Origini delle Religioni

Posts written by barionu

CAT_IMG Posted: 29/1/2024, 14:38 A BOLOGNA - ZIO OT DICE LA SUA



INCIPIT







LUCIFERO, IL PORTATORE DI LUCE , ALIAS VENERE LA STELLA DEL MATTINO

NON ESISTE NEL TAHAKH






ISAIA XIV ,12

LA CEI


Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato steso a terra,
signore di popoli?

ma il testo ebraico

אֵיךְ נָפַלְתָּ מִשָּׁמַיִם, הֵילֵל בֶּן-שָׁחַר; נִגְדַּעְתָּ לָאָרֶץ, חוֹלֵשׁ עַל-גּוֹיִם.



in particolare : mi-shamaym helel


מִשָּׁמַיִם, הֵילֵל




dal Gesenius

Praise,acclaim laud : הִילֵל


Astre brillant : הֵילֵל


allora, se andate a vedere gli interlineari traducono heylel come ASTRO

ma alcuni esegeti , ad es il Dizionario di Ebraico e Caldaico Scerbo ed Libreri Editrice Fiorentina

a pag 64


traducono heylel come una forma verbale ( qatàl , imperfetto hifil ) del verbo URLARE

HELAL


הֵילָל


OVVERO :



COME URLO CADESTI DAI CIELI


e sono d' accordo con questa traduzione .

E satàn in Ebraico vuol dire semplicemente avversario , accusatore , un facente funzione del Pubblico Ministero nei processi :... .immagina se lo sapesse il botolo di Arcore , lui, devoto cattolico e credente sempre ligio a fare la Comunione ...e a farsi fotografare ....










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zio ot
CAT_IMG Posted: 6/1/2024, 08:48 IL CASO MORO LA PISTA FENZI GENOVA VIA FRACCHIA - ZIO OT DICE LA SUA




www.ilviaggioneilibri.blog/segreto...uso-patologico/


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ANGELO INCANDELA


https://thevision.com/cultura/mino-pecorelli-segreti/

https://archivio.camera.it/commissione/com...-moro-2014-2018

www.rivoluzioneanarchica.it/lo-str...vita-della-com/


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https://www.poliziapenitenziaria.it/public...-mare-5380-asp/


Il Generale Dalla Chiesa mi diede dei documenti su Andreotti da nascondere in carcere: parla ex Maresciallo degli Agenti di Custodia sul caso Moro



redazione by redazione 22 Luglio 2018

Gli incontri segreti con il giornalista Mino Pecorelli, le registrazioni dei colloqui privati tra i detenuti speciali nel carcere di Cuneo e i loro familiari, le carte su Aldo Moro e il rapporto con il generale Dalla Chiesa. Dopo anni Angelo Incandela, l'ex maresciallo della penitenziaria nel carcere di Cuneo, che ha lavorato proprio negli anni cupi del terrorismo, è tornato a parlare. Questa volta lo ha fatto durante un interrogatorio davanti ai magistrati consulenti della Commissione di inchiesta parlamentare sulla morte di Aldo Moro. Un verbale secretato solo in parte (sembra si tratti solo di una dichiarazione in particolare) e nel quale ripercorre tutto ciò che ha raccontato al processo di Palermo. Nelle settimane scorse, infatti, la Commissione ha chiesto ai pm che collaborano all'inchiesta di interrogare l'uomo che ha rivelato aspetti inquietanti su un episodio legato alla morte di Moro e che lo ha visto coinvolto in prima persona.


Era il 1978, lo stesso anno in cui il generale Dalla Chiesa assunse il comando del Nucleo Speciale Antiterrorismo, pochi mesi dopo l'uccisione di Aldo Moro. Le indagini sulla terribile vicenda erano nel pieno e ad un certo punto Incandela avrebbe ricevuto l’ordine da Dalla Chiesa di svolgere attività sui detenuti del carcere di Cuneo, tra i quali anche alcuni brigatisti rossi: registrare i colloqui privati con i familiari e leggerne la corrispondenza. Ma non solo. Dopo qualche tempo avviene altro.

Incandela incontra Dalla Chiesa fuori dal carcere, una notte, in una stradina di campagna. L'ex maresciallo sale nell'auto del generale, seduto dietro e alla guida della vettura, come Incandela scopre in seguito, c'era il giornalista Mino Pecorelli. Durante l'incontro Dalla Chiesa torna sulla questione delle attività di indagine nel carcere e lo informa che all'interno sarebbe entrato un pacchetto, a forma di salame, contenente le carte sulla vicenda di Aldo Moro. Il resto del racconto relativo al plico è affidato all'autista, Mino Pecorelli, che descrive il carcere (lo conosce bene, avrebbe pensato Incandela, come se ci fosse stato ) e gli spiega dove dovrebbe trovarsi il pacchetto.

A gennaio del 1997 Angelo Incandela, durante la testimonianza al processo di Palermo contro Giulio Andreotti, racconta: «Il generale mi disse che nel carcere speciale di Cuneo, dove allora prestavo servizio, erano entrati documenti riguardanti il sequestro Moro, indirizzati a Francis Turatello. Mi diede incarico di recuperarli. La persona che lo accompagnava, lo identificai poi, era il giornalista Mino Pecorelli». Poi prosegue spiegando che tre giorni dopo, sempre Dalla Chiesa, lo convoca ancora per chiedergli di «trovare anche scritti che riguardano Andreotti». Lui esegue gli ordini e dopo le ricerche trova il plico in una grata sotterranea dell'istituto penitenziario. E, come da accordi, lo consegna a Dalla Chiesa che però, «rimane deluso». Ma non solo. Controlla anche tutti gli ingressi al carcere e scopre che alcuni nomi non hanno l'indicazione del detenuto che avrebbe dovuto ricevere la visita. Qualcuno potrebbe essere entrato nel carcere addirittura utilizzando un nome falso. E sospetta che uno di questi potrebbe essere proprio l'uomo al volante dell'auto del generale durante il famoso incontro notturno.


Tempo dopo, poi, accade altro. L'ex maresciallo viene convocato al comando generale dei carabinieri sempre da Dalla Chiesa che gli consegna un pacco di carte da nascondere nel carcere di Cuneo e ritrovarlo in una successiva ispezione. Sempre stando al racconto che Incandela ha fatto davanti ai giudici di Palermo, una volta arrivato nell'ufficio del generale sarebbe accaduto altro: «Eravamo nella sua stanza, sulla scrivania aveva 50-60 fogli dattiloscritti e mi disse che riguardavano il nostro amico. Non fece il nome ma dedussi che faceva riferimento ad Andreotti. Mi ordinò di nascondere i fogli dietro lo sciacquone del refettorio del carcere. Mi spiegò che avrei dovuto fingere di rinvenirli e inviarli a lui con un rapporto scritto». L'uomo si rifiuta di eseguire l'ordine perchè sarebbe un illecito e a quel punto Dalla Chiesa avrebbe risposto che «anche così si serve lo Stato». Rimasto solo nella stanza, Incandela sbircia tra alcuni fogli che facevano parte del salame e scopre che erano carte di Moro che parlano di Andreotti. Ora, a distanza di anni, la sua testimonianza è al vaglio della Commisssione parlamentare, forse con una frase in più secretata.





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www.osservatoreitalia.eu/aldo-moro...agedia-lenigma/

www.ilsecoloxix.it/genova/2018/04/...ione-1.30461622





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www.ilsecoloxix.it/genova/2017/08/...moro-1.32077339





Due registrazioni e una fossa, un nesso tra i Br di via Fracchia e il caso Moro





ALESSANDRA COSTANTE



10 Agosto 2017 alle 08:31
4 minuti di lettura


Genova - Questa è la storia di due audiocassette e di una fossa scavata in un piccolo giardino. Sono echi dal passato e secondo le carte in possesso della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, (ri)mettono Genova al centro della scena degli anni più bui del dopoguerra. La vicenda è quella delle Brigate Rosse genovesi, molto legate a Mario Moretti, del loro presunto coinvolgimento nel rapimento e nella prigionia del presidente della Dc e, forse, custodi di una parte del memoriale di Moro, mai ritrovato in originale.

Uno strano gioco delle carte che, a distanza di 39 anni, la commissione parlamentare di inchiesta sta ancora cercando di decifrare tra ricordi che sbiadiscono, memorie che zoppicano, ma soprattutto «lo sbarramento di chi sostiene che sul caso Moro non ci sia più niente da dire» osserva Federico Fornaro, senatore di Articolo 1- Mdp e segretario della commissione. «Agli atti della commissione ci sono documenti che saldano ulteriormente i rapporti tra i brigatisti genovesi e romani e aprono nuovi scenari sulle carte di Moro» afferma Fornaro. Ma non solo quello.

Si scopre che agli atti della commissione e quindi della «verità storico giuridica» c’è anche lo scavo, la buca di un metro per un metro, che i carabinieri del generale Dalla Chiesa fecero nel giardino del covo di via Fracchia, a Genova: «Diventa non inverosimile che sottoterra fossero nascoste le carte di cui ha parlato il giudice Carli nella sua audizione», è la suggestione che proviene dal segretario della commissione.





Voci dal passato


Il tassello iniziale è del 2015 quando la Commissione parlamentare affida al Ris di Roma l’esame di parecchio materiale: gli abiti che indossava Aldo Moro quando il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia, è stato ritrovato nel bagagliaio della Renault Rossa in via Caetani; oggetti rinvenuti nel covo di via Gradoli: spazzolini da denti, scarpe, pinzette su cui cercare il dna per confrontarlo con quello dei brigatisti condannati e capire davvero chi era stato sulla scena; una radio, una macchina da scrivere.

E ci sono anche 18 audiocassette “stereo sette”, quelle in uso negli anni Settanta. Sono state ritrovate in vari covi: via Gradoli, via delle Nespole e in viale Giulio Cesare a Roma. La speranza della commissione era di trovare le tracce degli interrogatori di Moro. La voce del presidente della Dc non c’è, ma da due audiocassette repertate in viale Giulio Cesare ci sono tracce che portano a Genova.

La più interessante è quella su cui, secondo il Ris, è stata incisa una voce maschile che parla “con accento piemontese o ligure”. Ecco la trascrizione: “Attenzione, messaggio n.13 delle Brigate Rosse: Aldo Moro è stato giudicato dal tribunale del popolo. Questa mattina, alle ore 12, è stato giustiziato. Potete trovare il suo corpo attorno al Forte di San Martino. Fine messaggio”. Per i carabinieri si tratta del Forte di San Martino a Genova.

La seconda cassetta, invece, è più complicata: è la registrazione dell’inizio della collaborazione con le forze dell’ordine di una donna genovese, che parla davanti «ad un uomo anonimo che vanta “conoscenze” al Ministero dell’Interno», spiega ai parlamentari Luigi Ripani, comandante del Ris di Roma. «Che indizi sono? Intanto sono documenti che interessano Genova e che vengono stranamente ritrovati a Roma e questa è già una prima cosa - osserva Fornaro - La seconda cassetta ci racconta quanto meno di una “talpa” negli ambienti investigativi, mentre la prima potrebbe essere un forte indizio che colloca i genovesi sulla scena della prigione di Moro».


A sostenerlo, nel 1979, era stato il settimanale di area socialista Critica Sociale che, ad un anno dalla morte di Moro, parlava di un «cambio della guardia nel “carcere del popolo”: carcerieri “genovesi” con il compito di boia, al posto dei romani». «I rapporti tra Mario Moretti e i genovesi erano molto stretti - prosegue Fornaro - Se avessero avuto un ruolo attivo nelle ultime ore di Moro, chi dice che Moretti non avrebbe potuto affidare proprio a loro carte importanti?».

I bravi ragazzi di via Fracchia

E sull’onda delle domande che si sono poste i membri della commissione d’inchiesta si arriva così al covo di via Fracchia, a Genova, dove il 28 marzo 1980 i carabinieri fanno irruzione uccidendo quattro brigatisti. Sono Riccardo Dura “Roberto”, l’uomo che invece di gambizzare uccise il sindacalista Guido Rossa; Annamaria Ludmann “Cecilia”, la padrona di casa; e due torinesi temporaneamente trasferiti a Genova, Lorenzo Betassa “Antonio” e Piero Panciarelli “Pasquale”. Prima del blitz i carabinieri non hanno idea né di chi siano né di quanti siano i brigatisti nel covo, ma come ricorda il colonnello Michele Riccio in audizione arrivano all’appartamento su indicazione del pentito Patrizio Peci e «di un altro brigatista arrestato», «uno dei tanti componenti della banda 22 Ottobre», «...che aveva fatto sequestri e rapine per conto delle Brigate Rosse». In via Fracchia nessuno sospettava che fossero terroristi, una condomina spiegò ai carabinieri che sembravano «bravi ragazzi».

Al di là di ciò che accadde prima dell’alba di quel 28 marzo in via Fracchia, la Commissione parlamentare d’inchiesta ha puntato i suoi fari sulla buca che i carabinieri scavarono in giardino. Riccio conferma: «Li abbiamo fatti fare noi gli scavi in giardino». Per i parlamentari della Commissione d’inchiesta è la prima volta che viene ufficialmente indicato il giardino dell’appartamento di via Fracchia e, soprattutto, la buca, nascondiglio perfetto per documenti importanti e armi. «Ovviamente c’era nelle planimetrie dell’atto di compravendita della famiglia Ludmann, ma nei documenti delle indagini il giardino non c’è, non è mai indicato: una strana dimenticanza», sottolinea Fornaro.

La telefonata
Con quattro cadaveri a terra, un maresciallo gravemente ferito, e la zona di via Fracchia sostanzialmente protetta da un cordone di sicurezza entro il quale si muovono solo i carabinieri, Riccio (in quel momento capitano) nella casa della Ludmann riceve la telefonata di Dalla Chiesa che chiede: «Allora, cosa è stato trovato?». I testimoni vedono i militari trasportare fuori grandi sacchi neri: alla fine saranno più di 700 le cose repertate in via Fracchia, «compreso l’archivio dei volantini di oltre un centinaio di azioni delle Br del Nord Ovest» spiega Fornaro. Quanto ai documenti, Riccio taglia corto: «Vecchia documentazione, per lo più macerata nell’acqua», dice. Ma la Commissione d’inchiesta, invece, pensa che non fosse esattamente così. Ronzano ancora le parole pronunciate dal Procuratore di Genova, Antonio Squadrito nel 1982: «La verità? È che abbiamo trovato un tesoro. Un arsenale di armi (...) e soprattutto una trentina di cartelle scritte meticolosamente da Aldo Moro alla Dc e al Paese». C’è un antefatto nel blitz di via Monte Nevoso a Milano (1 ottobre 1978): lì i carabinieri trovarono carte di Moro (lettere e il cosiddetto Memoriale, ma non gli originali). «E’ plausibile che Dalla Chiesa avesse ricevuto da Andreotti l’ordine informale di recuperare tutto il materiale di Moro e che quindi nel 1980 il generale ancora fosse alla ricerca», sostiene Fornaro.

A corroborare questa tesi è l’ex magistrato della Procura di Genova Luigi Carli che durante l’audizione del 19 giugno scorso, in più punti, ammette di aver sentito parlare delle «carte di Moro in via Fracchia» nel corso di riunioni operative con i magistrati del distretto di Torino, ma di non averle mai viste nel fascicolo sull’irruzione; che «il provvedimento di sequestro e di perquisizione furono fatti dai torinesi»; e ancora: «Peci gli ha fatto i riferimenti su dove andare». E piomba la smentita di Giancarlo Caselli: «Non mi risulta nulla di quello che viene attribuito a Carli. È fuori da ogni logica che la magistratura torinese possa aver deciso l’irruzione in via Fracchia o possa essersene in qualche altro modo occupata. E ciò perché Patrizio Peci cominciò a collaborare solo dal 1 aprile del 1980». E così il gioco delle carte continua.







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www.ilsecoloxix.it/genova/2018/01/...rita-1.30325212




Moro, i dubbi su via Fracchia a Genova:

«Emersi dati nuovi, cercare ancora la verità»








ALESSANDRA COSTANTE


02 Gennaio 2018 alle 01:00


Genova - Una verità da riscrivere. Non tutta, ma in gran parte sì. La terza relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro apre la strada al dubbio in una vicenda sulla quale, quasi quarant’anni dopo, si pensava che non ci fosse più nulla da scoprire. E dissemina di interrogativi anche il dopo-Moro, l’irruzione nel covo genovese delle Br di via Fracchia il 28 marzo 1980, durante la quale furono uccisi quattro brigatisti e ferito un carabiniere, mettendo al centro della scena la possibilità che nell’appartamento di Oregina ci fossero anche le carte del memoriale scritto durante i 55 giorni di prigionia dal presidente della Democrazia Cristiana.


«C’era un tesoro»


Il punto di partenza è sempre quello, le dichiarazioni a caldo del procuratore della Repubblica di Genova, Antonio Squadrito: «La verità è che abbiamo trovato un tesoro. Un arsenale di armi... soprattutto una trentina di cartelle scritte meticolosamente da Aldo Moro alla Dc, al Paese» riportate dal giornalista Massimo Caprara in diverse occasioni.

È il fil rouge che seguono i commissari: particolarità del covo era che disponeva di un giardino, che dice la commissione, «incredibilmente non trova esplicita menzione negli atti processuali, né viene evidenziato nella ricostruzione della planimetria dell'appartamento». In quel giardino, interrato in sacchi di plastica nera, c’era l’archivio delle Br genovesi. I carabinieri scavarono, come confermò Filippo Maffeo che intervenne come pubblico ministero di turno. Maffeo ricorda anche la presenza nell’appartamento del collega del sostituto procuratore Luciano Di Noto, che arrivò in via Fracchia prima di lui e che trovò intento consultare documentazione che si trovava su di un tavolo. È il colonnello Michele Riccio, che condusse l’operazione di Genova, a indicare Di Noto «molto vicino ai servizi».

Infine Luigi Carli, il sostituto al quale fu affidata la chiusura delle indagini su via Fracchia: sentì parlare «per la prima volta di appunti manoscritti di Moro trovati in via Fracchia» dai magistrati torinesi (suscitando, va detto, la smentita di Giancarlo Caselli).

L’orologio di “Cecilia”

Trentasette anni dopo, la commissione parlamentare sul caso Moro, sposta indietro di un’ora l’irruzione in via Fracchia. Lo fa attraverso le testimonianze e la ricostruzione fatta nel 2004 dal Corriere Mercantile. E per l’orologio di Annamaria Ludmann, nome di battaglia Cecilia, fermo alle 2,42. Insieme a lei nel covo di Oregina morirono altri tre brigatisti: Riccardo Dura “Roberto”, Lorenzo Betassa “Antonio” e Piero Panciarelli “Pasquale”. Particolare che, forse, potrà servire ai magistrati della Procura di Genova che nei mesi scorsi hanno riaperto il caso di via Fracchia in seguito all’esposto di Luigi Grasso, negli anni Ottanta vittima di un errore giudiziario, accusato di essere una delle menti delle Br genovesi.

