologici che allontanano l’autore dal rigore storiografico dimostrato nel racconto della società genovese.

Che senso storico ha rilanciare domande, senza approfondimenti personali e documentazione, ma solo sulla scorta della letteratura dietrologica, sulla reale prigione di Moro e sul numero e l’identità dei brigatisti in via Fani? Nonostante questi incidenti il lavoro di Luzzato è importante perché offre una lezione fondamentale: non può esserci storia degli insediamenti territoriali delle Brigate rosse senza un adeguato approfondimento della temperie sociale, culturale e politica che le ha viste nascere.

* da Insorgenze.net

8 Ott
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3 Commenti

Carlo

8 OTTOBRE 2023 14:16

Piano, piano vengono stampati spezzoni attendibili della maggiore organizzazione comunista italiana dalla “liberazione”. Per il quadro definitivo occorrerà, probabilmente, che gli attori di quella stagione siano tutti morti.
È la democrazia, bellezza!


Eros Barone

8 OTTOBRE 2023 20:25

E’ sorprendente che, nel recensire questo libro di Sergio Luzzatto, pregevole autore di una biografia di Padre Pio, non compaia alcun riferimento al libro di Andrea Casazza, “Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate rosse” (2013), senza il quale la ricerca dello stesso Luzzatto si sarebbe svolta nel vuoto.

Allora, due osservazioni: la prima è che certe interpretazioni dei conflitti sociali in chiave complottistica sono soltanto aria fritta, come è dimostrato da un ‘caso di studio’ quale quello rappresentato proprio dal saggio di Casazza, dove, sulla scorta di una vasta, minuziosa ed articolata documentazione, viene ricostruita la lunga e complessa storia delle Brigate Rosse genovesi. Genova è infatti la città in cui, all’inizio degli anni Settanta, con la formazione della “banda XXII Ottobre”, collegata con i Gap fondati dall’editore Giangiacomo Feltrinelli, ebbe inizio la storia della lotta armata in Italia.

Il clamoroso sequestro di Mario Sossi nel 1974 e l’omicidio del giudice Francesco Coco e dei due uomini della sua scorta nel 1975 furono le azioni compiute dalla colonna genovese delle Br: il primo era stato il pubblico ministero nel processo alla “XXII Ottobre”, il secondo si era opposto alla scarcerazione dei militanti della «banda» richiesta dalle Br in cambio della liberazione del magistrato sequestrato.

Da quel momento e fino al 28 marzo 1980, data dell’eccidio, compiuto dai carabinieri, di quattro brigatisti sorpresi nel sonno nella base di via Fracchia grazie alle rivelazioni del ‘pentito’ Patrizio Peci, la colonna visse, per l’appunto, il mito dell’imprendibilità. La seconda osservazione concerne l’utilità di riflettere sull’esperienza della lotta armata condotta dalle Br e ricavarne, anche ‘ex negativo’, alcuni insegnamenti, il primo dei quali è l’individuazione del nemico, definito nei documenti delle Br come “Stato imperialista delle multinazionali” (Sim), nemico che trova oggi nella realtà dei rapporti internazionali e dei blocchi imperialistici il suo pieno ed organico dispiegamento.

Da tale individuazione derivano tutta una serie di conseguenze, come la sostanziale complementarità tra ‘pensiero politico’ e ‘pensiero militare’ (Lenin + von Clausewitz), le trasformazioni che investono lo Stato dentro il conflitto e l’integrazione, per dirla con la terminologia gramsciana, tra “guerra di posizione” e “guerra di movimento”. In questo senso, il profilo teorico ed analitico che ha caratterizzato l’esperienza politica e militare delle Br merita un’attenzione maggiore di quella che viene ascritta al contesto interno e internazionale in cui tale esperienza inserì, con tutte le inevitabili interferenze e sovrapposizioni che ciò comportava, la loro azione.


Da questo punto di vista, la riflessione su quel profilo permette di definire un ordine discorsivo che, essendo centrato sulla coppia opposizionale ‘amico/nemico’, si distingue nettamente, per la sua natura dialettica, da coppie opposizionali, tipiche dell’ordine discorsivo imperialistico, al cui interno nessuna dialettica storica sembra in grado di agire, come ‘società/economia’, ‘democrazia/dittatura’, ‘inclusione/esclusione’, ‘geopolitica/economia’, ‘culture/società’, laddove il presupposto che accomuna siffatte coppie opposizionali è sempre lo stesso: la rimozione della lotta di classe come motore del divenire storico e la riduzione del proletariato a strato marginale incapace di assurgere a classe per sé e perciò confinato nella mera dimensione economica di capitale variabile.