“La verità dicibile”

Per la commissione presieduta da Giuseppe Fioroni è quella contenuta nel memoriale Morucci-Faranda, una versione costruita a tavolino per chiudere l’epoca del terrorismo. Accertamento possibile dopo la declassificazione di una grande quantità di documenti dei servizi dopo la cosiddetta “direttiva Renzi”.

C’è di più. Secondo il documento della Commissione, Moro poteva essere salvato perché la segnalazione giunta a Roma dalle fonti del colonnello Giovannone era molto attendibile. L’allerta giunse dal Libano un mese prima del sequestro.

La palazzina dello Ior

L’attenzione della commissione si è concentrata su un immobile di via Massimi, alla Balduina. Intorno alla palazzina del civico 91, di proprietà dello Ior, la banca Vaticana attraverso la società Prato Verde srl, si muovono strani personaggi. Le coincidenze sono degne di un giallo di Ken Follet: é abitata o frequentata da cardinali come Vagnozzi e Ottaviani, vi si vedono alti prelati e lo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus. Nella palazzina aveva sede una società americana che operava per la Nato; e vivevano (in affitto) alcuni esponenti che avevano a che fare con l’Autonomia tedesca, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate Rosse. È, tanto per dire, come dimostra la commissione il luogo in cui si nascose per alcuni mesi il brigatista Prospero Gallinari, il carceriere di Moro. Anche alla luce della posizione del complesso edilizio, per la commissione d’inchiesta «potrebbe essere stato utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto usate in via Fani a quelle con cui poi fu trasferito oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista».




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Armi e bagagli.

Un diario dalle Brigate Rosse


di Enrico Fenzi (Autore)


Costa & Nolan, 2006




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www.questionegiustizia.it/articolo/genova-79





Genova '79

di Pino Narducci

presidente della sezione riesame del Tribunale di Perugia
I sovversivi, i brigatisti, i testimoni

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Alla fine degli anni ’70, la colonna genovese delle Brigate Rosse è all’apice del suo radicamento nel capoluogo ligure e della sua indiscutibile capacità militare. Ma soprattutto, se nelle grandi aree industriali del Nord, Piemonte e Lombardia, in molte circostanze, sin dai primi anni del decennio, l’organizzazione clandestina ha subito colpi anche duri, con l’arresto di dirigenti e militanti e la scoperta di basi, a Genova non ha patito e continua a non patire azioni repressive e gli inquirenti, di fatto, non conoscono praticamente nulla del gruppo che opera nel capoluogo ligure.

Nella valutazione di un ex dirigente nazionale della organizzazione, in quel momento storico la colonna genovese è la più prestigiosa, forse anche più della “storica” colonna torinese.

Il 25 ottobre ’78, Francesco Berardi, operaio Italsider e militante brigatista, viene individuato subito dopo aver collocato volantini BR all’interno dello stabilimento in cui lavora. Nel corso del processo per direttissima, che si celebra il 31 ottobre, testimonia contro di lui anche l’operaio Guido Rossa, militante del PCI e della CGIL, membro del Consiglio di fabbrica, l’uomo che l’ha denunciato e che ha permesso il suo arresto.

Condannato ad oltre quattro anni di reclusione, Berardi, avvicinato da alcuni ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, si lascia andare a confidenze sulla persona che l’ha reclutato e dalla quale ha ricevuto incarico di distribuire il materiale propagandistico. Gli mostrano, informalmente, una foto e la riconosce.

È Enrico Fenzi, professore di letteratura italiana nell’Università di Genova. Questa è l’unica informazione che Berardi, sia pure senza aver mai firmato un verbale, fornisce ai due ufficiali che lo incontrano. Non molto, ancora, per provare a scompaginare la colonna genovese.

Ma i carabinieri del generale Dalla Chiesa hanno altri assi nella manica, di portata superiore all’operaio dell’Italsider il cui patrimonio di conoscenze, probabilmente, è davvero limitato e che non ha nemmeno intenzione di fornire quelle scarne informazioni attraverso un vero e proprio interrogatorio.

L’omicidio di Guido Rossa ad opera dei brigatisti, il 24 gennaio 1979, impone agli investigatori di imprimere uno slancio ulteriore all’indagine.

Due ragazze genovesi, Susanna Chiarantano e Patrizia Clemente, studentesse della facoltà di Lettere, permettono così ai carabinieri, finalmente, di squarciare il velo di impenetrabilità che avvolge l’organizzazione che ha ucciso Rossa e di individuare molti suoi componenti, alcuni anche di spicco.

Susanna Chiarantano ha frequentato Lotta Continua ed altri ambienti della sinistra extraparlamentare, se ne è allontanata e poi è tornata sui suoi passi, registrando però una forte diffidenza nei suoi confronti perché ha un rapporto di lavoro con Enrico Mezzani, conosciuto come ex fascista e confidente delle forze di polizia. Per questa ragione la ragazza, così lei sostiene, viene sottoposta a una sorta di “processo politico” per valutare la sua richiesta di rientrare nel gruppo della sinistra estrema. Le persone che la processano si qualificano come membri delle Brigate Rosse e la ragazza, a questo punto, li accusa e rivela i loro nomi.

Patrizia Clemente ha militato in Lotta Continua e poi in Autonomia Operaia e può raccontare episodi vissuti in prima persona che dimostrano come nell’area dell’autonomia si è verificata una frattura ed alcuni esponenti, come Giorgio Moroni, hanno già scelto la strada della lotta armata e, di fatto, già agiscono nella colonna BR(1).

L’Ufficio per il Coordinamento e la Cooperazione nella lotta al terrorismo, organo alla cui guida è stato posto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, elabora il rapporto giudiziario che arriva sul tavolo della procura genovese il 9 maggio ‘79. Dopo appena dieci giorni, i carabinieri eseguono, il 17 maggio, i mandati di cattura emessi dal giudice istruttore contro quindici persone accusate di far parte della banda armata Brigate Rosse.

Entrano in carcere, tra gli altri, Enrico Fenzi, la sua compagna, Isabella Ravazzi, Giorgio Moroni, uno degli esponenti più noti dell’Autonomia operaia genovese, e gli insegnanti Luigi Grasso e Mauro Guatelli. Nei giorni successivi, altri mandati di cattura permettono di arrestare altri due insegnanti, un operaio ed un giovane laureato in sociologia.

Il quotidiano “L’Unità”, organo del PCI, all’indomani della operazione giudiziaria, titola: «Operazione anti BR a Genova. Sette arresti, una decina di fermi».

Tutti gli organi di informazioni esaltano la prima azione repressiva contro la colonna, quella di Genova, che, sino a quel momento, si è rivelata una sorta di fortino inespugnabile.

Alcuni mesi dopo, il generale Dalla Chiesa, in una relazione riservata al Ministro dell’Interno Virginio Rognoni, così descrive l’operazione portata a termine alcune settimane prima: «…militari dei reparti speciali dei carabinieri per la lotta al terrorismo, al termine di un’indagine difficile e complessa, protrattasi per oltre otto mesi, diretta a individuare, localizzare e disarticolare la colonna eversiva clandestina delle BR operante in Liguria, acquisiscono elementi di prova inconfutabili a carico di molti dei suoi componenti».

Nei mandati di cattura non compaiono i nomi di Francesco Berardi e delle due studentesse perché il rigido segreto istruttorio del codice processuale del ’30 tutela il lavoro degli inquirenti e gli indiziati, durante l’istruttoria, non sono messi nella condizione di conoscere l’identità delle persone da cui proviene la pesante accusa di essere membri delle BR.

In assenza di informazioni ufficiali, si rincorrono le voci più disparate, puntualmente riprese dagli organi di informazione: gli inquirenti hanno a disposizione un «infiltrato alla Girotto» oppure l’omicidio di Guido Rossa ha prodotto «crisi di coscienza» che hanno aperto varchi nella organizzazione clandestina.

Il 24 ottobre ’79, Francesco Berardi si toglie la vita nel carcere di Cuneo.

Nel novembre ’79, il giudice istruttore rinvia a giudizio quattordici persone per i reati di banda armata ed associazione sovversiva. Quattro imputati sono prosciolti.

Il disvelamento dei nomi di Susanna Chiarantano e Patrizia Clemente lascia sgomento il multiforme ambiente politico (autonomi, anarchici, lottacontinuisti, comunisti marxisti-leninisti ecc.) dal quale provengono gli arrestati.

Se il nome della Clemente è conosciuto soprattutto come quello di persona che vive una sofferta esperienza di dipendenza dall’eroina, quello della Chiarantano si rivela, da subito, particolarmente inquietante.

La sinistra estrema genovese conosce i legami della donna con Enrico Mezzani, pregiudicato per reati comuni e notoriamente considerato un confidente delle forze di polizia, ma soprattutto è ritenuta a tal punto inaffidabile da essere accusata, alternativamente, di essere lei stessa una spia al servizio di servizi segreti greci sin dai primi anni ’70 o un fiduciario dei servizi segreti italiani con il nome di copertura “Camilla”.

Tuttavia, l’operazione giudiziaria del maggio ’79 non sembra aver scalfito più di tanto la solidità e le capacità della organizzazione clandestina radicata nel capoluogo ligure.

Il 21 novembre 1979, i brigatisti genovesi uccidono il maresciallo Vittorio Battaglini e il carabiniere Mario Tosa, sorpresi all’interno di un bar a Sampierdarena(2).

Poi addirittura, a dicembre, scelgono Genova per svolgervi una riunione della Direzione Strategica, riunione convocata con urgenza perché il nucleo storico della organizzazione che si trova recluso a Palmi (Curcio, Franceschini ed altri) chiede le dimissioni del Comitato Esecutivo.

All’incontro, che si tiene nell’appartamento di proprietà di Annamaria Ludmann in via Fracchia 12, nel quartiere Oregina, partecipano quindici persone, delle quali ben dodici arrivano a Genova da varie città italiane.

Nella imminenza del processo di primo grado contro Enrico Fenzi e gli altri imputati, le Brigate Rosse non sembrano particolarmente preoccupate per l’attività di indagine iniziata nel mese di maggio. Evidentemente considerano Genova una roccaforte e non esitano a farvi convergere tutto il gruppo dirigente nazionale della organizzazione.

Nella notte tra il 27 e il 28 marzo ’80, sulle base delle rivelazioni fatte da Patrizio Peci nel carcere di Cuneo, i carabinieri fanno irruzione nell’appartamento di via Fracchia(3). Il maresciallo Rinaldo Benà resta ferito gravemente ad un occhio mentre perdono la vita il capo della colonna genovese, Riccardo Dura, gli operai torinesi Lorenzo Betassa e Piero Panciarelli e la militante irregolare Annamaria Ludmann.

Tuttavia, la scoperta della base più importante della colonna genovese ed il sequestro di una ingentissima documentazione non permettono ai carabinieri di acquisire altre prove a carico delle persone detenute ormai già da dieci mesi(4).

Il processo inizia lunedì 14 aprile 1980, davanti la Corte di Assise di Genova.

Il giorno successivo, il giornalista Gad Lerner pubblica un articolo che contiene una lunghissima intervista a Susanna Chiarantano(5). La donna rivela i retroscena della sua collaborazione con i carabinieri. È stata intimidita/irretita/plagiata da Enrico Mezzani, confidente della Guardia di Finanza e collaboratore del capo dell’ufficio politico della Questura, Umberto Catalano(6).

È stato Mezzani ad istigarla ed a suggerirle di rivelare al capitano dei carabinieri Gustavo Pignero, da lei incontrato tre volte prima degli arresti, informazioni non vere su Grasso e altri, informazioni false, sostiene la donna, perché a lei non risulta che queste persone facciano parte delle BR. Racconta ancora che, il 17 maggio ’79, mentre venivano eseguiti i mandati di cattura, prelevata da casa, era stata condotta nella caserma di Via Moresco dove aveva incontrato il capitano Riccio e il maresciallo Mumolo che avevano con lei riletto tutti i fatti esposti nei rapporti giudiziari.


Dopo una estenuante attesa di molte ore, già prostrata, era stata interrogata dal magistrato avendo già deciso che avrebbe confermato qualsiasi circostanza, anche quelle false, pur di allontanarsi da quel luogo. Dopo gli arresti, il capitano Pignero le aveva detto che, per lei, erano pronti il passaporto ed una somma di denaro sino a 100 milioni di lire. Aveva però rifiutato l’offerta ed aveva redatto un memoriale sulla vicenda depositato in una cassetta di sicurezza di una banca.

Sapeva che le persone da lei accusate non facevano parte della colonna genovese BR, ma, in quel momento, più che ritorsioni da parte degli ex compagni di militanza aveva paura dei carabinieri. Commentando la storia raccontata dalla donna, Lerner ritiene che è stata messa in piedi “una montatura” decisa nella convinzione secondo la quale nell’ambiente della sinistra estrema c’è del marcio ed un blitz può farlo venire fuori.



Quattro giorni dopo, avviene un episodio drammatico che si ripercuote immediatamente sugli imputati che hanno scelto di affidare la propria difesa al noto penalista genovese Edoardo Arnaldi.

La magistratura torinese, dopo aver raccolto le dichiarazioni di Patrizio Peci, emette mandati di cattura contro alcuni avvocati penalisti membri della associazione “Soccorso Rosso” ed impegnati nella difesa di militanti delle Brigate Rosse. Sono accusati di aver travalicato il proprio mandato di difensori e di essere, in realtà, il tramite che permette il costante collegamento tra militanti arrestati/detenuti ed organizzazione(7).

Quando i carabinieri, il 19 aprile ’80, si presentano nella abitazione di Arnaldi per eseguire il suo arresto, il legale si toglie la vita con una pistola che possiede legalmente.

I giudici della Corte di Assise di Genova non hanno la possibilità di interrogare direttamente le due principali testimoni di accusa che non si presentano per deporre. Anzi, Patrizia Clemente ha fatto perdere le sue tracce ed è diventata irreperibile.

L’istruttoria si chiude rapidamente ed il 3 giugno 1980 il Presidente del Collegio legge il clamoroso ed inaspettato dispositivo della sentenza: tutti gli imputati sono assolti con formula piena.

I giudizi contenuti nella sentenza che demolisce l’indagine sono impietosi e lapidari: «…sarebbe illogico ed arbitrario affidarsi alle dichiarazioni di Pignero e Paniconi…», cioè gli ufficiali dei carabinieri ai quali Berardi fece confidenze su Fenzi che non vennero verbalizzate(8); le dichiarazioni della Chiarantano – rese informalmente al capitano Pignero, da questo riferite al colonello Bozzo e, infine, solo parzialmente confermate dalla donna nell’unico interrogatorio reso al Giudice istruttore del 17 maggio 1979, ci

oè lo stesso giorno in cui vennero eseguiti gli arresti - sono «indegne di fede» in quanto «tutti i riferimenti alle BR attribuiti agli imputati dalla Chiarantano sono soltanto il parto della sua mente, probabilmente influenzata e ed esaltata dallo stesso compito assegnatole inopinatamente dalla polizia giudiziaria»; le accuse rivolte da Patrizia Clemente a Giorgio Moroni «sono infondate», la donna non si è resa disponibile a comparire personalmente davanti alla Corte per spiegare le molte contraddizioni del suo racconto ed i giudici ritengono, alla fine del processo, che «le sue accuse non siano altro che il frutto di ingiustificate supposizioni».

Nel giro di 48 ore dalla lettura del dispositivo, il 5 giugno ’80, da Milano, arriva la risposta del generale Dalla Chiesa. Alla commemorazione del 166° anniversario dell’Arma, attacca frontalmente i magistrati genovesi: «…non passerà la prepotenza, non passerà la follia, non passerà il terrorismo né l’ingiustizia che lo assolve».

La pubblica accusa impugna la sentenza di assoluzione e, mentre la città è in attesa che si celebri il processo di secondo grado, un altro giudice inizia ad occuparsi della vicenda.

È il Pretore di Genova al quale prima Vincenzo Masini (prosciolto in istruttoria dal giudice istruttore) e poi Giorgio Moroni si rivolgono presentando una denuncia contro Patrizia Clemente per il reato di falsa testimonianza.

Il Pretore, che ascolta anche Enrico Mezzani, il 19 ottobre 1981, condanna l’imputata per aver reso falsa testimonianza nei confronti di Masini. Quanto alla denuncia di Moroni, assolve la donna per insufficienza di prove, ma ritiene, comunque, provato che Patrizia Clemente, che ha seri problemi di tossicodipendenza, ha reso la sua deposizione in circostanze anomale (nella sua abitazione, e non in una caserma o in un ufficio giudiziario, il giorno dopo aver affrontato un aborto), che Mezzani aveva esercitato una influenza sulla donna per farle rendere dichiarazioni «non assolutamente limpide» e che la donna, emigrata in Australia, era stata fatta rientrare in Italia per sostenere un interrogatorio davanti al giudice istruttore con un viaggio quasi certamente pagato dai carabinieri.

Nell’autunno 1980, decine di arresti colpiscono duramente la colonna genovese delle BR e molti militanti fuggono da Genova. Alcuni, esponenti di rilievo della colonna, come Livio Baistrocchi e Lorenzo Carpi, non saranno mai più trovati.

La strada tracciata da Patrizio Peci a Torino viene seguita anche da molti militanti genovesi che, arrestati, decidono di dissociarsi o di collaborare con la magistratura.

Il 4 aprile 1981, a Milano, i poliziotti arrestano Mario Moretti ed Enrico Fenzi(9). A questo punto, le univoche circostanze della cattura “inchiodano” il professore genovese all’accusa di essere un militante brigatista.

Nel processo di secondo grado, che inizia nel novembre ‘81, i giudici della Corte di Assise di Appello ascoltano anche i militanti dissociati/collaboratori di giustizia. Ma se la mole delle dichiarazioni degli ex brigatisti disvela alla magistratura genovese la vera struttura della organizzazione e l’identità dei suoi componenti, nessun dissociato/collaboratore fornisce informazioni sugli arrestati, salvo quelle che riguardano Enrico Fenzi ed altri due imputati.

La Corte di Assise di Appello, ritiene attendibili le accuse di Susanna Chiarantano e Patrizia Clemente, rovescia la sentenza di assoluzione di primo grado e, nel febbraio ‘82, condanna otto imputati (tra cui Fenzi, Ravazzi, Moroni, Grasso e Guatelli) per il reato di associazione sovversiva. Gli altri sei imputati vengono assolti.