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Sinossi
La lunga e complessa storia della colonna genovese delle Brigate rosse. Genova è la città in cui, all'inizio degli anni Settanta, con la formazione della "banda XXII Ottobre" ha avuto inizio la storia della lotta armata in Italia. Un primato ribadito, nel '74, con il sequestro a opera delle Br di Mario Sossi, e, nel '75, con l'omicidio del giudice Francesco Coco e dei due uomini della sua scorta: il primo aveva recitato il ruolo di pubblico ministero nel processo alla XXII Ottobre, il secondo si era opposto alla scarcerazione dei militanti della "banda" richiesta dalle Br in cambio della liberazione del magistrato sequestrato.

Da quel momento e fino al 28 marzo '80, data dell'eccidio per mano dei carabinieri di quattro brigatisti sorpresi nel sonno nella base di via Fracchia grazie alle rivelazioni del "pentito" Patrizio Peci, la colonna visse il mito dell'imprendibilità. Sei anni di fuoco in cui la formazione brigatista partecipò al rapimento dell'armatore Pietro Costa, attuò quindici "gambizzazioni" di personalità politiche democristiane, di dirigenti industriali e del vicedirettore del quotidiano "Il Secolo XIX" e mise a segno gli omicidi di quattro carabinieri e di un commissario di polizia.

Ma ciò che destò più sgomento fu l'uccisione di Guido Rossa, operaio e militante del Partito comunista, punito per aver contribuito all'arresto di Francesco Berardi, sorpreso mentre distribuiva materiale propagandistico brigatista all'interno della fabbrica nella quale entrambi lavoravano

ISBN:
Casa Editrice:
Pagine: 496
Data di uscita: 06-11-2013






CAT_IMG Posted: 31/3/2024, 07:27 WAR CHIP - ZIO OT DICE LA SUA






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terre rare tesla

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https://it.wikipedia.org/wiki/Silicio

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https://it.wikipedia.org/wiki/Valvola_termoionica


https://it.wikipedia.org/wiki/Olmio

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https://it.wikipedia.org/wiki/Circuito_integrato

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Chi è TSMC, la regina globale dei chip





Nessuno la conosce ma produce più della metà dei chip più evoluti, per conto di Apple, Intel e tutti gli altri big dell’elettronica

tsmc

La maggior parte di coloro che comprano uno smartphone, un tablet, un computer o qualunque altro dispositivo eletronico complesso conosce il suo produttore, ma ben pochi conoscono i fornitori dei componenti usati per creare tale dispositivo.

Ancor meno persone conoscono chi ha prodotto tali componenti perché, molto spesso, i chip vengono prodotti da un ristrettissimo manipolo di aziende per conto terzi.

L'esempio più lampante è quello dei microprocessori per gli smartphone, i cosiddetti SoC (System on Chip). La maggior parte degli smartphone in vendita negli ultimi anni sono dotati di SoC "prodotti" da Qualcomm, MediaTek o Samsung. A questi si aggiungono i SoC di Apple, "prodotti" da Apple. Le virgolette sono d'obbligo, perché tra queste quattro aziende (Qualcomm, MediaTek, Samsung e Apple) solo Samsung ha le fabbriche, in gergo chiamate "fonderie", per produrre i chip mentre tutte le altre aziende sono "fabless".

Ma chi produce, a parte Samsung, la maggior parte dei chip per gli smartphone? La risposta è TSMC: Taiwan Semiconductor Manufacturing Company. Come dice il nome stesso, TSMC è una azienda di Taiwan ma, a dirla tutta, neanche questo è del tutto corretto.

Chi è TSMC
tsmc

Taiwan Semiconductor Manufacturing Company è stata fondata nel 1987, con sede a Taiwan, e nel giro di pochi anni si è imposta come vero e proprio leader nella produzione di semiconduttori per conto di altre aziende, di tutto il mondo. Secondo i dati riportati da DigiTimes, infatti, il 62% dei clienti di TSMC sono americani, il 17% cinesi e solo l'11% di essi è di Taiwan.

Tra i 56.000 dipendenti di TSMC, solo il 7% è in Cina, il 3% in Nord America, il 90% è a Taiwan, e il 96% dei ricavi di TSMC è generato dalle fabbriche di Taiwan, dove risiedono tutti i nodi produttivi più evoluti, quelli con tecnologia produttiva da 16 nm o meno.