Nel frattempo, nel novembre ‘81, è stata arrestata la latitante Fulvia Miglietta, nome di battaglia “Nora”, compagna di Riccardo Dura, sino alla vicenda di via Fracchia membro della direzione della colonna genovese con la responsabilità del fronte della controrivoluzione. Miglietta sceglie di collaborare con la magistratura, ma anche da lei non arriva alcuna accusa nei confronti degli imputati.

Dopo la condanna nel giudizio di appello, si avvia un tortuoso iter giudiziario che, a seguito di una pronunzia di annullamento della Corte di Cassazione, determina lo spostamento del processo da Genova alla Corte di Assise di Appello di Torino chiamata, tuttavia, solo a valutare alcune questioni di diritto. Susanna Chiarantano invia ai giudici torinesi una lettera nella quale conferma la ritrattazione delle accuse fatta nel corso dell’intervista resa a Gad Lerner. Quanto ad Enrico Fenzi - che sin dal settembre ’82 ha scelto di dissociarsi dalla lotta armata e rende dichiarazioni accusando ex compagni di militanza – sostiene, nel corso del processo, che, ad eccezione di Lorenzo La Paglia, nessuno degli altri imputati è mai stato membro delle BR.

La Corte di Assise di Appello di Torino condanna sette imputati (Isabella Ravazzi viene assolta) per il più grave reato di partecipazione a banda armata.

Trascorsi oltre cinque anni dall’arresto di 19 persone nel maggio ’79, i proscioglimenti e le assoluzioni di ben dodici imputati hanno profondamente ridimensionato la portata della prima operazione contro i brigatisti genovesi.

La condanna per il reato di partecipazione a banda armata diventa definitiva solo per sette imputati

Scontata la pena definitiva, Giorgio Moroni dedica ogni propria energia alla scoperta della verità e conduce una investigazione personale alla ricerca delle due testimoni le cui accuse costituiscono il fondamento della sentenza di condanna.

Rintraccia Patrizia Clemente in Australia e la convince a raccontare la verità.

Il 14 febbraio 1991, la testimone sottoscrive una dichiarazione davanti ai funzionari del Consolato italiano a Sydney. Riconosce di aver mosso accuse false contro Giorgio Moroni e Luigi Grasso a causa delle pressioni esercitate contro di lei da Enrico Mezzani che l’aveva messa in contatto con il Capitano Riccio(10). Mezzani, che sosteneva di essere il collaboratore di un Ministro, le aveva offerto denaro se lei avesse reso dichiarazioni a carico di persone che, secondo lo stesso Mezzani, facevano parte delle BR. Pressata continuamente da Mezzani e Riccio, aveva infine ceduto alla richiesta ed aveva accusato Moroni e Grasso, imputati che lei neppure conosceva.

Le dichiarazioni erano state concordate con Mezzani che, tempo dopo, era andato addirittura a scovarla in Australia perché la donna doveva assolutamente tornare a Genova per rendere una deposizione al magistrato. Lei aveva accettato a condizione che le fosse pagato il viaggio di andata e ritorno. In Italia, la donna aveva manifestato la preoccupazione di non essere in grado di individuare Moroni se fosse stata chiamata ad effettuare un riconoscimento fotografico. A quel punto, il capitano Riccio aveva consegnato alla donna una foto segnaletica di Moroni, foto che era ancora in possesso della testimone.

Giorgio Moroni, Luigi Grasso e Mauro Guatelli attivano la procedura per ottenere la revisione della sentenza definitiva di condanna.

Il 24 gennaio ‘92, nel corso di una udienza del processo di revisione, Giorgio Moroni consegna ai giudici una lettera, ancora sigillata, inviata da Sydney. Il plico contiene la foto segnaletica di Moroni che Patrizia Clemente ha gelosamente custodito per anni ed ha ritrovato tra le carte personali.

I giudici ascoltano Susanna Chiarantano. La testimone sostiene di non conoscere Guatelli e, quanto all’amico Luigi Grasso, esclude di aver mai chiesto o ricevuto informazioni sulle BR. Enrico Mezzani l’ha messa in contatto con il capitano Gustavo Pignero ed il giorno del blitz giudiziario, il 17 maggio ‘79, i carabinieri si sono presentati a casa sua, l’hanno “arrestata” e condotta in caserma.

Un ufficiale in borghese la minaccia dicendo che, se non avesse firmato un verbale di accusa, non sarebbe più uscita di lì.

Così, molte ore dopo, quando è arrivato il magistrato, le è stato letto un verbale che lei ha firmato perché, a quel punto, avrebbe firmato qualsiasi cosa pur di essere rilasciata. La verità, prosegue la testimone, l’ha raccontata, già molti anni prima, al giornalista Gad Lerner.

I giudici della Corte di Appello di Genova accolgono le richieste di revisione, revocano la sentenza irrevocabile di condanna ed assolvono con formula piena Giorgio Moroni, Luigi Grasso e Mauro Guatelli(11).

La vicenda giunge al suo epilogo. La verità processuale torna a coincidere con la verità storica: gli arrestati del maggio ’79, ad eccezione di quattro di essi, non sono mai stati militanti delle Brigate Rosse.

Tuttavia, le sentenze del ‘92/’93 non segnano, per intero, la fine della tormentata vicenda che, a questo punto, inizia a svilupparsi in luoghi diversi dagli uffici giudiziari.

Nel 2015/17, l’attività della Commissione parlamentare di indagine sul caso Moro arricchisce di elementi inediti la vecchia storia genovese, elementi che contribuiscono, in larga parte, a renderla ancor più intricata ed inquietante.

Ascoltando Elio Cioppa e Maurizio Navarra(12), funzionari in servizio, nel 1978/’79, presso il Centro Roma 2 del SISDE, i parlamentari apprendono che Navarra (che aveva lavorato a Genova quale ufficiale della Guardia di Finanza), appena arrivato al SISDE nell’agosto ’78, incontra un suo vecchio confidente utilizzato per indagini sul contrabbando.

Il confidente si propone di aiutare Navarra poiché ha rapporti con una donna che può fornire informazioni importanti sulla colonna genovese delle BR. La fonte, raccolte queste notizie dalla donna, le fornisce subito a Navarra che, sua volta, le condivide con il capitano Riccio dei Carabinieri di Genova. Il confidente di Navarra, per l’opera prestata, riceve 2/3milioni di lire e “l’Operazione Canepa” (così era stata denominata dall’agenzia di sicurezza) è appunto quella che conduce agli arresti del 17 maggio ‘79, in particolare a quello di Enrico Fenzi, ritenuto dal servizio segreto civile capo della colonna brigatista.

Secondo Elio Cioppa, il confidente di Navarra, in cambio dell’apporto che fornisce al servizio, chiede che la Questura di Genova gli rilasci una licenza per un esercizio commerciale. Cioppa incontra più volte la donna sul lungomare Canepa di Genova (questo è il motivo del nome dato alla operazione) e raccoglie notizie su Fenzi e sulle BR genovesi. La donna (“messa nelle mani” dei carabinieri dal pregiudicato che funge da confidente di Navarra) riceve sei milioni ed annuncia che fuggirà all’estero. Cioppa redige una corposa relazione di trenta pagine (seguita da altre due relazioni) consegnata a Domenico Sica e, da quest’ ultimo, al generale Dalla Chiesa.

I due ex funzionari del SISDE rifiutano di rivelare ai parlamentari i nomi del confidente e della misteriosa donna che sa tutto delle BR genovesi, ma è evidente che si riferiscono ad Enrico Mezzani, il confidente di Navarra, ed altrettanto chiaramente ad una delle due testimoni della indagine.

Se le cose sono andate nel modo descritto da Cioppa e Navarra(13), occorre riscrivere la storia della genesi della indagine genovese, genesi sensibilmente diversa da quella raccontata nella versione ufficiale descritta in questo modo nella sentenza del 3 giugno 1980: «Con i rapporti giudiziari in atti, i Carabinieri del Nucleo operativo di Genova comunicarono che dalle indagini in corso intese all’identificazione degli assassini del Rossa erano emersi indizi i quali consentivano di ipotizzare come la persona che aveva contattato il Berardi quale postino delle BR fosse Enrico Fenzi e come variamente collegati con le BR ed altri similari organizzazioni eversive fossero Isabella Ravazzi, Luigi Grasso, Mauro Guatelli…».

In origine, quindi, già dall’agosto ’78, i contatti con Mezzani ed una delle testimoni sarebbero stati avviati e coltivati dal SISDE e non immediatamente dai carabinieri dei reparti speciali di Dalla Chiesa che, solo in un secondo momento, avrebbero “ricevuto in consegna” l’uomo e la donna dal servizio segreto interno. Se fosse vero che la testimone ricevette sei milioni dal SISDE, questo starebbe a significare che, quando rendeva dichiarazioni ai carabinieri e ai magistrati, la donna, in realtà, onorava un impegno assunto con il servizio segreto, impegno per il quale aveva chiesto ed ottenuto una ricompensa.

Non sappiamo ancora se la storia raccontata dai due funzionari dei servizi sia vera. Per certo sappiamo che, durante l’istruttoria e poi nel corso dei processi, anche quelli di revisione delle sentenze, non è mai emerso il ruolo del SISDE nella vicenda giudiziaria, ancor oggi presentata solo come il risultato del lavoro dei reparti speciali antiterrorismo diretti dal generale Dalla Chiesa.

Emerge poi un’altra circostanza inedita.

La Commissione parlamentare sul caso Moro esegue accertamenti su una audiocassetta che, ufficialmente, risulta essere stata sequestrata, il 29 maggio ’79, nell’appartamento di Giuliana Conforto, in via Giulio Cesare 47 a Roma, luogo in cui i poliziotti arrestano i latitanti Valerio Morucci e Adriana Faranda che hanno abbandonato le Brigate Rosse già da diversi mesi(14). La cassetta contiene la registrazione di un colloquio tra un uomo e una donna, avvenuto, per quello che afferma il soggetto maschile, il 2 novembre ’78.

La donna (nel colloquio chiamata con il nome in codice “Camillo”) risponde a domande su Gianfranco Faina, Luigi Grasso, Giorgio Moroni, Giuliano Naria, Sergio Adamoli ed altri. L’uomo l’avverte che sta registrando il colloquio e che il nastro sarà ascoltato da persone legate al Ministero dell’Interno. Un preciso riferimento nel dialogo ad un comunicato scritto nel ‘74 mentre è in corso il sequestro Sossi (si tratta proprio di una delle accuse rivolte inizialmente da Chiarantano a Luigi Grasso), permette al generale Paolo Scriccia, consulente della Commissione parlamentare Moro, di concludere che, molto verosimilmente, la fonte “Camillo” è, in realtà, Susanna Chiarantano(15).

La Commissione non ha scoperto l’identità dell’uomo che dialoga con “Camillo”. E’ Enrico Mezzani? Si tratta di un funzionario del SISDE? Forse è un ufficiale dei carabinieri?

Il colloquio avviene il 2 novembre ‘78, a pochissimi giorni di distanza dall’arresto e dalla condanna di Francesco Berardi e ben due mesi prima dell’omicidio di Guido Rossa. La data della registrazione e l’assenza nel colloquio di qualsiasi riferimento alle figure di Francesco Berardi ed Enrico Fenzi dimostrano che le fondamenta dell’operazione genovese del maggio ’79 vennero gettate prima delle confidenze di Berardi e ben prima dell’indagine sull’omicidio Rossa del gennaio ‘79, come sostiene invece la versione ufficiale.

Trascorsi oltre 40 anni, la ricerca della verità sulla “Operazione Canepa” è compito degli studiosi e degli storici a cui spetta ricercare nuove fonti e nuovi documenti, anzitutto quelli compilati dal SISDE che occorre, finalmente, declassificare.

Ai giuristi compete la comprensione delle vicende giudiziarie e la riflessione critica sulle indagini e sui processi che, negli anni ’70 e ’80, si celebrarono nei confronti di imputati accusati di fatti di terrorismo/eversione o che militarono nelle organizzazioni che praticarono la lotta armata.

I giudici Giuseppe Quaglia e Andrea Giordano, della Corte di Assise di Genova, esposero, nella sentenza assolutoria del 3 maggio ’80, la propria visione della giurisdizione e dei compiti del processo penale, visione non solo non datata, ma ancora straordinariamente aderente ai principi costituzionali.

Queste le loro parole: «…Compito del giudice è però quello – e soltanto quello – di accertare la sussistenza dei fatti posti a base della pretesa punitiva dedotta in giudizio e non già di seguire la cd. “logica del sospetto” nei riguardi di persone atteggiantesi, nel loro foro interno, come favorevoli all’eversione e che comunque non risulta abbiano commesso alcun fatto penalmente rilevante».







(1) Una minuziosa ricostruzione della vicenda narrata in questo articolo è contenuta nel libro del giornalista Andrea Casazza sulla colonna genovese delle Brigate Rosse Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse, DeriveApprodi, 2013.

(2) Rivendicando il duplice omicidio di Sampierdarena, la colonna genovese annunciava di aver assunto il nome di “Colonna Francesco Berardi”.

(3) Nel libro-intervista a Rossana Rossanda e Carla Mosca (Brigate Rosse. Una storia italiana, Mondadori, 2007), Mario Moretti riconoscerà il grave errore commesso al momento della scelta dell’appartamento della Ludmann per la riunione della Direzione Strategica. La violazione di una regola essenziale della “compartimentazione” e della segretezza delle basi della organizzazione aveva prodotto effetti catastrofici perché Peci aveva indicato ai carabinieri una abitazione/base che non avrebbe in alcun modo dovuto conoscere.

(4) Un elemento più di ogni altro dimostrativo del fatto che la colonna genovese fosse un mondo sconosciuto agli inquirenti è la storia personale di Riccardo Dura “Roberto”, membro della direzione di colonna e poi capo della stessa, componente della Direzione strategica e del Comitato esecutivo BR. Clandestino da diversi anni, al momento della sua morte non era mai stato colpito da un provvedimento giudiziario e non era ricercato dalle forze di polizia. Addirittura, i carabinieri non riuscirono ad identificarlo per diversi giorni dopo la sua morte, tanto che, il 3 aprile ‘80, un brigatista fece una telefonata all’ANSA per rivelare che il compagno “Roberto” caduto a via Fracchia era Riccardo Dura.

(5) L’articolo di Gad Lerner che contiene le rivelazioni di Susanna Chiarantano viene pubblicato in contemporanea, il 15 aprile 1980, sul giornale Lotta Continua e sul quotidiano genovese Il Lavoro.

(6) Il nome di Mezzani aveva già incrociato la storia delle Brigate Rosse molti anni prima della vicenda raccontata in questo articolo. Durante il sequestro del magistrato Mario Sossi (18 aprile-23 maggio 1974), le BR, diffondendo il comunicato n. 4, annunciarono che Sossi, collaborando con i sequestratori, aveva ammesso la macchinazione giudiziaria contro i componenti del gruppo XXII Ottobre rivelando che l’indagine era stata costruita anche grazie ad alcuni provocatori, tra i quali Mezzani. Inoltre, le BR, nel famoso comunicato n. 5 dal titolo Non trattiamo con i delinquenti, annunciarono che le informazioni fornite dal magistrato prigioniero dimostravano che l’allora capo dell’ufficio politico della Questura di Genova, Umberto Catalano, era alla testa di una organizzazione che organizzava il traffico clandestino di armi in Liguria e che il funzionario di polizia godeva della copertura del Ministro dell’Interno, il genovese Paolo Emilio Taviani.

(7) Insieme ad Arnaldi, i magistrati torinesi ordinarono l’arresto anche dell’avvocato milanese Sergio Spazzali, anche questo aderente a Soccorso Rosso Militante.

(8) I due ufficiali dell’Arma dei Carabinieri erano il Capitano Fausto Paniconi e il Capitano Gustavo Pignero. Pignero è l’ufficiale che, utilizzando l’infiltrato Silvano Girotto, aveva arrestato Renato Curcio e Alberto Franceschini, a Pinerolo, l’8 settembre 1974.

(9) L’arresto di Moretti e Fenzi fu possibile grazie alla soffiata di un pregiudicato per reati comuni, Renato Longo, che fornì informazioni alla polizia sull’appartamento di Via Cavalcanti, 4 a Milano che veniva utilizzato da Moretti.

(10) Il capitano Michele Riccio, nel 1980 comandante la 1° Sezione del Nucleo Operativo Gruppo Carabinieri Genova, fu l’ufficiale che, alla testa di un gruppo di sei uomini, fece irruzione, il 28 marzo 1980, nella base BR di via Fracchia, 12. Proprio una delle persone arrestate da Riccio nel maggio ’79, Luigi Grasso, nel 2017, sulla scorta del materiale fotografico inedito pubblicato dal giornale Il Corriere Mercantile nel 2004, chiese alla Procura di Genova di riaprire l’indagine sui fatti di via Fracchia sostenendo che Riccardo Dura non era stato ucciso nel corso del conflitto a fuoco con i carabinieri, ma era stato deliberatamente ammazzato. Il procedimento nato dall’esposto di Grasso è stato archiviato.

(11) Le sentenze di revisione sono state emesse dalla Corte di Appello di Genova, Presidente Benedetto Schiavo, rispettivamente, l’8 aprile 1992 per Moroni e il 7 aprile 1993 per Grasso e Guatelli.

(12) Elio Cioppa venne ascoltato dai membri della Commissione Moro nel corso della audizione del 2 maggio 2017. Maurizio Navarra, invece, sottoscrisse un verbale di sommarie informazioni, il 22 maggio 2017, fornendo dichiarazioni al consulente Paolo Scriccia ed all’ufficiale di collegamento Laura Tintisona. Nel corso della audizione di Elio Cioppa del maggio ’17 emerse anche che il generale Giulio Grassini, direttore del SISDE, aveva consegnato a Cioppa, con la richiesta di svolgere accertamenti, un appunto scritto a mano che conteneva i nomi di alcuni avvocati e giornalisti possibili fiancheggiatori delle BR o di altre organizzazioni. Nell’appunto (conservato agli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2), Grassini aveva annotato i nomi degli avvocati Guiso, Spazzali e Di Giovanni, di Franco Piperno e Toni Negri, di tale «Sivieri 4° anno di fisica» (quasi certamente si tratta del brigatista Paolo Sivieri arrestato, nell’ottobre ’78, nella base di Via Montenevoso a Milano, con Bonisoli, Azzolini ed altri, poi morto suicida nel gennaio 1989) e dei giornalisti Scialoja, Tessandori, Isman e Battistini

(13) Le dichiarazioni di Navarra e Cioppa divergono, almeno in apparenza, su una circostanza importante. Mentre Cioppa sostiene di aver conversato con la testimone genovese sul lungomare Canepa, Navarra afferma di non aver mai conosciuto questa donna e di aver raccolto notizie sulle BR solo attraverso il suo confidente. Tuttavia, il nome in codice scelto dal servizio segreto civile, “Operazione Canepa”, come pacificamente riferito anche da Navarra, sembra confermare la versione di Cioppa e dimostrare che, effettivamente, la testimone incontrò il funzionario SISDE sul lungomare Canepa di Genova.

(14) Il generale Paolo Scriccia, nella relazione del 2 novembre 2025 alla Commissione parlamentare sul caso Moro, sostiene di aver accertato che, nell’elenco dei materiali sequestrati dalla Digos nella abitazione di Via Giulio Cesare 47, non compariva una audiocassetta e che, anche a causa della confusione esistente tra i reperti custoditi nei locali della Procura Generale romana, è verosimile che quella che contiene il dialogo sulle vicende genovesi, collocata in un reperto con rubrica «1980» (l’irruzione a Via Giulio Cesare risale invece al 1979), sia stata sequestrata in altro luogo e provenga da un procedimento penale diverso da quello che riguarda l’arresto di Morucci, Faranda e Conforto.

(15) La relazione del consulente generale Paolo Scriccia alla Commissione Parlamentare Moro è del 26 ottobre 2015. Appare importante aggiungere che, nell’aprile ’74, subito dopo il sequestro di Mario Sossi, i GAP (Gruppi Azione Partigiana) genovesi diffusero un comunicato nel quale si rivolgevano alle Brigate Rosse a cui chiedevano di liberare il magistrato solo se, in cambio, lo stato avesse rilasciato i detenuti del gruppo XXII Ottobre. Il comunicato si concludeva con il famoso slogan «Fuori Rossi o morte a Sossi». Susanna Chiarantano dichiarava di essere stata coinvolta nella compilazione e divulgazione di questo comunicato da Luigi Grasso.





























http://documenti.camera.it/leg17/resoconti...afico.0083.html

Rif. Camera Rif. normativi
XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Testo del resoconto stenografico


Seduta antimeridiana n. 83 di Mercoledì 27 aprile 2016

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.15.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE . Nel corso dell'odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di incaricare:

   la dottoressa Giammaria, il sostituto commissario Ferrante e il sovrintendente Marratzu di acquisire sommarie informazioni testimoniali da una persona informata dei fatti in relazione al covo di via Gradoli;

   la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di acquisire sommarie informazioni testimoniali da due persone informate dei fatti;

   il colonnello Pinnelli di acquisire dalla RAI copia delle edizioni del TG1 e di eventuali «speciali» trasmessi durante i 55 giorni del sequestro Moro;

   la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna di acquisire sommarie informazioni testimoniali da una persona informata dei fatti, in relazione alle attività di sorveglianza a suo tempo sviluppate nei confronti di Giovanni Senzani;

   il dottor Donadio, il dottor Salvini e il tenente colonnello Giraudo di acquisire sommarie informazioni testimoniali da una persona informata dei fatti in relazione ai rapporti tra la criminalità organizzata e la vicenda Moro.

   Comunico inoltre che:

   il 22 aprile 2016 la dottoressa Tintisona ha depositato una nota, di libera consultazione, relativa alle verifiche compiute su tracce ematiche presenti nella Renault 4 dove fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro e ai risultati degli esami comparativi tra i profili genetici emersi dal covo di via Gradoli e dagli indumenti di Aldo Moro e i mozziconi rinvenuti nella Fiat 128 usata dai brigatisti a via Fani;

   nella stessa data la dottoressa Giammaria, il sostituto commissario Ferrante e il sovrintendente Marratzu hanno depositato una nota, riservata, relativa a Giulio De Petra;

   nella stessa data la dottoressa Tintisona ha depositato una nota, riservata, del Servizio centrale antiterrorismo relativa al furto compiuto nell'abitazione della famiglia Moro il 13 novembre 1978;

   nella stessa data la dottoressa Tintisona ha altresì depositato il carteggio, di libera consultazione, relativo alla scoperta della tipografia di via Pio Foà conservato presso l'archivio-deposito di Circonvallazione Appia;

   nella stessa data il colonnello Pinnelli ha depositato una nota, riservata, con allegata fotografia di Antonio Nirta risalente al 1976-1977;

   il 26 aprile 2016 la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna hanno depositato il verbale, riservato, di sommarie informazioni testimoniali rese da Emilio Fede;

   nella stessa data la dottoressa Picardi, il generale Scriccia e il maresciallo Pinna hanno depositato una proposta istruttoria, riservata, su accertamenti conseguenti alle sommarie informazioni rese da Emilio Fede,
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e una nota, riservata, riguardante gli atti relativi a Ubaldo Lauro stralciati dal processo Pecorelli;

   il 27 aprile 2016 il tenente colonnello Giraudo ha depositato il verbale, riservato, di sommarie informazioni testimoniali rese dal colonnello della Guardia di finanza Gaetano Lamberto Morgano;

   nella stessa data è stata acquisita una missiva, riservata, di Maria Fida Moro, relativa alla desecretazione di alcuni stralci della lettera da lei inviata in data 18 febbraio 2016 a integrazione della sua audizione;

   nella stessa data il colonnello Pinnelli ha depositato una nota, riservata, relativa ad attività investigative compiute nel 1977-1978 su Prospero Gallinari.

   La prima seduta utile della prossima settimana sarà dedicata a fare il punto sulle indagini in corso. In seguito si procederà alle audizioni di Nunzio Sapuppo, Marco Di Berardino, Enrico Marinelli e Vittorio Fabrizio.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE . Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Nicola Mainardi.

  PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca l'audizione di Nicola Mainardi, sottufficiale in quiescenza della Polizia di Stato, che ringraziamo per la sua presenza oggi e per la collaborazione risolutiva che ci ha dato.
  Faccio presente a Nicola Mainardi che, ove lo ritenesse opportuno, può chiederci di passare in seduta segreta.
  L'audizione ha per oggetto le modalità attraverso le quali si giunse, il 29 maggio 1979, alla scoperta del rifugio di Valerio Morucci e Adriana Faranda, ovvero l'abitazione di Giuliana Conforto in viale Giulio Cesare 47. Si tratta di un episodio cruciale della vicenda Moro che chiama in causa molti aspetti all'attenzione della Commissione che sono stati già oggetto di specifiche deleghe. Tra queste, cito in particolare il tema della rottura tra Morucci e Faranda, da un lato, e le Brigate rosse di Moretti, dall'altro, e il tema del ruolo dei terroristi e fiancheggiatori provenienti da Autonomia Operaia, come Franco Piperno e Lanfranco Pace. Ricordo che Morucci e Faranda si separarono dalle Brigate rosse verso la fine del 1978 e trovarono diversi rifugi grazie soprattutto a Piperno e a Pace. All'inizio del 1979 erano in casa di Aurelio Candido, un grafico del Messaggero vicino al Partito Radicale e amico di Stefania Rossini, compagna di Lanfranco Pace. Candido ha in seguito escluso di essere a conoscenza della reale identità dei suoi ospiti.
  In seguito, in data non precisata della primavera 1979, Morucci e Faranda trovarono ospitalità a viale Giulio Cesare 47, in casa di Giuliana Conforto, una professoressa di fisica, figlia dell'agente del KGB Giorgio Conforto, proveniente da Potere Operaio, amica di Piperno e probabilmente anche in rapporto con Luciana Bozzi, la proprietaria del covo di via Gradoli. Qui ricordo solo alla Commissione che l'ex deputato radicale di cui adesso mi sfugge il nome, che ha scritto un libro...

  GERO GRASSI . Alessandro Tessari.

  PRESIDENTE . Tessari ha scritto un libro in cui ha raccontato come gli fosse stato suggerito il giorno prima dell'arresto di Morucci e Faranda di prendere una stanza in quell'appartamento. Andò a vederlo, poi non si fermò lì quella notte. Il particolare che lo colpì – lo riporta nel libro, ma sono cose che ha detto a me direttamente, e anche all'onorevole Grassi, incontrandoci alla Camera – è che sotto il materasso dove avrebbe dovuto dormire c'era la pistola mitragliatrice Skorpion usata per l'omicidio di Aldo Moro.
  Anche sul tema della connessione tra i covi di viale Giulio Cesare e di via Gradoli, e quindi tra le famiglie Bozzi e Conforto, si è a lungo dibattuto e sono in corso accertamenti ulteriori.
  Dopo l'attentato alla sede della DC di piazza Nicosia del 3 maggio 1979, la Polizia
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si mise alla ricerca di un covo BR nel quartiere Prati e nel corso del mese di maggio identificò il rifugio di viale Giulio Cesare. Il 29 maggio vi fece irruzione, arrestando Morucci e Faranda e reperendo parecchie armi e altri materiali. Di fatto, si trattava di un vero e proprio covo.
  Giuliana Conforto fu successivamente scagionata a seguito di un processo che già all'epoca suscitò parecchie perplessità per il trattamento di favore che le fu riservato. Gli organi giudicanti e le Commissioni parlamentari d'inchiesta si sono a lungo interrogati sulla modalità della scoperta del luogo e sulla fonte che la rese possibile. Nell'appunto della DIGOS per la Procura, datato 30 maggio 1979 e firmato dall'allora vicequestore Ansoino Andreassi, da noi ascoltato lo scorso gennaio, si fa riferimento generico a «notizie riservatissime» che avrebbero consentito la scoperta del covo una decina di giorni prima dell'irruzione delle forze dell'ordine.
  Nella sua audizione presso la Commissione d'inchiesta dell'VIII legislatura, il 22 ottobre 1980, Domenico Spinella ha parlato dell'informatore che rese possibile la scoperta del covo come di «una persona che conosco da molti anni ed è, a mio avviso, totalmente estranea all'organizzazione terroristica». Lo stesso Spinella ha affermato che Giuliana Conforto era secondo lui «responsabile non solo del favoreggiamento che le è stato contestato». In seguito, nell'audizione presso la Commissione stragi del 1° dicembre 1999, il dottor Andreassi ha detto: «Avemmo – e non la ebbi io, che fui in questo caso un esecutore dell'operazione – un'informazione secca e precisa, tra l'altro proveniente da ambienti che non erano dell'eversione». Rispondendo a specifiche domande, ha aggiunto: «Era un contatto dell'informatore, non con l'organizzazione terroristica nella maniera più assoluta, era un contatto di natura personale con uno dei due arrestati».
  Francesco Cossiga, nella sua audizione presso la Commissione Mitrokhin del 24 febbraio 2004, intervenne sulla questione. Cossiga disse in quell'occasione: «Fu lui (questo lo so per certo) che, per difendere il Partito comunista italiano da accuse di collusione con le Brigate Rosse, denunziò, all'allora capo della squadra mobile Masone, Faranda e Morucci, che abitavano nella casa della figlia. L'uomo che fece arrestare Faranda e Morucci è quello che qui è considerato il più grande agente sovietico, Conforto. Fece ciò perché la figlia non sapeva nulla. Sapeva soltanto che questi erano elementi di sinistra. La figlia era un'extraparlamentare non comunista. Quando lui capì chi erano le persone che erano in casa della figlia contattò Masone». Cossiga indicò come sua fonte Masone, che era defunto alcuni mesi prima, il 1° luglio 2003, e che quindi ovviamente non poté né confermare né smentire.
  Infine, nell'audizione svolta il 21 gennaio 2016, il dottor Andreassi ha risposto ad alcuni quesiti sul tema. Proseguiamo in seduta segreta, perché devo citare un passaggio che rientra nella parte segreta di quella seduta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta)* .

  PRESIDENTE . In quell'occasione Andreassi ha espresso alcune perplessità sulla ricostruzione offerta da Cossiga e ha affermato: «Noi scoprimmo l'abitazione di viale Giulio Cesare, dove si nascondevano Morucci e la Faranda, grazie a una segnalazione secca dovuta a una circostanza del tutto fortuita, e cioè un vecchio amico di Morucci lo incontrò quando quest'ultimo era già ospite di Giulia Conforto e ce lo disse». Ha inoltre aggiunto che la persona era un confidente della squadra mobile, in particolare di un sottufficiale di Luigi De Sena, e che il confidente «si incaricò personalmente di pedinare Morucci dopo un appuntamento, poi lo seguì fino all'appartamento e ce lo indicò».
  Torniamo in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo.

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  (I lavori riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE . Ho richiamato queste notizie all'attenzione dei membri della Commissione per contestualizzare i contenuti di quello che si è scritto e si è detto fino a oggi.
  A Mainardi non rivolgerò domande sulle dichiarazioni che ho prima richiamato, perché non necessariamente ne è al corrente, ma su ciò su cui ha avuto esperienza diretta nella sua attività di servizio. A tale scopo chiedo al maresciallo Mainardi di esporre nella maniera più dettagliata le indagini che portarono all'indicazione delle fonti confidenziali e poi all'irruzione della Polizia in casa di Giuliana Conforto. Gli domando di non omettere alcun particolare, nei limiti consentitigli dalla sua memoria: il suo incarico all'epoca dei fatti, il responsabile dell'operazione, le scelte operative, i dettagli sulla fonte confidenziale, la data della sua attivazione, la sua personale valutazione su ciò che rese possibile la latitanza di Morucci e Faranda e sulle modalità di scoperta del covo.
  Do la parola al maresciallo Mainardi.

  NICOLA MAINARDI . Racconto i fatti o aspetto le domande?

  PRESIDENTE . Racconti lei i fatti, poi sulla base di quello che ci avrà raccontato potremo porle domande.

  NICOLA MAINARDI . Prima del maggio 1979, a seguito di lavori di polizia giudiziaria, avevamo fermato diversi personaggi. Calcoli che all'epoca stava nascendo la banda della Magliana, c'erano i sequestri di persona, quindi come pattuglia perlustravamo la zona di Portuense, come stabilito dal dottor Masone, per cui per ogni zona c'era una pattuglia della squadra mobile. È chiaro, quindi, che eravamo in zona, conoscevamo i posti o i locali dove si ritrovavano dei personaggi dediti a rapine e anche a sequestri di persona.
  In quel periodo, non ricordo bene, forse nel 1978, ricevemmo la notizia che presso l'AutoCia, un autosalone, si riunivano diversi pregiudicati della zona della Magliana per acquisti di auto; ma sapevo che lì dentro cercavano anche documenti falsi. Dopo tre o quattro mesi facemmo una perquisizione in quell'autosalone, ma non trovammo nulla. Si tenga presente che all'epoca a un pregiudicato sotto sorveglianza che fosse fermato tre, quattro, cinque volte con altri pregiudicati, si poteva, sulla base di una relazione, sospendere la patente. Il prefetto, il questore, sulla base di relazioni del genere, potevano sospendere o ritirare la patente. Per quel tipo di gente il ritiro della patente era peggio che pagare 30 milioni di lire, perché si poteva poi togliere loro anche la macchina, allora c'era l'articolo 80 e così via.
  A seguito della perquisizione ebbi contatto con questo soggetto, il rivenditore. Non so, infatti, se la società fosse intestata a lui o meno. Ci incontrammo altre volte. Volevo evitare le perquisizioni, di metterci lì con la macchina e di dare fastidio alla rivendita. Molti personaggi, rapinatori o altri, andavano lì. È nato, allora, questo rapporto confidenziale, di fiducia, come può nascere tra due persone qualsiasi.
  Subito dopo, sempre dalla stessa persona, ebbi un'altra notizia confidenziale, ma si trattava di un rapinatore. Si era in pieno sequestro Moro, c'era fermento per quanto riguardava le Brigate Rosse, quindi si può capire che periodo fosse. Avendo avuto contatti con questo soggetto, gli chiesi se fosse possibile far sapere qualcosa, qualche notizia.

  GERO GRASSI . Presidente, chiedo scusa: questo soggetto chi?

  PRESIDENTE . Adesso arriviamo alla fine del racconto, poi gli mostriamo due foto: se le riconosce, diremo anche il nome del soggetto.

  FEDERICO FORNARO . Non ricorda il nome?

  NICOLA MAINARDI . Lo ricordo. Se volete, ve lo dico subito: il signor Bozzetti Dario, rivenditore.

  PRESIDENTE . Questo? (Il presidente mostra al maresciallo Mainardi una fotografia)

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  NICOLA MAINARDI . Sì, questo.
  È nato questo rapporto di stima, di fiducia, tra me e questo soggetto. Nel periodo subito dopo il sequestro Moro, con le Brigate Rosse in piena attività, insistevo se per caso sapesse qualcosa di sequestrati o di sequestratori dell'epoca, o di qualcuno delle Brigate Rosse. Peraltro, aveva un autosalone della Renault, e in quel periodo i brigatisti usavano quasi esclusivamente queste macchine, Renault, Citroën.
  Quasi tutti i giorni pressavo il soggetto perché mi facesse avere qualche notizia. Dopo un po’ mi disse: «Guarda, ci sono questi due che si sono recati presso il mio autosalone». Ma sono convinto che l'abbia fatto più che altro per paura di essere invischiato come fiancheggiatore. In ogni caso, sta di fatto che a noi interessava prendere questi due soggetti. Informai l'allora dottor De Sena, mio diretto dirigente, poi andammo dal dottor Masone, capo della squadra mobile, e poi dal questore, dottor De Francesco. Lo stesso dottor De Francesco ritenne opportuno informare dell'operazione la DIGOS, dove allora c'era appunto il dottor Andreassi come vicedirigente.
  Dopo un po’ di giorni andammo direttamente, anche col dottor De Sena, a quest'ultimo appuntamento. Ci disse che, effettivamente, sia Morucci sia Faranda erano stati un paio di volte nel suo autosalone. La notizia era veritiera. Abbiamo cercato di svilupparla a fondo, di stargli ancora dietro.

  FEDERICO FORNARO . Chiedo scusa, ma lei dice che ha riconosciuto Morucci e Faranda, nel senso che gli avete mostrato delle fotografie?

  NICOLA MAINARDI . No, evidentemente li conosceva, sapeva chi erano.

  FEDERICO FORNARO . Questi andavano a prendere una macchina, essendo latitanti, dando il loro nome?

  NICOLA MAINARDI . No, uno dei due terroristi, Morucci, era amico dell'altro rivenditore, perché abitavano – questo è quello che mi hanno detto – in via Caroncini, nella zona di piazza delle Muse, da quelle parti, nella stessa via, quindi si conoscevano.
  Non so se con la Morucci e la Faranda si siano visti prima, ma di fatto li conosceva.

  FEDERICO FORNARO . Solo per puntualizzare: questo rivenditore le dice che si erano recati da lui Morucci e Faranda?