Tra i clienti di TSMC ci sono tutti i big dell'elettronica: Qualcomm, Apple, MediaTek e persino Intel e Samsung (che hanno fonderie) esternalizzano a TSMC la produzione di chip. Apple, ad esempio, si affida completamente a TSMC per la produzione dei suoi SoC a partire dall'A5 del 2011 e lo ha fatto ancora per produrre il nuovo SoC A15 Bionic degli iPhone 13, in arrivo a settembre. La produzione di A15 nelle fabbriche di TSMC, infatti, è iniziata a maggio 2021.

TSMC domina con la ricerca
tsmc

Sempre secondo DigiTimes oggi TSMC ha una quota del mercato delle fonderie dei chip pari al 55% del totale, quindi oltre la metà dei chip per dispositivi elettronici di alto livello sono prodotti da questa azienda. Una leadership a tutti gli effetti, che oggi nessuno può sfidare nel breve periodo: i suoi volumi di business sono di circa tre-quattro volte maggiori rispetto a quelli di Samsung e Intel. Il segreto del successo di TSMC è tutto da ricercare negli investimenti in ricerca avanzata, che pesano per l'8% del fatturato annuo.

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I chip più evoluti che oggi l'azienda produce sono i Qualcomm Snapdragon 888 e gli Apple A14 Bionic, entrambi con processo produttivo a 5 nm. Anche il nuovo SoC per computer e tablet Apple M1 è prodotto da TSMC, sempre a 5 nm.

TSMC ha già pronte le successive evoluzioni: durante un incontro con i suoi azionisti tenutosi ad aprile l'azienda ha confermato che dal 2022 comincerà a produrre chip con tecnologia a 4 nm e 3 nm.

Tra i nuovi progetti affidati a TSMC c'è la produzione delle prime GPU discrete della storia di Intel, chiamate Alchemist, che richiedono un processo produttivo a 6 nm.

TSMC crescerà ancoratsmc

I risultati finanziari del primo semestre 2021 di TSMC sono stati ottimi e ora l'azienda punta ad espandersi ulteriormente per avere una maggiore capacità produttiva a 7 nm, 5 nm e 3 nm, conscia anche che con l'attuale crisi dei chip la domanda è molto più forte dell'offerta e lo resterà ancora a lungo.

Al momento TSMC ha nove fabbriche a Taiwan con processo produttivo a 16 nm, 7 nm e 5 nm (i 4 e i 4 nm, come già detto, arriveranno nel 2022), due fabbriche in Cina con processo produttivo a 16 nm e due fabbriche in USA con processo a 5 nm, che sono ancora in costruzione e che diventeranno pienamente operative nel 2024.

Nel 2020 le fabbriche di Taiwan hanno lavorato al 90% della loro capacità, nonostante la pandemia, mentre le altre a ritmi assai inferiori. Risulta quindi chiaro che le linee produttive più evolute sono anche le più sature e che TSMC abbia intenzione di usare le future fabbriche statunitensi per offrire maggiore capacità: basti pensare che l'impianto a 5 nm in costruzione in Arizona ha un costo stimato di 12 miliardi di dollari. Da questo impianto verranno fuori i chip destinati ai due principali clienti americani di TSMC: Apple e Qualcomm.

L'incremento della produzione è necessario anche a far fronte ad un'altra domanda in forte crescita: quella di chip per il 5G e per l'intelligenza artificiale. Il futuro di TSMC, quindi, sembra più che roseo.



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https://it.wikipedia.org/wiki/ASML

https://formiche.net/2024/02/la-guerra-dei...e-tsmc/#content






Chip,

Asml nell’occhio del ciclone delle restrizioni statunitensi alla Cina




Di Alberto Prina Cerai



Asml




Giungono conferme che Smic avrebbe utilizzato dispositivi forniti da Asml per il chip di Huawei. Intanto, alcuni legislatori olandesi hanno avanzato critiche sulle misure restrittive del Dipartimento del Commercio americano. Ma i risultati aziendali sono molto positivi, nonostante il contesto di tensioni geopolitiche. La tecnologia custodita a Veldhoven rimane il punto critico, e ambito dalla Cina, della supply chain…


A poco meno di una settimana dalla pubblicazione del nuovo pacchetto di restrizioni all’export di tecnologia americana per il design e la manifattura dei chip da parte del Bureau of Industry and Security (Bis), iniziano a confluire alcuni dettagli scottanti sulla genesi del microprocessore nel Mate 60 Pro di Huawei.

Secondo Bloomberg, Smic avrebbe realizzato il chip utilizzando un dispositivo Duv, fornito da Asml, in combinazione con altre strumentazioni come dichiarato da una fonte anonima. La notizia confermerebbe, dunque, la bontà dei dubbi dell’amministrazione Biden sulla porosità delle precedenti misure e, forse, l’arrivo tardivo. Le quotazioni dell’azienda olandese sono diminuite dell’1% all’annuncio.

Tra le aziende direttamente coinvolte dalle misure statunitensi l’olandese Asml Holding, prima azienda europea nell’industria dei semiconduttori per capitalizzazione di mercato e principale custode – l’Economist la definisce “il più grande monopolio nel settore dei chip” – della tecnologia Euv, il processo a litografia ultravioletta per l’incisione dei circuiti integrati sui wafer di silicio. L’azienda collabora strettamente con Tsmc, Intel, Samsung e Nvidia per la realizzazione dei chip più avanzati, al di sotto della soglia critica dei 7 nanometri.

Le nuove misure, infatti, vietano all’azienda olandese di esportare in Cina la Twinscan NXT1930Di, qualora venisse utilizzato equipaggiamento di matrice americana per produrre chip avanzati, come confermato dal ceo di Asml, Peter Wennink. Si tratta di una macchina Duv (Deep Ultraviolet), di una generazione precedente alle Euv che ne sono la versione potenziata per restare al passo con la Legge di Moore. Entrambe eseguono lo stesso processo, ma le prime utilizzano una lunghezza d’onda maggiore, meno potente e quindi più suscettibili ad errori. La decisione di includere anche questi prodotti, inizialmente ritenuti non sensibili per le implicazioni di sicurezza nazionale che sovraintendono i controlli all’export, seguiva la logica che Smic, principale produttore foundry cinese, avrebbe potuto utilizzare una macchina Duv per realizzare, seppur con dubbi sulla scalabilità del processo, il microprocessore del nuovo smartphone di Huawei. Una concreta possibilità, a questo punto.

Attualmente Asml è l’unica azienda al mondo in grado di concepire e assemblare, da una platea di migliaia di fornitori, le macchine Euv che possono arrivare a costare ciascuna 200 milioni di dollari. L’ultimo modello, la High Na Euv, ne vale 300 ed è grande approssivamente come un camion. Verrà lanciata sul mercato entro la fine di quest’anno, e consentirà la produzione a 2 nanometri già annunciata da Tsmc. Altre aziende, come Canon e Nikon, sono attive nel segmento della litografia ma ben dietro la tecnologia di Asml.

Secondo il report sul terzo quadrimestre presentato dall’azienda mercoledì scorso, Asml ha riportato 6.7 miliardi di euro di vendite e 1.9 miliardi di profitti, e prospettato la possibilità di raggiungere entrate annuali tra i 30 e i 40 miliardi entro il 2025 contando sulle prospettive di crescita dell’industria della microelettronica grazie ad una serie di “megatrend globali”. I dispositivi Euv hanno contato per il 35% delle vendite, seguiti dai Duv (ArFi – Argon Fluoride Immersion), con i chip logici (quelli utilizzati per Gpu, Cpu e in generale microprocessori per IA) al 76% del segmento end-use seguiti da quelli di memoria (24%). Da un punto di vista geografico, la Cina rimane il mercato di riferimento con il 46% delle spedizioni (con una crescita di share di 22 punti percentuali rispetto al secondo quadrimestre, che denota un tentativo di acquistare più dispositivi possibili in previsione di ulteriori controlli sulle esportazioni) seguita da Taiwan (24%) e Corea del Sud (20%). È evidente che si tratta dei tre hub mondiali per capacità manifatturiera su chip maturi e avanzati, con aziende coreane che hanno i loro siti produttivi in Cina.

L’azienda ha già comunicato che si adeguerà alle restrizioni statunitensi e ritiene che l’impatto sul suo business sarà limitato dal momento che implicherà l’impossibilità di spedizioni ad un ristrettissimo numero di chipmakers cinesi capaci di fabbricare “chip avanzati” – con l’avvallo già acquisito dal Dipartimento del Commercio americano prima dell’entrata in vigore dei nuovi controllo sull’export – seppur la definizione sia sfuggente e non tenga conto di diverse tecniche per l’incisione dei circuiti integrati sui wafer di silicio, come il ricorso a dispositivi Duv.