  NICOLA MAINARDI . Sì.

  FEDERICO FORNARO . Non due persone che potrebbero...

  NICOLA MAINARDI . No, ha detto: «Sono venuti da me...». Come le stavo dicendo, l'altro socio abitava nella stessa via in cui abitava Morucci.

  GERO GRASSI . Come si chiamava l'altro socio?

  NICOLA MAINARDI . Si chiamava Olindo di nome, ma non ricordo il cognome.

  PRESIDENTE . Olindo Andreini.

  NICOLA MAINARDI . Sì, può essere, comunque Olindo di nome.
  Una volta parlato col dottor De Sena e avuti altri incontri, unitamente al dottor De Sena, Bozzetti si è prestato e ha preso un appuntamento a piazza Risorgimento.

  PRESIDENTE . A noi risulta che non solo Olindo Andreini era amico di vecchia data con Morucci, ma che aveva già fornito alla Faranda macchine nel 1976-1977.

  NICOLA MAINARDI . Non lo so.

  PRESIDENTE . Questo è quello che a noi risulta da atti d'indagine.

  NICOLA MAINARDI . Non lo so, niente di più probabile che avesse acquistato qualche macchina prima, ma non lo so.
  Quindi, si è prestato ed è andato a un appuntamento a piazza Risorgimento, e poi
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da lì è stato seguìto. Morucci e la Faranda camminavano avanti, lui con la sua macchina, e noi con un'altra squadra seguivamo il cosiddetto «confidente». Il servizio era organizzato quella sera, tanto che molti di noi si sono portati a viale Mazzini, dove era il primo distretto.
  Una volta entrati i pedinati al civico 47, sono tornato al commissariato di via Ruffini, e così si è deciso col dottor De Sena – c'era il dottor Andreassi, non so se c'era anche il dottor Spinella, allora dirigente – di fare irruzione appunto al civico 47. Il personale della DIGOS all'epoca conosceva molto meglio di noi gli altri personaggi, e ricordo che quando hanno visto sul citofono il nominativo della professoressa di matematica, sono andati direttamente al piano del suo appartamento, perché pare che avessero fatto già in precedenza delle perquisizioni.
  Una volta fatto l'intervento, sono state trovate armi, tutto qui. La mia è semplicemente stata una confidenza con una persona, un lavoro di routine di polizia giudiziaria.

  PRESIDENTE . Questi signori hanno avuto qualcosa in cambio o no?

  NICOLA MAINARDI . Questi signori non hanno avuto niente. Noi premevamo perché fosse sospesa la patente. Dal momento che una volta si incontrava con un pregiudicato, un'altra volta con un altro, si poteva. Si stendevano delle relazioni in cui si diceva che un giorno aveva incontrato Mainardi, il giorno successivo un altro e così via, e il questore poteva fare la segnalazione di sospendere la patente.

  FEDERICO FORNARO . Per capirci, il premio è stato quello di non...

  NICOLA MAINARDI . È stato quello... e un passaporto, detto dal signor questore. Alla fine, col dottor Masone, col dottor De Sena e col dottor Andreassi...

  PRESIDENTE . Un passaporto ai due soggetti...

  NICOLA MAINARDI . Un passaporto ai due soggetti. Ci avevano detto che subito dopo, per giugno o luglio, interessava questo documento.

  PRESIDENTE . Avranno fatto qualche opera buona all'esterno, diciamo, con quel passaporto.

  NICOLA MAINARDI . Non lo so, non posso dirlo. Gli accordi erano, al ritorno, dopo venti giorni, di riconsegnare i due passaporti, e così è stato.

  FEDERICO FORNARO . Scusi, per capirci, all'epoca era una prassi una cosa di questo genere? L'ha visto fare altre volte?

  NICOLA MAINARDI . No, la prassi... Se facevi polizia giudiziaria, fermavi il pregiudicato con altri...

  PRESIDENTE . No, il senatore Fornaro intende il premio a chi dava un'informazione...

  FEDERICO FORNARO . Ho fatto un'altra domanda: è prassi che come premio per un'informazione importante, invece che denaro – che veniva dato in passato, come ci è stato spiegato dai suoi colleghi – a questi due soggetti è stato dato un passaporto e l'impegno a non perseguirli? Le ho rivolto una specifica domanda in questo senso: questa prassi, questo tipo di agreement, di accordo, era normale, naturale, o nella sua lunga esperienza è stata un'eccezione?

  NICOLA MAINARDI . So che altri servizi, specialmente per quanto riguarda i brigatisti... Il ministero dava dei soldi. Mi risulta, anche se non so quanto e non so come. Per quanto riguarda i documenti, è stata la prima volta che a me è capitato.

  FEDERICO FORNARO . A lei, la domanda è rivolta a lei. Successivamente, non le è mai capitato?

  NICOLA MAINARDI . Mai capitato.

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  FEDERICO FORNARO . L'unica volta, quindi, nella sua attività in cui ha visto questa tipologia di premi è stata questa.

  NICOLA MAINARDI . Sì, perché questa è la richiesta che hanno fatto i due soggetti. Non hanno richiesto denaro, non hanno richiesto altro. Siccome dovevano andare all'estero, hanno chiesto se c'era la possibilità di ottenere il documento. Di fronte a quest'operazione così importante, importantissima, siamo andati dal questore, che ha risposto che l'importante era che queste persone, una volta rientrate, riconsegnassero i documenti. Questo è successo.

  FEDERICO FORNARO . Grazie.

  PRESIDENTE . Altri elementi? Li ha più visti dopo? Questi due sono signori che hanno una discreta procedura giudiziaria...

  NICOLA MAINARDI . Li ho rivisti. Per motivi di servizio ci siamo rivisti.

  PRESIDENTE . Per capire: lei non si era mai occupato della vicenda Moro, se non per la zona in cui...

  NICOLA MAINARDI . Tenga presente, presidente, che in quel periodo come terza sezione...

  PRESIDENTE . Che cosa significa terza sezione?

  NICOLA MAINARDI . Significava la malavita organizzata, ma in quel periodo ci interessavamo soprattutto...

  PRESIDENTE . Dell'eversione.

  NICOLA MAINARDI . Dell'eversione.

  PRESIDENTE . Nella zona di sua competenza lei «prende in cura», segue con particolare attenzione quest'autosalone.

  NICOLA MAINARDI . Sì.

  PRESIDENTE . Perché era ricettacolo di soggetti...

  NICOLA MAINARDI . Ma questo come polizia giudiziaria.

  PRESIDENTE . Sì, in base al lavoro che svolgeva, in quanto soggetti «particolari».
  Tra l'altro, risulta da un verbale che la Faranda ci aveva già comprato roba. Il 10 luglio 1979 Olindo Andreini viene ascoltato dal giudice istruttore Priore: «Sono dipendente dell'AutoCia, che ha sede in via Adolfo Gandiglio n. 122».

  FEDERICO FORNARO . Il nome AutoCia è tutto un programma.

  PRESIDENTE . Sì. «L'AutoCia è una società a responsabilità limitata, il cui amministratore è Francesca Lamanna».

  NICOLA MAINARDI . È una donna.

  PRESIDENTE . Sì, Francesca Lamanna. «Ho saputo della questione dell'Autobianchi venduta a Faranda Adriana, perché venerdì scorso l'agenzia Vaccari ci telefonò per informazioni sul passaggio di proprietà. Non ricordo chi fosse il venditore della macchina. La pratica è stata trattata dal collega Bozzetti Dario, che in questi giorni è assente da Roma. La Faranda ha acquistato presso di noi due macchine. Dapprima una Mehari; poi a distanza di circa un anno l'Autobianchi, restituendo la Mehari. Entrambe le vendite sono state trattate dal collega Bozzetti. Non so perciò dire chi l'abbia indirizzata presso di noi, con quale modalità abbia pagato e se venisse presso il nostro autosalone in compagnia di qualcuno. Comunque, un certo qual numero di dati possono trarsi dalla relativa pratica». Questo è l'interrogatorio che Priore fa il 10 luglio 1979, alle ore 10.10, a Olindo Andreini.
  Questi acquisti risalgono agli anni 1976-1977, cioè erano frequentatori di quest'autosalone per il legame che avevano con Andreini. Evidentemente erano nel giro.
  Sempre il 10 luglio 1979, alle ore 12, viene interrogato Matteo Piano: «Sono dipendente all'autosalone AutoCia. Esibisco, come richiestomi, il libro giornale degli affari per la Questura, dove la nostra società
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riporta le operazioni di compravendita dell'usato, e i due fogli di accordo di compravendita sui quali sono riportate le due compravendite effettuate da Faranda Adriana. Si dà atto che l'ufficio estrae copia conforme dei predetti documenti e restituisce al Piano i predetti documenti. Non ho trattato i due affari direttamente giacché io mi occupo del settore rapporti con le case automobilistiche».
  Poi c'è l'interrogatorio di Dario Bozzetti, dell'11 luglio 1979: «Sono dipendente dell'autosalone AutoCia. Ho trattato io la vendita a Faranda Adriana di una Citroën Mehari e dell'Autobianchi A112. La prima fu venduta il 21 maggio 1976, la seconda il 19 aprile 1977. In occasione del secondo acquisto rese la Mehari. Ricordo che disse che durante l'inverno aveva preso tanta acqua, perché nella Mehari ci pioveva dentro. In entrambe le vendite pagò per contanti. Alle trattative si è sempre presentata da sola. Non so se alla consegna sia venuta accompagnata da qualcuno. Non ci fu presentata da nessuno. Non ricordo dove abitasse. A quei tempi era scura di capelli. I capelli erano lunghi».

  FEDERICO FORNARO . Possiamo passare in seduta segreta?

  PRESIDENTE . Proseguiamo in seduta segreta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta)* .

  FEDERICO FORNARO . Una cortesia, se mi può ripetere un passaggio: è lei che chiede a Bozzetti di avere informazioni su presunti brigatisti (o su contatti comunque relativi alle BR) oppure è Bozzetti che offre queste informazioni?

  NICOLA MAINARDI . Io chiedo a Bozzetti di qualsiasi cosa, dal rapinatore al sequestratore, e in quel periodo c'erano anche le ricerche dei brigatisti

  FEDERICO FORNARO . Quindi Bozzetti che cosa le dice?

  NICOLA MAINARDI . Se eravamo interessati, probabilmente, anche ai brigatisti.

  FEDERICO FORNARO . Ho chiesto di passare in seduta segreta per questo motivo: lei fa una generica richiesta di avere informazioni riservate come confidenze a tutto raggio sulla criminalità organizzata, ed è Bozzetti che offre le informazioni su due persone, di cui fa nomi e cognomi?

  NICOLA MAINARDI . Dopo un po’ di tempo, in quel periodo lì, prima dell'arresto, due o tre mesi prima.

  FEDERICO FORNARO . Perfetto, ma due o tre mesi dopo il suo primo approccio?

  NICOLA MAINARDI . No, io l'approccio io ce l'ho dal 1977-78.

  FEDERICO FORNARO . A un certo punto Bozzetti le dice: «Se vuoi...».

  NICOLA MAINARDI . Bozzetti a un certo punto mi dice: «Siete interessati a personaggi delle Brigate rosse?». Gli ho risposto: «Certo che siamo interessati! Magari, se è possibile!».

  FEDERICO FORNARO . Le faccio una domanda delicata, a cui le chiedo però di rispondere: lei ha avuto mai sensazioni, anche di tipo epidermico, che quell'autosalone potesse essere in qualche modo legato ai Servizi?

  NICOLA MAINARDI . No, questo mai. C'erano solo personaggi della malavita. Che ci siano stati personaggi dei Servizi a me non risulta.

  FEDERICO FORNARO . Torno ancora indietro un attimo e poi taccio. Per verificare se ho capito bene: a un certo punto, in uno dei periodici incontri che lei ha con
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Bozzetti, quest'ultimo – lo dico con una battuta – le mette la testa di Morucci e Faranda, che in quel momento sono due tra i più pericolosi brigatisti in latitanza, su un piatto d'argento. Ho interpretato bene?

  NICOLA MAINARDI . Sì. Chiese se eravamo interessati e...

  FEDERICO FORNARO . Va bene, adesso l'ho volgarizzata per abbassare la tensione, per intenderci.

  NICOLA MAINARDI . La mia sensazione fu che aveva messo sul piatto perché questi personaggi attorno cominciavano a scottargli....

  PRESIDENTE . Cominciavano a scottargli, lei dice, perché frequentavano abitualmente...

  NICOLA MAINARDI . «Abitualmente» non posso dirlo. So che...

  PRESIDENTE . È certo che la Faranda è andata due volte all'autosalone. Se c'è andata è perché o lei o Morucci avevano un rapporto con quel club di personaggi delinquenziali che stavano in quell'autocentro, questo è chiaro. Voglio essere sicuro di aver capito bene, però: lei ha la sensazione che, quando voi cominciate a «rompergli le scatole» perché lo controllavate e lo mettevate sotto pressione, Bozzetti propone Morucci e Faranda, che conosceva già dal 1975 e 1977 e che, se si ripresentavano all'autocentro, era per acquistare un'altra auto.

  NICOLA MAINARDI . Io questo lo apprendo adesso dai verbali che lei ha letto, quindi presumo che li conoscessero prima e li frequentassero.

  PRESIDENTE . Lei dice che Bozzetti se li volle levare di torno per paura che voi avreste incastrato come fiancheggiatori lui e gli altri responsabili dell'AutoCia.

  NICOLA MAINARDI . Era quel periodo in cui persone che non volevano pagare determinate cose... Questa è la mia sensazione.

  PRESIDENTE . Cioè Bozzetti glielo dice e lei si apposta vicino all'autocentro per vedere quando questa donna e quest'uomo arrivano?

  NICOLA MAINARDI . No, no. Bozzetti me lo dice e io ne informo il mio dirigente.

  PRESIDENTE . Sì, ma per seguirli a viale Giulio Cesare come fate?

  NICOLA MAINARDI . Bozzetti organizza un appuntamento con loro due. Noi ci accordiamo...

  PRESIDENTE . Questo è un passaggio importante: Bozzetti organizza l'incontro, questo a riprova del fatto che Bozzetti fosse uno vicino a questi due, non un conoscente generico.

  NICOLA MAINARDI . Quindi, a piazza Risorgimento c'è Bozzetti, ci sono loro e poi partono. Noi non sapevamo, e neanche loro...

  PRESIDENTE . Partono e non sanno dove vanno. Lei va dietro a loro?

  NICOLA MAINARDI . Io seguo Bozzetti che sta con la macchina.

  PRESIDENTE . E loro due salgono sulla macchina di Bozzetti?

  NICOLA MAINARDI . No, vanno a piedi da piazza Risorgimento fino al numero civico 47 di viale Giulio Cesare.

  PRESIDENTE . E Bozzetti dove va con la macchina?

  NICOLA MAINARDI . Dietro. Li segue un po’ a distanza e io sto dietro a Bozzetti.

  PRESIDENTE . Bozzetti poi che fa a viale Giulio Cesare? Posteggia la macchina?

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  NICOLA MAINARDI . Arrivati a viale Giulio Cesare li vidi entrare al 47.
  Ci incontriamo, perché, una volta giunti, ci eravamo dati appuntamento davanti al tribunale di via Lepanto.
  Una volta che sono entrati...

  PRESIDENTE . Aspetti, maresciallo, c'è una parte che non capisco. Bozzetti le dice che le avrebbe consegnato questi due, ed è un soggetto in grado di fare arrivare Morucci e Faranda a un appuntamento che dà loro.

  NICOLA MAINARDI . Dà a loro un appuntamento.

  PRESIDENTE . A questo appuntamento parlano, prima che i due si allontanino a piedi? Bozzetti scende dalla macchina?

  NICOLA MAINARDI . Io sono molto lontano da loro. Non ho visto se sono scesi. Ho visto solo che quando Bozzetti si mette in macchina... Perché loro stanno proprio a piazza Risorgimento, dietro...

  PRESIDENTE . Quindi Morucci e Faranda vanno a piazza Risorgimento per parlare con Bozzetti?

  NICOLA MAINARDI . Con Bozzetti. Io devo seguire Bozzetti. Meglio di così non potevo fare.

  PRESIDENTE . E loro vanno a piedi. Poi quando arriva a viale Giulio Cesare, li vede...

  NICOLA MAINARDI . Bozzetti gira, a un certo punto.

  PRESIDENTE . Vuol dire che hanno parlato prima, Bozzetti e i due.

  NICOLA MAINARDI . Penso di sì. Avranno parlato di qualcosa, poi loro se ne andavano a casa...

  PRESIDENTE . Poi Bozzetti va in macchina, lei segue la macchina e i due vanno a piedi...

  NICOLA MAINARDI . Vanno a viale delle Milizie.

  PRESIDENTE . A quel punto lei incontra Bozzetti un'altra volta? Dove?

  NICOLA MAINARDI . Io mi fermo all'angolo di via Lepanto. Bozzetti ritorna e mi riferisce che sono entrati al 47, ma non sapevamo a quale interno.

  PRESIDENTE . Ricostruiamo: Bozzetti aveva venduto due macchine alla Faranda – questo lo sapevamo – negli anni precedenti. Quindi era una persona che li frequentava, non era un conoscente generico. Sarà stato amico di Morucci, della Faranda, questo poi lo vedremo. Morucci dà questa spiegazione: «Una spiata. Mi servivano dei documenti falsi e mi rivolsi alla mala. Ma evidentemente qualcuno aveva rapporti con la Polizia». Però il rapporto era molto più organico, visto che Bozzetti le vende due auto. Poi Bozzetti inizia ad avere paura perché si sente molto controllato e, a un certo punto, quando lei gli chiede notizie, magari anche delle BR, risponde di conoscere due delle BR. Dà loro un appuntamento. Li conosce bene, ne ha la firma sui contratti.

  PAOLO CORSINI . Conosceva Faranda e Morucci?

  PRESIDENTE . Li conosce bene, ha le firma sui contratti delle auto vendute! Dal 1975 li conosce, non da un giorno.
  Li porta a piazza Risorgimento da dove i due, a piedi, vanno verso viale Giulio Cesare, dopo aver parlato. Entrano dentro e Bozzetti – che ha visto dove sono entrati – dice a lei, che si trova più distante, qual è il numero civico in cui sono entrati. Lei ritorna in Questura...

  NICOLA MAINARDI . No, torno a via Ruffini, dove c'era il II Distretto, perché era stato organizzato prima: c'era la DIGOS, c'era la Mobile. Ci siamo fermati, con il personale, a via Ruffini perché presumevamo che, da piazza Risorgimento, la zona potesse essere lì, insomma...