Intanto, alcuni policymakers olandesi, intervenuti durante un dibattito parlamentare martedì, tra cui il ministro del Commercio Liesje Schreinemacher, avrebbero dichiarato che il governo non sarebbe di per sè contrario alle restrizioni imposte dagli Stati Uniti, ma piuttosto che “dovrebbero essere implementate in un’ottica europea” secondo quanto riportato da Reuters.

La pressione Usa sul governo olandese è fortissima sin dal 2019, quando l’amministrazione Trump di fatto lanciò l’offensiva su vasta scala su Huawei, HiSilicon e, in generale, alle ambizioni tecnologiche di Pechino nel campo dei semiconduttori. Nel corso di questi anni, i due paesi alleati hanno concordato, in via bilaterale, le restrizioni a cui si è aggiunto il Giappone (dal momento che le aziende nipponiche dominano il segmento dei fotoresistori, componenti essenziali per la manifattura dei chip).

La proposta di Schreinemacher sarebbe quella di allargare il tavolo e coinvolgere più attivamente gli altri stati membri in un dialogo multilaterale. Alcune conversazioni su questo aspetto sarebbero avvenute con il Commissario al Commercio, Valdis Dombrovskis, e al Mercato Interno, Thierry Breton. Resta da capire quale sia la ratio dietro a questa proposta. Al momento, l’Europa è fuori dai radar dell’azienda da un punto di vista commerciale, dal momento che non esistono sul continente – con l’eccezione della foundry di Intel in Irlanda – capacità di produzione avanzate, nonostante gli auspici di Breton con il passaggio dell’European Chips Act.

Sono confluiti, tuttavia, importanti investimenti di chipmakers come Tsmc, Global Foundries e STMicroelectronics per catturare il segmento automotive, che sarà trainante sulla domanda di chip in Europa con il passaggio ai veicoli elettrici (EV), e che stanno trainando con sè un ecosistema di aziende e fornitori.

È possibile che si tratti di una mossa per allargare la discussione su un piano transatlantico e di implementazione dei dialoghi nella cornice dello Us-Eu Trade and Technology Council, ma che rimane mera tattica politica dal momento che la notizia di Bloomberg, se confermata, confuterebbe ogni dubbio sulla ragionevolezza delle misure americane. È del tutto evidente che le restrizioni stiano urtando l’establishment a Pechino e i tentativi di sovranità tecnologica per prendere pieno controllo di asset abilitanti per i microprocessori avanzati. Le reazioni della Rpc, tra cui la weaponization delle materie prime critiche, tra cui grafite e i materiali semiconduttori (gallio, germanio), sono solo una prima risposta e che rischiano di avere conseguenze per le aziende europee e non solo.

L’obiettivo finale è puntare a creare un ecosistema localizzato, puntando sulla strategia della “Dual Circulation” e creando le proprie macchine Euv o simili. La società cinese Shanghai Micro Electronics Equipment prevede di lanciare sul mercato domestico il primo dispositivo a litografia a 28 nanometri entro la fine di quest’anno, un risultato tuttavia esiguo rispetto al gap che la separa da Asml.

Ma secondo altre ricostruzioni, nel caso specifico del chip di Huawei potrebbero esserci state altre vie. Il quotidiano olandese Nrc avrebbe infatti ricostruito, in un report di martedì, lo spionaggio industriale da parte di un impiegato cinese che lavorava per Asml e che sarebbe poi stato assunto da Huawei. L’azienda olandese ha dettagliato il furto di proprietà intellettuale, avvenuto nel 2022, nel report annuale rilasciato lo scorso febbraio affermando che, seppur la tecnologia in questione non fosse “materiale del business aziendale” potrebbe aver violato “i regolamenti in materia di controllo sulle esportazioni”.

Alcuni mesi prima Huawei aveva annunciato di aver depositato un brevetto per una macchina a litografia Euv. Se il furto in questione e la possibilità di utilizzare macchinari Duv nel corso dell’anno siano state le tessere mancanti di un progetto ordito per aggirare le restrizioni americane, rimane un ragionevole dubbio.