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  PRESIDENTE . Torna a via Ruffini e riferisce che sono entrati a viale Giulio Cesare 47.

  NICOLA MAINARDI . Al 47. C'era il personale della DIGOS. Quando siamo arrivati lì, la prima cosa che ha colpito il personale della DIGOS, evidentemente, è stata la signora, che conoscevano bene.

  PRESIDENTE . Sapevano che quella signora abitava lì?

  NICOLA MAINARDI . Sì. Tant'è vero che una squadra della DIGOS è arrivata per prima nell'appartamento. Non come Squadra mobile.

  PAOLO CORSINI . Sono andati a colpo sicuro.

  NICOLA MAINARDI . Beh, conoscendo, hanno ricollegato...

  PRESIDENTE . Sapevano, dice Mainardi, che la Conforto) abitava lì.

  NICOLA MAINARDI . ...sapevano che era amica di Piperno, sapevano che già... Quindi sono andati su a colpo sicuro, come ha detto lei. Una volta che sono entrati loro, pure il nostro personale, come Squadra mobile, è entrato.

  PRESIDENTE . Va bene.
  Torniamo in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori riprendono in seduta pubblica).

  GERO GRASSI . Cerchiamo di ricostruire. In quel periodo, Morucci e Faranda sono ricercati, prima che dalla Polizia, dalle Brigate Rosse, perché Morucci e Faranda si sono distaccati dalle Brigate Rosse e hanno rubato anche le armi.
  Maresciallo, quanti anni aveva nel 1978?

  NICOLA MAINARDI . Sono del 1944, quindi nel 1978 avevo trentaquattro anni. Sarebbe bello tornare indietro.

  GERO GRASSI . Una domanda le è già stata fatta dal senatore Fornaro su Bozzetti che le offre la testa dei due. Quindi Bozzetti si fida molto di lei, per averle detto questo.
  Voglio farle un'altra domanda: durante l'irruzione a viale Giulio Cesare lei entra nella casa?

  NICOLA MAINARDI . Io entro dopo.

  GERO GRASSI . Quando?

  NICOLA MAINARDI . Cinque o dieci minuti.

  GERO GRASSI . Che cosa vede?

  NICOLA MAINARDI . In quel momento, non vedo niente, perché dentro c'è tutta la DIGOS. L'operazione all'interno...

  GERO GRASSI . Maresciallo, scusi, lei ha detto che entra cinque minuti dopo.

  NICOLA MAINARDI . Sì, entro in casa, ma vedo solo il nostro personale, giustamente soddisfatto di aver trovato le armi, tutto qui.

  GERO GRASSI . Ma lei entra in casa?

  NICOLA MAINARDI . Sul pianerottolo, davanti alla porta, nel corridoio.

  GERO GRASSI . Quindi, non entra.

  NICOLA MAINARDI . No, non giro tutte le stanze, perché già c'era tanta gente.

  GERO GRASSI . Non assiste, quindi, alla perquisizione della casa.

  NICOLA MAINARDI . No.

  FEDERICO FORNARO . La DIGOS fa la perquisizione.

  GERO GRASSI . Né alla perquisizione dei soggetti che stanno in quella casa.

  NICOLA MAINARDI . No.

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  GERO GRASSI . Non partecipa a questo.

  NICOLA MAINARDI . Alla perquisizione no.

  GERO GRASSI . Glielo sto chiedendo.

  NICOLA MAINARDI . Le sto rispondendo.
  Le ho detto che, siccome la DIGOS conosceva la proprietaria, gli uomini della DIGOS sono stati i primi a entrare. Sono stati i primi, infatti, ad arrivare al quarto piano, così ricordo. Può immaginare che per un'operazione del genere c'era una trentina di loro e un'altra ventina di noi.

  GERO GRASSI . Quindi, una cinquantina di persone.

  NICOLA MAINARDI . Sì. Molti sono rimasti sotto. Ecco perché le dico che alcuni erano sui corridoi, davanti. Poi c'è stato qualche inquilino, abitante sul pianerottolo, che è uscito, per curiosità, perché hanno sentito il frastuono che c'è stato. A mezzanotte o all'una – non ricordo l'orario – un po’ di movimento c'è stato.

  PRESIDENTE . Bozzetti e i due terroristi a che ora si erano visti?

  NICOLA MAINARDI . Su questo non posso essere preciso. In ogni caso, era di sera, tra le 21.30 e le 23.

  PRESIDENTE . Si vedono, quindi, di sera.

  NICOLA MAINARDI . Sì, la sera.

  PRESIDENTE . Siccome ha detto adesso che l'irruzione avviene intorno a mezzanotte, l'una, volevo capire quando si erano incontrati.

  NICOLA MAINARDI . Non vorrei sbagliarmi sugli orari, ma comunque era di sera, è sicuro.

  GERO GRASSI . Dopo l'irruzione ha percepito qualcosa di particolare? Ha saputo qualcosa di particolare? Ha capito dove si trovava? Ha visto che era successo qualcosa di particolare in quella casa? È una domanda.

  NICOLA MAINARDI . Le sto rispondendo: niente di particolare, tranne l'euforia per il colpo realizzato dalla Polizia in quel momento.

  GERO GRASSI . Lo capisco, ed è anche giusto.

  NICOLA MAINARDI . È tutto qui.

  GERO GRASSI . Altro?

  NICOLA MAINARDI . Tenga presente che successivamente l'indagine è stata svolta più dalla DIGOS, perché ad esempio da un numero poteva risalire ad altri. Noi siamo stati sì d'appoggio se c'era da fare qualche altra perquisizione, anche se io non ho partecipato più a nessun'altra, ma una volta che la DIGOS ha preso tutto in mano...

  GERO GRASSI . Tecnicamente, mi spieghi: lei fa un'operazione brillante, anche se è protagonista involontario perché Bozzetti le passa la notizia; perché poi la gestione passa ad altri?

  NICOLA MAINARDI . Perché specialista politica è la DIGOS per i reati delle Brigate Rosse. Di certe dinamiche e certe trame la DIGOS è a conoscenza più di noi, come mobile, all'epoca.

  PRESIDENTE . Forse è utile rammentare che il maresciallo Mainardi era in servizio alla terza divisione, quella che faceva l'anticrimine.

  NICOLA MAINARDI . Terza sezione.

  PRESIDENTE . Inseguendo e controllando il proprio territorio...

  GERO GRASSI . È chiaro. L'ultima domanda: secondo lei, in che misura quest'autosalone era collegabile al giro della banda della Magliana?

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  NICOLA MAINARDI . No, non era collegato. Qualche personaggio, qualche rapinatore andava lì, ma tenga presente che nel 1976-1977, quando l'ho conosciuto io, c'era e non c'era. C'era qualche personaggio, ma non la banda.

  GERO GRASSI . Non c'era la banda?

  NICOLA MAINARDI . Nel 1976-1977 nasceva, ma non c'era. Posso dire questo.

  GERO GRASSI . Maresciallo, nel 1978 c'era.

  NICOLA MAINARDI . Nel 1978, sì, tanto che hanno fatto...

  GERO GRASSI . Stiamo parlando del 1979. L'arresto di Morucci e Faranda è del maggio del 1979. Siccome ha avuto la notizia da Bozzetti in quel periodo...

  PRESIDENTE . Quell'autocentro di proprietà di Francesca Lamanna... Credo che, quando avremo modo di parlare a questo signore – uno dei due, perché l'altro è ricoverato in ospedale – stasera, dopo l'identificazione pubblica che il maresciallo Mainardi ha fatto, molte delle risposte saranno evidenti leggendo il casellario giudiziario.
  La questione non è se l'autocentro fosse frequentato da quelli della Magliana. Lei prima, però, ha richiamato due aspetti: ci realizzavano i documenti falsi e vendevano le auto.

  NICOLA MAINARDI . Quei personaggi fanno quello.

  PRESIDENTE . Se realizzavano documenti falsi, può darsi che ricevessero richieste da parte della banda della Magliana.

  NICOLA MAINARDI . Non metto in dubbio che qualche elemento della banda della Magliana potesse conoscerli.

  PRESIDENTE . Non erano, però, legati alla banda della Magliana.

  NICOLA MAINARDI . Non erano e non sono mai stati collegati alla banda della Magliana, fino a quando sono stato in servizio, secondo quello che mi ricordo. Qualche elemento...

  PRESIDENTE . Se serviva, realizzavano documenti falsi e vendevano loro le macchine.

  NICOLA MAINARDI . Niente di più probabile che...

  PRESIDENTE . Vendevano, però, le macchine e realizzavano documenti falsi. Di solito, quindi, li frequentava gente che aveva bisogno di questa roba.

  GERO GRASSI . Nel contesto, però – non è una domanda – realizzavano documenti falsi, erano frequentati da personaggi particolari, ma avevano la notizia non solo del fatto che la Faranda lì avesse comprato la macchina, fatto legittimo, bensì addirittura sapevano dove la Faranda e Morucci si erano nascosti.

  NICOLA MAINARDI . No.

  PRESIDENTE . No, non lo sapevano. Bozzetti l'ha scoperto quella sera, perché lo ha pedinato. Mainardi l'ha detto con chiarezza.

  GERO GRASSI . Quindi, non lo sapevano.

  PRESIDENTE . No, l'ha saputo quella sera.

  PAOLO BOLOGNESI . Ma sapevano che erano delle Brigate Rosse.

  PRESIDENTE . A quel punto, nel 1979 era noto, perché era già di pubblico dominio. Morucci e Faranda erano già usciti sulle cronache..
  Ho capito così quello che ha detto Mainardi, che mi correggerà se sbaglio. Bozzetti, che non è uno stinco di santo... Il presupposto è che con Morucci e Faranda si erano già frequentati. Se, infatti, la Faranda
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decide di comprare le auto lì da lui – stasera sentiremo che cosa ci racconta – qualche motivo ci sarà stato. Quando Mainardi chiede, si sentono sotto pressione, è gente che vende auto di un certo tipo, traffica in documenti falsi, e gli «vende» questi due.
  Mainardi dice di aver avuto la sensazione che glieli abbia «venduti» perché aveva paura che la Polizia gli finisse addosso. Stando alla dichiarazione di Morucci in un'intervista del 2001, sarebbe stata una spiata, perché aveva chiesto documenti falsi. Evidentemente, hanno chiesto documenti falsi e pensavano che quelli dell'autosalone fossero affidabili perché ci avevano comprato le macchine.
  Bozzetti va all'incontro serale o notturno a piazza Risorgimento, vede piano piano dove entra, e Mainardi riporta che sono entrati al 47. La DIGOS interviene per prima e sa già che a viale Giulio Cesare, a quel numero civico, abita la Conforto. Non vanno a suonare a caso, vanno lì pensando...

  NICOLA MAINARDI . Vanno diretti.

  PRESIDENTE . A meno che non abbiano perso il senno, ricordandosi di quello che era successo a via Gradoli, vanno lì e...

  NICOLA MAINARDI . No, anche perché in sede di preparazione dell'intervento è stata fatta una riunione a via Ruffini. Del 47 c'è stato qualcuno, sempre della DIGOS, che si è ricordato ancora prima di andare.

  GERO GRASSI . È chiaro che si sono ricordati. Oltretutto, la Conforto non scende dal cielo, è la figlia del professore universitario Giorgio (detto Dario) Conforto, uno dei più importanti agenti italiani del KGB. Non è una casa sconosciuta, ad alcuni quella casa è conosciuta.
  Ciò che faccio notare e che non quadra è che la Faranda dichiara che loro da quella casa uscivano soltanto il giorno e la sera all'imbrunire tornavano. Se Bozzetti li chiama... e non so, non esistendo il telefonino, come faccia a contattarli, perché Morucci e Faranda sono in fuga in quel periodo, anche se sono ricoverati lì. Fissano un appuntamento dopo l'imbrunire, alle 21-21.30.

  NICOLA MAINARDI . Era di sera, era buio.

  GERO GRASSI . Tarda serata. Questo dato della tarda serata rispetto alla versione della Faranda è un'anomalia.
  Mi piacerebbe anche capire, ma non lo chiedo a lei...

  NICOLA MAINARDI . Io posso rispondere per quello che penso io.

  GERO GRASSI . Non può dirmi quello che sto chiedendo: mi piacerebbe capire come Bozzetti li ha contattati. Non era facile.

  PRESIDENTE . La domanda è: ma perché la Faranda, tra tanti posti dove poteva comprare la macchina, o rubarla, va a comprarla all'AutoCia e poi ci torna anche nel 1977, quando magari è già clandestina? Se poi c'è l'appuntamento con Bozzetti, evidentemente c'erano rapporti e relazioni.. Morucci e Faranda di quell'autocentro si fidano, perché ci comprano due auto. E quelli dell'autosalone, quando si sentono il fiato addosso, cominciano ad avere paura di passare qualche guaio.
  Vorrei far presente che i soggetti che sentiremo stasera sono particolari. Il punto su cui si stanno completando le indagini è che questi non sono confidenti, fonti della Polizia, pagati regolarmente per avere notizie, come «cardinale» o altri. In un'operazione di normale controllo del territorio contro la criminalità organizzata, i due dell'autosalone, per pararsi dai guai, fanno una cosa, e, in cambio dell'impegno a fissare l'appuntamento e indicare il posto che ancora non conoscevano, mettono sul tavolo le due richieste: poter conservare la patente e avere il passaporto per venti giorni. Io ritengo che il conto della soffiata sia stato pagato da qualche Stato estero con qualche «sòla», se posso dirla proprio come la penso. Se il passaporto è servito
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per venti giorni, non è servito per un viaggio di piacere.

  CATERINA PES . Non si sa dove sono andati?

  PRESIDENTE . Stasera l'interessato ci sarà. Intanto, dobbiamo vedere se l'interessato lo ammette, se lo ricorda. Purtroppo, stasera non potremo ascoltare uno dei due perché ci è stato comunicato che è ricoverato. Ne interrogheremo uno solo stasera alle 21. Stasera viene Bozzetti. Olindo Andreini è in ospedale.
  Dopo che l'avremo ascoltato stasera, se riterremo che quello che ci avrà detto sarà stato significativo, bene; altrimenti lo riconvocheremo. Può darsi che ritrovi la memoria e può darsi di no. Quello che sarebbe assurdo è far finta che non si conoscessero. Avevano una frequentazione. Non so, può essere che Faranda e Morucci fossero persone che si fidavano del primo che passava, ma se questo li chiama, evidentemente già si erano rivolti a lui, e se dà loro appuntamento alle dieci di sera — tornando a quello che diceva l'onorevole Grassi – ci vanno perché si fidano. Stasera vedremo.

  FABIO LAVAGNO . Intervengo solo per capire una cosa che probabilmente ha già detto, ma magari mi sono distratto io. È Bozzetti a farle i nomi di Faranda e Morucci? O lei chiede...?

  NICOLA MAINARDI . Io chiedo in maniera generica per qualche operazione su dei personaggi. Allora c'erano, ad esempio, i sequestri, e nella zona del Trullo e del Portuense, diversi personaggi erano dediti ai sequestri di persona. Io mi occupavo in genere di questi personaggi di malavita comune, poi dopo due o tre appuntamenti Bozzetti mi parlò di Morucci e Faranda, dicendomi che era possibile sapere dove stavano. Gli risposi: «E che aspetti?».

  FABIO LAVAGNO . Quindi, è Bozzetti che fa i nomi di Morucci e Faranda.

  NICOLA MAINARDI . Fu lui a dirmi che c'era quella possibilità.

  PRESIDENTE . Relativamente alle domande sottese da quello che ha detto Grassi, è chiaro che non mettiamo in dubbio quello che lei ci dice. O questi erano tanto amici o contigui o la nostra domanda è: qualcuno li «imbocca»?

  NICOLA MAINARDI . Presidente, già il fatto che ha comprato le auto io non lo sapevo.

  PRESIDENTE . Il fatto, però, dimostra che si conoscevano.

  NICOLA MAINARDI . Se vado dal confidente e gli dico...

  PRESIDENTE . È singolare che l'interrogatorio di Priore sia così scarno e veloce.

  NICOLA MAINARDI . Non dico una cosa o un'altra, ma chiedo se c'è la possibilità di fare qualche operazione. Questa o è di criminalità comune, o fortunatamente per noi è stata politica...

  FABIO LAVAGNO . Quando le fa il nome di Morucci e Faranda, sono noti. Proprio perché si esce dalla criminalità comune e si entra in un altro filone, la sua reazione qual è stata, lei che cosa ha detto?

  NICOLA MAINARDI . Non ci credevo.

  FABIO LAVAGNO . Gli ha chiesto se li conosceva?

  NICOLA MAINARDI . Non gli ho chiesto niente, gli ho detto: «È possibile?». Mi rispose di sì.

  FABIO LAVAGNO . Mi scusi, ma ha verificato l'autenticità di quello che le stava dicendo?

  NICOLA MAINARDI . No, io avevo fiducia, perché già in precedenza sulla malavita organizzata qualche operazione l'ho fatta. Il rapporto col confidente, con queste persone, è una questione di pelle, come tra due persone qualsiasi che possono incontrarsi. Era stato già possibile concludere delle
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operazioni grazie a qualche sua notizia, tutto qui.
  Quando ha proposto questo, sono andato subito dal dottor Masone, dal dottor De Sena, e ho riferito quello che mi aveva detto la persona. Loro sapevano dei miei contatti, di cui li informavo sempre. Il dottor De Sena mi rispose: «Voglio venire a parlarci anche io», perché era incredulo anche lui. Io ho incontrato Bozzetti di nuovo e gli ho detto: «Guarda, c'è il dottor De Sena che vorrebbe parlarti». Lui non conosceva il dottor De Sena. Io gli dissi: «È una persona talmente onesta e perbene che, se prende un impegno con te per qualsiasi cosa, puoi stare tranquillo, perché è un signor funzionario, è come se stessi parlando con me».
  Ci siamo incontrati. Una volta che anche lui ha avuto questa conferma, siamo andati dal dottor Masone, dirigente, e siamo scesi dal signor questore. Questo è successo.

  FABIO LAVAGNO . Quanto passa tra questi incontri e quello in piazza Risorgimento?

  NICOLA MAINARDI . Dieci o dodici giorni.

  FABIO LAVAGNO . Un po’ più di una settimana.

  NICOLA MAINARDI . Sì, dieci o dodici giorni. Non ricordo di preciso, sono passati quarant'anni.

  FABIO LAVAGNO . A quel punto, proprio il giorno dell'irruzione a viale Giulio Cesare 47, le dice: «Ci vediamo a piazza Risorgimento»?