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https://tg24.sky.it/mondo/2024/03/25/cina-blocca-intel-amd








Cina, via libera al blocco dei chip Intel e Amd nei computer governativi

25 mar 2024 - 14:13







Le linee guida più rigorose sugli appalti pubblici cercano poi di mettere da parte Windows di Microsoft e i software di database esteri a favore di opzioni nazionali, di pari passo con lo scopo di localizzazione nelle imprese statali. Lo riferisce il Financial Times





Nuovo colpo nella "guerra dei chip" tra Cina e Stati Uniti. Il governo di Xi Jinping ha introdotto nuove linee guida per quanto riguarda la presenza di microchip statunitensi da computer e server governativi. Queste prevedono infatti la graduale eliminazione dei microchip prodotti dalle aziende americane Intel e Amd nei computer in uso nei server e nelle dotazioni informatiche governative.

La campagna per avere più soluzioni nazionali
Come riferisce il Financial Times, le linee guida più rigorose sugli appalti pubblici cercano poi di mettere da parte Windows di Microsoft e i software di database esteri a favore di opzioni nazionali, di pari passo con lo scopo di localizzazione nelle imprese statali. Questo si inserisce in una campagna su vasta scala per sostituire la tecnologia straniera con soluzioni nazionali. Intanto, a Pechino si è appena chiuso il China Development Forum, con lo scopo di risollevare gli investimenti dall'estero.



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Sibelco
azienda dal Belgio


Sibelco è un'azienda belga che sfrutta, tra le altre cose, la sabbia di quarzo . La sede centrale di questa azienda si trova ad Anversa . L'azienda conta 174 siti produttivi in ​​31 paesi del mondo, con 8.500 dipendenti, di cui 300 in Belgio. L'azienda è di proprietà di diverse famiglie belghe, tra cui la famiglia Emsens [1] .


Storia

Nel 1845 furono scoperti depositi di sabbia di quarzo durante lo scavo del canale Bocholt-Herentals vicino a Lommel , Dessel e Mol . Per estrarre questa sabbia, la società Sablières et Carrières Réunies (SCR) fu fondata nel 1875 da Antoon van Eetvelde e dal Crédit Général Liégois . Questa società si fuse con SCR-Sibelco nel 1896 . Il suo fondatore fu Stanislas Emsens. Nello stesso anno l'azienda acquistò una macchina a vapore per meccanizzare la cava di sabbia di Stevensvennen .

Intorno al 1910 erano attive anche molte aziende più piccole. La sabbia veniva trasportata verso le destinazioni utilizzando navi interne. SCR-Sibelco ha acquisito una vasta conoscenza tecnologica ed è stata anche attiva nell'identificazione e nell'apertura di numerosi nuovi siti, che hanno contribuito a ridurre i costi di trasporto. Oggi Sibelco gestisce più di 100 cave situate in tutto il mondo. Nel 1955 fu costruito un nuovo stabilimento per l'essiccazione e la macinazione della sabbia di quarzo. Nel 1983 fu costruito un nuovo allevamento a Lommel .

L'azienda olandese Ankerpoort NV, con otto società di produzione in Europa, è dal 1996 una filiale al 100% di Sibelco. Sibelco possiede la cava di sabbia argentata Sigrano a Heerlen .

Una ricerca catastale per l'anno 2016 ha mostrato che SCR-Sibelco era il più grande proprietario terriero privato nelle Fiandre, con più di 2.000 ettari di proprietà primaria direttamente o attraverso la sua controllata NMZ. [2]


A proposito di Sibelco
Fondata nel 1872, siamo cresciuti fino a diventare un'azienda multinazionale con attività in 31 paesi e un ampio portafoglio multiminerale. Lavoriamo in un'ampia gamma di settori, anticipando e soddisfacendo le mutevoli esigenze dei nostri clienti con soluzioni innovative che combinano materiali ad alte specifiche e supporto tecnico dedicato.

Tutto ciò che facciamo è guidato dal nostro scopo: soluzioni materiali che fanno progredire la vita . I nostri prodotti aiutano a costruire case, città e veicoli; sostenere la fornitura di energia rinnovabile, cibo e acqua pulita; per creare tecnologie come schermi di smartphone, circuiti stampati e semiconduttori.

Lo facciamo all’interno di un solido quadro di sostenibilità, bilanciando sempre la performance economica con la gestione ambientale e la responsabilità sociale.

https://www-sibelco-com.translate.goog/en?..._x_tr_hist=true






Edited by barionu - 29/4/2024, 12:55
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