  NICOLA MAINARDI . No, sono io che gli sto dietro e gli chiedo quando incontra queste persone. Oltretutto c'era un po’ la rincorsa col povero generale Dalla Chiesa, e quindi facevamo un po’ la rincorsa a chi arrivava prima. Quando il questore, che ha senz'altro informato il ministero, ha saputo, tutti pressavano su di me affinché lo contattassi, non mollassi. Quasi tutti i giorni ero da lui, insistendo perché chiudessimo, perché sapevo che gli uomini del generale Dalla Chiesa stavano per arrivarci. Gli ho dato, quindi, un po’ di pressione.
  Lui mi ha detto che aveva un appuntamento dopo sette o otto giorni, ma è stato sicuramente di sera.

  FABIO LAVAGNO . Un bel giorno, però, le dice del giorno, dopo una settimana, dell'incontro in un dato posto?

  NICOLA MAINARDI . Lo incontro di pomeriggio. Non ricordo se mi ha telefonato al numero dell'ufficio della squadra mobile o l'ho incontrato, non so dirlo. In ogni caso, abbiamo avuto questo contatto, quando mi ha detto che quella sera aveva appuntamento con loro due. I funzionari, il capo della squadra mobile hanno organizzato e siamo andati.

  FABIO LAVAGNO . A quel punto, non sa perché e con quale espediente abbia organizzato l'incontro a piazza Risorgimento?

  NICOLA MAINARDI . No.

  FABIO LAVAGNO . Una cosa del genere: ti devo restituire dei soldi o devo consegnarti la macchina...?

  NICOLA MAINARDI . No. A noi interessava che si arrivasse al covo, quindi non chiesi...

  FABIO LAVAGNO . In base, quindi, alla fiducia che lei aveva in questo confidente...

  NICOLA MAINARDI . Sì.

  FABIO LAVAGNO . A lei bastava un'ora e un luogo.

  NICOLA MAINARDI . No, bastava soprattutto...

  FABIO LAVAGNO . Sto solo cercando di capire.

  NICOLA MAINARDI . E io sto spiegando.

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  PRESIDENTE . Bastava soprattutto che li seguisse per vedere dove entravano.

  NICOLA MAINARDI . Era quello che ci interessava. Non so se dovesse dare dei documenti.

  PRESIDENTE . Se dovevano arrivare prima di Dalla Chiesa, dovevano arrivare prima.

  FABIO LAVAGNO . La concorrenza tra le Forze dell'ordine è nota, però...

  NICOLA MAINARDI . Era bello. Quegli anni era bello. Se pensa che in un mese avevamo quattordici sequestri solo a Roma, questa era una rincorsa piacevole, per la quale veramente si lavorava notte e giorno, non c'era straordinario.

  FABIO LAVAGNO . Ho un'ultima domanda. Lei era da solo quando faceva il pedinamento del pedinamento?

  PRESIDENTE . Sulla macchina con cui andava dietro a Bozzetti che seguiva Morucci e Faranda.

  NICOLA MAINARDI . Sì, sono andato da solo, con la mia macchina.

  PRESIDENTE . Per non rischiare che fosse identificata come auto civetta.

  PIETRO LIUZZI . Ho una domanda per focalizzare un po’ il ruolo dell'autocentro anche come centro per fabbricare documenti falsi.
  Maresciallo, lei ha conosciuto direttamente il falsario?

  NICOLA MAINARDI . No, penso che loro si rivolgessero a qualcun altro. Questa è una mia sensazione.

  PIETRO LIUZZI . Non era interno al...

  NICOLA MAINARDI . No.

  PRESIDENTE . La domanda del senatore Liuzzi è: Olindo e Bozzetti...

  NICOLA MAINARDI . Erano loro i falsari? No. So da sensazioni che si rivolgevano...

  PRESIDENTE . Basta interrogarlo stasera per capire.

  NICOLA MAINARDI . Si rivolgevano a qualche altra persona.

  FABIO LAVAGNO . Scusi, prima mi è sfuggita una cosa: Bozzetti non le dice perché li conosce?

  NICOLA MAINARDI . Ma neanche gliel'ho chiesto.

  FABIO LAVAGNO . Scusi, la curiosità magari scappa.

  NICOLA MAINARDI . Non mi dice niente, né perché li ha conosciuti né come.

  FABIO LAVAGNO . Io capisco l'estrema fiducia che nutriva nei confronti di questo confidente, ma scatta un minimo di curiosità, che è quella che sta scattando a noi.

  NICOLA MAINARDI . In quel momento scatta solo l'esigenza di chiudere il servizio al più presto possibile e bene, in modo che non si possa, come si dice a Roma, essere «sgamati».

  PRESIDENTE . Aggiungerei un'altra considerazione: se so bene perché si conoscono, da quanto tempo e quanti reciproci aiuti si sono scambiati, oltre ad arrestare i terroristi, devo arrestare anche Bozzetti (altro che dargli il passaporto!), perché diventa contiguo.
  Magari non è stata mai messa a verbale la ragione per cui li conoscono. Il maresciallo non lo sa, ma magari qualcun altro qualche altra domanda gliel'avrà fatta. Stasera chiederemo a Bozzetti perché li conosceva.

  FABIO LAVAGNO . Non partiamo con il pregiudizio.

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  PRESIDENTE . No, non ho pregiudizi, ho letto un foglio.

  PAOLO BOLOGNESI . Lo chiediamo a Priore.

  PRESIDENTE . No, vorrei che fosse chiaro che Priore scrive quelle poche righe il 10 luglio 1979. A quando risale il blitz a viale Giulio Cesare?

  NICOLA MAINARDI . A fine maggio 1979.

  PRESIDENTE . Serve solo a ricordarvi perché Priore rivolge una tipologia di domande. Il 10 luglio 1979 Priore si ferma a quelle domande, forse perché era già informato. Avevano comprato automobili presso l'autosalone nel 1976-1977: possibile che non abbia scavato?

  CATERINA PES . A proposito di questo, lei, maresciallo, ha detto che aveva già avuto a che fare con Bozzetti in altre occasioni, era stato informatore e vi aveva aiutato: anche nel passato in cambio aveva chiesto che gli rilasciaste il passaporto o altro?

  NICOLA MAINARDI . No, diciamo che c'era una minaccia a fin di bene da parte mia come poliziotto. Se fermavi una persona come Bozzetti oggi, domani e dopodomani con altri pregiudicati, gli dicevi che, siccome frequentava appunto dei pregiudicati, c'era la possibilità della seconda divisione...

  PRESIDENTE . Era «spontaneamente» collaborativo.

  NICOLA MAINARDI . Era una spinta a far collaborare. Allora si faceva, non c'erano i soldi di oggi, si faceva con sacrifici propri, al di là del fatto che qualunque cosa si dovesse fare, si informava il dirigente della mobile, il proprio dirigente di sezione. Se io andavo a parlare con un confidente, lo sapevano. Prima di uscire, li informavo che quel giorno avrei incontrato Tizio e Caio. Come dirigenti l'hanno sempre saputo, avevo la loro fiducia.

  CATERINA PES . Quindi è la prima volta...

  NICOLA MAINARDI . In quella circostanza, sì. Hanno detto che dovevano recarsi all'estero e, siccome non avrebbero potuto avere i passaporti in quanto pregiudicati e così via, all'epoca...

  PRESIDENTE . Anche oggi.

  NICOLA MAINARDI . Oggi, però, si viene autorizzati dal magistrato, che lo rilascia.

  PRESIDENTE . Non sembra si siano pentiti al momento, ma non so, potremmo controllare.
  Ho un'ultima domanda: lei è stato oggetto di un encomio per questo lavoro?

  NICOLA MAINARDI . Sono stato oggetto di promozione straordinaria.

  PAOLO CORSINI . A margine dell'audizione, non sottovaluterei l'indicazione venuta da Fornaro durante la riunione dell'Ufficio di presidenza sulla vicenda Hypérion. Siccome il magistrato Salvini ha lavorato a lungo in quel settore, forse varrebbe la pena di chiedergli se quella notizia è vera.

  PRESIDENTE . Maresciallo, la ringraziamo di tutto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.

* Su conforme avviso dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 22 febbraio 2018 la Commissione ha convenuto di desecretare la seguente parte segreta del resoconto stenografico della seduta diurna del 27 aprile 2016 e ha disposto che il resoconto stesso venisse ripubblicato includendovi la parte desecretata.

* Su conforme avviso dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 22 febbraio 2018 la Commissione ha convenuto di desecretare la seguente parte segreta del resoconto stenografico della seduta diurna del 27 aprile 2016 e ha disposto che il resoconto stesso venisse ripubblicato includendovi la parte desecretata.










Edited by barionu - 24/4/2024, 14:05
CAT_IMG Posted: 31/12/2023, 08:25 DOUGLAS HOME - ZIO OT DICE LA SUA












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https://en.wikipedia.org/wiki/Daniel_Dunglas_Home



Daniel Douglas Home,

il famoso medium dello spiritismo


credits:Google,www.esoterya.com

BY DARKSHADOW

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Nato: 20 Marzo 1833
Currie, Scotland
Morto: 21 Giugno 1886 (a 53 anni)
Occupazione: chiaroveggente, medium, psichico
Mogli: Alexandria de Kroll (1858–1862) e Julie de Gloumeline (1871)
Figli: Gregoire
Genitori: William and Elizabeth Home (in McNeill)


Daniel Douglas Home (si pronuncia 'Hume') nacque ad Edimburgo, in Scozia, il 20 marzo 1833, ma da bambino fu mandato nel Connecticut, a vivere con alcuni zii.
Sua madre Elizabeth ("Betsy") Home era mal vista in Scozia,proprio come i suoi zii Colin Uruqhart e Mr. McKenzie.Il dono della "seconda vista" era considerato come una maledizione,poichè prevedeva i casi di tragedia e di morte.Il padre di Daniel,William, era il figlio illegittimo di Alexander, il decimo conte di Home.

Veniva descritto come un uomo cattivo, schivo ed infelice che beveva spesso ed era sempre aggressivo verso sua moglie. Elizabeth ebbe otto bambini: sei maschi e due femmine, anche se le loro vite non vennero registrate. Il più vecchio, John andò a lavorare a Balerno per poi trasferirsi a Philadelphia. Mary annegò in un fiume a 12 anni nel 1846 e Adam morì in mare all'età di diciassette anni mentre si trovava nei pressi della Groenlandia, alcuni membri della famiglia Home dissero di averlo visto in una visione.

Daniel era il terzo figlio di Elizabeth. Venne batezzato dal reverendo Somerville tre settimane dopo la sua nascita alla Currie Parish Church (il 14 aprile 1833). Nel primo anno di vita,Daniel,venne ritenuto un bambino fragile, avendo un temperamento nervoso e venne affidato alla sorella di Elizabeth,Mary Cook,dato che era senza figli. Mary viveva con suo marito nella città costiera di Portobello, 3 miglia (4.8 chilometri) ad est di Edinburgo. Secondo gli Home, la culla di Daniel oscillò da sola e lui ebbe una visione di un suo cugino morto, che visse a Linlithgow, ad ovest di Edinburgo.

Tra il 1838 ed il 1841,la zia e lo zio decisero di emigrare per via mare verso gli Stati Uniti con il loro figlio adottivo, alloggiando nell'alloggio più economico poichè non potevano permettersi una cabina. Dopo lo sbarco a New York, i Cooks si diressero a Greeneville, vicino alla Norvegia, nel Connecticut. Daniel frequentò una scuola assistita di Greeneville, in cui era conosciuto come " Scotchy" nomignolo datogli dagli altri studenti.Quando compì tredici anni non si appassionò ai giochi di sport con altri ragazzi, preferendo fare passeggiate nel bosco locale con un amico di nome Edwin. I due ragazzi si leggevano l'un l'altro la bibbia e si raccontavano storie .Fecero un patto dichiarando che se uno o l'altro fosse morto, il sopravvissuto avrebbe provato a contattare lo spirito del defunto dopo la morte.

Home e sua zia presto si spostarono verso Troy, NY, che è a circa 155 miglia (249 chilometri) da Greeneville. Home perse il contatto con Edwin fino ad una notte in cui, secondo Lamont, egli ebbe una visione, il suo amico stava male. Alcuni giorni più tardi arrivò una lettera che dichiarava che Edwin era morto di dissenteria maligna, tre giorni prima della visione di Home. Daniel, alcuni anni più tardi, e sua zia trasferirono a Greeneville la casa di Elizabeth che nel frattempo era emigrata dalla Scozia in America con i membri sopravvissuti della famiglia per vivere a Waterford, Connecticut, che era a 12 miglia (19 chilometri) dalla casa dei Cooks .
Home e sua madre si riunirono per breve tempo , poichè Elizabeth previde la propria morte nel 1850.

Da quanto viene raccontato una notte gli apparve il fantasma della madre, a cui era stato molto legato. In seguito a quell’apparizione, in cui la donna gli disse: “A mezzanotte, Dan”, lui scoprì che sua madre era morta proprio a quell’ora.

Dopo la morte di Elizabeth Home si ribellò alla religione. Sua zia era una presbiteriana , così Daniel abbracciato la fede Wesleyana, la quale credeva che ogni anima potesse essere conservata.

La zia di Home non prese tanto bene la cosa e costrinse il nipote a convertirsi al Congregazionalismo, che non era di gradimento al giovane, ma era più in conformità con la sua propria religione. Daniel secondo come venne riferito fu disturbato da colpi battuti e bussare simili a quelli che si verificarono due anni prima a casa delle sorelle Fox. I ministri vennero chiamati alla casa dei Cooks: un battista, un congregazionalista, e persino un ministro Wesleyano, e tutti credettero che la casa fosse posseduta dal diavolo, anche se Home credeva che fosse un dono di Dio.Il bussare non si arrestò, e un tavolo cominciò a muoversi da solo, anche se la zia di Home aveva posto una Bibbia su di esso e disposto il suo peso corporeo . Secondo Lamont, i rumori non si fermarono e cominciarono ad attirare l'attenzione dei vicini indesiderati dei Cook, così venne detto ad Home di lasciare la casa.

A diciotto anni, Daniel rimase con un amico in Willimantic, Connecticut, e poi in Libano, nel Connecticut. Tenne la sua prima seduta nel marzo 1851, ciò venne riportato sul giornale Hartford gestito da WR Hayden, che scrisse della tavola che si muoveva senza che nessuno la toccasse, e continuava a muoversi fisicamente quando Hayden cercò di fermarlo. Dopo l'articolo di giornale, Home divenne noto nel New England, poichè guarì dei malati e continuò a comunicare con i morti, anche se lui stesso dichiarò di non essere preparato a questo improvviso cambiamento nella sua vita a causa della sua timidezza . Home non chiedeva mai denaro, anche se visse molto bene grazie ai suoi poteri, alle donazioni ed agli alloggi offrotegli da ammiratori ricchi. Sentiva che quella era una missione ,e volle interagire con i propri clienti come un signore qualunque, piuttosto che come un lavoratore dipendente. Nel 1852, fu ospite a casa di Rufus Elmer a Springfield, Massachusetts, dando sedute spiritiche sei o sette volte al giorno, che vennero seguite da folle di persone, tra cui un professore di Harvard, David Wells, e il poeta ed editore del New York Evening Post, William Cullen Bryant.
,
Erano tutti convinti della credibilità di Home avevan dichiarato al giornale Repubblican Springfield che la stanza era ben illuminata e fu ispezionata da gente autorizzata, dissero: "Sappiamo di non essere stati costretti , né ingannati.....";. Venne anche riferito che durante una delle manifestazioni in casa Coock cinque uomini di grossa stazza si sedettero su un tavolo, ma questo continuò a muoversi, e altri videro una luce tremula e fosforescente oltre le mura. Home venne indagato da numerose persone, come il professor Robert Hare, e John Edmonds Worth, un giudice della Corte Suprema, che erano scettici, ma poi hanno ammisero che Home non era affatto un imbroglione. Nel suo libro, "Incidenti in My Life", Home, sostenne che nell'agosto del 1852, a sud di Manchester, Connecticut, in casa di Ward Cheney, un noto produttore di seta , fu visto levitare due volte e poi salire fino al soffitto, accompagnato da forti colpi ed un bussare repentino, e si manifestarono strani movimenti ,la tavola si mosse ancora più bruscamente si udì il suono di una nave in mare in tempesta, anche se le persone presenti dissero che la stanza era malamente illuminata in modo da vedere le luci degli spiriti.Per lui fu una fortuna. Amici e conoscenti fecero a gare per ospitarlo, interessati dai suoi poteri pschici. Divenne un grandissimo medium . Riceveva messaggi dagli spiriti, con cui comunicava, era in grado di far levitare i tavoli, ma anche le persone e a indurre materializzazioni e ad alterare i corpi allungandoli.

La comunità scientifica non potè che interessarsi a Home che acconsentì a partecipare ad una serie di esperimenti nel laboratorio del famoso fisico William Crookes, che peraltro non riuscì mai a spiegare come potesse il medium provocare simili fenomeni.

Crookes dovette concludere che Home controllava un’energia nuova, che si poteva chiamare “forza psichica”. Le sue sedute spiritiche erano dei veri e propri spettacoli e mai una volta fu scoperto ad usare trucchi. Era in grado di far allungare il suo corpo notevolmente e la sua più grande esibizione fu quando cadde in trance e lievitò fuori dalla finestra, a quindici centimentri di altezza sul davanzale. Un altro incredibile fatto fu l’apparizione del suonatore di fisarmonica, che all’urla della moglie di Crookes, sprofondò nel pavimento rimanendo fuori solo con la testa.

New York s'interessò alle capacità di Home, così Daniel si trasferì in un appartamento al Bryant Park sulla 42 ° strada. Il suo critico migliore di New York fu William Makepeace Thackeray, l'autore di "Vanity Fair" Thackeray respinse le abilità di Home con ipocrisia e superstizione squallida e insensatoa,anche se Thackeray era rimasto impressionato quando aveva visto la tavola muoversi.Home pensò che Thackeray fosse la persona più scettica che avesse mai incontrato, e così Thackeray pubblicò il pensiero di Home di fronte allo scetticismo del pubblico .Home viaggiò tra Hartford, Springfield, e Boston durante i mesi successivi, e si stabilì a Newburgh vicino al fiume Hudson, nell'estate del 1853. Soggiornò presso l'Istituto Teologico, ma non prese parte a nessuna delle discussioni teologiche che vi si trovavano, volle fare un corso in medicina. Il Dr. Hull finanziò gli studi per Home, e si offrì di pagarlo cinque dollari al giorno per le sue sedute spiritiche, ma Home rifiutò, come sempre.La sua idea era quella di finanziare il suo lavoro con uno stipendio di legittimo esercizio sulla medicina, ma si ammalò nei primi mesi del 1854, e fermò i suoi studi.Ad Home venne diagnosticata la tubercolosi. La sua ultima seduta si tenne nel marzo del 1855, ad Hartford, Connecticut, ma prima si recò a Boston e salpò per l'Inghilterra a bordo del l'Africa, alla fine di marzo.

A Londra ,Home, trovò un credente nello spiritismo, William Cox, che possedeva un grande albergo a 53, 54 e 55 Jermyn Street, a Londra. Siccome Cox era innamorato delle abilità di Daniel, gli offrì soggiorno presso l'hotel senza alcun pagamento. Robert Owen, un riformatore sociale di 83 anni,venne presentato ad Home tramite molti dei suoi amici della società.A Londra venne descritto come un uomo alto e magro, con gli occhi azzurri e capelli ramati, malamente vestito ma gravemente malato di consunzione. Tuttavia, tenne sedute per le persone importanti in pieno giorno. Alcuni ospiti presenziarono alle sedute di Home incluso lo scienziato Sir David Brewster, lromanziere Sir Edward Bulwer-Lytton e Thomas Adolphus Trollope, e James John Garth Wilkinson. Home convertì la maggior parte degli scettici, ma Robert Browning, il poeta, si rivelò più difficile. Dopo aver frequentato una seduta di Daniel, Browning , gli rivelò la sua impressione con una poesia poco lusinghiera, "Sludge the Medium" (1864). Sua moglie, Elizabeth Barrett Browning, era convinta che il fenomeno a cui aveva assistito era autentico e le loro discussioni su Home furono una costante fonte di disaccordo.

La fama di Home si sviluppò, soprattutto grazie alle sue abilità di levitazione. William Crookes sostenne che più di 50 occasioni in cui Home levitò in condizioni di luce buone (luce a gas) ad almeno cinque - sette piedi sopra il pavimento. Le abilità di Home vennero registrate da Frank Podmore: " Tutti lo abbiamo visto sollevarsi lentamente da terra ad un'altezza di circa sei pollici, rimanendo là per circa dieci secondi ed allora lentamente discendeva." Durante gli anni che seguirono diresse viaggi attraverso l'Europa continentale, sempre come ospite dei patroni ricchi. A Parigi, venne chiamato al Tuileries per effettuare una seduta nella casa di Napoleon III. Lo fece anche per la regina Sophia di Netherlands, che scrisse: " Lo vidi quattro volte… Sentii una mano capovolgere le nie dita . Vidi una campana dorata pesante muovermi da sola da una persona all'altra. Vidi il mio fazzoletto muoversi da solo da solo fino a formare un nodo… Egli è un giovane pallido, malaticcio, piuttosto bello ma senza sguardo o qualche cosa che lo affascina o spaventa. È meraviglioso. Sono così felice di averlo visto… " Nel 1866, la sig.ra Lione, una vedova ricca, lo adottò a casa sua come suo figlio, offrendogli £60,000 nel tentativo di guadagnare introduzione nell'alta società. Ma ciò non accadde.Secondo la legge britannica, il difensore cercò delle prove ma non ne trovò. Ogni accusa era contro Home, la sig.ra Lyon riebbe i suoi soldi ed inclinò la reputazione di Home. Ma le sue conoscenze nell'alta società continuarono a pensare che si comportasse come un signore completo durante le prove ardue al quale veniva sottoposto e lui non perse nessun amico importante. Home incontrò uno dei suoi amici più vicini nel 1867; il giovane Lord Adare (colui che in futuro divenne il quarto conte di Dunraven).

Adare rimase affascinato da Home e cominciò a documentare le sedute che tenne successivamente.L' anno seguente, Daniel, fu visto levitare fuori dalla terza finestra di una stanza per poi tornare dentro attraverso la finestra del locale attiguo davanti a tre testimoni (Adare, Captain Wynne, e Lord Lindsay). Home si sposò due volte. Il suo migliore amico fu il produttore Alexandre Dumas. Nel 1858, sposò Alessandria de Kroll, la figlia diciassettenne di una famiglia russa nobile. Ebbero un figlio, Gregoire, ma Alessandria si ammalò di tubercolosi ed morì nel 1862. Nell'ottobre del 1871, Daniel si sposò per la seconda ed ultima volta, con Julie de Gloumeline, una ricca russa, vhe aveva incontrato a St Petersburg. In quel periodo,si convertì alla fede ortodossa greca. All'età di 38 anni, un Home pensionato, poichè la sua salute era peggiorata - la tubercolosi, da cui aveva sofferto per la maggior parte della sua vita, stava avanzando - ed i suoi poteri stavano scomparendo.

Home morì in Francia il 21 giugno del 1886 e venne sepolto nel St. Germain-en-Laye cemetery di Parigi.


Sir Arthur Conan Doyle dichiarò che Home era insolito in quanto possedeva quattro tipi differenti capacità: voce diretta (la capacità di lasciare parlare gli spiriti); parlare in stato di catalessi (la capacità di lasciare parlare gli spiriti tramite il suo corpo ); chiaroveggenza (capacità di vedere le coseprima che accadano); e la capacità di poter muovere gli oggetti a distanza,e poi la levitazione, ecc., era il tipo di medium che non aveva eguali. Home era sospettoso nei riguardi degli altri medium che dichiaravano di avere poteri che lui non possedeva , specialmente i fratelli Eddy, che si stimavano di avere la capacità di dare forma solida allo spirito, Home li etichettò come fraudolenti.

Dato che i medium eran soliti attuare sedute spiritiche in luoghi bui, Home volle effettuare le sue sedute in posti illuminati . Nel 1877 Home spiegò dettagliatamente i trucchi d' evocazione impiegati mediante i falsi medium nel suo libro "Lights and Shadows of Spiritualism". Sir Adare dichiarò che " Home levitò fuori dalla finestra per poi rientrare in posizione orizzontale. " Tutti i presenti si precipitarono nella stanza. Era molto buio e non potei vedere chiaramente come era arrivato lì" .Fuori della casa vi è una sporgenza che collegava i balconi di ogni finestra . Frank Podmore dichiarò che Home aveva un compagno costante che si sedeva dal lato opposto del medium e della sua signora durante le sedute assistiti da Henrietta Ada Ward.Durante il 1870 ed il 1873, Crookes eseguì degli esperimenti per determinare la validità dei fenomeni prodotti mediantei tre medium: Florence Cook, Kate Fox, ed Home. La relazione finale di Crookes,nel 1874 ,concluse che i fenomeni prodotti mediante tutti e tre i medium erano genuini, un risultato che fu ammesso anche dall'istituzione scientifica.

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Crookes dichiarò di aver controllato per bene Home disponendo i suoi piedi sulla parte superiore di quelli del medium .Questo metodo adottato da Crooke risultò inadeguato durante un esperimento con Eusapia Palladino, il piede della donna slittò fuori dalla scarpa per poi rientrare. Alexander von Boutlerow, professore di chimica all'università di St Petersburg e cognato di Home, ottenne risultati positivi anche durante i suoi test su Daniel. Frank Podmore e Milbourne Christopher fornirono una fonte di speculazione sul fatto che Home potrebbe aver imbrogliato i suoi clienti. Alcuni testimoni dichiararono che Home condusse spesso le sue dimostrazioni a luce fioca. Per esempio, vi è il racconto di un testimone: " La stanza era molto scura; le mani di Home erano visibili come un debole alone bianco;. Le condizioni di luce durante la maggior parte delle dimostrazione della sua abilità più famosa,la levitazione, vennero messe in discussione, ma alcuni testimoni ammisero che la stanza era troppo scura.

Gordon Stein speculò sull'inganno dell'uso degli apparecchi di Crookes. Durante una prova effettuata da Crookes Home non usava interamente le sue mani ...Vi erano degli oggetti che si trovano appena sotto le sue mani e che sfiorava appena con la punta delle dita , una piccola scatola del fiammiferi e una piccola campana. Venne segnalato dai clienti del medium e da Crookes che Home suonò due pezzi con una fisarmonica , Home Sweet Home and The Last Rose of Summer. Entrambi contenevano soltanto un-ottava. Home suonò la sua fisarmonica soltanto con una mano sotto una tavola nel 1869, nella residenza della sig.na Douglas,l'assistente di Crooke osservò questa esecuzione, Home era stato chiuso in una gabbia e non vide niente di sospettoso. Lo scettico James Randi dichiarò che Home commise qualche frode in alcune occasioni, ma gli episodi non vennero mai resi pubblici e suppose che in realtà la fisarmonica di Home non era altro che un organo a bocca che Home celava sotto i suoi grandi baffi. Randi scrisse che proprio quel organo a bocca venne trovato tra gli effetti personali Home dopo la sua morte,secondo Randi era intorno al 1960 .


William Lindsay Gresham disse a Randi di aver visto quest'organo a bocca della collezione personale di Home alla Society for Psychical Research. Eric Dingwall che aveva catalogato questa collezione dichiarò di non aver visto nessun organo a bocca al suo arrivo alla SPR.Lamont speculò sul fatto che era improbabile che a Dingwall fossero sfuggiti certi particolari o che non volle renderli pubblici. La fisarmonica in esposizione alla SPR non è quella usata da Home. È un duplicato. Quella vera andò perduta.





Adare, Viscount (1976). Experiences in Spiritualism With Mr D D Home. Ayer Co Pub. ISBN 978-0-405-07937-5.
Christiansen, Rupert (2000). "The psychic cloud: Yankee spirit-rappers". The Victorian Visitors. Atlantic Monthly Press. pp. 130–158. ISBN 0-87113-790-9.
Christopher, Milbourne (1971) ESP, Seer & Psychics: What the Occult Really Is. Thomas Y. Crowell Company ASIN: B000O8Z6AC
Crookes, William (1874), "Notes of an Enquiry into the Phenomena called Spiritual during the Years 1870–1873", Quarterly Journal of Science, archived from the original on 21 April 2009
Doyle, Arthur Conan (1926). The History of Spiritualism, Vol I. New York: G.H. Doran. ISBN 1-4101-0243-2.
Doyle, Arthur Conan (1926). The History of Spiritualism, Vol II. New York: G.H. Doran. ISBN 1-4101-0243-2.
Home, Daniel Dunglas (2005). Incidents in My Life. Adamant Media Corporation. ISBN 978-1-4021-5929-9.
Home, Daniel Dunglas (2007). Lights and Shadows of Spiritualism. Cosimo Classics. ISBN 978-1-60206-817-9.
Lamont, Peter (2005). The First Psychic: The Extraordinary Mystery of a Notorious Victorian Wizard. Abacus. ISBN 0-349-11825-6.
Oppenheim, Janet (1988). The Other World: Spiritualism and physical research in England, 1850–1914. Cambridge University Press. ISBN 978-0-521-34767-9.
Podmore, Frank (2003). Mediums of the Nineteenth Century, Part 1. Kessinger Publishing. ISBN 978-0-7661-2853-8.
Podmore, Frank (2003). The Newer Spiritualism (reprint of 1910 ed.). Kessinger Publishing. ISBN 978-0-7661-6336-2.
Further reading








Edited by barionu - 31/12/2023, 08:43
CAT_IMG Posted: 29/12/2023, 13:03 ARBEL , LA VERA NAZARETH - Ebraismo





riportato da

www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=44&t=19437


----------------------







[quote="barionu"]Come dicevo , dal 2007 ho scritto molto su Nazareth - Natzrat ,

vi segnalo i topic principali .
[b]
Come introduzione :[/b]

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=73082233

https://originidellereligioni.forumfree.it...030121#lastpost

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=74810865

[b]Studi sul Toponimo :[/b]

https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=67695315

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=68564230

[b]Studi filologici :[/b]

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=68883112

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=72969927

[b]
Sulla stele ( un falso ) di Avy Yonàh :[/b]

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=63923974

[b]Ehrmann su Nazareth[/b]

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=71637098




zio ot [:305][/quote]

[quote="barionu"][b]
Ancora sulla stele di Avy Yonàh ,

dove si evidenzia il falso operato probabilmente da Jerry Vardamann[/b]

https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=65742474

di Jerry Vardamann

https://books.google.it/books?id=Fy4n9sJHw...rdamann&f=false

[quote="barionu"]Come dicevo , ne ho parlato in molti topic , e alcuni topic , a CONSULENZA EBRAICA ,

sono stati eliminati , .... [i]scottavano tropp[/i]o ,

ma per fortuna ho salvato molto materiale .

Quindi procedo ora con una

[b]ANTOLOGIA DI OSSERVAZIONI CRITICHE[/b]

DA

https://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=35842464


[b]

Hard Rain[/b]

Oltre a questo mi ha interessato quanto scritto in quel libro, cioè che il rabbino Yehospeh Schwarz (1804-1865) riteneva che Nazaret fosse citata con un nome diverso e forse molto antico in Mishnà Menachot 8,6, dove si parla di "Bet Laban in collina" che significa "casa/località bianca in collina", per via delle rocce di gesso bianche che si troverebbero a Nazaret.

[b]

Abramo ( Rav Avraham Ysrael )[/b]

Ho consultato il commento alla Mishnah di Kehati e colloca questa localita a Ovest di Shilò, lontano da Nazrat.

Consultando la cartina e anche un'enciclopedia di località e viaggi israeliana,

fanno corrispondere questa località alla città araba "aLuban".



------------------------------------------------


L' autorità di Abramo è assoluta,

quindi la teoria di Bet Lavàn come nome della città di Nazareth ai tempi di Yeshùa

è molto , molto dubbia .



zio ot [:305][/quote]

[quote="barionu"]LA STELE DI AVY YONAH ( UN FAKE )

lo studio lo trovate qui con le foto della stele

https://books.google.it/books?id=cG5SZO00S...epage&q&f=false


[b]
Ricostruzione di Abramo --- Rav Avraham Ysrael[/b]



[attachment=0]Nazareth netzer.jpg[/attachment]


[b]מי מעין מלוח אשר במדבר

שתתה עתה נצרת המקום אשר

בו לחם לאכלה ובו תקום

ותבנה חומה ומגדל לשבת בה[/b]




Traslitterazione

me ma'ian maluach asher bamidbar
shateta 'atta [b]nozeret[/b] hamakom
asher bo lechem leoclàh uvo takum
vetivnèh chomàh umigdal lashevet ba


Traduzione



Colei che nel deserto bevve acqua di sorgente salata
ora contempla il luogo in cui c'è pane da mangiare
e qui si alzerà e costruirà mura e torri per stabilirsi


Abramo legge no(t)zret e traduce contempla , anche se è più congruo dire : sorveglia .


da

https://originidellereligioni.forumfree.it/?t=63923974




zio ot [:305][/quote]

STudio di Rav Avraham Ysrael , nick Abramo , sul paragrafo 18 delle Lamentazioni di Qalir

18

צַדִּיק הוּא יְיָ כִּי פִיהוּ מָרַת
וְעָרוּ עָרוּ עַד הַיְּסוֹד בָּהּ הָעֲרָת
וּתְמוּר עָזִי וְזִמְרָת
קִינִים עָלֶיהָ נֶחֱרַת
וּבְקַצְוֵי אֶרֶץ נִזְרַת
מִשְׁמֶרֶת נִצְרַת



La prima riga è quasi identica a lam 1:18 :

צַדִּיק הוּא יְיָ כִּי פִיהוּ מָרִיתִי

l'unica differenza consiste in una yud, nel testo biblico si esprime in prima persona con la yud di "mariti" e nella lamentazione è in terza persona.


Traduzione: **** è giusto, perché mi sono ribellata alla sua bocca(=parola).

la seconda riga è una ripresa del salmo 137:7 :

עָרוּ עָרוּ עַד הַיְסוֹד בָּהּ (=spogliatela spogliatela fino dentro il fondamento) con l'aggiunta di "הוערת" (=sei stata spogliata).

la terza riga: וּתְמוּר עָזִי וְזִמְרָת

trad.= in vece di "mia forza e mio canto" (cui dovrebbe seguire la salvezza, come la continuazione di Esodo 15:2)

קִינִים עָלֶיהָ נֶחֱרַת = dardi su di essa l'hann graffiata

וּבְקַצְוֵי אֶרֶץ נִזְרַת = e ai confini della terra fu dispersa

מִשְׁמֶרֶת נִצְרַת = custode assediata.



il nick Saulnier chiede ad Abramo, " Tu scrivi


וּבְקַצְוֵי אֶרֶץ נִזְרַת = e ai confini della terra fu dispersa

מִשְׁמֶרֶת נִצְרַת = custode assediata.

mentre Neubauer propone:


וּבְקַצְוֵי אֶרֶץ נִזְרַת = e ai confini della terra fu disperso

מִשְׁמֶרֶת נִצְרַת = il turno sacerdotale di Nazareth


Ritieni plausibile questa traduzione? "


ABRAMO risponde

" Senzaltro, certamente! Ha doppio senso come il resto di tutte le strofe.

In ebraico ciò è comprensibile, non essendo vocalizzato, nella traduzione si perde tutto il senso multiplo e poetico dell'Ebraico( chi fu disperso? )

Tutto il popolo di israel, il turno sacerdotale si trasferì semplicemente in Galilea, lontano dall'area del Tempio ormai distrutto). "



////////////////////////



Il testo delle Lamentazioni in origine , come tutto il Talmud , non era vocalizzato .



Citazione nick Negev che accompagna Abramo nel sopralluogo ad Arbel

Ora fa più caldo a Kiriath Arba, perché siamo a 1000 metri e la sera fa freddo ma comunque al kinneret e a quella che abbiamo individuato come l'antica e vera Natzrat, su di un'altura con precipizio, antico insediamento e sinagoga ci sono oltre 40°. a Gerusalemme si sopporta meglio perché è più ventosa.

Dove il caldo è insopportabile è al mar morto (yam hamelach) dove la temperatura è di 50

No amici, non è Gamla ed è molto più appropriata, perché molto più vicina a Kfar Nahum (Cafarnao) con dei sentieri che permettevano eventualmente di dileguarsi e una sinagoga databile all'epoca di Gesù, certamente non bizantina.


Anche Gamla ha caratteristiche idonee ma è molto più lontana, più indietro.

Di questo insediamento, gli studiosi non sono ancora riusciti a identificare un nome certo, ma della valle ai suoi piedi si ritrova un riscontro in Yosef Ben Mattatiahu (Giuseppe Flavio) e alcuni riscontri talmudici. Ci sto lavorando.

Un tale insediamento ha una veduta spettacolare tutto intorno ed un posto di osservazione militare eccellente "Notzer" (osservatorio), da cui Natzrat.

anche la valle di Tiberiade è definita "Genezareth" traslitterazione non proprio ortodossa di "Ghe-notzeret" la valle dell'osservatorio" e giace proprio ai piedi di questa montagna





2505 replies since 30/7/2008